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Sentenza della Corte Costituzionale n° 158 dell'anno 2001
Nel giudizio di legittimità costituzionalità dell'art. 20, sedicesimo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sullordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso con ordinanza emessa il 5 maggio 1999 dal Magistrato di sorveglianza di Agrigento sul reclamo proposto da Farruggia Antonio, iscritta al n. 426 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dellanno 1999. Visto latto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 2001 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto in fatto
1.— Il Magistrato di sorveglianza di Agrigento solleva, in riferimento agli artt. 36 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dellart. 20, sedicesimo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sullordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non riconosce il diritto alle ferie ed alla relativa indennità sostitutiva nei confronti del detenuto lavoratore. Dopo aver premesso di essere stato investito, a seguito di reclamo proposto a norma dellart. 69, comma 6, lettera a), dellordinamento penitenziario, da un detenuto il quale lamentava, fra laltro, il mancato godimento delle ferie e della relativa indennità sostitutiva in relazione allo svolgimento dellattività lavorativa di addetto alle pulizie allinterno dellIstituto penitenziario, il giudice a quo ha sottolineato come il diritto alle ferie, sancito dallart. 36, terzo comma, Cost., debba essere riconosciuto anche al lavoratore che svolge la propria attività allinterno dellIstituto. Né tale diritto può ritenersi incompatibile con lo stato di restrizione, giacché "anche il detenuto-lavoratore può, pur con gli inevitabili limiti derivanti dalla restrizione carceraria, utilizzare il periodo feriale per ritemprare le proprie energie usurate dal lavoro, ad esempio utilizzando le ore nelle quali avrebbe dovuto lavorare per recarsi in biblioteca, per svolgere attività sportiva in palestra oppure semplicemente per rimanere nella cella". Sarebbe pertanto illogico, osserva il rimettente, riconoscere al detenuto lavoratore il diritto al riposo settimanale e negargli al tempo stesso il diritto alle ferie, trattandosi di istituti nella sostanza diretti alle medesime finalità. Compromesso sarebbe anche lart. 27, terzo comma, Cost., in quanto "negare al detenuto che svolge attività lavorativa allinterno dellIstituto penitenziario il diritto ad usufruire di un periodo continuativo di riposo, rende il lavoro penitenziario sicuramente più afflittivo e, quindi, impedisce allo stesso di svolgere la sua funzione rieducativa".
2. Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Richiamata la sentenza di questa Corte n. 1087 del 1988, ove fu messa in luce la disomogeneità tra la posizione del detenuto che presti la propria attività lavorativa in carcere ed ogni altro lavoratore, lAvvocatura ha posto in risalto la specialità che caratterizza il lavoro penitenziario, essendo il relativo rapporto iscritto in un ordinamento dotato di una propria autonomia e che contempla elementi pubblicistici intesi a finalizzare il lavoro alla risocializzazione. Mentre, dunque, il riposo settimanale è compatibile ed anzi essenziale rispetto a tale finalità, ben diversamente la sospensione del lavoro per un assai più lungo periodo feriale si porrebbe in contrasto con il dichiarato fine di dare al lavoro il compito fondamentale dellopera di rieducazione.
Considerato in diritto
1. Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dellart. 20, sedicesimo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sullordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non riconosce al detenuto-lavoratore il diritto al riposo annuale ed alla relativa indennità sostitutiva. Secondo il rimettente magistrato di sorveglianza investito di un reclamo in tema di mancato godimento delle ferie annuali per le prestazioni lavorative svolte, allinterno del carcere, alle dipendenze dellAmministrazione la norma violerebbe lart. 36, terzo comma, Cost., poiché lirrinunciabilità di quel diritto non può ritenersi inconciliabile con lo stato di restrizione, nonché lart. 27, terzo comma, Cost., in quanto "negare al detenuto che svolga attività lavorativa allinterno dellIstituto penitenziario il diritto ad usufruire di un periodo continuativo di riposo" inciderebbe sul pieno raggiungimento della funzione rieducativa, che è tratto caratterizzante del lavoro carcerario.
