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Sentenza Corte Costituzionale n° 222/2004 Illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quinquies, del Testo Unico sull’immigrazione
Sentenza sull’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), inserito dal comma 1 dell’art. 13 della legge 30 luglio 2002, n. 189, nella parte in cui stabilisce che per il reato previsto dal comma 5-ter del medesimo art. 14 è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto.
In nome del popolo italiano, la Corte Costituzionale, composta dai signori: Gustavo Zagrebelsky Presidente Valerio Onida Giudice Carlo Mezzanotte Fernanda Contri Guido Neppi Modona Piero Alberto Capotosti Annibale Marini Franco Bile Giovanni Maria Flick Francesco Amirante Ugo De Siervo Romano Vaccarella Paolo Maddalena Alfonso Quaranta
ha pronunciato la seguente sentenza
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 4, 5 e 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dal decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51 (Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera), convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 2002, n. 106, promossi con ordinanze del 16 agosto 2002 e dell’11 luglio 2002 dal Tribunale di Roma e dal Tribunale di Padova, nonché nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 4 e 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, come modificato dal decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51, convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 2002, n. 106, e dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promosso con ordinanza del 13 novembre 2002 dal Tribunale di Roma, rispettivamente iscritte ai numeri 471, 527 e 573 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 43 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2002 e n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2003. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 aprile 2004 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 16 agosto 2002 (iscritta al r.o. n. 471 del 2002), il Tribunale di Roma ha sollevato questione di costituzionalità dell’art. 13, commi 4, 5 e 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dal decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51 (Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera), convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 2002, n. 106. L’ordinanza è stata emessa nel corso di un procedimento di convalida dei provvedimenti, adottati dal questore di Roma (lo stesso 16 agosto 2002) nei confronti di due cittadini stranieri extracomunitari, con i quali è stato disposto il loro accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica; provvedimenti di cui il remittente afferma di aver verificato "la sussistenza dei requisiti di legge (adeguata motivazione sulle circostanze che autorizzano l’espulsione con accompagnamento alla frontiera, rispetto dei termini, decreto di espulsione del prefetto)". Il giudice a quo, ritenuta rilevante la questione "poiché dalla sua soluzione dipende l’accoglimento o meno della richiesta di convalida", osserva che l’espulsione dello straniero, disposta dal prefetto ai sensi del comma 2 dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, trova esecuzione mediante l’accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica ad opera del questore nelle ipotesi individuate dai commi 4 e 5 dello stesso art. 13. Ad avviso del remittente, nonostante che i menzionati commi 4 e 5 dell’art. 13 non dettino le concrete modalità di attuazione della misura dell’espulsione immediata con accompagnamento a mezzo di forza pubblica, non potrebbe dubitarsi che si tratta "di una azione diretta ad un costringimento fisico, di durata indeterminata", destinata a durare, ai sensi del successivo comma 5-bis, oltre quarantotto ore, senza previsione di un termine massimo; dunque, una "misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’articolo 13 della Costituzione". Secondo il Tribunale di Roma, un siffatto ordine di idee avrebbe del resto ispirato il citato comma 5-bis dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, introdotto dal decreto-legge n. 51 del 2002 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 106 del 2002), il quale, "con evidente riecheggiamento della disciplina posta dall’art. 13, terzo comma, della Costituzione, e della riserva di giurisdizione in esso contenuta", ha disposto la comunicazione del provvedimento di accompagnamento entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria, la quale, verificata la sussistenza dei requisiti, lo convalida entro le quarantotto ore successive alla comunicazione. Tuttavia, secondo il giudice a quo, il menzionato comma 5-bis sarebbe "non idoneo a rendere legittimo l’istituto" previsto dai commi 4 e 5 dell’art. 13 del d.lgs. n. 286, giacché anch’esso in contrasto con l’art. 13 Cost., oltre che con gli artt. 24 e 111 Cost. Il procedimento di convalida disciplinato dalla disposizione denunciata, si argomenta, non prevede alcuna contestazione o audizione dell’interessato, né qualsivoglia forma di contraddittorio o difesa, sì da riservare al giudice un "controllo puramente formale sul decreto". Inoltre, il medesimo provvedimento del questore è immediatamente esecutivo e non è prevista alcuna forma di opposizione avverso lo stesso, né alcuna possibilità di "sospensione" da parte dell’autorità giudiziaria. È poi escluso che l’eventuale provvedimento che nega la convalida (o la mancata convalida nelle quarantotto ore) "abbia alcun effetto risolutorio (di inefficacia)", e che il provvedimento di