Ufficio per il lavoro ai detenuti

 

Il lavoro di chi sta dentro, un diritto per non morire

 

Un esperimento a Roma, in Campidoglio un ufficio
per il reinserimento lavorativo delle persone in esecuzione penale

 

Liberazione, 15 agosto 2002

 

Venti anni fa Dario Melossi e Massimo Pavarini pubblicavano per il Mulino "Carcere e Fabbrica", metafora comparata di due istituzioni totali. Progressivamente in questi ultimi anni il carcere ha perso molte delle sue caratteristiche del secondo dopoguerra, avvicinandosi ad una struttura sempre più totalizzante e ambigua, ma lontana dall'idea originaria di fabbrica, perché il detenuto, seppur costretto nei tempi e nelle scelte, in galera rimane tendenzialmente disoccupato.

Le officine sono state quasi tutte chiuse, le lavorazioni industriali e artigianali sono in calo, resta la sola amministrazione domestica. Lungi dall'essere affascinati dal mito della rieducazione, il lavoro in carcere è un diritto e un bisogno. Serve ad affrancarsi dall'istituzione, dagli altri detenuti, dalle famiglie. Girando per quella immensa città che è Rebibbia si incrociano sguardi curiosi, a volte rassegnati altre volte disperati. Moltissimi sono i senza lavoro dentro, altrettanti non hanno possibilità di lavoro fuori e quindi vedono spezzata sul nascere ogni possibilità di anticipare la fine della pena. A. L. è finito in carcere per pochi mesi. E' tossicodipendente. La madre implora che lo si faccia lavorare dentro. Solo se si sente vivo e utile non è pericoloso per se stesso, non si taglia. F. G. ha avuto la sospensione della pena grazie all'applicazione della legge Simeone, ma se non trova subito un'occasione di lavoro deve tornare in galera. R. N. è in misura alternativa ma lavora al nero, se non viene regolarizzato subito rischia di mettere in discussione un percorso di risocializzazione durato venti lunghi anni.

Il carcere non riesce a farsi carico di tutto ciò ed è proprio per questo che il territorio deve prendersi cura dei suoi ospiti. In una Italia a macchia di leopardo dove esistono realtà penitenziarie dimenticate dalle loro città e altre dove nel tempo si sono consolidate politiche di intervento sociale, a Roma con Luigi Nieri, assessore al lavoro al Comune di Roma, si sta sperimentando un'azione diversa sotto il profilo simbolico e operativo. Da qualche mese è stato istituito un ufficio per la promozione del lavoro a detenuti, detenuti in misura alternativa ed ex detenuti. Un nuovo ufficio affidato a Stefano Anastasia, presidente dell'associazione Antigone, che si vuole preoccupare solo ed esclusivamente della difficile partita del reinserimento lavorativo delle persone in esecuzione penale. Quello che si sta facendo è dar vita ad una filiera integrata di interventi: dall'orientamento alla formazione professionale, dall'autopromozione sociale al reinserimento lavorativo. A ciò va aggiunta una vera e propria opera di sensibilizzazione pubblica e di mediazione istituzionale. Vengono invitati imprenditori pubblici e privati ad occuparsi di carcere, ad occupare detenuti, a mettere in piedi progetti significativi in materia di reinserimento occupazionale di persone detenute. La legge Smuraglia oggi consente facilitazioni economiche nelle assunzioni di detenuti, ma nessuno lo sa. Mentre l'amministrazione penitenziaria sembra avere altre priorità di comunicazione. Nelle prossime settimane ogni carcere romano avrà un centro di orientamento al lavoro, contemporaneamente sarà anche attivato un front-office aperto al pubblico, ai familiari, ai detenuti in misura alternativa, agli ex detenuti. Operatori specializzati verificano le competenze dei detenuti, le riorientano, creano una banca dati di professionalità. Pensare al carcere significa prevedere in ogni politica di sostegno alla piccola impresa uno spazio per il mondo della detenzione. Così l'area di Rebibbia è stata ricompressa in quelle per le quali sono previsti significativi finanziamenti - 100 mila euro a fondo perduto - per la nascita o il rafforzamento di una nuova cooperativa o micro-impresa.

Nella consapevolezza delle difficoltà tecniche che si possono incontrare nella redazione del progetto iniziale, viene garantita una assistenza tecnica alla redazione del business plan. Molte sono le cooperative intergrate con soci detenuti che stanno usufruendo del servizio. Inoltre viene assicurato un punteggio in più, e quindi maggiori possibilità di finanziamento, a chi nel progetto di impresa si impegna ad assumere persone in esecuzione penale. Infine proprio la scorsa settimana è stato reso pubblico un bando per 10 borse di reinserimento lavorativo rivolto a cooperative sociali e associazioni che intendono assumere detenuti. Il carcere è di per sé negazione di diritti. E allora ben venga ogni iniziativa pubblica che, in controtendenza rispetto al governo nazionale, costruisca politiche di riconoscimento e tutela di questi diritti.

 

 

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