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Il Sestante - Giornale dalla Casa Circondariale di Vigevano Anno 1, numero 3: ottobre – dicembre 2004
Sommario
Il Natale significa prevalentemente speranza e pacificazione. È il periodo dell’anno in cui avvertiamo con maggior intensità la privazione della libertà ma, benché sia difficile, dobbiamo sforzarci di accantonare i problemi e vivere questo momento con la consapevolezza di attraversare una fase faticosa, in cui però il tempo non trascorre invano perché dobbiamo trovare la forza per rinascere a vita nuova. La famiglia e gli affetti rappresentano quei valori che devono farci riflettere sul senso delle scelte compiute per capire l’importanza del cambiamento. Il Natale è pace. Abbiamo bisogno di pace e di sentirci bene con noi stessi? Indubbiamente sì. Questa pace non può donarcela nessuno, dobbiamo costruirla in noi, attorno a noi, sentendoci responsabili nel luogo in cui viviamo, anche qualora avvertiamo la presenza di forze destabilizzanti. La pace si costruisce. Tutti devono concorrere a realizzarla: saper fare un "passo indietro"non è un atto di debolezza, anzi è il consolidamento di una forza interiore. Il Natale è speranza. La speranza di un mondo migliore e, per noi detenuti, di una condizione di vita migliore, che si può raggiungere se le persone vogliono cambiare. È la richiesta che rivolgiamo con forza alle figure istituzionali, non dimenticando però che per ottenere un risultato, innanzitutto, noi dobbiamo fare la nostra parte. Il bilancio dell’anno che si sta per chiudere porta con sé la soddisfazione di aver visto nascere qualcosa che mira concretamente al reinserimento del detenuto. Il Coordinamento carcere-territorio è finalmente una struttura operativa: l’obiettivo è stato raggiunto grazie alla caparbietà d’alcune persone che hanno creduto nel progetto. Il risultato ottenuto non deve tuttavia farci "vivere sugli allori"; consideriamolo un importante punto di partenza attraverso cui dare impulso ad un sistema spesso incapace di trovare stimoli e soluzioni ai molteplici problemi esistenti in questo come in tanti altri istituti penitenziari. Per restare in tema natalizio, abbiamo cercato in questo numero di trattare argomenti "leggeri"(non particolarmente spinosi) e anche il formato (numero delle pagine), visti i tempi ristretti dall’ultima pubblicazione, è stato ridimensionato. Nell’augurare ad ognuno di voi e alle vostre famiglie un Buon Natale e Felice Anno Nuovo, rinnovo l’invito a scrivere e a dare un contributo fattivo. L’uscita del giornalino come inserto su alcune testate locali: l’ Informatore, l’Araldo, la Barriera - deve diventare uno stimolo per tutti, poiché l’occasione di far sentire la nostra voce è un’opportunità non sempre ripetibile, che non dobbiamo lasciarci sfuggire.
Italo Franco Greco
Per far fronte al problema della casa, divenuto negli ultimi anni sempre più drammatico e urgente per le fasce disagiate della popolazione, sabato 13 novembre è stato presentato nella frazione Casoni di Sant’Albino (Comune di Mortara) il progetto "Il Cortile", voluto dalla Caritas Diocesana, con l’aiuto finanziario della Fondazione Cariplo e della Regione Lombardia. Il progetto consiste nel mettere a disposizione otto microalloggi (ciascuno con due posti letto), a tempo determinato, da destinare alle cosiddette fasce deboli della popolazione, tra cui sono stati presi in considerazione anche i detenuti. Il tutto nella prospettiva di agevolare il loro reinserimento nel contesto sociale e territoriale. La struttura è un lascito di Mons. Sante Portaluppi, Vescovo e Nunzio Apostolico, all’associazione CAV di Mortara, inizialmente per farci una scuola materna e solo successivamente destinato a questo progetto di housing sociale. Certamente è stato compiuto un piccolo passo nella risoluzione di un problema di non indifferente portata, un qualcosa che, per una volta, è andato aldilà delle parole. La Caritas vuole, comunque, andare oltre il problema della casa, in quanto occorre costruire percorsi complessivi di reintegrazione nel contesto sociale; percorsi che riguardano ricerca del lavoro, supporto psico-educativo, riavvicinamento alla famiglia. I destinatari del progetto "Il Cortile" sono solo uomini (eccezionalmente con moglie), con le seguenti caratteristiche: - persone che vivono in una condizione di disadattamento sociale, di indigenza e di emarginazione. - Ex detenuti in cerca di sistemazione abitativa e lavorativa. - Detenuti in misura alternativa e in permesso premio. - Parenti di detenuti in permesso premio o familiari degli ospiti della casa. Sono esclusi tossicodipendenti in trattamento metadonico a scalare e persone prive di permesso di soggiorno. Gli alloggi verranno concessi, ad un costo ridotto, per un periodo di sei mesi rinnovabili per altri sei in modo che le persone che ne usufruiscono, nel frattempo, trovino una sistemazione definitiva che permetta loro di raggiungere una certa autonomia personale, abitativa e lavorativa. La segnalazione per poter essere inseriti nel progetto avverrà tramite il Centro di Ascolto Diocesano Don Tarcisio Comelli o tramite gli operatori del Progetto Alter-Nativa (che pure fanno capo alla Caritas), che si avvarranno anche del supporto di altri servizi (Servizi Sociali, Amministrazione Penitenziaria, Ser.D.); inoltre, chi sarà interessato potrà fare richiesta per un eventuale inserimento. Si effettueranno, poi, una serie di colloqui per valutare l’idoneità della persona. Si strutturerà, infine, un progetto di intervento individualizzato, che dovrà, naturalmente, essere condiviso da colui che ne usufruirà tramite un accordo scritto. Inoltre, come già detto, sono previsti aiuto per la ricerca di un lavoro, riavvicinamento dei familiari, supporto psicologico, invio al Ser.D per il controllo delle urine in caso di ex-tossicodipendenti d’esecuzione delle prescrizioni del Magistrato di Sorveglianza per detenuti in misura alternativa o in permesso premio. Gli operatori effettueranno colloqui periodici di verifica del percorso con l’interessato, oltre che colloqui psicologici di sostegno, e si avvarranno della facoltà di prendere provvedimenti, fino all’espulsione dalla casa, qualora non vengano rispettate le condizioni dell’accordo e il regolamento. Procederanno, in questi casi, con una segnalazione al CSSA o al Ser.D. Al termine del progetto sarà ipotizzabile un rinnovo dell’accordo solamente in base a giustificate motivazioni. In caso di detenuti in permesso premio o in misura alternativa, al termine del progetto, verrà stesa una relazione sull’andamento del percorso da presentare all’Amministrazione Penitenziaria.
Marco Malugani
Volentieri desidero inserirmi nelle pagine de "Il Sestante", periodico che vuole essere punto d’incontro tra la Casa Circondariale dei Piccolini e tutto il territorio. Mi inserisco come "semplice cittadino" (come si legge nell’articolo di avvio del primo numero), ma anche come Pastore, consapevole che gli ospiti del "Piccolini" appartengono al gregge affidatomi dal Signore. Quando vado a far visita in una parrocchia mi piace, prima di parlare, soprattutto ascoltare e incontrare. Ascoltare la voce della gente, le domande, i bisogni di ciascuno, le attese, i problemi e incontrare le persone, nella quotidianità della loro vita, incontrare le famiglie, i giovani, i bambini, le persone malate…. Con quest’atteggiamento desidero accompagnare questo mio contributo per "Il Sestante". Vorrei, cari amici, ascoltare le vostre idee, i vostri problemi, le vostre domande e desidero soprattutto incontrarvi. Non sono mancate e non mancheranno occasioni d’incontro, come la celebrazione delle S. Messe nella vostra cappella per alcune particolari festività o alcuni spettacoli teatrali che hanno visto protagonisti proprio gli stessi detenuti. Ma le pagine di un giornale offrono l’occasione di un incontro diverso e tutto originale. È l’incontro delle idee, delle testimonianze. L’incontro di chi vuole comunicare e, nello stesso tempo, partecipare ad un "areopago", nel quale ciascuno si esprime con le proprie idee e i propri contributi anche di carattere culturale. Dice bene l’editoriale del primo numero del vostro giornale, definendolo"un punto d’incontro di chi gravita intorno alla realtà penitenziaria e di chi vuole esprimere pareri o giudizi relativamente a questo argomento". Per questo mi sembra molto utile ed interessante l’iniziativa di un giornale e mi piace che diverse istituzioni del territorio si siano rese disponibili per stamparlo e per divulgarlo tra la gente. Le pagine de "Il Sestante" certamente riescono, in questo senso, ad oltrepassare le porte e le "sbarre" di un carcere, per offrire un punto d’incontro che serve al bene di tutti, dentro e fuori dello stesso carcere. Auguro a "Il Sestante" di saper sempre rispondere a quest’importante e delicato compito e auguro che abbia non solo tanti lettori, ma anche tanti scrittori. Così saprà veramente coinvolgere tante realtà. Come Vescovo desidero portare un contributo di serenità e di speranza, assicurando un particolare ricordo per tutti voi, cari amici del "Piccolini", per le vostre famiglie, per le vostre giuste attese di giustizia e di serenità. Il mio ricordo sarà soprattutto nella preghiera e, nella vicinanza del S. Natale, mi piace indirizzarvi i migliori auguri, per voi e per le vostre famiglie, perché Gesù che nasce nella grande famiglia degli uomini possa nascere nel cuore di ciascuno e portare una nuove realtà di pace, di giustizia, di serenità. Con il mio augurio e la mia preghiera giunga a voi la mia più ampia e sincera benedizione.
Mons. Claudio Baggini, Vescovo di Vigevano
Risponde Giovanni Ardizzone Ispettore capo dell’Istituto dei Piccolini
Comandante, può tracciare un quadro generale sulla situazione in quest’istituto? L’istituto nella sua complessità si presenta sostanzialmente buono. Basti pensare che tutto viene curato nei minimi particolari, certo tutto è soggetto a miglioramenti e credo che questo istituto sia nell’ottica e nella mentalità giusta. Da sempre si è messo in discussione rapportandosi con tutte le realtà, cercando e spesso trovando soluzioni. Si pensi ad esempio alle innumerevoli attività che trovano come destinatari proprio voi utenti. In questi ultimi anni credo che si sia cresciuti sotto il profilo culturale, sempre più spesso pervengono richieste di corsi e sempre più spesso trovano risposte positive. Il Signor Direttore si è da subito mostrato sensibile e favorevole allo sviluppo e alla crescita delle attività.