La questione è fondata
Il lavoro dei detenuti, che nella concezione giuridica posta alla base del regolamento carcerario del 1931 si poneva come un fattore di aggravata afflizione, cui dovevano sottostare quanti erano stati privati della libertà, è oggi divenuto, a séguito delle innovazioni dellordinamento penitenziario ispirate allevoluzione della sensibilità politicosociale, un elemento del trattamento rieducativo. Lo stesso carattere obbligatorio del lavoro penitenziario dei condannati e degli internati si pone come uno dei mezzi al fine del recupero della persona, valore centrale per il nostro sistema penitenziario non solo sotto il profilo della dignità individuale ma anche sotto quello della valorizzazione delle attitudini e delle specifiche capacità lavorative del singolo. La legge prevede, perciò, che al condannato sia assicurato un lavoro, nella forma consentita più idonea, ivi comprese quella dellesercizio in proprio di attività intellettuali, artigianali ed artistiche (art. 49 del d.P.R. 29 aprile 1976, n. 431) o quella del tirocinio retribuito (quattordicesimo e quindicesimo comma dellart. 20 in esame). Il crescente favore del legislatore nei confronti dellimpegno lavorativo dei detenuti si è via via manifestato attraverso lintroduzione di nuove opportunità, in linea anche con le indicazioni espresse nella Raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio dEuropa del 12 febbraio 1987, relativa alle regole penitenziarie europee, secondo cui il lavoro carcerario dovrebbe, per organizzazione e regole giuridiche, avvicinarsi il più possibile alle normali condizioni del lavoro libero. Accanto alle sperimentate figure del lavoro esterno e di quello "a domicilio" carcerario, si è così prevista la possibilità per imprenditori pubblici e privati di organizzare e gestire direttamente le lavorazioni allinterno degli istituti, fino a promuovere forme di autorganizzazione, mediante cooperative sociali che consentono il superamento del divieto di assunzione della qualità di socio per lincapacità derivante da condanne penali e civili (v. legge 22 giugno 2000, n. 193).
3. Nellambito delle diverse tipologie di lavoro dei detenuti, la norma in esame (art. 20 dellordinamento penitenziario) contempla quindi linstaurazione di un rapporto di lavoro con la stessa amministrazione penitenziaria: rapporto il cui rigoroso accertamento spetta al giudice, e che, peraltro, non può identificarsi in una qualsiasi attività che comporti un impegno psicofisico allinterno delle carceri. Ove ne sussistano le caratteristiche, alla soggezione derivante dallo stato di detenzione si affianca, distinguendosene, uno specifico rapporto di lavoro subordinato, con il suo contenuto di diritti (tra cui quelli previsti dallart. 2109 del codice civile) e di obblighi. Vero è che il lavoro del detenuto, specie quello intramurario, presenta le peculiarità derivanti dalla inevitabile connessione tra profili del rapporto di lavoro e profili organizzativi, disciplinari e di sicurezza, propri dellambiente carcerario; per cui è ben possibile che la regolamentazione di tale rapporto conosca delle varianti o delle deroghe rispetto a quella del rapporto di lavoro in generale. Tuttavia, né tale specificità, né la circostanza che il datore di lavoro possa coincidere con il soggetto che sovrintende alla esecuzione della pena, valgono ad affievolire il contenuto minimo di tutela che, secondo la Costituzione, deve assistere ogni rapporto di lavoro subordinato.
