Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n° 274
(G. U., 6 ottobre 2000, n° 234, suppl. ord.)
Titolo II
Sanzioni applicabili dal giudice di pace
Articolo 52
(Sanzioni)
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Ai
reati attribuiti alla competenza del giudice di pace per i quali è prevista la
sola pena della multa o dell’ammenda continuano ad applicarsi le pene
pecuniarie vigenti.
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Per
gli altri reati di competenza del giudice di pace le pene sono così
modificate:
a) quando il reato è punito con la pena della
reclusione o dell’arresto alternativa a quella della multa o dell’ammenda, si
applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da lire cinquecentomila
a cinque milioni; se la pena detentiva è superiore nel massimo a sei mesi, si
applica la predetta pena pecuniaria o la pena della permanenza domiciliare da
sei giorni a trenta giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità per
un periodo da dieci giorni a tre mesi;
b) quando il reato è punito con la sola pena
della reclusione o dell’arresto, si applica la pena pecuniaria della specie
corrispondente da lire un milione a cinque milioni o la pena della permanenza
domiciliare da quindici giorni a quarantacinque giorni ovvero la pena del
lavoro di pubblica utilità da venti giorni a sei mesi;
c) quando il reato è punito con la pena della
reclusione o dell’arresto congiunta con quella della multa o dell’ammenda, si
applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da lire un milione e
cinquecentomila a cinque milioni o la pena della permanenza domiciliare da
venti giorni a quarantacinque giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica
utilità da un mese a sei mesi.
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Nei
casi di recidiva reiterata infraquinquennale (p. 99), il giudice applica la
pena della permanenza domiciliare o quella del lavoro di pubblica utilità,
salvo che sussistano circostanze attenuanti ritenute prevalenti o equivalenti
(p. 69).
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La
disposizione del comma 3 non si applica quando il reato è punito con la sola
pena pecuniaria nonché nell’ipotesi indicata nel primo periodo della lettera a
del comma 2.
Articolo 53
(Obbligo di permanenza domiciliare)
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La
pena della permanenza domiciliare comporta l’obbligo di rimanere presso la
propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in un luogo di
cura, assistenza o accoglienza nei giorni di sabato e domenica; il giudice,
avuto riguardo alle esigenze familiari, di lavoro, di studio o di salute del
condannato, può disporre che la pena venga eseguita in giorni diversi della
settimana ovvero, a richiesta del condannato, continuativamente.
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La
durata della permanenza domiciliare non può essere inferiore a sei giorni né
superiore a quarantacinque; il condannato non è considerato in stato di
detenzione.
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Il
giudice può altresì imporre al condannato, valutati i criteri di cui
all’articolo 133, comma secondo, del codice penale, il divieto di accedere a
specifici luoghi nei giorni in cui non è obbligato alla permanenza
domiciliare, tenuto conto delle esigenze familiari, di lavoro, di studio o di
salute del condannato.
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Il
divieto non può avere durata superiore al doppio della durata massima della
pena della permanenza domiciliare e cessa in ogni caso quando è stata
interamente scontata la pena della permanenza domiciliare.
Articolo 54
(Lavoro di pubblica utilità)
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Il
giudice di pace può applicare la pena del lavoro di pubblica utilità solo su
richiesta dell’imputato.
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Il
lavoro di pubblica utilità non può essere inferiore a dieci giorni né
superiore a sei mesi e consiste nella prestazione di attività non retribuita
in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le
province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di
volontariato.
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L’attività viene svolta nell’ambito della provincia in cui risiede il
condannato e comporta la prestazione di non più di sei ore di lavoro
settimanale da svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze
di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato. Tuttavia, se il
condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di
pubblica utilità per un tempo superiore alle sei ore settimanali.
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La
durata giornaliera della prestazione non può comunque oltrepassare le otto
ore.
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Ai
fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste
nella prestazione, anche non continuativa, di due ore di lavoro.