Dove il lavoro da Lei svolto presenta maggiori criticità? La struttura non sempre si presta alle esigenze a cui prima facevo riferimento; tuttavia alcune attività vengono assicurate con grande senso di responsabilità da parte di tutti, voi, noi, gli operatori volontari, gli educatori. Per citare un esempio, alcune delle salette adibite alla socialità sono utilizzate per i corsi di computer; questo permette di stare al passo con i tempi, il mondo "corre" e, se non ci si adegua, si rischia di rimanere troppo indietro.
È possibile migliorare l’interazione tra area sicurezza e trattamentale? Credo che migliorarsi sia sempre possibile, se così non fosse non ci sarebbe stata "evoluzione", certi progressi sono lenti ma costanti. Per rispondere alla sua domanda, l’area trattamentale e l’area sicurezza hanno un’ ottima intesa, basti pensare che tutte le attività vengono concordate trovando sempre un ampio consenso, da ambo i lati.
Sta lavorando su alcune problematiche in particolare ? Da sempre sono stato abituato a cercare di risolvere i problemi via via che si sono presentati, spesso intervenendo con successo. Al momento mi viene in mente, per esempio, che c’è allo studio con il Signor Direttore la volontà di portare parte dell’area trattamentale (mi riferisco agli agenti che collaborano con gli educatori) all’interno dell’area detentiva; questo permetterebbe agli utenti risposte più celeri ed interventi mirati, riducendo così i tempi di attesa.
È informato sull’ istituzione del comitato Carcere - Territorio? Quali i suoi suggerimenti? Il Coordinamento Carcere –Territorio rappresenta un passo in avanti rispetto al vecchio modo di concepire il carcere. Iniziativa voluta da tutti, che ha visto impegnato in prima linea il Direttore di questo istituto, che ha speso non poche ore di lavoro insieme alle altre figure istituzionali. Anche su questo tema, il confronto con gli altri, il non sentirsi diversi o peggio emarginati, è un elemento in più per crescere ed avviarsi alla risocializzazione, obiettivo prefissato da tutti. Tuttavia, lo scopo è quello di " essere e sentirsi" parte del territorio e non un’appendice di esso. È proprio in funzione di questo che, per esempio, stiamo valutando con il Signor Direttore l’opportunità di aprire uno sportello del Comune proprio per permettere agli utenti di entrare direttamente in contatto con gli organi preposti, snellendo l’iter burocratico.
È possibile avere un interlocutore unico (un agente) con il compito di dare risposte certe ed esaurienti alle domandine (mod. 393)? Si potrebbe risolvere anche il problema della "Matricola", non sempre tempestiva a chiamare i detenuti. Le innumerevoli istanze poste dalla popolazione detenuta, proprio per le sue diversità nonché per il cospicuo numero, non possono trovare soluzione nel destinare a tale incarico una sola unità. Si consideri il giusto iter che le istanze obbligatoriamente debbono eseguire. Mi trovo concorde tuttavia nel dare chiare risposte in tempi ragionevoli. Credo che questo avvenga già. Per quanto concerne l’ufficio matricola, non mi pare che vi siano stati ritardi tali da creare disfunzioni, ad oggi nulla mi è pervenuto. Ad ogni buon conto, proprio recentemente è stata aggiunta un’altra unità nel suddetto ufficio.
La Redazione
Ramadan, digiuno e purificazione
Si tratta di un mese dedicato a Dio durante il quale si digiuna fino al calar del sole e si fa l’unico pasto del mattino prima che il sole sorga. Si tratta di digiuno completo anche senza assunzione di bevande. Il significato è la purificazione e anche il conoscere l’esperienza di chi soffre la fame nel mondo perché non possiede nulla da mangiare. È un mese di profonda religiosità durante il quale, pregando, si ringrazia Dio per tutte le cose che ci sono state date da Lui. Alla fine del mese, la notte sacra del 27° giorno, chiamata in arabo "lailat el kadr", è speciale per la lettura del Corano; si prega tutta la notte e questa preghiera notturna vale come mille mesi di preghiere. L’ultimo giorno, chiamato "zakat el fetr", è dedicato alla beneficenza, si offrono soldi e cibo a chi ne ha bisogno. Alla fine del Ramadan si fa la preghiera insieme e, al mattino, si fa visita ai parenti, ci si scambiano auguri, si fa conversazione, si pranza e si cena insieme, si offrono regali ai bambini, soprattutto vestiti nuovi; poveri e ricchi sono coinvolti e contenti. O voi che credete! V’è prescritto il digiuno, come fu prescritto a coloro che furono prima di voi, nella speranza che voi possiate divenire timorati di Dio, per un numero determinato di giorni; ma chi di voi è malato o si trovi in viaggio, digiunerà in seguito per altrettanti giorni […]. È il mese di Ramadan il mese in cui fu rivelato il Corano come guida per gli uomini e prova chiara ( "furgan" ), non appena ne vedete la luna nuova, digiunate per tutto quel mese. Iddio desidera agio per voi, non disagio, e vuole che compiate il numero dei giorni e che glorifichiate Iddio, perché vi ha guidato sulla retta via, nella speranza che Gli siate grati. ( 2:183-185 ). V’è permesso, nelle notti del mese del digiuno, d’accostarvi alle vostre donne: esse sono una veste per voi e voi una veste per loro. Iddio sapeva che voi ingannavate voi stessi [ su questo argomento ], e s’è rivolto con misericordia su di voi, condonandovi quel rigore; pertanto ora giacetevi pure con loro e desiderate liberamente quel che Dio vi ha concesso [ i figli ], bevete e mangiate fino a quell’ora dell’alba in cui potrete distinguere un filo bianco da un filo nero, poi compite il digiuno fino alla notte e non giacetevi con le vostre donne, ma ritiratevi in preghiera nei luoghi d’orazione (2:187).