4. Questa Corte, già nella sentenza n. 103 del 1984, con riguardo alla giurisdizione, aveva avvertito non esservi ragione di distinzione tra il normale lavoro subordinato ed il lavoro dei detenuti o internati (e tale equiparazione, sotto laspetto sostanziale, è stata costantemente ribadita in più occasioni anche dalla Corte di cassazione a sezioni unite). Nella successiva sentenza n. 1087 del 1988 resa peraltro in un contesto normativo non ancora arricchito dalla molteplicità di esperienze lavorative intramurarie ora possibili la Corte aveva sì sottolineato la differenza tra il lavoro ordinario e quello svolto allinterno del carcere alle dipendenze dellAmministrazione, ma aveva sin da allora escluso che questultimo non dovesse essere protetto alla stregua dei precetti costituzionali. Più recentemente (sentenza n. 26 del 1999) ha poi affermato che lidea secondo la quale la restrizione della libertà personale comporta come conseguenza il disconoscimento delle "posizioni soggettive", attraverso un generalizzato assoggettamento allorganizzazione penitenziaria, è estranea al vigente ordinamento costituzionale, atteso che questo è basato sul primato della persona umana e dei suoi diritti. Nella stessa sentenza ha messo in rilievo che la restrizione della libertà personale non comporta affatto una capitis deminutio di fronte alla discrezionalità dellautorità preposta alla sua esecuzione. E si è ancora osservato che "lesecuzione della pena e la rieducazione che ne è finalità nel rispetto delle irrinunciabili esigenze di ordine e disciplina non possono mai consistere in "trattamenti penitenziari" che comportino condizioni incompatibili col riconoscimento della soggettività di quanti si trovano nella restrizione della loro libertà".
5. Il diritto al riposo annuale integra appunto una di quelle "posizioni soggettive" che non possono essere in alcun modo negate a chi presti attività lavorativa in stato di detenzione. La Costituzione sancisce chiaramente (art. 35) che la Repubblica tutela il lavoro "in tutte le sue forme ed applicazioni", e (allart. 36, terzo comma) che qualunque lavoratore ha diritto anche alle "ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi"; garanzia che vale ad assicurare il soddisfacimento di primarie esigenze del lavoratore, fra le quali in primo luogo la reintegrazione delle energie psicofisiche. E ovvio che le rilevate peculiarità del rapporto di lavoro dei detenuti comportano che le concrete modalità (di forme e tempo) di realizzazione del periodo annuale continuativo retribuito (con sospensione dellattività lavorativa), dedicato al riposo o ad attività alternative esistenti nellistituto carcerario, devono essere compatibili con lo stato di detenzione. Esse possono, quindi, diversificarsi a seconda che tale lavoro sia intramurario (alle dipendenze dellamministrazione carceraria o di terzi), oppure si svolga allesterno o in situazione di semilibertà; diversificazioni che spetta al legislatore, al giudice o allamministrazione precisare.
6. La mancanza di tale esplicita previsione nella norma denunciata che pur garantisce già il limite di durata delle prestazioni secondo la normativa ordinaria, il riposo festivo, nonché la tutela assicurativa e previdenziale pone la disposizione stessa in contrasto con entrambi i parametri evocati dal rimettente. Da un lato, il ruolo assegnato al lavoro nellambito di una connotazione non più esclusivamente afflittiva della pena comporta che, ove si configuri un rapporto di lavoro subordinato, questo assuma distinta evidenza dando luogo ai correlativi diritti ed obblighi. Daltro lato, la garanzia del riposo annuale imposta in ogni rapporto di lavoro subordinato, per esplicita volontà del Costituente non consente deroghe e va perciò assicurata "ad ogni lavoratore senza distinzione di sorta" (sentenza n. 189 del 1980), dunque anche al detenuto, sia pure con differenziazione di modalità.
per questi motivi
la Corte Costituzionale
dichiara lillegittimità costituzionale dellart. 20, sedicesimo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sullordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non riconosce il diritto al riposo annuale retribuito al detenuto che presti la propria attività lavorativa alle dipendenze dellamministrazione carceraria.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2001.
Depositata in Cancelleria il 22 maggio 2001.
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