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Fermo
quanto previsto dal presente articolo, le modalità di svolgimento del lavoro
di pubblica utilità sono determinate dal Ministro della giustizia con decreto
d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
Articolo 55
(Conversione delle pene pecuniarie)
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Per i
reati di competenza del giudice di pace, la pena pecuniaria non eseguita per
insolvibilità del condannato si converte, a richiesta del condannato, in
lavoro sostitutivo da svolgere per un periodo non inferiore ad un mese e non
superiore a sei mesi con le modalità indicate nell’articolo 54.
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Ai
fini della conversione un giorno di lavoro sostitutivo equivale a lire
venticinquemila di pena pecuniaria.
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Il
condannato può sempre far cessare la pena del lavoro sostitutivo pagando la
pena pecuniaria, dedotta la somma corrispondente alla durata del lavoro
prestato.
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Quando è violato l’obbligo del lavoro sostitutivo conseguente alla conversione
della pena pecuniaria, la parte di lavoro non ancora eseguito si converte
nell’obbligo di permanenza domiciliare secondo i criteri di ragguaglio
indicati nel comma 6.
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Se il
condannato non richiede di svolgere il lavoro sostitutivo, le pene pecuniarie
non eseguite per insolvibilità si convertono nell’obbligo di permanenza
domiciliare con le forme e nei modi previsti dall’articolo 53, comma 1, in
questo caso non è applicabile al condannato il divieto di cui all’articolo 53,
comma 3.
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Ai
fini della conversione un giorno di permanenza domiciliare equivale a lire
cinquantamila di pena pecuniaria e la durata della permanenza non può essere
superiore a quarantacinque giorni (1).
Articolo 56
(Violazione degli obblighi)
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Il
condannato che senza giusto motivo si allontana dai luoghi in cui è obbligato
a permanere o che non si reca nel luogo in cui deve svolgere il lavoro di
pubblica utilità o che lo abbandona è punito con la reclusione fino ad un
anno.
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Alla
stessa pena soggiace il condannato che viola reiteratamente senza giusto
motivo gli obblighi o i divieti inerenti alle pene della permanenza
domiciliare o del lavoro di pubblica utilità.
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In
caso di condanna non sono applicabili le sanzioni sostitutive previste dagli
articoli 53 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689.
Articolo 58
(Effetti delle sanzioni e criteri di ragguaglio)
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Per
ogni effetto giuridico la pena dell’obbligo di permanenza domiciliare e il
lavoro di pubblica utilità si considerano come pena detentiva della specie
corrispondente a quella della pena originaria.
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Quando per qualsiasi effetto giuridico si deve eseguire un ragguaglio tra la
pena detentiva e le pene di cui agli articoli 53 e 54, un giorno di pena
detentiva equivale a due giorni di permanenza domiciliare o tre giorni di
lavoro di pubblica utilità.
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Un
giorno di pena detentiva equivale a lire settantacinquemila di pena pecuniaria
irrogata in luogo della pena detentiva a norma dell’articolo 52.
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In
deroga a quanto stabilito nell’articolo 78, primo comma, numero 3, del codice
penale, la pena della multa o dell’ammenda non può comunque eccedere la somma
di lire quindici milioni, ovvero la somma di lire sessanta milioni se il
giudice si vale della facoltà di aumento indicata nel secondo comma
dell’articolo 133-bis dello stesso codice.
Articolo 59
(Controllo sull’osservanza delle sanzioni dell’obbligo di permanenza domiciliare
e del lavoro di pubblica utilità)
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L’ufficio di pubblica sicurezza del luogo di esecuzione della pena o, in
mancanza dell’ufficio di pubblica sicurezza, il comando dell’Arma dei
carabinieri territorialmente competente effettua il controllo sull’osservanza
degli obblighi connessi alla pena dell’obbligo di permanenza domiciliare o del
lavoro di pubblica utilità con le modalità stabilite dall’articolo 65, commi
primo e secondo, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (1), in quanto
applicabile.
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