|
Illegittima l’espulsione del Ministro dell’Interno Tar Lazio, sez. I ter, sentenza 11.11.2004
Repubblica Italiana - in nome del popolo italiano il Tribunale Amminstrativo Regionale del Lazio
Nelle persone dei signori: Presidente Dr. Luigi Tosti Componente, estensore Dr. Franco De Bernardi Componente Dr. Carlo Taglienti
Ha pronunciato la seguente sentenza sul ricorso 1395/04 r.g.r. proposto dal signor Fall Mamour, con gli avvocati Nicola Canestrini e Mario Angelelli
contro
il Ministero dell’Interno
per l’annullamento del provvedimento "4000/C/1000/A/16/03" del 17.11.2003, con cui il Ministro dell’Interno lo ha espulso dal territorio nazionale.
omissis
fatto e diritto
Deducendo – oltre che eccesso di potere sotto svariati profili – violazione dell’art. 13, commi 1, 3 e 7, del d.lg 286/98, dell’art. 3, comma 3, del D.P.R. 394/99 e degli artt. 3 e 7 della "241", il cittadino senegalese Fall Mamour (che lamenta altresì il mancato rispetto di alcuni fondamentali principi di diritto internazionale: recepiti, a vario titolo, dal nostro ordinamento positivo) ha impugnato – con contestuale richiesta di tutela cautelare – il provvedimento n. "4000/C/1000/A/16/03" del 17.11.2003, con cui il Ministro dell’Interno (sul presupposto di una sua presunta pericolosità per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato) lo ha espulso dal territorio nazionale. Esperitisi gli opportuni accertamenti istruttori e rinviatasi "al merito"(ovviamente su istanza di parte: formulata nell’apposita sede camerale) la delibazione della proposta istanza incidentale di sospensione, i relativo ricorso è passato in decisione all’esito della discussione svoltasi nella pubblica udienza dell’11.11.2004: ed in tale occasione – pur non condividendosi buona parte delle censure con esso prospettate – è riconosciuto fondato. Va, innanzitutto, precisato (a confutazione, appunto, di talune argomentazioni attore)
Fatte queste doverose puntualizzazioni, occorre rilevare che le (scarne) premesse del provvedimento impugnato indicano che questo è stato assunto a seguito dell’esame (da parte dell’organo agente) di una non meglio precisata "documentazione": che dovrebbe (pertanto) comprovare – com’è detto, d’altronde, nel provvedimento stesso – che l’interessato ha tenuto "condotte" tali da arrecare un "grave turbamento per l’ordine pubblico" e da costituire un "pericolo per la sicurezza dello Stato". Orbene, l’unica documentazione, avente data anteriore a quella di adozione del cennato provvedimento, che l’intimato Dicastero ha depositato in ottemperanza all’ordine istruttorio impartitogli nella Camera di Consiglio del 26/2/2004 è costituita da una serie di articoli di stampa riproducenti (non si sa quanto fedelmente) talune dichiarazioni rese dal ricorrente in ordine a note vicende di politica internazionale. I rimanenti atti versati in giudizio dalla difesa della resistente – rappresentati dalle ministeriali nn. "224/B/Div.3/64/NC (Sez. III)" e "400/A/2001/23617/J4" e dalla nota del Questore di Torino "A11/2004/DIGOS-Sez. Ant (DX/INT- grn)" – sono infatti stati redatti solo nel febbraio del 2004: e, cioè, circa tre mesi dopo l’emanazione di detto provvedimento. In ogni caso, anche a voler prescindere dai riferimenti temporali di cui si è testè fatto cenno (che non consentono certo di comprendere sulla base di quali atti il Ministro dell’Interno sia stato indotto ad assumere la determinazione lesiva), il Collegio deve constatare come – in corso di causa –non sia comunque stata evidenziata alcuna "condotta" del ricorrente che possa esser ritenuta pericolosa per l’ordine costituito o la sicurezza nazionale. In disparte ogni valutazione sulle dichiarazioni rese, dall’interessato alla stampa che si presentano, tutto sommato, di tenore abbastanza equivoco (se solo si pensa che Saddam Hussein è definito "un dittatore" che "va fermato"; e che gli appartenenti ai gruppi islamici che potrebbero voler tentare delle reazioni anti occidentali sono bollati come "facinorosi"), si deve (anzi) convenire sul fatto che –in oltre 16 anni di permanenza in Italia (10 dei quali trascorsi in un piccolissimo centro del Torinese, dove il "controllo sociale" è, per sua natura, particolarmente agevole) – il Fall (interno alle cui idee non pare, del resto, essersi coagulato alcun particolare tipo di consenso) non ha obiettivamente dato adito, col suo comportamento, a rilievi di sorta. (E, non a caso, il permesso di soggiorno – a suo tempo concessogli – gli è sempre stato regolarmente rinnovato). A quest’ultimo proposito (e con esclusivo riferimento a quanto emerso in giudizio), si osserva:
In breve, se si accettano tali (poco significativi) rilievi, si deve constatare come – a carico del ricorrente – non restino che le sue ben note esternazioni, semplici manifestazioni di pensiero che, per le modalità chiassose e plateali che le hanno sempre accompagnate, appaiono – d’altro canto – obiettivamente inconciliabili (secondo dati di comune esperienza) con la volontà di arrecare a chicchessia un reale nocumento. È noto, infatti, che – per nutrire qualche speranza di successo – una simile volontà, specie se maturata nell’ambito di minoranze etniche, religiose o culturali ( che non possono che affidarsi all’elemento "sorpresa"), tende piuttosto ad ispirare condotte connotate – se non da un vero e proprio "mimetismo" – dalla massima riservatezza. A prescindere da ciò, si tratta, pur sempre, di facoltà tutelate direttamente dalla Costituzione e dalle norme di diritto internazionale da questa recepite: e che, in applicazione dei principi generali regolati dalla materia (cfr. sul punto, Corte Cost. n. 199/72) possono esser comprese "amministrativamente" soltanto ove il loro esercizio si sia rivelato (o si riveli) idoneo – ad esempio, per il "carisma" del soggetto agente; o comunque, per l’impatto che le "parole d’ordine" lanciate da questi abbiano avuto,o stiano avendo, si di una pluralità di soggetti facilmente suggestionabili – a porre concretamente in pericolo l’ordine costituito. (Eventualità, questa, che può ritenersi "per tabulas" pacificamente esclusa). Conclusivamente, non comprendendo su quali validi presupposti di fatto il provvedimento impugnato sia stato adottato (non avendo, lo si ripete, le risultanze della disposta istruttoria evidenziato la sussistenza di un reale rischio per la salvaguardia di quel bene primario che è costituito dalla conservazione del nostro sistema costituzionale), il Collegio non può – appunto – che ritenere fondato ( e, per ciò stesso, meritevole di accoglimento) il ricorso in esame. Giustificati motivi inducono a compensare tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio Sezione I ter accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento costituente oggetto; compensa fra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza si eseguita dall’Autorità amministrativa, di cui sono fatte salve le ulteriori determinazioni.
Così deciso in Roma, addì 11 novembre 2004.
|