Come si vive il Ramadan in carcere
Prima di parlare della differenza tra Ramadan dentro e fuori- dice l’Imam Mohamed - dobbiamo dire che il carcere è un posto che chiude la mente, è un posto di punizione che toglie la libertà. I detenuti si dividono in quelli che lo sopportano meglio e quelli a cui il carcere pesa molto per problemi personali o familiari. Eppure Maometto dice che devi portare pazienza e sopportare ogni disgrazia che ti cade addosso e tutto quello che Dio ha destinato a te. Quindi dobbiamo confidare in Dio, seguire la parola sua e del suo profeta Maometto in qualsiasi posto, dentro e fuori. È vero che quando facciamo Ramadan in carcere siamo lontani dalla nostra famiglia e dalla nostra gente, non abbiamo i piatti tradizionali e non ci possiamo poi ritrovare in moschea con gli altri musulmani, però, in compenso, in carcere siamo lontani dai peccati della vita di ogni giorno. Qui rafforziamo il carattere imparando a portare pazienza. Questa è la differenza tra i musulmani e le persone che seguono altre religioni. Invito tutti i musulmani - conclude Mohamed - che hanno perso l’occasione di fare il Ramadan rispettandone il significato profondamente religioso, a non perderlo nei prossimi anni. Per quanto riguarda il mese di Ramadan in carcere - afferma Said - posso dire che è differente rispetto a fuori per vari motivi: prima di tutto la mancanza dei miei familiari, che sento soprattutto in concomitanza con i giorni di festa. Quando la sera inizio a mangiare, il ricordo della mia famiglia lontana mi deprime moralmente e psicologicamente togliendomi quel poco di entusiasmo utile per andare avanti. Indubbiamente preferisco la fatica di ogni giorno all’ozio a cui sono costretto e avrei voluto vivere il Ramadan con la mia famiglia e i miei amici, pregando insieme nella moschea, poiché questa è una cosa molto importante per qualsiasi persona musulmana. Noi già sentiamo il peso del carcere nei mesi normali, figuriamoci quando c’è il Ramadan o qualunque altra festa religiosa. Ma questo non vuol dire che siamo deboli, invece siamo forti e grazie a Dio ce la facciamo a resistere nonostante tutto.
La redazione
Associazione C.A.T.: chi è, cosa fa
"Che cosa fai?" chiese il piccolo principe all’ubriacone che stava in silenzio davanti a una collezione di bottiglie vuote e a una collezione di bottiglie piene. "Bevo" rispose, in modo lugubre, l’ubriacone. "Perché bevi?" domandò il piccolo principe. "Per dimenticare" rispose l’ubriacone. "Per dimenticare che cosa?" si informò il piccolo principe che cominciava già a compiangerlo. "Per dimenticare che ho vergogna" confessò l’ubriacone abbassando la testa. "Vergogna di che cosa?" insisteva il piccolo principe che voleva aiutarlo. "Vergogna di bere"… (da "Il piccolo principe" di Antoine de Saint Exupéry) La formazione del primo C.A.T. (Club Alcolisti in Trattamento) nella Casa Circondariale di Vigevano è avvenuta nel 1999 per interessamento della stessa Direzione, preoccupata delle tensioni frequenti che accadevano, nelle varie sezioni, tra detenuti e agenti e tra gli stessi detenuti, tensioni accentuate e rese, talvolta, drammatiche a causa anche dell’elevato consumo di alcool da parte di alcuni reclusi. L’obiettivo che si poneva la Direzione, e che consegnava alla nostra opera, era quella di ridurre il numero di coloro che avevano una forte e persistente dipendenza dall’alcool. Dal ‘99 ad oggi il C.A.T. che opera all’interno del carcere, oltre a proseguire nell’attività dei gruppi di auto-aiuto, ha dato vita a diverse iniziative: tre corsi di sensibilizzazione sui problemi alcool-correlati rivolti rispettivamente alle sezioni maschili, femminili, al personale penitenziario e ai volontari; un lavoro di rete per agevolare la collaborazione tra i diversi soggetti che si occupano delle problematiche legate alla detenzione (Ser.T., Caritas, Associazione Dialogo ed altri);collaborazione alla costituzione e membro del Coordinamento Carcere e Territorio. Il gruppo, che viene chiamato nella terminologia C.A.T. "gruppo di mutuo-aiuto", si ritrova settimanalmente ed è condotto da un operatore (servitore insegnante) con la funzione di favorire il dialogo tra i partecipanti. Esso si riunisce in circolo per dialogare sui problemi umani ed esistenziali dei partecipanti, e in modo particolare sui problemi alcool correlati; la tutela dei contenuti delle riunioni è garantita dal vincolo della segretezza. Per sintetizzare la complessa dinamica che si manifesta durante questi incontri di gruppo, si può dire che emergono, dapprima singolarmente e in seguito collettivamente, trame di vita incentrate su momenti importanti della storia di ciascuno dei