Giornalismo dal carcere

 

Il Sestante - Giornale dalla Casa Circondariale di Vigevano

Anno 2, numero 4: gennaio – marzo 2005

 

Sommario

Un milione di euro per le carceri lombarde

Il sindacato denuncia lo stato delle carceri

Progetto Alter-Nativa: dialogo, qualità della vita, integrazione i suoi obiettivi

Istituzione del garante per i diritti dei detenuti

Terzo rapporto sulla situazione detentiva in Italia

AgeSol, Agenzia di Solidarietà per il lavoro di Milano

Iniziative di formazione alla Casa circondariale di Vigevano

Intervista al dirigente sanitario della Casa Circondariale

Ecco le riflessioni delle docenti che insegnano in carcere

Breve riflessione su un’esperienza di volontariato

Una proposta provocatoria che nasce dal frequentare la scuola

Affetto vissuto sulle scene teatrali. Ricordi... sotto la pelle

Riflessioni attorno alla religione cristiana

"Avene selvatiche", di Alessandro Preiser

Voglia di ricominciare

L’angolo delle emozioni

Un milione di euro per le carceri lombarde

 

Salute in carcere, formazione e lavoro, aggiornamento degli operatori, aumento del numero degli educatori professionali: sono queste le spinose questioni a cui cerca di dare delle soluzioni la legge regionale, approvata nella seduta dell’8 febbraio scorso. Per raggiungere questi obiettivi la Regione ha stanziato un milione di euro per l’anno 2005. Il testo licenziato dal Consiglio Regionale è il risultato di un serrato confronto svoltosi negli ultimi mesi tra la III° Commissione e un gruppo di lavoro formato da forze politiche e istituzionali dell’opposizione, sindacati e associazioni di volontariato.

Franco Vanzati, esponente della CGIL di Pavia, fra i promotori del documento "Carcere, un disastro annunciato" (cfr), presente all’audizione al Pirellone tenutasi nel mese di gennaio, dichiara che erano state chieste alcune integrazioni alla bozza del testo di legge. Fra le varie proposte, particolare attenzione era stata dedicata al Garante dei diritti delle persone private della libertà, figura già operante in alcune regioni italiane (Lazio, Toscana, Emilia Romagna), ma non prevista in Lombardia. Era stata auspicata anche l’introduzione dell’istituto del prestito d’onore, per dare un sostegno economico agli ex detenuti, al fine di favorirne il reinserimento lavorativo. Infine, si era chiesto che la Regione stanziasse una percentuale significativa del bilancio regionale affinché ci siano le risorse adeguate per finanziare gli interventi che si prefigge. "Benché le nostre richieste non siano state accolte interamente soprattutto in termini di stanziamento - commenta Vanzati - siamo soddisfatti che sia stata emanata una legge sul carcere prima della scadenza della legislatura".

I 12 articoli di cui è composta la legge hanno recepito in linea di massima le sollecitazioni delle forze che in questi mesi si sono battute per umanizzare la espiazione della pena e favorire il reinserimento sociale e riabilitativo dei detenuti, come indica la Costituzione italiana.

Nell’art. 4 la Regione s’impegna a "garantire ... l’assistenza farmaceutica e specialistica, attraverso le ASL e le aziende ospedaliere...gli interventi di prevenzione sanitaria, compresi gli interventi di profilassi delle malattie infettive".

Nell’art. 5 si legge: "la Regione assicura attraverso la stipula d’accordi tra enti locali e istituti penitenziari, la presenza di educatori professionali da impegnare nelle attività trattamentali...; finanzia gli enti gestori di prestazioni socio-assistenziali, garantendo la presenza di un numero adeguato di educatori negli istituti penitenziari".

Nell’art. 7 l’ente di governo regionale s’impegna a promuovere percorsi d’istruzione e formazione professionale.

Il tema del lavoro è affrontato nell’art. 8, che prevede il sostegno a progetti d’orientamento e motivazione al lavoro per favorire iniziative nell’ambito dell’imprenditorialità sociale.

L’art. 10 recita: "Il difensore civico regionale, sino al riordino complessivo dell’ufficio, assolve le funzioni di garante dei detenuti".

Pur cogliendo l’importanza di una figura "altra" rispetto alle forze istituzionali già operanti, in primo luogo il Magistrato di Sorveglianza, poiché si è in assenza di un riconoscimento legislativo nazionale, è stato previsto che il difensore civico regionale assolva alle funzioni di garante dei detenuti.

 

Il sindacato denuncia lo stato delle carceri e lancia alcune proposte migliorative

 

Cgil: superato il livello di guardia

 

"Carcere, un disastro annunciato": questo il titolo di un documento pubblicato nel novembre scorso dalla Cgil Lombardia, dal quale era emerso, se ancora ce ne fosse stato bisogno, un quadro desolante sulle carceri. Attorno al documento era nata una certa mobilitazione di forze politiche e sindacali, del volontariato sociale e del terzo settore, che aveva dato luogo ad alcune iniziative forti, tra cui un incontro con i detenuti di San Vittore la vigilia di Natale.

Le dimensioni del disastro sono visibili nei dati che riguardano la tossicodipendenza, l’immigrazione e la sanità. Riguardo a quest’ultimo punto, i medici penitenziari hanno fornito cifre secondo le quali sarebbero 10000 (1 su 5) i detenuti risultati positivi ai test per la tubercolosi.

Migliaia manifestano disagi psichici e patologie psichiatriche che in carcere non possono trovare la necessaria assistenza. È stato denunciato che nel 57,5% delle carceri si sono registrati casi di TBC e nel 66% di scabbia.

Indubbiamente la situazione ha superato il livello di guardia, come dimostrano le migliaia di tentativi di suicidio e gli episodi di autolesionismo, derivanti soprattutto dal sovraffollamento. Problema per la cui soluzione, in modo paradossale, si sono mutati i parametri di spazio vitale per ogni detenuto. Non va dimenticato, inoltre, che il settore sanitario è stato oggetto di ripetuti tagli nelle ultime finanziarie. "Le attuali condizioni - si legge nel documento - sono certamente il risultato di politiche sbagliate, trascuratezze, risposte inadeguate avvenute a livello nazionale e locale, legislativo e gestionale da molto tempo e particolarmente negli ultimi 15 anni". Ad amplificare i disagi e rendere la situazione ancor più grave, contribuisce la mancata applicazione di leggi già varate. Queste potrebbero contribuire a migliorare la vivibilità nelle carceri e a garantire diritti essenziali. Basti pensare al nuovo regolamento penitenziario, non applicato in molte sue parti; alla legge "Finocchiaro", che consente la scarcerazione delle detenute madri che devono scontare pene brevi e dei bambini in carcere, rimasta pressoché inattuata; alla legge "Smuraglia", norma tesa a favorire l’attività lavorativa dei detenuti, scarsamente finanziata; alla legge n. 231 del 1999, che consente la scarcerazione degli ammalati di AIDS e di altre gravi patologie, largamente inapplicata; alla stessa "Gozzini", che prevede l’accesso alle misure alternative, la cui applicazione in Lombardia - aggiunge il documento CGIL - "è certamente difficile a causa delle mancanze d’organico delle èquipes trattamentali e degli orientamenti spesso restrittivi della Magistratura di Sorveglianza". Nell’audizione tenutasi a gennaio tra le forze che avevano sottoscritto il documento e la III° Commissione Regionale sono emerse alcune proposte: utilizzare le norme già in vigore per affrontare il problema del sovraffollamento attraverso una più estesa applicazione delle misure alternative alla detenzione. Ampliare le opportunità di reinserimento sociale e lavorativo attraverso un corretto utilizzo dei fondi della "Cassa delle ammende".Introdurre il prestito d’onore; coinvolgere gli enti locali attraverso l’applicazione del protocollo d’intesa tra Regione Lombardia e Ministero della Giustizia.