convalida sia soggetto "ad alcuna forma di reclamo o ricorso". Manca in definitiva, secondo il giudice a quo, "un effettivo controllo preventivo di legittimità e di merito da parte dell’autorità giudiziaria", tanto che la convalida del provvedimento del questore può intervenire anche "ad espulsione già avvenuta". Ritiene dunque il remittente che i commi 4, 5 e 5-bis dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 siano in contrasto con l’art. 13 Cost., "in quanto prevedono una restrizione della libertà personale senza rendere possibile un controllo preventivo, effettivo e pieno della legittimità del provvedimento che ha disposto l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica e senza che sia prevista la perdita di efficacia del provvedimento, qualora non sia convalidato nel termine prescritto". Il comma 5-bis del medesimo d.lgs. n. 286 violerebbe anche gli artt. 111 e 24 Cost., in quanto la giurisdizione che si attua con la convalida del provvedimento dell’autorità di pubblica sicurezza contrasterebbe "con il principio del contraddittorio nel processo e con quello dell’inviolabilità del diritto alla difesa, dal momento che non è prevista alcuna forma di contestazione, né di partecipazione e tanto meno di difesa da parte dello straniero colpito dal provvedimento stesso". Il giudice a quo sostiene poi che il dubbio di costituzionalità prospettato avverso le disposizioni denunciate non potrebbe essere superato in forza di una interpretazione analogica o estensiva dell’art. 14 dello stesso d.lgs. n. 286 del 1998, come interpretato dalla sentenza n. 105 del 2001 di questa Corte, che lo ha reputato legittimo sulla base del rilievo che il controllo dell’autorità giudiziaria si estende a tutti i presupposti della misura del trattenimento presso il centro di permanenza temporanea e che, nel caso di diniego della convalida, verrebbe travolta non solo la predetta misura ma anche quella dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Difatti, secondo il remittente, gli istituti dell’accompagnamento coatto e del trattenimento, seppur connessi, sono tra loro distinti, per cui il citato art. 14 non potrebbe trovare applicazione anche per la convalida del provvedimento di accompagnamento, soprattutto considerando che l’intenzione del legislatore, nell’introdurre il comma 5-bis, si è manifestata "nella opposta direzione di svincolare, per quanto possibile, l’espulsione immediata da ostacoli giudiziari o burocratici". Tuttavia, proprio alla luce delle considerazioni appena svolte, il giudice a quo solleva, in subordine alla questione che investe "nella loro interezza" i commi 4, 5 e 5-bis dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, questione di costituzionalità delle medesime disposizioni "limitata alla mancata previsione, nelle norme impugnate, di una procedura identica a quella prevista per i trattenimenti dall’art. 14"; il che "renderebbe il particolare istituto pienamente legittimo", alla stregua di un adeguamento correttivo che potrebbe essere operato soltanto dal legislatore "o da un intervento additivo della Corte". Con ordinanza dell’11 luglio 2002 (iscritta al r.o. n. 527 del 2002) anche il Tribunale di Padova ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, 24 e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, introdotto dall’art. 2 del d.l. n. 51 del 2002 – convertito, con modificazioni, nella legge n. 106 del 2002 – "nella parte in cui prevede che il provvedimento di espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera a mezzo di forza pubblica venga eseguito prima della convalida da parte dell’autorità giudiziaria e nella parte in cui non prevede che lo straniero colpito dal provvedimento di espulsione sia sentito dal giudice della convalida". L’ordinanza è stata emessa nel corso di un procedimento di convalida del provvedimento, adottato dal questore di Padova in data 10 luglio 2002, con il quale è stato disposto l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica di un cittadino extracomunitario; provvedimento che il remittente afferma essere stato eseguito lo stesso 10 luglio 2002 (con imbarco dell’espulso sul volo delle ore 11,30 diretto a Chisinau – Moldavia), data nella quale, alle ore 13,05, la questura depositava gli atti per la convalida del provvedimento medesimo. Il giudice a quo osserva che l’introduzione del comma 5-bis nel corpo dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 ha colmato un vuoto normativo in ordine al controllo giurisdizionale sul provvedimento di espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera adottato ai sensi dei commi 4 e 5 dello stesso art. 13. Malgrado ciò, la norma denunciata prevede, ad avviso del remittente, "un meccanismo di convalida del tutto formale, in quanto stabilisce che il procedimento di convalida non influisce sulla esecutività del provvedimento di accompagnamento immediato alla frontiera, che va immediatamente eseguito con l’allontanamento dello straniero dal territorio nazionale". Di qui i dubbi di costituzionalità della disposizione sotto diversi profili: a) per la "natura meramente formale e cartacea del controllo giurisdizionale", in violazione dell’art. 13 Cost.; b) per la "evidente disparità di trattamento rispetto allo straniero nei cui confronti non sia possibile eseguire l’espulsione immediata, con il conseguente accompagnamento dello stesso presso un centro di detenzione amministrativa ai sensi dell’art. 14 del testo unico", in violazione dell’art. 3 Cost.; c) per l’incidenza "sull’effettivo esercizio del diritto di difesa da parte dello straniero colpito dal provvedimento in