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Ecco come si possono legalizzare
Documenti stranieri: ecco come si possono legalizzare
di Marco Paggi, avvocato - ASGI (Ass. Studi Giuridici Immigrazione)
La legalizzazione dei documenti provenienti dai Paesi di origine è un problema che riguarda tutti i cittadini immigrati che hanno la necessità di farli valere in Italia non potendo procedere alla cosiddetta autocertificazione.
Quando autocertificare In passato era tollerato che un determinato certificato straniero fosse utilizzato in Italia avvalendosi di traduzioni fatte direttamente nel territorio nazionale, ma l’art. 2, comma primo, del regolamento di attuazione (d.p.r. 394/99) ha posto dei limiti precisi, distinguendo nettamente ciò che può essere autocertificato da ciò che va necessariamente documentato con documenti originali stranieri da legalizzare. Un cittadino straniero può – alle stesse condizioni di un cittadino italiano – autocertificare determinate circostanze, ma a condizione che siano già ufficialmente note e acquisite presso un ufficio pubblico italiano competente. Se questo non è possibile dovrà applicarsi la disposizione del comma 2 dell’art. 2 dello stesso regolamento, la quale stabilisce che ciò che non è autocertificabile dovrà essere certificato mediante documenti che devono essere legalizzati presso il consolato italiano del Paese di provenienza.
La legalizzazione La procedura della legalizzazione, in pratica, serve ad attribuire validità secondo la legge italiana ad un certificato straniero: esso deve quindi essere preventivamente tradotto da un interprete accreditato dal consolato italiano e poi controllato dall’autorità consolare italiana, allo scopo di verificare che il documento sia stato formalizzato nel rispetto della legislazione del Paese di origine, ovvero che sia stato rilasciato da parte dell’ufficio competente di quel paese. Il procedimento è particolarmente complesso perché non ha solo allo scopo di assicurare la conformità della traduzione e la verifica del certificato, ma anche di verificare se è rilasciato nel rispetto delle leggi locali e se il funzionario che lo firma è abilitato, dal momento che in Italia nessuno potrebbe sapere e verificare realmente se un determinato documento proveniente da un ufficio straniero sia effettivamente valido.
La via del consolato
Viene anche ammessa una prassi alternativa, sempre più diffusa tra i diversi paesi, per cui un certificato può essere rilasciato anche dal consolato del paese straniero operante in Italia, che e, per definizione, il terminale amministrativo di tutti gli uffici del paese di origine. Anche se non è prevista da nessuna legge dello Stato, questa prassi è di fatto riconosciuta come una valida procedura alternativa che però non è meno macchinosa ne più economica della precedente.
L’apostille
Vi è poi un’altra possibilità che è indubbiamente più economica sia in termini di tempo che di spesa, ovvero di far valere direttamente il certificato straniero munito di una formula direttamente apposta dalle autorità del paese d’origine, la cosiddetta apostille. Questa possibilità non esiste in via generale, ma è prevista solo per i cittadini provenienti dai Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione dell’Aia del 5 ottobre 1961 relativa all’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri. Nel corso degli anni è stata ratificata e resa esecutiva da molti Stati e prevede che non sia necessario procedere alla legalizzazione dei certificati presso le autorità consolari, potendo la stessa essere sostituita dalla cosiddetta apostille (in italiano postilla). Si tratta di una specifica annotazione che deve essere fatta sull’originale del certificato rilasciato dalle autorità competenti del Paese interessato, da parte di una autorità nazionale identificata dalla legge di ratifica del Trattato stesso. L’apostille sostituisce la legalizzazione presso l’ambasciata, quindi una persona proveniente da un Paese che ha aderito a questa Convenzione non ha bisogno di recarsi presso il consolato italiano e chiedere la legalizzazione, ma può recarsi presso l’autorità interna di quello Stato, indicata per ciascun Paese nell’atto di adesione alla Convenzione stessa (normalmente si tratta del Ministero degli esteri) per ottenere l’annotazione della cosiddetta apostille sul certificato. Così perfezionato, quel documento deve essere riconosciuto in Italia, perché anche l’Italia ha ratificato la Convenzione.
Documenti ammessi La Convenzione riguarda specificamente l’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri tra i quali rientrano i documenti che rilascia un’autorità o un funzionario dipendente da un’amministrazione dello Stato, i documenti amministrativi, gli atti notarili, le dichiarazioni ufficiali indicanti una registrazione, un visto di data certa, un’autenticazione di firma apposti su un atto privato, mentre invece non si applica ai documenti redatti da un agente diplomatico o consolare e ai documenti amministrativi che si riferiscono a una operazione commerciale o doganale. Dunque, si tratta di documenti che normalmente riguardano i rapporti di parentela, legami familiari, ovvero tutte quelle situazioni che in buona sostanza interessano la quasi totalità degli immigrati. Elenchiamo di seguito i Paesi che hanno ratificato la Convenzione: Giappone; Jugoslavia; Svizzera; Turchia; Argentina;Armenia; Australia; Belize; Brunei; Cipro; EI Salvador; Federazione Russa; Israele; Lettonia; Liberia; Lituania; Malati; Malta; Messico; Niue; Panama; Repubblica Ceca; Romania; San Christopher e Nevis; San Marino; Seychelles; Stati Uniti d’America; Sud Africa; Ungheria; Venezuela; Antigua e Barbuda; Bahamas; Barbados; Bielorussia; Bosnia Erzegovina; Botswana; Croazia; Figi; Lesotho; Macedonia; Mauritius; Slovenia; Swaziland; Suriname; Tonga.
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