È stato inoltre posto l’accento sull’istituzione della figura del Garante dei Diritti delle persone private della libertà, che dovrebbe svolgere un’attività di prevenzione e mediazione dei conflitti all’interno dei luoghi di detenzione, d’informazione e supporto ai tanti bisogni dei detenuti, di controllo e promozione. Questa figura è stata introdotta in via sperimentale da alcuni enti locali (Regione Lazio, Comuni di Roma, Firenze, Bologna, Torino) ma manca ancora il riconoscimento a livello nazionale, mentre la proposta di legge Pisapia, Finocchiaro, Massoni giace in Parlamento. "Spesso le carceri sono luoghi del "non fare" - si legge ancora nel documento- c’è una violazione dei diritti che deriva dall’omissione, non dall’azione negativa".

Infine è stato affrontato il tema dell’informazione da e sul carcere: i cittadini spesso ricevono un’informazione distorta, tesa solo ad evidenziare gli episodi di cronaca nera e a enfatizzare gli allarmismi, con il risultato di aumentare ingiustificatamente i pregiudizi e le paure della gente.

Si sollecita pertanto la nascita di giornali e redazioni sia esterni che interni per fornire un’informazione più ampia e completa. Italo Franco Greco

 

Progetto Alter-Nativa: dialogo, qualità della vita, integrazione i suoi obiettivi

 

Il progetto Alter-Nativa nasce, ad opera della Caritas Diocesana e grazie al finanziamento della Regione Lombardia, per far fronte ai problemi di emarginazione di cittadini italiani e stranieri con un’esperienza di detenzione. Lo scopo è trovare le soluzioni più idonee per risolvere le specifiche problematiche di queste persone. I destinatari del progetto sono, quindi, detenuti ed ex-detenuti della Casa Circondariale di Vigevano, anche con problemi di alcolismo e tossicodipendenza, caratterizzati da forti condizioni di disagio ed esclusione sociale.

Il progetto intende muoversi sostanzialmente in due direzioni, all’interno e all’esterno del carcere.L’obiettivo è quello di garantire una presenza socio-educativa e assistenziale che sia complementare a quella offerta dall’Amministrazione Penitenziaria, creando, all’interno del carcere, un supporto alla condizione di sofferenza, mediante l’ascolto e il dialogo con i detenuti.

Si vuole anche promuovere la qualità della vita intra-muraria, cercando di armonizzare i tempi della detenzione con interventi di animazione e coinvolgimento, organizzati in collaborazione con altre associazioni di volontariato.

Inoltre, si intende definire dei percorsi di integrazione sociale, attraverso progetti di inserimento lavorativo e di ricerca abitativa. È necessario offrire anche al detenuto o ex detenuto una consulenza per meglio indirizzarlo al corretto utilizzo delle risorse presenti sul territorio, indicandogli le strutture che possono aiutare una sua reintegrazione nel contesto territoriale (parrocchie, aziende, cooperative, associazioni di volontariato, ecc). Marco Malugani

 

Intervista a Cesare, educatore Caritas: "Interlocutori sul territorio"

 

Da quanto tempo avete iniziato il vostro intervento all’interno del carcere ?

Il progetto Alter-Nativa è stato avviato nel giugno 2003, ma di fatto l’ingresso nella struttura penitenziaria si colloca nel gennaio 2004. Quante persone avete contattato ?

Innanzitutto, va precisato che il nostro intervento si divide tra interno ed esterno del carcere. Con una certa approssimazione, possiamo dire che all’esterno abbiamo contattato 45 persone nell’arco di un anno : 32 uomini (di cui 4 stranieri) e 13 donne (di cui 4 straniere). All’interno della Casa Circondariale, invece, abbiamo contattato 88 persone : 62 uomini (di cui 23 stranieri) e 26 donne (di cui 10 straniere). Con quali altre figure dell’area trattamentale vi integrate principalmente ?

Il nostro intervento prevede la collaborazione con la direzione, gli educatori e le assistenti sociali; collaboriamo attivamente anche con i volontari delle Associazioni "Dialogo" e "Acat".

In che modo le persone vi vengono segnalate ?

Le segnalazioni arrivano in mille modi : domandine, richiesta degli educatori o del Centro Servizi Sociali per Adulti, contatti con volontari o altri operatori (Acat, SerD, scuola, etc).

Quali risultati avete ottenuto ? Non è facile quantificare i risultati perché non sempre gli indicatori che segnalano il raggiungimento di un risultato sono facilmente visibili (come può essere invece per un inserimento abitativo o lavorativo). Diciamo che l’elevata richiesta di colloquio con noi è un aspetto positivo e che l’esigenza di mantenere la relazione nel tempo è anch’essa un fattore positivo. Per gli inserimenti abitativi sono dieci le persone che dimorano attualmente negli alloggi che rientrano nel nostro progetto di housing sociale. Un altro risultato importante è che il progetto ha acquisito una buona "visibilità", cioè per i servizi del territorio (a partire dai Comuni) siamo un interlocutore importante. In molti casi manteniamo contatti con avvocati e famiglie e organizziamo accompagnamenti per chi va in permesso.

Per il lavoro, due persone sono state inserite direttamente nella nostra cooperativa; per tanti altri è stato fatto un lavoro di "bilancio competenze", compilazione curricola, invio ad altri servizi, inserimento banca dati sul lavoro, etc. Marco Malugani

 

Istituzione del garante per i diritti dei detenuti

 

Estratto della deliberazione del Comune di Roma

 

Art. 2

 

Nomina e durata. 1. Il Sindaco nomina, con propria ordinanza, il Garante, scegliendo fra persone residenti nel Comune di Roma d’indiscusso prestigio e di notoria fama nel campo delle scienze giuridiche, dei diritti umani, ovvero delle attività sociali negli Istituti di prevenzione e pena e nei Centri di servizio sociale.