partecipanti. L’incontro inizia con la lettura di un breve verbale, scritto da un detenuto volontario, sull’incontro precedente. Segue la dichiarazione dei detenuti partecipanti se si sono astenuti dal bere e da quanti giorni. Inizia quindi liberamente uno scambio di opinioni sulla settimana trascorsa. La riflessione parte quasi sempre dal presente dei detenuti, la vita di carcere, con i problemi di sofferenza e di insoddisfazione e la richiesta di aiuto e di attenzione alla salute mentale e fisica che la vita di reclusi comporta. Risulta poi facile che il discorso si allarghi dal tema della reclusione alle problematiche esistenziali di ciascuno dei partecipanti. Attraverso questo raccontarsi viene poco per volta alla luce uno spirito di solidarietà e di amicizia tra i membri del Club che darà senso e significato agli incontri. Amicizia e solidarietà che nascono dal confronto di esperienze di vita diverse, ma tutte contrassegnate dall’abuso di alcool. Tale abuso, come si evince dal loro racconto, ha avuto inizio in circostanze molto varie: la vita affettiva ed emotiva in famiglia, la cultura del bere, il tipo impulsivo di personalità, le specifiche circostanze di vita di ciascuno dei detenuti. L’obiettivo è quello di far maturare riflessivamente nei partecipanti un nuovo punto di vista su di sé e la propria storia, onde scegliere la sobrietà per vivere in modo diverso il rapporto con se stessi (prendersi cura della propria salute) e con gli altri (tra cui somma importanza hanno i familiari). Coloro che sono riusciti a scegliere e mantenere in atto la sobrietà percepiscono un miglioramento del proprio stato di salute, hanno una maggiore cura della propria persona e mostrano un rapporto meno conflittuale con i compagni di detenzione e talvolta con il personale di custodia. Speriamo di essere stati sufficientemente esaurienti nella descrizione della nostra attività e ci auguriamo che le nostre parole possano offrire uno spunto di riflessione; vi lasciamo con alcune considerazioni elaborate dalle persone che attualmente frequentano il gruppo. (Per maggiori informazioni rivolgersi a Carmen Montanari, Pasquale Izzo, Monica Talpo compilando il modulo 393).
Testimonianze dei partecipanti al gruppo
Cari amici del club, sono molto contento di aver avuto la possibilità di frequentare il CAT perché mi ha dato la possibilità di potermi allontanare dall’alcool con l’aiuto di tutti voi. Da quando cerco di non bere, vedo le cose in modo diverso e mi sento anche più tranquillo dentro. Ringrazio tutte le persone che mi aiutano a conquistare la fiducia in me stesso e la mia famiglia. D.S.
Io ho iniziato a frequentare questo corso per passare il tempo e per stare fuori dalla cella; poi ho capito l’importanza del corso e, grazie alle parole dei miei compagni e degli insegnanti, ho scoperto che la mia vita sta cambiando piano piano, ho smesso di bere; sono più tranquillo. Penso che quando una persona ha i nostri problemi di alcool, può essere aiutata veramente da questi gruppi. Ringrazio il CAT per l’aiuto ricevuto, i miei compagni e tutti i volontari che si adoperano dentro e fuori il carcere per aiutare chi ha questo problema. A.S.
Ciao miei cari amici con i miei stessi problemi di alcool e droghe, e chi può rischiare di caderci senza accorgersene e dire che tutto va bene. Oggi che ho iniziato il corso del CAT e ho trovato il coraggio di dire a tutti che ho un problema di alcool ecc., mi sento molto più sereno e non più emarginato da chi mi giudicava solo un ubriacone. Ho bisogno di un grosso aiuto per uscire fuori da questo tunnel dell’alcool e penso che, in pochi minuti di riunione con tutti, mi sono sentito non prendere la mano, ma avvolto da tante braccia, e sono sereno. Questo è il mio pensiero e la mia esperienza; spero che questo mio dire aiuti tanti come me e chi aveva paura di spogliarsi e rifugiarsi dietro un bicchiere, o meglio, una bottiglia. C.M.
Cari amici del corso, sono contento di frequentarvi; la mia vita con l’alcolismo è iniziata all’età di quindici anni e da allora non ho più smesso, tranne nel periodo in cui sono stato in comunità. Ho avuto problemi con tutti i tipi di droga. Ora sto aspettando che il Ser.T. mi inserisca in qualche comunità con un programma terapeutico. Ora ho 27 anni e devo dare un taglio alla vita scombussolata che facevo perché ho intenzione, una volta fuori di qua, di farmi una famiglia senza fare più cose illecite. Le disgrazie che sono successe nella mia famiglia non posso cambiarle perché ormai fanno parte del passato, ma spero che in futuro tutto si sistemerà; non devo pensare al passato che per me è stato come un leone che mi sbranava. B.R.