esame", in violazione degli artt. 24 e 111 Cost. Osserva infatti il giudice a quo che, in base all’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, nella lettura fornita dalla sentenza n. 105 del 2001 di questa Corte, la convalida della misura che dispone la cosiddetta detenzione amministrativa investe anche il decreto di espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera, sicché il diniego di convalida "viene a travolgere, assieme al trattenimento, anche la misura dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica". Inoltre, lo stesso art. 14, nel disciplinare il procedimento di convalida, richiama, al comma 4, il procedimento in camera di consiglio di cui agli art. 737 e seguenti del codice di procedura civile e stabilisce che il giudice provveda sentito l’interessato: il giudice della convalida può dunque esercitare i poteri d’ufficio "anche con riferimento alla acquisizione di sommarie informazioni utili alla decisione", tanto che il relativo procedimento, "sia pure nella ristrettezza dei tempi, appare caratterizzato da profili di effettività del controllo giurisdizionale". Diversamente avviene, secondo il remittente, nel procedimento di convalida previsto dall’art. 13, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, il quale, da un lato, crea una disparità di trattamento tra lo straniero destinatario del provvedimento di accompagnamento e di quello di trattenimento e lo straniero nei confronti del quale venga disposto ed eseguito soltanto l’accompagnamento a mezzo della forza pubblica; dall’altro, "sopprime il principio dell’habeas corpus, determinando un controllo meramente cartaceo e formale del provvedimento di accompagnamento, senza alcuna effettiva incidenza a tutela della libertà personale dell’interessato e con un ruolo essenzialmente burocratico del giudice della convalida". La disciplina della convalida dettata dalla disposizione censurata, infatti, non condiziona l’esecutività della misura incidente sulla libertà personale dello straniero, cosicché, da un lato, l’eventuale diniego della convalida "non ripristinerebbe la situazione di fatto preesistente al provvedimento dell’autorità di polizia" e, dall’altro, nel caso di intervenuta convalida, l’interessato "non avrebbe di fatto possibilità di impugnazione, ai sensi dell’art. 111 della Costituzione, essendo egli già fuori dal territorio nazionale e difficilmente raggiungibile dal provvedimento": ciò con pregiudizio di una tutela effettiva del diritto alla libertà personale. Ed ancora, continua il remittente, posto che il decreto di espulsione con accompagnamento alla frontiera da parte della forza pubblica si fonda, ai sensi dell’art. 13, commi 4 e 5, su una valutazione discrezionale dei presupposti di fatto indicati dalle citate disposizioni, l’impossibilità di sentire l’interessato e di acquisire dallo stesso eventuali informazioni utili all’approfondimento istruttorio, nel rispetto dei limiti temporali "stabiliti dal procedimento di convalida, ma ammessi dall’art. 737 c.p.c.", inciderebbe sull’esercizio del diritto di difesa. Ad avviso del giudice a quo, quindi, un siffatto procedimento, che non prevede l’audizione del destinatario del provvedimento, è strutturato "in violazione dei requisiti propri del giudizio di convalida, che, in quanto procedimento de libertate, è da ritenersi ricompreso nell’ambito di cui alla tutela fissata dall’art. 111, comma secondo, Cost., introdotto dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2", alla stregua del quale il procedimento di convalida dovrebbe svolgersi in contraddittorio tra le parti e in condizioni di parità. E tanto più il vulnus degli evocati parametri sarebbe evidente ove si consideri che, nella specie, la mancata convalida nel termine fissato comporta non la perdita di efficacia della misura dell’accompagnamento, ma la cessazione del divieto di rientro nel territorio nazionale, della segnalazione dell’espulso al sistema informativo di Schengen per la non ammissione e dell’obbligo di lasciare il territorio dello Stato; effetti cioè che, nel caso di straniero già allontanato dal territorio nazionale, "si tramutano nella mera facoltà di far rientro in Italia alle condizioni generali previste", con ciò incidendo negativamente "sulla libertà personale, sulla vita e sull’incolumità dello straniero". Secondo il Tribunale di Padova sarebbe infine violato l’art. 13, terzo comma, Cost., per l’assenza del presupposto dell’eccezionale necessità ed urgenza, giacché l’autorità di pubblica sicurezza ha la facoltà di adottare l’accompagnamento alla frontiera anche "in presenza di situazioni affatto straordinarie, come ad esempio l’ipotesi di inottemperanza dello straniero ad un provvedimento di espulsione con intimazione di allontanarsi dal territorio nazionale nel termine di giorni 15". Il remittente conclude osservando che la rilevanza della sollevata questione è data dal fatto che questa attiene "strettamente alle modalità della convalida, in considerazione della avvenuta esecuzione della misura, che priva il destinatario della possibilità di difesa" e rende il controllo del giudice del tutto formale. Con ordinanza del 13 novembre 2002 (iscritta al r.o. n. 573 del 2002), ancora il Tribunale di Roma ha sollevato questione di costituzionalità dell’art. 13, commi 4 e 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, come modificato (il comma 4) dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo) e introdotto (il comma 5-bis) dal d.l. n. 51 del 2002, convertito, con modificazioni, nella legge n. 106 del 2002, denunciandone il contrasto con gli artt. 13, 24 e 111 Cost.; in