 

Art. 3

 

Compiti del Garante. A) Promuove, con contestuali funzioni di osservazione e vigilanza indiretta, l’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di funzione dei servizi comunali delle persone comunque private della libertà personale ovvero limitate nella libertà di movimento domiciliare, residenti o dimoranti nel territorio del Comune di Roma, con particolare riferimento ai diritti fondamentali, al lavoro, alla formazione, alla cultura, all’assistenza, alla tutela della salute, allo sport, per quanto nelle attribuzioni e nelle competenze del Comune medesimo, tenendo altresì conto della loro condizione di restrizione;

b) Promuove iniziative e momenti di sensibilizzazione pubblica sul tema dei diritti umani delle persone private della libertà personale e della umanizzazione della pena detentiva;

c) Promuove iniziative congiunte ovvero coordina con altri soggetti pubblici e in particolare con il Difensore Civico cittadino, competenti nel settore per l’esercizio dei compiti di cui alla lett. A);

d) Rispetto a possibili segnalazioni che giungano, anche in via informale, alla sua attenzione e riguardino violazioni di diritti, garanzie e prerogative delle persone private della libertà personale, il Garante si rivolge alle autorità competenti per avere eventuali ulteriori informazioni; segnala il mancato o inadeguato rispetto di tali diritti e conduce un’opera di assidua informazione e di costante comunicazione alle autorità stesse relativamente alle condizioni dei luoghi di reclusione, con particolare attenzione all’esercizio di diritti riconosciuti ma non adeguatamente tutelati e al rispetto di garanzie la cui applicazione risulti sospesa, contrastata o ritardata nei fatti;

 

Art. 4

 

Relazione agli Organi del Comune. Il Garante riferisce al Sindaco, alla Giunta, al Consiglio Comunale e alle Commissioni Consiliari per quanto di loro competenza e con facoltà di avanzare proposte e richiedere iniziative e interventi ai fini dell’esercizio dei compiti di cui all’art. 3, sulle attività svolte, sulle iniziative assunte, sui problemi insorti ogni qualvolta lo ritenga opportuno e comunque almeno una volta ogni semestre.

 

Le ragioni del no del Parlamento

 

La Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, in data 20 Aprile 2004, ha espresso parere negativo sul testo unificato delle proposte di legge Pisapia, Mazzoni, Finocchiaro relativo all’istituzione della figura del Garante delle persone private della libertà. Il relatore (on. Barbieri - UDC) ha sollevato il fatto che la vigente normativa già prevede, a garanzia delle condizioni di detenzioni nelle carceri, l’istituto del Magistrato di Sorveglianza ed ha quindi sostenuto che l’istituzione del difensore civico comporterebbe un inutile aggravio di costi per il bilancio dello Stato. Barbieri ha conseguentemente proposto un parere negativo, poi approvato dalla Commissione. Gaetano Navanteri

 

Terzo rapporto sulla situazione detentiva in Italia

 

Quali reali possibilità di reinserimento sociale esistono attraverso il lavoro? E quale lavoro è possibile? A queste domande ha cercato di rispondere il "Terzo rapporto sulla situazione detentiva in Italia", realizzato dall’ associazione Antigone.

L’acquisizione di una professionalità all’interno degli istituti di pena è un’eccezione (meno del 3% dei reclusi svolge attività formative utili e spendibili per la ricerca di un’occupazione una volta fuori dal carcere). Le possibilità lavorative normalmente accessibili ai detenuti non sono comparabili a un lavoro esterno. La carcerazione comporta la perdita dell’occupazione, mentre pregiudizi, diffidenze e anche i segni fisici e psicologici che il carcere lascia nell’individuo ostacolano il rientro nel mondo del lavoro alla fine della pena. "L’accesso al lavoro alla fine della carcerazione -spiegano gli osservatori- anziché essere un diritto per tutti, si rivela un’opportunità per pochi ex detenuti, tanto che il lavoro costituisce a tutt’oggi uno dei problemi principali che chi esce dal carcere si trova ad affrontare". Ciò che rende difficile l’accesso ad un posto di lavoro sono gli " handicap sociali": bassa scolarità, scarsa professionalità, carenza di esperienze lavorative precedenti, altre problematiche di ordine psicologico e sociale.

La legislazione ha tentato di dare risposte in materia.

Il testo di riferimento è la legge sulla cooperazione sociale (L.381/1991), integrata dalla Smuraglia (L. 193/2000), che individua le persone sottoposte a misure penali, sia durante la detenzione che dopo, come categoria svantaggiata che può essere inserita nelle cooperative sociali di tipo B.

L’idea di fondo, che la Smuraglia ha cercato di estendere alle imprese profit e no profit che assumono detenuti o ex detenuti, è assicurare sgravi fiscali e/o contributivi per compensare i costi aggiuntivi che l’inserimento di queste persone comporta.

Inoltre, sono molti gli enti locali sul territorio nazionale che hanno attivato, in linea con le competenze loro assegnate dalla legge Bassanini, politiche attive per elevare il livello di formazione e favorire l’accesso al lavoro delle persone in uscita da percorsi penali, compreso il maggiore utilizzo dei cosiddetti "strumenti di mediazione al lavoro": borse lavoro, tirocini formativi, stage aziendali.

Ancora diversa è la situazione delle imprese che, quando decidono di impegnarsi in questo settore, devono far fronte ad una serie di costi aggiuntivi, derivanti dalla probabile minore produttività del lavoratore e da ostacoli burocratici.

"Il problema dei tempi - sottolinea il rapporto- comincia a porsi all’inizio del percorso di inserimento, quando l’attesa per l’accesso alle misure alternative - fatta di lentezze burocratiche e dei tempi lunghi della Magistratura di Sorveglianza - si scontra con le esigenze di un’impresa che, dopo essersi dichiarata disponibile di avviare l’ inserimento lavorativo, pretenderebbe, a ragione, di poter disporre subito dell’apporto del suo nuovo collaboratore".

La rigidità del sistema penale, le esigenze di controllo della persona quando la pena non è ancora estinta, le difficoltà organizzative rappresentano ulteriori elementi di criticità. Per uscire da questa empasse, sarebbe necessario instaurare relazioni più strette e stabili tra l’impresa che assume e le istituzioni competenti. Al contrario, l’azienda si trova di fronte a un mondo che non conosce, a regole troppo rigide che non condivide. Sul territorio nazionale sono poche le agenzie che si occupano di inserimenti lavorativi di persone che provengono da percorsi penali. Anche quando esistono, secondo il rapporto, "sono scarsamente conosciute e utilizzate dalle imprese che potrebbero beneficiarne". Eppure i dati parlano chiaro: la recidiva, cioè la reiterazione dei reati dopo la fine della pena, è del 70% per i detenuti rimessi in libertà senza aver usufruito di percorsi di reinserimento sociale e lavorativo, cala al 20% tra chi invece ne ha usufruito. Bartolo Bruzzaniti

 

AgeSol, Agenzia di Solidarietà per il lavoro di Milano

 

Dall’idea e dall’impegno di un gruppo di detenuti di San Vittore è nata nel 1998 AgeSol, Agenzia di Solidarietà per il lavoro. L’obiettivo era creare una struttura operativa capace di favorire il reinserimento sociale e lavorativo di chi proveniva dall’esperienza della detenzione. Un organismo in grado di aggregare tutti i soggetti che si occupano di lavoro: dagli imprenditori ai sindacati, agli enti locali, alle associazioni di volontariato da una parte, dall’altra gli operatori e le strutture dell’ Amministrazione Penitenziaria. Tra i soci, oltre alle associazioni di categoria, figurano la Caritas ambrosiana, i sindacati il Comune e la Provincia di Milano.

