|
La
rivista è composta da trenta pagine, e scritta interamente o quasi dai
ristretti. Ci sono molte rubriche, tra le quali: L’opinione, La mia vita,
Poesie in libertà, Proposte, Ricette. L’editoriale di Vincenzo, dal titolo
“I paria del 2000”, affronta il delicato tema del ricovero giudiziario a cui
si viene condannati in sentenza e dice: “Dopo
più di quattro lustri passati nel ventre del non senso, (uno dei modi con
cui viene chiamato il carcere N.d.R.) dove
tutti i passi verso una crescita, attraverso una feroce autocritica, sono stati
frutto e scontro con me stesso, senza aiuto, appoggi o sostegni di quelle
persone che magari potevano darmelo. Oggi a 41 anni, disabile riconosciuto, mi
tocca affrontare un anno di casa di cura e custodia”. Sono
racconti di vita, in cui traspare spesso delusione per le aspettative disattese,
ma si trovano anche tanto garbo e delicatezza come nel pezzo che scrive Miro.
Sapore di libertà
Ieri
21 dicembre dopo undici mesi di detenzione ho passato un pomeriggio che vorrei
molti ospiti di questo OPG potessero assaporare come ho potuto fare io in tutta
serenità e libertà. Sono
uscito con mia sorella minore che è venuta da Genova e siamo andati in
macchina ad Empoli. Mi sono sentito felice. Non
c’era nessuno, a parte io e lei in giro per la cittadina a fare shopping. Ho
provato la sensazione di respirare libero da ansie, tra un acquisto e l’altro.
Mentre
camminavamo avevo accanto una persona che, devo riconoscere, mi faceva sentire
fiero di essere suo fratello. Mi
dava sicurezza; mi è sembrato semplicemente che ci volevamo bene da veri
fratello e sorella. Per
quattro ore non mi sono sentito un criminale ma un uomo libero.
Miro
Un racconto mi ha particolarmente colpito, lo scrive Enrico nella rubrica "La mia vita", il titolo è: Sono un zingaro. Nei
racconti può avvenire davvero... di tutto. La
trama è molto bella, e penso che piacerebbe molto anche a Pino Cacucci, autore del romanzo Puerto Escondido e appassionato del Sud America.
Sono uno Zingaro
Un
paio di anni fa mi trovavo in Messico quando fui investito da un camion della
Coca-Cola: riportai diciassette fratture. Ero appena tornato dal deserto a
prendere il peyote. In seguito all’incidente persi la mia borsa con i soldi,
il visto d’ingresso in Messico, il passaporto. Feci denuncia dell’accaduto
alle autorità di polizia ma, non avendo documenti, mi rinchiusero in un carcere
insieme con tanti emigranti clandestini. Furono trentaquattro giorni
meravigliosi. Una piccola ONU con decine e decine di giovani che volevano
provare il “sogno americano”. Con il mio materasso al sole, misi un
cartello: “Avvocato e scrivano”. Decine e decine di lettere alle fidanzate,
alle famiglie, agli amici. Una lettera, due sigarette. Scrissi 1310 lettere, ma
i giovani centro-americani erano senza soldi, e senza sigarette. Un
giorno entra un signore molto distinto: Rolex d’oro, braccialetti e monili
d’oro, catena con crocifisso di diamanti e brillanti. Lo accolsi nella mia
cella. Era Zingaro di Puertorico. Mi
disse il motto degli zingari:
“Senza Patria… Solo Dio!” “Venerabile
maestro, voglio entrare nel clan degli zingari” gli chiesi. Fece
alcune telefonate e dopo tre giorni, con regolari permessi, entrarono nella sala
colloqui del carcere trecento zingari di Città del Messico. Prepararono
un tavolo con molto cibo. Avevano
portato venti bottiglie di latte che in realtà erano piene di tequila. Fu
una giornata indimenticabile. L’orchestra
suonava, c’erano donne e bambini con molto oro, coloratissime. Il
Venerabile Maestro prende il microfono dell’orchestra e dice: “Fratelli
Zingari, un italiano messicano farà parte del nostro clan”. Fui
ribattezzato “Siddartha”, il piccolo Budda. La festa durò cinque ore. Ubriachi e felici. Sono uno zingaro “ Senza Patria…Solo Dio”. Enrico
|