Cari amici, oggi, anche se per poco, mi è sembrato d’essere fuori da questa bruttura che è il carcere, per pochi istanti mi pareva che queste mura non ci fossero; è rinata per un istante la speranza di una vita migliore e la certezza che ci sono persone come me ingarbugliate come mosche in una ragnatela, che fanno tanti sforzi per liberarsi, ma più si agitano, più si legano. E allora, parlando, comprendo che è meglio stare calmi e seguire gli eventi come se tutto questo non stesse succedendo a me. Posso solo sperare nelle persone che mi possono dare, in questa fase della mia vita, una speranza e forza per il futuro. M.P.
In questo corso ho capito che ognuno di noi ha avuto un problema ed io penso che, restando uniti tra di noi, questi problemi si possano superare, parlandone tutti insieme, senza avere il timore o la paura che qualcuno possa giudicarci. Io ci credo, e vorrei dire agli altri: "Non scoraggiatevi" e chiedo, con tutto il rispetto, di essere coerenti e positivi nel frequentare questo corso e "vedrete che con il tempo capirete di avere fatto la cosa più giusta". M.N.
Sono felice di scrivere le mie poche righe perché più scrivo, più mi viene in mente di andare avanti senza bere, e se una persona riesce a smettere di bere nel posto in cui ci troviamo, vuole dire che possiamo smettere di fare tante cose: smettere di fumare, smettere di comportarci come ci comportavamo fuori e così via. R.G.
Cari amici del Club, un’altra settima è passata senza bere, per questo sono molto contento, perché sto dimostrando, a me stesso e alle persone che mi stanno aiutando, di essere più forte di questo veleno che si era impossessato di me. Ce la sto quasi facendo. M.G.
Case d’accoglienza. Indirizzi utili
Strutture di prima accoglienza
Casa della Carità, Via Madonna 7 dolori, 31 Vigevano Tel/Fax 0381-691173 Orari: dalle 20.00 (20.30 orario estivo) alle 7 del mattino Responsabile: Cristiano Zatti Accesso: il tesserino di ingresso viene fatto in Caritas, la permanenza è di 15 giorni rinnovabili su progetto, 10 posti letto. Casa Charmel, c/o Casa Diakonia C.so Torino, 36/B Vigevano Tel 0381-325000 Fax 0381-22666 Orari: dalle 20.00 (20.30 orario estivo) alle 7 del mattino Responsabile: Paride Ferrari Modalità d’accesso: il dormitorio accoglie solo persone con problemi di dipendenza, tramite invio da parte del Centro di Ascolto Caritas del Ser.D; la permanenza è di tre mesi, 10 posti letto.
Strutture di seconda accoglienza
Casa Samuele, V.le Artigianato, 35 Vigevano Tel 0381-346754 Orari: feriale dalle 17.00 alle 08.30; sabato e festivi apertura continuata Responsabile: Cristiano Zatti Modalità d’accesso: la struttura accoglie solo stranieri col permesso di soggiorno, la permanenza è di sei mesi rinnovabili; i colloqui di ingresso sono fatti presso il Centro di Ascolto Caritas. Casa Costanza Gregotti, Via Garibaldi, Mortara 0384-93599 Responsabile: Suor Emma Taricco Modalità d’accesso: la comunità accoglie le donne provenienti dalla tratta, donne ex detenute o detenute in permesso
Strutture di terza accoglienza
Casa Miriam, C.so Torino, 36/B Vigevano 0381-325000 Responsabile: Marta Cupellini Modalità d’accesso: la comunità accoglie donne con problemi di dipendenze con figli, i colloqui di accesso avvengono presso lo sportello del Centro di Ascolto Caritas presso il Ser.D. Casa Abramo, Via Cusago, 4 Vigevano Responsabile: Cristiano Zatti Modalità di accesso: la struttura accoglie solo stranieri provvisti di permesso di soggiorno, si paga una retta mensile di 150 euro, la permanenza è di circa un anno; l’accoglienza è riservata a coloro che seguono un progetto; i colloqui di accesso sono fatti presso la Caritas, 4 posti letto. Casa Nazareth, Via SS.Trinità, 16 Mortara 0384-295463 Responsabile: Suor Emma Taricco Modalità d’accesso: madri con bambine.