subordine, ha sollevato questione di costituzionalità delle medesime disposizioni - in riferimento agli stessi anzidetti parametri - "nella parte in cui non prevedono che si applicano le disposizioni dell’articolo 14, commi 3, 4 e 6, dello stesso T.U. n. 286 del 1998". L’ordinanza è stata emessa nel corso di un procedimento di convalida del provvedimento, adottato dal questore di Roma (lo stesso 13 novembre 2002) nei confronti di un cittadino straniero extracomunitario, con il quale è stato disposto l’accompagnamento alla frontiera dello straniero medesimo a mezzo della forza pubblica. Il giudice a quo, dopo avere ricostruito sinteticamente il quadro normativo nel quale si collocano le disposizioni denunciate, precisa che, in base al comma 4 dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, come modificato dal comma 1, lettera c), dell’art. 12 della legge n. 189 del 2002, il decreto prefettizio di espulsione è sempre eseguito dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, sicché, attualmente, "non vi sono limiti o condizioni per l’accompagnamento immediato se non quella della emissione anche contestuale di un decreto di espulsione". Il remittente ricorda quindi di aver già proposto, con ordinanza del 16 agosto 2002, incidente di costituzionalità sull’art. 13, commi 4, 5 e 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella formulazione previgente alla legge n. 189 del 2002. Tanto premesso, il Tribunale di Roma svolge, in punto di non manifesta infondatezza, le stesse argomentazioni già sviluppate nella menzionata ordinanza dell’agosto del 2002, iscritta al r.o. n. 471 del 2002, precisando, quanto alla questione sollevata in via subordinata, che un eventuale accoglimento della stessa dovrebbe comportare, in base a ciò che già avviene per i "trattenimenti": a) che "i questori saranno tenuti a trasmettere ai tribunali gli atti e non una semplice comunicazione"; b) che "i giudici potranno valutare la legittimità dei provvedimenti di espulsione del prefetto e di quello di accompagnamento coatto del questore"; c) che "si avrà la indicazione di un termine di efficacia del decreto di espulsione con accompagnamento, qualora non intervenga la convalida della autorità giudiziaria"; d) che "sarà prevista la possibilità di un ricorso in Cassazione, contro il provvedimento di convalida". È intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale, integrando le proprie argomentazioni anche con successiva memoria, ha chiesto che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili ovvero infondate. Quanto alla eccepita inammissibilità, riferita all’ordinanza del Tribunale di Roma iscritta al r.o. n. 471 del 2002, la difesa erariale deduce che essa difetta di adeguata motivazione in punto di rilevanza ed anzi, là dove il giudice a quo contraddittoriamente solleva la questione nonostante la positiva verifica dei presupposti legittimanti il provvedimento di espulsione e in assenza di qualunque istanza degli stranieri espulsi, il requisito della rilevanza sembrerebbe escluso in radice. Secondo l’Avvocatura, il medesimo remittente non avrebbe poi fornito una lettura delle disposizioni denunciate compatibile con le invocate esigenze di contraddittorio e di difesa, che però non richiedono necessariamente la perdurante presenza dello straniero sul territorio italiano. Osserva comunque la parte pubblica intervenuta che "pregiudiziale ad ogni valutazione di merito" appare la restituzione degli atti per un nuovo esame della questione alla luce dello jus superveniens costituito dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, successiva all’ordinanza di rimessione iscritta al r.o. n. 471 del 2002, che ha profondamente modificato due delle norme denunciate e cioè i commi 4 e 5 dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998. Nel merito, sostiene l’Avvocatura dello Stato, le questioni sarebbero comunque infondate, non potendo ritenersi per certo, alla luce della giurisprudenza costituzionale, che il provvedimento di accompagnamento alla frontiera incida sulla libertà personale e non potendosi invocare al riguardo la sentenza n. 105 del 2001, che avrebbe affrontato il problema solo in connessione con il trattenimento presso un centro di permanenza ed assistenza. Ad avviso della difesa erariale, sembra invece invocabile il precedente costituito dalla sentenza n. 13 del 1972, che ha ritenuto conforme a Costituzione l’art. 15, secondo comma, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), affermando il principio per cui l’accompagnamento coattivo, incidendo solo temporaneamente sulla libertà personale, sfugge alla procedura di convalida da parte dell’autorità giudiziaria. Nelle memorie si sostiene inoltre che l’eventuale accoglimento delle questioni comporterebbe l’impossibilità di espellere immediatamente gli stranieri irregolari, con la conseguenza che gli stessi, in attesa del provvedimento di convalida, dovrebbero essere obbligatoriamente trattenuti presso un centro di permanenza temporanea e di assistenza anche al di fuori dei casi previsti dall’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 e ciò sarebbe in conflitto "con il diritto dello Stato di tutelare le frontiere e la sicurezza pubblica attraverso misure di contrasto del fenomeno dell’immigrazione clandestina e della presenza illegale degli stranieri sul territorio nazionale". Del resto, prosegue l’Avvocatura, la stessa giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 353 del 1997 e ordinanza n. 146 del 2002) ha ritenuto che non sono censurabili quelle previsioni normative che si concretizzano in un "automatismo