Le finalità seguite in questi anni sono state quelle di agire da qualificato ponte tra i detenuti motivati ad iniziare un percorso professionale e le imprese e cooperative sociali interessate ad assumerli. Questi mondi spesso non comunicano, se non con aneddoti, troppo lontani da qualsiasi storia vera.

"I dati dimostrano - spiega la direttrice Licia Roselli - quanto si è riusciti a fare e come si sono affrontate le situazioni, non dimenticando i tanti nodi che ancora restano da risolvere. Ciò non toglie che è importante porre l’accento sui risultati ottenuti nel cambiamento".

Dalla tabella si rileva, nonostante non siano ancora disponibili i dati definitivi del progetto Orfeo 2, che delle persone contattate dai progetti nel corso degli anni: il 46% aveva i requisiti per intraprendere un percorso d’approfondimento e d’orientamento al lavoro, di questi per circa il 30,5% si è trovata una postazione lavorativa. La filosofia che per anni ha accompagnato Agesol è stata quella di costruire progetti di orientamento e percorsi di inserimento "mirati". Tutto ciò si è sempre scontrato sia con una limitata varietà di offerte lavorative, per l’aggravarsi della crisi economica che colpisce tutti i soggetti ed a maggior ragione quelli più deboli sul mercato del lavoro, sia con la professionalità della maggioranza degli utenti, che risulta piuttosto generica, e con la loro età, piuttosto elevata nella media per le esigenze di mercato.

Nonostante le potenzialità dei progetti si siano amplificate, con la possibilità di accedere a finanziamenti del Fondo Sociale Europeo oltre che a fondi messi a disposizione dalla Provincia di Milano e dalla Regione Lombardia, l’analisi dei dati indica che nell’arco degli anni c’è stato un andamento degli inserimenti lavorativi in controtendenza."Pur riconoscendo la capacità operativa di AgeSol, che in questi anni ha potenziato la professionalità dei propri operatori - conclude Roselli -, va segnalata una flessione della domanda di lavoro, poiché, come spesso accade, le figure problematiche o comunque segnate da percorsi di disagio sono le prime ad essere penalizzate. Le azioni di tutoraggio hanno evidenziato la grossa fatica per il mondo delle aziende ad incontrare il mondo del carcere, due realtà che stentano oggettivamente ad incontrarsi, perché le esigenze e le logiche sono opposte. Crediamo che la responsabilità vada ricercata nella non abitudine e nella scarsa comunicazione dell’Istituto carcerario con l’"esterno", di qualsiasi tipo. Francesco Dipasquale

 

Iniziative di formazione alla Casa circondariale di Vigevano

 

È iniziato a gennaio e finirà a giugno il corso di formazione professionale per aiuto-cuoco finanziato con il Fondo Sociale Europeo e attuato dal Centro Formazione Professionale di Pavia. Sono circa dieci i detenuti delle Sezioni Comuni che sono impegnati per sei ore al giorno nelle attività didattiche per un monte-ore complessivo di 600 ore.

Si tratta di un corso teorico - pratico, con materie di studio svolte in aula e attività di cucina. A differenza di altri corsi tenuti negli anni precedenti, non dà un semplice attestato di partecipazione, ma una vera e propria qualifica professionale, riconosciuta e spendibile sul mercato del lavoro. Si deve però constatare che la scure dei tagli si è abbattuta anche sui fondi europei: purtroppo è l’unico corso che si terrà quest’anno, mentre in precedenza il numero era decisamente più consistente.

 

Il direttore del giornale "l’Informatore" entrerà in carcere per tenere un corso di grafica ai detenuti.

Infatti, Carlo Vella è disposto a mettere a disposizione gli strumenti informatici necessari per insegnare ad alcuni ristretti dei "Piccolini" a realizzare l’impaginazione di un giornale, depliant, brochure e pubblicazioni di altro genere. "Potrebbe essere una buona occasione - spiega Vella - per fornire ai detenuti una preparazione professionale spendibile sul mercato del lavoro". L’iniziativa si colloca nell’ambito dei rapporti nati tra "l’Informatore" e la struttura penitenziaria in occasione di una serie di incontri che alcuni giornalisti dell’Associazione "Rolandi" hanno avuto con detenuti delle varie sezioni.

 

Nell’ambito della campagna "Ero carcerato", la Società di San Vincenzo De Paoli di Vigevano ha attivato presso la Casa Circondariale un progetto che prevede la formazione di un numero limitato di operatori alla telecamera e montaggio video computerizzato. Il laboratorio sarà tenuto da professionisti del settore con un notevole monte ore di materie teoriche e pratiche. Gli organizzatori pensano in questo modo di adeguare i valori di sempre a nuove necessità, "in sintonia con i bisogni del mondo attuale e con i loro prevedibili sviluppi futuri".I finanziatori del progetto sono la Fondazione Banca Popolare di Vigevano e la Fondazione Piacenza e Vigevano.

 

Intervista al dirigente sanitario della Casa Circondariale, dott. Gianfranco Ciardo

 

Risorse per cure mediche? Poche. Cosa prevede la normativa riguardo la somministrazione dei farmaci per le persone meno abbienti e per tutti gli altri? Com’è la situazione reale?

Come premessa, occorre precisare che lo Stato tutela la salute come fondamentale diritto degli individui ed interesse della collettività. I farmaci presenti nel prontuario farmaceutico vengono suddivisi in farmaci di fascia A (dispensati dal S.S.N), di fascia H (ospedalieri dispensati dal S.S.N.) e di fascia C (a totale carico del cittadino). Quelli in fascia A sono indispensabili per la salute e comprendono antibiotici, farmaci per la cura del diabete, delle malattie cardiovascolari, delle patologie dell’apparato respiratorio, dell’apparato gastrointestinale, etc. I farmaci in fascia H sono gli antiretrovirali per la cura dell’HIV e quelli per la cura dell’epatite B e C. Quelli in fascia C comprendono gli psicofarmaci (es. Valium, Lexotan), gli antipiretici (es. Tachipirina), gli antistaminici, gli antiemetici (es. Plasil), sciroppi per la tosse, etc.

Ogni anno dalla Regione Lombardia viene stanziata una somma di denaro, necessaria ad assicurare l’assistenza sanitaria in ogni istituto penitenziario e con questa cifra si garantiscono in particolare i farmaci in fascia A e H. Occorre precisare che i farmaci in fascia C, anche fuori dall’istituto, vengono pagati da tutti i cittadini indipendentemente dal reddito ed anche dagli invalidi al 100%.

Nell’istituto, per i farmaci in fascia C, si cerca di garantire la presenza degli psicofarmaci e di altre categorie di farmaci di uso più frequente.

 

C’è molto malumore per il comportamento tenuto da alcuni dottori ed infermieri nelle modalità di svolgimento del loro lavoro e nel rapporto con i detenuti. È a conoscenza di questo fatto? E se sì, come pensa di intervenire?

Non ero a conoscenza di quanto da voi dichiarato; provvederò a sensibilizzare il personale medico e paramedico ad una maggiore attenzione.