Sostegni alla locazione
Ufficio Casa - Comune di Vigevano Piazza Calzolaio d’Italia, 1 Vigevano Tel 0381-299823 Responsabile: Dr.ssa Capanna Orario: martedì e giovedì dalle 10.00 alle 13.00 Sportello Sunia- CGIL Camera del Lavoro Via Bellini, 26 Vigevano Fax 0381-78981 Tel 0381-690901 Orario: mercoledì e venerdì dalle 16.00 alle 18.30
Il Vescovo: "Un cortile per aggregare"
All’inaugurazione del complesso abitativo di Casoni di S. Albino hanno partecipato nel ruolo di relatori: Mons. Claudio Baggini vescovo di Vigevano, Giorgio Spadini sindaco di Mortara, Giovanni Azzaretti commissario della Fondazione Cariplo, suor Emma Taricco direttore della Caritas, Giancarlo Abelli, assessore della Regione Lombardia e Antonio Nastasio, provveditore regionale vicario dell’Amministrazione Penitenziaria; erano, inoltre, presenti il direttore del carcere di Vigevano Nicolò Mangraviti, autorità civili e militari, appartenenti al mondo del volontariato e comuni cittadini. Il vescovo Mons. Baggini ha sottolineato che "è stato possibile realizzare quest’opera per coloro che hanno una vita segnata da fragilità, esclusione e fatica… un nuovo stile di abitare insieme e di fare carità e solidarietà con coloro che vivono una vita di esclusione. Il cortile ci richiama a tutto ciò e in ciò ci vuole impegnare". Fra gli interventi da segnalare, inoltre, quello del provveditore vicario Nastasio, che ha dichiarato: "Al 30.06.2004, nel carcere di Vigevano, 278 detenuti che avrebbero potuto usufruire delle misure alternative non le hanno ottenute anche per la mancanza di una casa che li potesse ospitare". È un’affermazione che porta a riflettere e dà l’idea delle condizioni in cui versa la gran parte delle persone detenute. Indubbiamente è stato raggiunto un importante obiettivo, da considerare, si spera, punto di partenza per risolvere la miriade di problemi che gravitano all’interno del mondo carcerario.
Premio letterario "Emanuele Casalini"
L’ha vinto uno di noi. Il 12 novembre si è tenuta la premiazione del premio letterario "Emanuele Casalini", riservato a tutte le carceri d’Italia, presso l’auditorium della Casa Circondariale di Rebibbia (Roma). Alla manifestazione, oltre agli ospiti dello stesso istituto penitenziario sezioni maschili e femminili di media e alta sicurezza, sono intervenuti i rappresentanti della Società San Vincenzo De Paoli e dell’Università delle tre età (organizzatori del concorso), gli accompagnatori dei primi classificati per entrambe le sezioni (poesia e prosa), i parenti dei premiati, e anche figure istituzionali del comitato d’onore quali il Presidente della Camera dei Deputati Pierferdinando Casini, il Ministro della Giustizia Roberto Castelli, il Capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tinebra e il Sindaco di Roma Walter Veltroni. La cerimonia di premiazione si è svolta in un clima di partecipazione collettiva e coinvolgente, soprattutto nei momenti in cui venivano lette le opere vincitrici da parte di alcuni ospiti della casa di reclusione accompagnati al pianoforte dalla pianista Raffaela D’Esposito. Momento rilevante per la Casa Circondariale di Vigevano è stato quello della premiazione del primo classificato per la sezione prosa, Francesco Dipasquale per il racconto dal titolo "Una giornata qualunque". Il vincitore, ospite dei "Piccolini", oltre ad essere un attore teatrale della compagnia stabile "La Bottega dei sogni - Chi Balla c’è", è anche alunno della classe quinta del Progetto Sirio organizzato dall’Istituto Casale e redattore del giornale interno "Il Sestante". Il premio è stato assegnato dalla giuria presieduta da Ernesto Ferrero, direttore della Fiera Internazionale del Libro di Torino. Dopo il ritiro, il vincitore ha pubblicamente espresso i suoi ringraziamenti agli organizzatori e agli intervenuti alla manifestazione e in particolare ha espresso una profonda riconoscenza a chi ha creduto e corretto il racconto, la sua insegnante Elena. Poi, prendendo come spunto lo stesso racconto, ha voluto ricordare a tutta la platea che quel giorno era anche l’anniversario dell’attentato subito dalle forze armate italiane a Nassirya, chiedendo ed ottenendo da tutti un applauso alla memoria di quanti sono deceduti in quell’occasione. "La vittoria in un concorso letterario - ha dichiarato Dipasquale nell’intervista rilasciata alle emittenti televisive e alla carta stampata - non è mai individuale, ma fa parte di un percorso interiore che un detenuto compie durante il periodo di reclusione, grazie anche all’appoggio di figure istituzionali quali la scuola, (importantissima per un pieno recupero sociale) e una direzione che "sponsorizza" e incoraggia tramite l’area trattamentale tali iniziative, mettendo in condizione i propri detenuti di partecipare a corsi e laboratori di varia natura anche nelle sezioni di Alta Sorveglianza".
Ecco di seguito pubblicati la motivazione del premio e il racconto integrale.