espulsivo", le quali, nel rispetto del principio di legalità, assicurano un ordinato flusso migratorio, non potendo lo Stato "abdicare al compito ineludibile di presidiare le frontiere". Quanto poi alla prospettata violazione dell’art. 3 Cost., si obietta che le situazioni poste a raffronto non sarebbero omogenee, giacché la previsione di una disciplina "potenzialmente più garantista" per il procedimento di convalida del provvedimento di trattenimento nei centri si giustificherebbe ragionevolmente per il fatto che in tale ipotesi deve essere autorizzata una limitazione della libertà personale fino ad un massimo di venti giorni (ed ora, a seguito della legge n. 189 del 2002, sino a trenta giorni), mentre nel procedimento di convalida del provvedimento di accompagnamento alla frontiera viene in rilievo solo una "circoscritta temporanea restrizione personale finalizzata all’effettivo allontanamento dal territorio nazionale". La difesa erariale osserva infine che il provvedimento di accompagnamento alla frontiera, legato all’emissione del provvedimento di espulsione, è ricorribile dinanzi al giudice ordinario ed è in questa sede – secondo modalità di decisione tipiche della camera di consiglio, con la partecipazione dell’amministrazione che ha emesso il provvedimento e con la ricorribilità della decisione in Cassazione (art. 13-bis del d.lgs. n. 286 del 1998) - che viene ad attuarsi il contraddittorio ed il diritto di difesa dello straniero, il quale, ai sensi dell’art. 13, comma 8, del citato d.lgs. n. 286 del 1998, è ammesso all’assistenza legale di un patrocinatore di fiducia. La procedura di convalida del provvedimento di accompagnamento alla frontiera rappresenterebbe quindi "una specifica garanzia" e la relativa disciplina non violerebbe l’art. 13 Cost., in quanto è previsto appunto "un doppio controllo della legittimità di tutti i provvedimenti restrittivi della libertà personale" (espulsione ed accompagnamento), né gli artt. 24 e 111 Cost., essendovi spazi per l’esercizio del diritto di difesa del destinatario dei provvedimenti e per l’instaurazione di un contraddittorio in sede giurisdizionale. Ad avviso dell’Avvocatura, la circostanza per cui la mancata convalida del provvedimento di accompagnamento "possa intervenire, di fatto, in un momento in cui l’espulsione del soggetto sia già fisicamente avvenuta non sposta i termini del problema, conseguendo a tale ipotesi la possibilità del rientro nel territorio".
Considerato in diritto
Con tre distinte ordinanze, due del Tribunale di Roma (r.o. n. 471 e n. 573 del 2002) ed una del Tribunale di Padova (r.o. n. 527 del 2002), è denunciato l’art. 13, comma 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), introdotto dall’art. 2 del decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51 (Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera), convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 2002, n. 106. La disposizione denunciata così stabilisce: "Nei casi previsti ai commi 4 e 5 il questore comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione al tribunale in composizione monocratica territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera. Il provvedimento è immediatamente esecutivo. Il tribunale in composizione monocratica, verificata la sussistenza dei requisiti, convalida il provvedimento entro le quarantotto ore successive alla comunicazione". Ad avviso del Tribunale di Roma, essa violerebbe anzitutto l’art. 13 della Costituzione, giacché introdurrebbe "una restrizione della libertà personale senza rendere possibile un controllo preventivo, effettivo e pieno della legittimità del provvedimento che ha disposto l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica e senza che sia prevista la perdita di efficacia del provvedimento, qualora non sia convalidato nel termine prescritto". Lo stesso remittente dubita inoltre della sua legittimità in riferimento agli artt. 111 e 24 Cost.,in quanto "la giurisdizioneche si attua con la convalida del provvedimento dell’autorità di pubblica sicurezza" contrasterebbe "con il principio del contraddittorio nel processo e con quello dell’inviolabilità del diritto alla difesa, dal momento che non è prevista alcuna forma di contestazione, né di partecipazione e tanto meno di difesa da parte dello straniero colpito dal provvedimento stesso". Secondo il Tribunale di Padova il denunciato comma 5-bis violerebbe gli artt. 3, 13, 24 e 111 Cost., "nella parte in cui prevede che il provvedimento di espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera a mezzo di forza pubblica venga eseguito prima della convalida da parte dell’autorità giudiziaria e nella parte in cui non prevede che lo straniero colpito dal provvedimento di espulsione sia sentito dal giudice della convalida". In particolare l’illegittimità della disposizione discenderebbe: dalla "natura meramente formale e cartacea del controllo giurisdizionale", in violazione dell’art. 13 Cost.; dalla "evidente disparità di trattamento rispetto allo straniero nei cui confronti non sia possibile eseguire l’espulsione immediata, con il conseguente accompagnamento dello stesso presso un centro di detenzione amministrativa ai sensi dell’art. 14 del testo unico", in violazione dell’art. 3 Cost.; dalla incidenza "sull’effettivo esercizio del diritto di difesa da parte dello straniero colpito dal provvedimento in esame", in violazione degli artt. 24 e 111 Cost. Oltre al comma 5-bis dell’art. 13 il Tribunale di Roma (r.o. n. 471 del 2002) ne censura i commi 4 e 5, nella versione antecedente alle modifiche recate dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), nonché