 

Cosa può dirci dei lunghi tempi di attesa per le visite e gli esami ospedalieri ed ambulatoriali esterni? Come si può ovviare?

Per le visite e gli esami strumentali esterni, posso dirvi che non vengono prenotati dalla Area Sanitaria: esiste un iter ben preciso che la pratica deve seguire.

L’Area Sanitaria, dopo aver richiesto l’esame o la visita ospedaliera di cui il paziente necessita ed aver acquisito il relativo consenso, passa la pratica all’Ufficio Matricola, che chiede il nulla osta alla autorità giudiziaria e successivamente prenota la visita in ospedale.

I tempi di attesa di accesso alle visite esterne sono gli stessi di un cittadino libero e l’ospedale non opera nessuna distinzione nella prenotazione degli esami.

 

Perché la figura dello psicologo non è presente in modo più assiduo per tutti i detenuti, come peraltro in altri istituti?

La convenzione con lo psicologo viene stipulata dalla direzione e il monte ore mensile stabilito dalla Amministrazione Penitenziaria. Sono con voi nell’affermare che sarebbe opportuna una maggiore presenza per venire incontro alle diverse esigenze.

 

Perché non è possibile fare le visite per il rinnovo della patente?

Per il rinnovo della patente di guida, si è venuti a conoscenza che non è possibile l’invio in ospedale per eseguire la visita, ma verrà richiesto all’Ufficio Igiene di venire all’interno dell’istituto quando saranno raccolte alcune domande di rinnovo.

 

Perché sono state sospese le visite di alcuni specialisti (otorino, cardiologo, oculista, infettivologo, ortopedico), mentre in altri istituti sono presenti, malgrado i tagli finanziari?

Con circolare del Provveditorato Amministrazione Penitenziaria di alcuni anni fa, sono state abolite le convenzioni con l’oculista, il dermatologo e l’otorinolaringoiatra.

La convenzione con il cardiologo, presente alcuni anni fa, è stata revocata dall’ASL di Pavia che non ha voluto stipulare una nuova convenzione; non vi è alcuna richiesta di convenzione da parte di ortopedici. L’infettivologa è regolarmente presente e accede nell’istituto una volta alla settimana.

 

Perché quando un detenuto fa richiesta di parlare con Lei, non risponde mai?

La legge prevede che debba essere convenzionato un medico incaricato ogni 150 detenuti.

Nell’istituto di Vigevano sono presenti oltre 400 detenuti (al momento sono presenti circa 430 detenuti considerando anche le sezioni femminili). Con le poche ore a disposizione (tre ore al giorno), cerco di mandare avanti tutto il lavoro burocratico (relazioni sanitarie, richieste di esami ospedalieri, quesiti del Magistrato di Sorveglianza, riunioni di lavoro, etc). Cerco di ascoltare, per quanto possibile, ma devo anche far notare che la richiesta di parlare con me, molto spesso, è inerente a problemi sanitari che possono essere risolti dai medici di guardia, peraltro dotati di buona preparazione, presenti 24 ore su 24. In ogni caso, credo che la collaborazione da parte di tutti sia fondamentale e posso affermare che tutti cerchiamo di fare del nostro meglio per assicurare una discreta assistenza con i mezzi e le risorse umane presenti. Bruzzaniti & Malugani

 

Ecco le riflessioni delle docenti che insegnano in carcere

 

"Si può veramente fare scuola". Ma la struttura, rigida e burocratica, inevitabilmente incide sul modo di fare lezione. Quale idea del carcere si sono fatte le insegnanti del "Progetto Sirio"? Perché si sono avventurate in un’esperienza così diversa rispetto al normale insegnamento ai ragazzi?

Alcune di loro dichiarano di aver preso la cattedra in carcere soprattutto per raddoppiare il punteggio in graduatoria, altre l’hanno fatto per una scelta libera e convinta. Non si può negare che, all’inizio, avevano un certo timore e qualche perplessità, aumentati dal fatto che avrebbero dovuto insegnare anche nella sezione di Alta Sicurezza, dove è consentito accedere solo al personale penitenziario. Nonostante ciò, tutte, a distanza di qualche tempo, sostengono di essere propense a ritornare il prossimo anno.

"Oggi" - dichiara Elena - (prof. di lettere) "non ho più paura a percorrere quel lungo corridoio in Alta Sicurezza, come quando ho iniziato. Ormai tutti si sono abituati alla nostra presenza e anche chi non viene a scuola ci saluta e scambia qualche battuta con noi".

Luisa (prof. d’inglese ) afferma che gli studenti sono corretti ed educati e non si incontrano problemi disciplinari. Si può veramente fare scuola, anche se purtroppo mancano alcuni strumenti e sussidi didattici che sarebbero necessari.

"I rapporti umani che si erano creati" - afferma Chiara - (prof. di scienze dell’anno scorso), "erano validi e arricchenti. Inoltre per me era stata una sfida interessante dovermi confrontare con un’utenza adulta e multietnica.

Purtroppo però il carcere è una macchina burocratica mastodontica, con una sua organizzazione e delle regole rigide a cui adeguarsi".

Loredana (prof. di diritto), che ha già avuto una simile esperienza nell’istituto penitenziario di Opera, commenta: "E’ giusto che paghino, ma è questo il modo giusto per pagare?".

Rita (prof. di economia aziendale) abita in Oltrepò e tutti i giorni percorre diversi chilometri per venire a insegnare in carcere.

"Mi sono resa conto -dice- che la realtà è decisamente diversa dall’idea che mi ero creata. I miei alunni hanno dimostrato subito interesse per la materia e partecipano con assiduità all’attività didattica. I rapporti che sono riuscita a instaurare con gli studenti, anche grazie al loro contributo, sono basati sul reciproco rispetto".

Andreina (prof. di matematica), la veterana del gruppo in quanto insegna ai "Piccolini" da cinque anni, dichiara che, dall’esperienza fatta, ha imparato a pensare ed a guardare il carcere con più comprensione.

Ha incontrato in questi anni persone che le hanno insegnato che si può essere fieri e dignitosi anche in luoghi difficili come un istituto di pena e si è convinta che ogni essere umano può cambiare se solo gli viene data la possibilità di farlo. Gaetano Navanteri

 

Breve riflessione su un’esperienza di volontariato

 

Lo scorso anno ho iniziato ad insegnare storia ai detenuti del carcere di Vigevano, nell’ambito del "Progetto Sirio", in una classe quarta superiore maschile di Alta Sicurezza e, attualmente, sto ancora impegnandomi nella stessa classe, divenuta quinta, e in una prima e seconda femminile sempre di Alta Sicurezza. Il fatto stesso che io quest’anno abbia voluto continuare ad insegnare in questo contesto, attesta già la positività dell’esperienza che ho vissuto e sto vivendo. Difficilmente, nell’arco della mia lunga carriera di insegnante (35 anni, prima alle scuole medie e poi alle superiori), ho incontrato alunni così motivati e disponibili all’ascolto, allo scambio civile delle opinioni, all’impegno indefesso per ottenere buoni risultati da offrire all’insegnante più che non a se stessi.