il comma 4 nella attuale formulazione (r.o. n. 573 del 2002). Nel testo originario, il comma 4 prevedeva le ipotesi in cui l’espulsione non avveniva con semplice intimazione a lasciare il territorio dello Stato, ma con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Ipotesi che ai sensi del comma 5 si estendeva ai casi in cui lo straniero fosse privo di valido documento attestante la sua identità e nazionalità e il prefetto avesse ravvisato un concreto pericolo che il medesimo si sottraesse all’esecuzione del provvedimento. Nel testo attualmente vigente, il comma 4 dell’art. 13 dispone che: "L’espulsione è sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ad eccezione dei casi di cui al comma 5". Questo prevede ora l’espulsione mediante intimazione nel caso in cui lo straniero si trovi nel territorio dello Stato con il permesso di soggiorno scaduto di validità da più di sessanta giorni e senza averne chiesto il rinnovo, potendo però il questore disporre comunque l’accompagnamento immediato alla frontiera allorché il prefetto rilevi il concreto pericolo che lo straniero si sottragga all’esecuzione del provvedimento. Quanto al contenuto delle censure, il giudice a quo, in entrambe le ordinanze, ritiene che le disposizioni predette contrastino con gli artt. 13, 24 e 111 Cost. per le medesime ragioni che fonderebbero l’incostituzionalità del denunciato comma 5-bis dello stesso art. 13. Poiché tutte le ordinanze propongono la medesima questione sul comma 5-bis dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 e le questioni ulteriormente sollevate dal Tribunale di Roma si presentano intimamente connesse alla prima, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi congiuntamente. Le questioni sollevate dal Tribunale di Roma che hanno ad oggetto i commi 4 e 5 dell’art. 13 nella formulazione previgente e il comma 4 del medesimo art. 13, nel testo attualmente in vigore, sono inammissibili. Esse si appuntano non già sul procedimento di convalida, in relazione al quale la valutazione di non manifesta infondatezza è argomentata sui parametri degli artt. 13, 24 e 111 Cost., ma sulle norme sostanziali che prevedono i diversi casi di espulsione dello straniero con accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica. Anche con riferimento a questo ulteriore oggetto la non manifesta infondatezza è sostenuta sulla base delle medesime argomentazioni poste a fondamento del dubbio di legittimità costituzionale che investe il comma 5-bis, concernente il procedimento di convalida. Sicché le relative questioni sono prive di motivazione, ciò che ne impedisce lo scrutinio nel merito. Prima di passare all’esame del denunciato comma 5-bis deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura dello Stato, secondo la quale le questioni di costituzionalità sarebbero state sollevate in assenza di qualunque istanza degli stranieri espulsi e nonostante che i presupposti legittimanti il provvedimento di espulsione fossero stati positivamente verificati. Ma la consistenza della questione è appunto questa: che sia imposto al giudice di procedere ad una convalida meramente "cartolare", in base alla sola comunicazione inviata dal questore e in assenza dello straniero espulso. Rimane quindi da esaminare la sola denuncia, comune a tutti i remittenti, dell’art. 13, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, introdotto dall’art. 2 del d.l. n. 51 del 2002, convertito, con modificazioni, nella legge n. 106 del 2002. La questione è fondata. La disposizione censurata si inserisce nella generale disciplina dell’immigrazione di cui al d.lgs. n. 286 del 1998, che conosce distinti tipi di espulsione: una misura di sicurezza, disposta dal giudice con la sentenza di condanna per determinati delitti (art. 15); una sanzione sostitutiva della detenzione applicata dal giudice con la sentenza di condanna, ovvero alternativa alla detenzione stessa applicata dal magistrato di sorveglianza, quando la pena irrogata o da espiare non superi i due anni (art. 16, commi 1 e 5); una espulsione amministrativa, ordinata dall’autorità di pubblica sicurezza nei confronti dello straniero entrato clandestinamente nel territorio dello Stato o ivi trattenutosi senza permesso di soggiorno, ovvero appartenente a categorie "pericolose" (art. 13). Nel sistema originario del d.lgs. n. 286 del 1998 l’espulsione amministrativa aveva corso, di regola, mediante intimazione del questore a lasciare il territorio nazionale (art. 13, comma 6); l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica rappresentava un’eccezione e riguardava i casi di particolare pericolosità dello straniero (art. 13, comma 4). Sul versante della tutela giurisdizionale, il legislatore del 1998 ha previsto anzitutto che lo straniero possa presentare ricorso contro il decreto di espulsione: se il provvedimento è emanato, ai sensi del comma 1 dell’art. 13, dal Ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, la giurisdizione è del tribunale amministrativo regionale del Lazio (art. 13, comma 11); in tutti gli altri casi il ricorso è da presentarsi al tribunale, in composizione monocratica (originariamente il pretore), entro cinque giorni dalla comunicazione del decreto o del provvedimento (termine elevato a trenta giorni qualora l’espulsione sia eseguita con accompagnamento immediato: art. 13, comma 8), comunicazione che deve avvenire in una lingua conosciuta dallo straniero o, nei casi di impossibilità, in lingua francese, inglese o spagnola, dovendosi altresì indicare le modalità di impugnazione. Nei casi in cui l’espulsione sia stata