Il gioire insieme delle conquiste fatte, passo dopo passo, è la costante che domina e rende molto costruttive e piacevoli le ore vissute insieme, aiuta ad intendersi e a crescere reciprocamente, a condividere un mondo che nel loro caso è spesso filtrato dalla sofferenza della reclusione.

Eppure si registra addirittura una certa difficoltà ad allontanarsi quando, alla fine della lezione, le tue allieve ti dicono: "...ma dove va prof., rimanga ancora un poco, è così interessante questo argomento..." e tu ti accorgi che stai ricevendo più di quello che dai. Giuliana (prof. di lettere)

 

Una proposta provocatoria che nasce dal frequentare la scuola

 

Vorrei spiegare ciò che rappresenta per me la scuola, attivata grazie alla collaborazione tra direzione e Istituto "Casale".

Quando avevo 10-12 anni, odiavo andare a scuola; svegliarmi presto tutte le mattine e stare attenta alle lezioni era una fatica indescrivibile. E per i compiti, Dio che strazio! E chi li ha mai fatti?

Odiavo matematica, in latino avevo inclassificabile, storia e geometria per me non esistevano. Il mio slogan era "abbasso la scuola". Vi lascio immaginare la mia felicità quando, dopo una litigata con mia sorella, mia madre mi obbligò ad andare a lavorare. Mi sentivo grande ed indipendente. E invece, quanta ignoranza!!! L’unica cosa che non mi ha mai abbandonata durante tutti questi anni è la passione per la lettura. E tuttora leggo molto.

Dopo varie traversie, mi sono trovata in questo carcere e la cosa che più odiavo era la mancanza di qualsiasi attività che mi permettesse di occupare il tempo. Finalmente, tre anni fa, anche nelle sezioni femminili è arrivato il Progetto Sirio. Quando c’è stata la presentazione, con tutte quelle ore e materie, mi è venuto un colpo. Chissà se ce l’avrei fatta, dopo più di vent’anni ? Mi sono detta: "Ci provo!" Forse la matematica non sarebbe più stata così ostica come tanti anni fa. Il corso è iniziato e la mia vita qui dentro è cambiata. Avevo finalmente uno stimolo per svegliarmi la mattina, andare in classe e riprendere in mano quei libri che ho sempre amato e odiato.

Ho incominciato a capire che niente era difficile perché, se avevo dei dubbi, potevo chiedere chiarimenti. La mia mente, fino a ieri chiusa fra quattro mura, si è riaperta, ha scoperto il piacere di sapere, di capire. Ho incominciato ad apprezzare il lavoro svolto dalle professoresse e comprendere che lo fanno per amore, non come semplice lavoro. Ho avuto la possibilità di confrontarmi con loro, ridendo, piangendo e arrabbiandomi, se prendevo un brutto voto, e posso assicurarvi che l’ho preso, ma questo mi ha stimolata di più.

Abbiamo la fortuna di avere qui in carcere chi ci dedica del tempo, abbiamo la possibilità di migliorarci studiando, e dobbiamo capire che non è mai troppo tardi per imparare. Per questo, vedere tante compagne che non vogliono impegnarsi con la scuola, quando ne avrebbero bisogno, mi fa star male.

Ho provato a far loro capire cosa vuol dire conoscere il senso delle parole, saper coniugare correttamente i verbi, essere padroni della lingua, saper scrivere una lettera senza errori, ma sembra un argomento tabù. Molte preferiscono stare in cella, buttate sul letto a pensare ai soliti problemi: avvocato, tribunale, processo, assoluzione o condanna? Vorrei, ma la mia è pura utopia, che la scuola in carcere fosse obbligatoria perché fa parte delle attività di reinserimento. E quale modo migliore per riprendere in mano la propria vita, prendendo coscienza degli errori commessi ? Perché la scuola insegna anche questo.

Ma la cosa più bella per me oggi è che, quando mi chiedono che scuola sto frequentando, io, con immenso orgoglio rispondo : "Terza ragioneria", ma vorrei poter dire: "Diplomata". Tranquilli, arriverò a quel traguardo, quella è la mia meta. Oh, dimenticavo, la matematica è stupenda! Gabriella

 

Affetto vissuto sulle scene teatrali. Ricordi... sotto la pelle

 

Capita, a volte, di mettersi in viaggio e di non sapere davvero a cosa e a chi stiamo andando incontro. Lo fai in parte per curiosità, in parte per seguire degli ideali, e anche semplicemente per fare un favore ad un amico che ti dice di aver bisogno di una mano per il laboratorio di teatro che da qualche mese tiene all’interno della Casa Circondariale della città. Ripensare oggi a quello che ho provato quando sono arrivata per la prima volta in Via Gravellona 240, è una bella sfida!

Era maggio, ricordo i discorsi di Davide (regista teatrale n.d.r.), ricordo il sole, il fresco del teatro, ricordo le timide strette di mano degli "aspiranti attori" della Sesta Sezione, ricordo il "racconto" fatto fuori da lì, di quello che avevo visto "dentro", ricordo l’entusiasmo e l’energia di tutti. Poi, in due anni, i ricordi si accavallano: le battute, gli scherzi, i momenti di pigrizia, le discussioni, gli intoppi burocratici e non, i saluti e gli addii, gente che va e gente che si inserisce, ricordo l’accoglienza fatta a Fabio, il mio compagno, ricordo gli applausi sul palco, le sudate, gli errori, ricordo le canzoni, i riti le lacrime del "dietro le quinte", ricordo i momenti "no" di ciascuno e ricordo lo spirito con cui ognuno ha cercato di mettere il meglio di sé nel laboratorio.

Tutto ciò è stato più che uno dei tanti momenti da inserire nella storia dei rapporti tra Carcere e Territorio: sì, perché il progetto dentro al quale ci siamo mossi è servito anche a questo, a sensibilizzare la popolazione "fuori" alla realtà che c’è "dentro". Ma vivere questa esperienza con i ragazzi della Sesta non può essere del tutto spiegato dal video degli spettacoli o dalle fotografie, dagli articoli sui giornali o dalle parole di nessuna autorità. C’è qualcosa che è entrato sotto la pelle, c’è qualcosa di ognuno di loro che mi sono portata "fuori", e che spero un giorno di poter restituire... fuori. Monica Fabbiani

 

Riflessioni attorno alla religione cristiana

 

Dio, uomo come noi

 

Da sempre condivido l’affermazione che la rivoluzione di Gesù di Nazareth sia stato un evento epocale che ha segnato la storia dell’umanità.

Che bello, finalmente, avere un Dio che perdona, al posto di un Dio despota e castigatore. Un Dio che sottoponeva il suo popolo a durissimi esami, che chiedeva ad un padre di sacrificare suo figlio per testimoniargli la propria fede, per poi, naturalmente, fermarlo al momento conclusivo.