eseguita, il ricorso può essere presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nello Stato di destinazione (art. 13, comma 10). Peraltro, nell’ipotesi di espulsione con accompagnamento immediato e sempreché sia disposta la misura di cui al comma 1 dell’art. 14 (trattenimento in un centro di permanenza temporanea e di assistenza), sul ricorso avverso il decreto di espulsione provvede il giudice competente per la convalida di tale misura, adottando un unico provvedimento (artt. 13, comma 9, e 14, comma 4). La legge stabilisce inoltre che nel procedimento davanti al giudice lo straniero possa avvalersi del patrocinio a spese dello Stato e, qualora sia sprovvisto di un difensore, venga assistito da un difensore d’ufficio, nonché, ove necessario, da un interprete. Sul ricorso il giudice è tenuto a decidere entro dieci giorni, "sentito l’interessato, nei modi di cui agli artt. 737 e seguenti del codice di procedura civile" (art. 13, comma 9) e l’amministrazione che ha emesso il decreto di espulsione può partecipare al procedimento (art. 13-bis). Il sistema è mutato con la legge n. 189 del 2002. È ora previsto che l’espulsione sia disposta in ogni caso con decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell’interessato (art. 13, comma 3), e venga sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 4), salvo il caso dello straniero che si trattenga nel territorio dello Stato con permesso di soggiorno scaduto da più di sessanta giorni e non rinnovato (art. 13, comma 5). Tuttavia, anche in tale ipotesi, se il prefetto rileva un concreto pericolo che lo straniero si sottragga all’esecuzione del provvedimento, il questore ne dispone l’accompagnamento immediato alla frontiera. L’intervenuta generalizzazione dell’espulsione tramite accompagnamento alla frontiera non ha portato all’eliminazione dell’istituto del "trattenimento": l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 stabilisce tuttora che "quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera" (e cioè nelle seguenti ipotesi: quando vi sia necessità di soccorrere lo straniero, ovvero di accertare la sua identità o nazionalità, o ancora di acquisire i documenti di viaggio, o quando sia indisponibile il vettore o altro idoneo mezzo di trasporto) lo straniero venga trattenuto presso un centro di permanenza temporanea, in base a provvedimento del questore. La permanenza nel centro può protrarsi sino a trenta giorni, prorogabili dal giudice di altri trenta solo in determinati casi e cioè "qualora l’accertamento dell’identità o della nazionalità, ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà" (art. 14, comma 5). La legge n. 189 del 2002 ha inoltre previsto che, nei casi in cui non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro, ovvero siano trascorsi i termini di permanenza senza che l’espulsione sia stata eseguita, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni (art. 14, comma 5-bis). Il reintrodotto meccanismo dell’intimazione è però ora assistito – diversamente dal regime previgente - da sanzione penale; è infatti punito con l’arresto da sei mesi ad un anno lo straniero che, "senza giustificato motivo", si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine del questore (art. 14, comma 5-ter). Le modifiche hanno interessato anche la tutela giurisdizionale. In base all’art. 12 della legge n. 189 del 2002, il ricorso avverso il decreto di espulsione (come detto, immediatamente esecutivo) deve essere ora presentato nel termine di sessanta giorni dalla data del provvedimento ed il tribunale, in composizione monocratica, deve decidere, in ogni caso, entro venti giorni dalla data di deposito del ricorso. Si è inoltre disposta l’abrogazione del comma 9 dell’art. 13, che regolava il procedimento davanti al giudice. 4.1. ¾ Nel descritto quadro normativo, la tutela giurisdizionale non si arresta all’impugnativa del decreto di espulsione, ma si estende anche al provvedimento del questore di trattenimento in un centro di permanenza temporanea. Tale provvedimento deve essere trasmesso al giudice senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore ed è assoggettato alla convalida "nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile, sentito l’interessato", con cessazione di "ogni effetto qualora non sia convalidato nelle quarantotto ore successive" (art. 14, comma 4). La convalida dell’autorità giudiziaria riguarda anche l’eventuale provvedimento di proroga del trattenimento, con possibilità di ricorso in Cassazione (art. 14, comma 6). Infine, con il d.l. n. 51 del 2002, convertito, con modificazioni, nella legge n. 106 del 2002, il legislatore ha introdotto il procedimento di convalida del provvedimento di accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Ed è su questa disciplina che si appuntano le censure dei remittenti. Il percorso della presente decisione è interamente segnato dalla sentenza n. 105 del 2001. Questa Corte si occupò, in quella circostanza, del trattenimento presso i centri di permanenza temporanea ed assistenza, misura che, ai sensi dell’art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998, viene disposta dal questore ed è soggetta a convalida da parte del giudice sentito l’interessato, con cessazione di ogni effetto in caso di diniego di convalida o di mancata convalida entro il termine di quarantotto ore. Si dolevano allora i remittenti che l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, al quale era finalizzato il trattenimento, sfuggisse al controllo dell’autorità giudiziaria, con conseguente violazione dell’art. 13 Cost. La Corte condivise innanzitutto la premessa dalla