Che bello avere un Dio che vive come noi, in mezzo a noi, che soffre come noi, che per noi si sacrifica e muore. Un Dio che parla con tutti, s’interessa a tutti e che, infine, per noi rinuncia alla propria salvezza e si immola per dimostrarci il Suo amore. Non ci chiede niente, ci dà unicamente alcuni consigli per poter essere nel giusto, per avere la coscienza pulita, per vivere in armonia con i nostri simili, "fratelli", come Lui ci insegna a chiamarli. Gesù con la sua rivoluzione ci ha lasciati con molti insegnamenti. Tra i tanti voglio soffermarmi su quattro punti, che ritengo siano fondamentali per la nostra esistenza, i quattro muri portanti che sostengono il tetto della fede, tetto che ci consente di essere protetti e ci procura la serenità interiore.

Il primo muro Gesù lo edifica con l’affermazione: "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio...." . Una stupenda separazione tra gli affari di stato e quelli spirituali ci invita al rispetto delle regole civili imposte dai governanti, e, al contempo, delle Sue regole. Insomma, una convivenza felice tra il vivere civile e il mantenimento delle proprie convinzioni religiose, in armonia e dialogo.

Il secondo muro è cementato dalla Sua riflessione: "Chi è senza peccato scagli la prima pietra...". Con ciò ci invita alla meditazione, prima di emettere un giudizio o compiere un’azione. Ci invita a concedere sempre al prossimo una nuova opportunità, ma soprattutto a saper ascoltare gli altri, ascoltarli con attenzione, con partecipazione, con trasporto.

Il terzo muro portante si costruisce sulle parole: "Tu sei Pietro, e su questa pietra io fonderò la mia chiesa...". Qui Gesù ci invita al rispetto del nostro corpo perché in esso è contenuto il Suo tempio, l’anima o la nostra divinità. Non dobbiamo danneggiarlo, anzi dobbiamo mantenerlo efficiente, funzionale, perché una chiesa deve essere bella, deve poter donare serenità ed ispirare sentimenti positivi.

Gesù ci avvisa dello squallore e del decadimento in cui ci trascineranno la droga e l’alcolismo, vizi che rendono il tempio che è in noi brutto, sfasciato, sporco ed un edificio in queste condizioni non è certamente piacevole e, solitamente, viene abbandonato.

Il quarto muro, l’ultimo, il più importante è che Gesù ci dona il libero arbitrio. Significa che Lui ci consente di scegliere autonomamente, e anche di sbagliare. Ricordate la parabola del figliol prodigo? Di quel figlio che chiede ed ottiene dal padre la sua parte di eredità, si allontana da lui e la sperpera tutta in vizi, per poi, disperato, ritornare a casa dove il padre lo accoglie e lo perdona.

Gesù ci concede di sperimentare le nostre scelte, per poterne ricavare esperienze che ci possano riavvicinare ai suoi insegnamenti. Lui ci perdona in anticipo perché vuole che facciamo tesoro delle nostre incredulità, le nostre titubanze e indecisioni, Gesù è saggio, vede tutto e conosce tutto, eppure ci vuole al suo fianco.

Come si può non essere affascinati da questo uomo, da questo Dio e dalle Sue idee? Come non essere affascinati dalla Sua visione della vita? In Lui tutto è bellissimo, tutto risplende, tutto è estremamente semplice e logico.

Gesù ama la perfezione e l’armonia ed è il miglior compagno di viaggio per ognuno, con lui accanto non esistono strade impercorribili. Per queste considerazioni lo reputo unico e mi riconosco nella sua Parola. Sì, anch’io sono un cristiano. Gianpiero P.

 

"Avene selvatiche", di Alessandro Preiser

 

La Milano degli anni Settanta, vista dagli occhi di un protagonista. Ho letto il libro di un nostro ex studente che si firma con lo pseudonimo Alessandro Preiser, il titolo è Avene selvatiche (edito da Marsilio), il costo 15 euro, ma lo si può trovare anche in rete.

Attraverso la storia di un gruppo di sanbabilini, ci dà uno spaccato della Milano di quegli anni ‘70 che, come dice Claudio Magris nella sua recensione, "sono labili e selvaggi in un impasto intrigante di violenza, droga e sesso che finiscono per risucchiare il giovane protagonista e bruciare la sua vita". Eurialo è un adolescente bello e carismatico che pensa soltanto alle ragazze e alla moto. Con gli studenti non fa mistero di "non essere un compagno", ma questo ne fa automaticamente un "fascio". Del tutto casualmente si avvicina al gruppo dei sanbabilini, di cui diventa in qualche modo il leader. Piccolo grande eroe, Eurialo è l’emblema dell’impulso giovanile ad agire per compiere qualcosa di grande, quell’impulso cui molti giovani finiscono per soccombere, inebriati dalla propria euforia, commettendo azioni contrarie alla legge e ad ogni buon diritto.

È un libro dalle tinte forti ma bello, intenso e coinvolgente nel realistico affresco di un tempo vissuto, nel racconto di episodi che sono cronaca di quegli anni, conosciuti in prima persona dall’autore, ragazzo poco più che adolescente. Travolto da una concatenazione di eventi, errori, debolezze, ha pagato con la detenzione gli sbagli commessi bruciando, al pari di Eurialo, oltre che la sua gioventù anche gran parte della sua vita.

L’architettura del libro è ben costruita e il narratore sa far convivere due registri linguistici completamente differenti: quello scurrile, nei dialoghi dei giovani e l’altro, quello delle descrizioni, dove la prosa è bella e ricca di termini inusualissimi e accurati.

La ricercatezza di termini desueti o di altri del tutto nuovi, l’uso di un gergo specifico lontano dallo scrivere comune, l’invenzione di parole costruite sull’etimo greco, il ridondante uso dell’elisione davanti alle vocali, piacciono a chi vi sente il fascino di un linguaggio personalissimo ed originale, ma possono altresì rendere difficile la lettura.

L’intrusione del narratore come espediente narratologico, le citazioni in varie lingue straniere e molti altri elementi ancora dimostrano, però, come l’autore sia persona di sicura cultura e raffinatezza.

La ricercatezza stilistica, la forma manierata e un po’ leziosa, denotano forse il suo sentirsi un po’ fuori da questo mondo e da questo tempo, quasi volesse recuperare la signorilità ed il controllo di un’educazione in cui era pur cresciuto e che, a suo tempo, ha rifiutato.

Il racconto non vuole dare giudizi, ma trasmettere una realtà che, seppur a tratti romanzata, riesce a far conoscere il disastro delle vite di quei giovani che li ha portati, in quegli anni, a perdersi nella violenza. Luisa Mirabelli

 

Voglia di ricominciare

 

Fu nel mese di novembre che, a seguito di un’iniziativa del settore cultura del Comune di Vigevano, mi recai ai Piccolini, per presentare un’antologia redatta sotto la supervisione di Jadelin Gangbo, scrittore congolese, nonché vero esempio di cosmopolita ( in patria chiamato "l’Italiano", in Italia "l’Africano").

Alla presentazione era presente la sezione femminile del carcere, che ringrazio di cuore per aver dimostrato un vero e sincero interesse al momento della lettura dei racconti.

Chiunque non sia mai stato"dentro" vede gli "inquilini " di questa struttura con occhio malfidente, come se coloro che stanno lì dentro fossero creature per certi aspetti diverse. Al contrario, ho trovato ragazze e donne consapevoli dei loro sbagli, come può accadere a chiunque altro, e sono stato costretto a correggere la mia stessa visione delle cose.