quale procedevano i remittenti che l’accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica investisse la libertà personale e fosse quindi misura assistita dalle garanzie previste dall’art. 13 Cost. al pari del trattenimento. Il controllo del giudice su quest’ultima misura, osservò la Corte, doveva estendersi anche all’accompagnamento coattivo poiché l’autorità giudiziaria avrebbe dovuto portare il suo esame sui motivi che avevano indotto l’amministrazione procedente a disporre quella peculiare modalità esecutiva dell’espulsione amministrativa consistente, appunto, nell’accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica. Un controllo, precisò questa Corte, da intendersi nella sua accezione più piena, secondo quanto imposto dal precetto costituzionale di cui all’art. 13 Cost. La sentenza n. 105 del 2001 non investì l’accompagnamento alla frontiera in sé, ma lo considerò quale logico presupposto del trattenimento. Tuttavia, quanto in essa affermato già preannunciava la soluzione di una eventuale questione di legittimità costituzionale che avesse avuto ad oggetto l’accompagnamento alla frontiera quale autonoma misura non legata al trattenimento presso i centri di permanenza temporanei. L’esigenza di colmare un vuoto di tutela ha indotto il legislatore ad intervenire con il d.l. n. 51 del 2002, il cui art. 2 prevedeva l’obbligo del questore di comunicare il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione all’ufficio del Procuratore della Repubblica presso il tribunale territorialmente competente. A sua volta, il Procuratore della Repubblica, verificata la sussistenza dei requisiti, doveva procedere alla convalida del provvedimento entro le quarantotto ore successive alla comunicazione. La norma si chiudeva disponendo che: "Il provvedimento è immediatamente esecutivo". Le modifiche apportate in sede di conversione, con la legge n. 106 del 2002, hanno riguardato anzitutto l’autorità giudiziaria preposta alla convalida – non più il Procuratore della Repubblica bensì il tribunale, in composizione monocratica, territorialmente competente – e, poi, la previsione della immediata esecutività del provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera, la quale è ora inserita, come autonomo inciso, subito dopo la prevista comunicazione del provvedimento al giudice e prima della disciplina della convalida. Il procedimento regolato dall’art. 13, comma 5-bis, contravviene ai principî affermati da questa Corte nella sentenza sopra ricordata: il provvedimento di accompagnamento alla frontiera è eseguito prima della convalida da parte dell’autorità giudiziaria. Lo straniero viene allontanato coattivamente dal territorio nazionale senza che il giudice abbia potuto pronunciarsi sul provvedimento restrittivo della sua libertà personale. È, quindi, vanificata la garanzia contenuta nel terzo comma dell’art. 13 Cost., e cioè la perdita di effetti del provvedimento nel caso di diniego o di mancata convalida ad opera dell’autorità giudiziaria nelle successive quarantotto ore. E insieme alla libertà personale è violato il diritto di difesa dello straniero nel suo nucleo incomprimibile. La disposizione censurata non prevede, infatti, che questi debba essere ascoltato dal giudice, con l’assistenza di un difensore. Non è certo in discussione la discrezionalità del legislatore nel configurare uno schema procedimentale caratterizzato da celerità e articolato sulla sequenza provvedimento di polizia-convalida del giudice. Vengono qui, d’altronde, in considerazione la sicurezza e l’ordine pubblico suscettibili di esser compromessi da flussi migratori incontrollati. Tuttavia, quale che sia lo schema prescelto, in esso devono realizzarsi i principî della tutela giurisdizionale; non può, quindi, essere eliminato l’effettivo controllo sul provvedimento de libertate, né può essere privato l’interessato di ogni garanzia difensiva. Le censure svolte dai remittenti non possono infine essere superate facendo ricorso alla tesi del c.d. "doppio binario" di tutela per lo straniero: convalida soltanto "cartolare" del provvedimento di accompagnamento alla frontiera e successivo ricorso sul decreto di espulsione con adeguate garanzie difensive. Sarebbe infatti elusa la portata prescrittiva dell’art. 13 Cost., giacché il ricorso sul decreto di espulsione (art. 13, comma 8) non garantisce immediatamente e direttamente il bene della libertà personale su cui incide l’accompagnamento alla frontiera.
per questi motivi, la Corte Costituzionale, riuniti i giudizi
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), introdotto dall’art. 2 del decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51 (Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera), convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 2002, n. 106, nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio prima dell’esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa; 2) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 4 e 5, del citato decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e dell’art. 13, comma 4, dello stesso decreto legislativo n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 12, comma 1, lettera c), della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), sollevate, in riferimento agli artt. 13, 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Roma, con le ordinanze indicate in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 luglio 2004.
Gustavo Zagrebelsky, Presidente Carlo Mezzanotte, Redattore
Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2004
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