Parlando con una detenuta, ho capito in modo ancora più evidente quanto queste donne siano identiche alle donne del mondo esterno. La prima cosa che disse, dopo avermi chiesto un parere sull’esperienza, fu: " Ho capito di aver sbagliato. La permanenza in carcere mi ha dato il tempo di fermarmi e riflettere su cose sulle quali fuori di qui non avrei mai potuto meditare a causa del grande fiume in piena della vita che mi ha travolto. Ho scontato tre anni e sei mesi, tra tre mesi sarò fuori e mi sposerò". Sono persone come noi, con storie difficili alle spalle, che non cercano compassione né empatia. Cercano solo una vita normale fuori da queste mura. Luca Rinaldi (studente Istituto "Casale")

 

L’angolo delle emozioni

 

Luce

 

In questa cella senza colori

tu sei lo spiraglio per me,

rappresenti tutti i colori.

Più volte guardo fuori

attraverso le sbarre

che impediscono la luce completa...

Più volte mi chiedo quando arriverà

il giorno in cui potrò rivedere

nella loro completezza

i colori più veri.

Troppi anni sono trascorsi...

ormai vedo tutto offuscato.

Ho perso non solo la libertà...

Quando tornerò a vivere?

 

Carla R.

 

Tu ed io

 

Sai quanto mi piace

parlarti cuore a cuore.

Ciò che più mi manca

è stare con te,

faccia a faccia,

fianco a fianco.

Molte volte

il mio pensiero

vola da te. Ma quando

potrò finalmente

vederti e abbracciarti?

Poi chiudo gli occhi,

ti immagino accanto a me

e subito il mio cuore

si riempie di gioia.

Non vedo l’ora

di stringerti

forte a me,

guardarti negli occhi,

i tuoi bellissimi occhi,

e dirti quanto

ti amo.

 

Michele L.

 

Ti cercavo

 

Guardandoti, ti sognavo

Sfiorandoti, ti accarezzavo

Adesso sento la tua voce

Tutto è lontano irreale, quando

avrei bisogno di ciò che non c’è,

di ciò che mi appare sempre più distante...

Ti sorrido, ma non riesco ad avvicinarmi

Non ti vedo: dove sono quegli occhi

profondi che cercano i miei?

Dove sei, libertà? Arriva presto per

unire i nostri cuori per sempre.

 

Michele L.

 

Basta poco per cambiare il corso del destino

 

Non ti amo più!

Starei dicendo una bugia se ti dicessi:

ti voglio, come sempre ti ho voluto;

sono certa

che niente è stato invano,

sento dentro di me

che tu non significhi niente;

non potrei mai dire

alimento un grande amore;

provo sempre più

che ti dimenticherò

e mai userò la frase

io ti amo!

Devo dirti la verità:

ormai è troppo tardi.

 

Ora, rileggi il testo, ma iniziando dall’ultima riga fino su in cima.

 

Janaina Z. R.

 

Le migliori parole per te

 

Se non ti avessi non so cosa farei, perché con te io ho così tanta dolcezza, felicità e amore. Tu sei una rara combinazione di così tante cose speciali. Mi porti sensazioni che non conoscono limiti e sorrisi che non svaniscono mai. Tu sei ogni giorno parte della mia vita, sia che sei abbastanza vicino, sia che sei lontano da tutto, ma non dai miei sogni e dalle mie speranze.

In ogni cosa, la mia vita sembrava che ti stesse aspettando, affinché tu giungessi qui. Voglio che tu sappia che non sono mai stata così felice.

Ti amo perché mi capisci, come solo tu sai fare, e ti preoccupi per me. Hai creato cambiamenti duraturi nella mia vita e nel modo in cui vorrei che fosse il domani.

Mi hai dato il coraggio di esprimere cosa sento dentro. Abbiamo condiviso pensieri che ci hanno portato ad essere uniti, da ora fino alla fine dei tempi. Il nostro amore è un dono che esisterà per sempre. Grazie, amore, per essere mio. Grazie per amarmi.

 

Glenda B.

 

Traduzione dall’originale inglese

 

Dedicato a suor Diletta. Uno strumento nelle mani di Dio

 

In realtà, è molto difficile stare ancora qui in prigione; se non ci sono mani caritatevoli è peggio ancora! Alcune persone sono fortunate ad avere qualcuno che si prenda cura di loro, ma altre non hanno nessuno, da nessuna parte, specialmente noi stranieri. Siamo molto lontani da casa, non abbiamo nessuno tranne Dio e Dio non scende certo dal Cielo per aiutarci. Ma Egli manda sempre qualcuno e la persona che ha mandato qui, in via Gravellona, è Suor Diletta.

Suor Diletta, noi non sappiamo come ringraziarti per tutto il meraviglioso e divino lavoro che fai per noi in Via Gravellona, 240; non sappiamo trovare le parole e non sappiamo dirti come ti siamo grate per il tuo aiuto, morale e materiale. Non ci fai mancare nulla, non lasci che soffriamo il freddo o il caldo, non ci lasci camminare a piedi nudi, non ci lasci senza abiti e fai sì che molte di noi imparino ad occupare il loro tempo in cella.

Ci consigli sempre, ci dai coraggio e ci aiuti a essere forti nella fede. Asciughi sempre le nostre lacrime e ci dai una speranza per vivere.

Suor Diletta, non sai quanto vali; sembra che noi non siamo grate, invece lo siamo molto per ogni cosa che fai per noi. Lunga vita a Suor Diletta! Noi ti ringraziamo di tutto e ringraziamo Dio che sei qui! Lasciate che approfitti di quest’occasione per ringraziare tutti i sacerdoti e le suore che lavorano per la Caritas, per il bene di ognuno di noi qui: Don Florindo, Suor Sabrina, Suor Emma, in breve tutti i volontari della Caritas. Ringraziamo ciascuno di voi per tutte le cose magnifiche che fate per noi. Lunga vita a tutti!

 

Ola R.

 

Miracolo d’amore

 

L’Amore è un prezioso miracolo, un dono di Dio dentro al nostro cuore. Nessuno ne capisce la profondità, come cominci, né quando, né dove. Il 14 febbraio 2005 è stato un giorno speciale anche qui in prigione. Mentre tutti gli innamorati del mondo stavano festeggiando il giorno di S. Valentino, anche qui è stata celebrata una cerimonia nuziale, tra un uomo della sezione Protetti e una donna dell’Alta Sicurezza. I due innamorati hanno voluto che fosse celebrata proprio in questo giorno. Il titolo del mio articolo è Miracolo d’amore: sì, è così, nel vero senso della parola. Anche in questo posto, e in mezzo a tutte le tristezze che dobbiamo sopportare, un miracolo d’ amore può capitare. Congratulazioni da parte di tutti noi, G. e D., e felice vita matrimoniale! Spero che Dio, che ha provveduto alla vostra felicità, vi porti anche alla libertà. I miracoli sono ancora possibili in questo tempo e in questo luogo: tra di voi è successo e noi tutti ne siamo testimoni.

 

O.R.

 

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