Non esistono più luoghi al riparo dalla spirale violenta del terrorismo, che si insinua nelle pieghe della normale vita quotidiana. Il racconto di Francesco Di pasquale può sembrare all’inizio un idillio metropolitano: un uomo incontra al caffè una ragazza, ne rimane colpito, attacca discorso. Nel giro di pochi minuti pare si sia già stabilita tra i due una consuetudine di sentimenti e di affetti. Ma ecco che scatta la schizofrenia contemporanea. La ragazza sale, sola, su un autobus. Un minuto dopo l’autobus esplode, e noi ci troviamo proiettati nell’angoscia di un’altra giornata d’ordinario orrore, di vite spezzate, di violenza che accelera la sua spirale di dolore e di morte. Perché la studentessa mancata è un KamiKaze. Il racconto sa cogliere bene questo trapasso dalla quotidianità all’orrore, dall’idillio alla tragedia, dalla cronaca al mistero. La redazione
"….io pure ho creato il devastatore per distruggere. Nessuna arma fabbricata contro di te riuscirà". (Isaia 54:16-17)
Queste parole lessi quella mattina nella bibbia che tenevo sul comodino e che ero solito aprire prima di recarmi al lavoro. Non so cosa davvero mi colpì di quelle poche righe. Non credo sia stata la fede, troppo debole nel mio cuore, né l’apparente contraddizione di quelle parole tra chi è creato per distruggere e colui il quale non può essere distrutto. Ma una certezza ho: da quel giorno la mia vita è cambiata. Uscito di casa come ogni mattina, feci la mia prima tappa in edicola e il giornale riportava sempre le stesse notizie. Politica, cronaca ed economia si susseguivano in quelle pagine che, diversamente dal giorno precedente, avevano solo la data. Dopo una distratta occhiata ai titoli principali, ripiegai il quotidiano e, tenendolo sul capo per ripararmi dalla sottile pioggia che cadeva quel mattino, mi recai al bar per la solita colazione. Ogni giorno le stesse azioni: la cassiera staccava lo scontrino, il barista preparava il caffè, nero, lungo, americano e, quando giungevo al bancone, era già pronto per essere bevuto. Non credo di ricordare da quanti anni facessi le stesse cose, gli stessi gesti, la stessa nera bevanda; non so nemmeno se poi il caffè mi piacesse davvero, ma ormai ero affezionato a quei gesti, mi davano sicurezza e non volevo cambiarli. Ma quella mattina la mia routine fu spezzata da una presenza che catturò la mia attenzione. Lei entrò nel locale in modo discreto, quasi invisibile, acquistò alla cassa un biglietto del bus e si fermò a guardare fuori dalla vetrina per vederlo arrivare. Potevo scorgere il riflesso del suo viso: aveva occhi intensi, scuri, che emanavano fascino misto a malinconia; i suoi capelli corvini acquistavano colori cangianti nelle gocce d’acqua che la pioggia depositava sul vetro e le sue mani giocherellavano con il biglietto per ingannare l’attesa. Mentre mi avvicinavo a lei, sentivo il cuore battermi nelle tempie. Non sapevo bene cosa stessi facendo e cosa fosse quella strana forza che mi spingeva verso lei; ero rapito da quella figura e, prima di rendermi conto di ciò che stava accadendo, l’avevo già invitata a prendere un caffè. Non ricordo le parole che le dissi, ma ricordo quel breve momento in cui i suoi occhi incrociarono i miei; lei, accennando un sorriso, mi rispose che aspettava il bus. Non potevo arrendermi a quelle parole; ribattei che anch’io lo aspettavo e che, se avessimo bevuto quel caffè, magari l’attesa sarebbe stata meno noiosa. Avrebbe forse voluto uscire, ma per un momento si guardò intorno e vide la cassiera e due avventori osservarci; con un cenno del capo e un sorriso appena abbozzato, acconsentì alla mia proposta. Prendemmo un primo caffè e parlammo, poi un altro e ancora parlavamo e più si parlava più ero colpito dalle sue parole. Diceva che da piccola voleva fare il medico, aiutare le persone, ma non aveva potuto studiare. Indovinavo nelle sue parole l’energia di chi avrebbe voluto cambiare il mondo, di chi potendo lo avrebbe dipinto di altri colori. Il tempo scivolò via veloce e portò con sé qualche bus. Quando le dissi che desideravo rivederla, lessi nei suoi occhi una velata tristezza. La sua espressione si fece seria, lo sguardo s’incupì e quello che prima era un viso solare divenne uno scorcio triste di luna, i suoi occhi s’inumidirono e alzandosi si apprestò ad uscire. La seguii fino alla fermata. Pensavo e speravo che durante il tragitto del pullman avrei potuto strapparle una promessa, ma lei non aveva nessuna reazione, era gelida, distaccata, non mi guardava più. Nella mia mente si accavallavano mille pensieri: cercavo di capire quale errore avessi commesso, che frase infelice avessi pronunciato, ma niente, non trovavo spiegazione al suo repentino cambiamento. Il bus spuntò dalla curva, dopo pochi secondi sarebbe arrivato. Anche lei lo vide, si girò verso di me e, guardandomi negli occhi, mi fece una carezza, la sua mano indugiò per qualche istante sulla mia guancia. Poi, lentamente, le sue dita si staccarono e in quel momento mi disse: "Ti prego, Davide, prendi il prossimo, lasciami andare da sola". Per un momento mi smarrii, non capivo il perché di quelle parole, ma acconsentii. Il lato cavalleresco che era in me mi obbligava a soddisfare una tale richiesta e forse ero anche troppo preso da lei per volerla deludere. Il pullman si fermò, lei salì, il controllore le annullo il biglietto, salirono altre persone, poi un sibilo, le porte si chiusero e il mezzo ripartì Alla fermata rimasi solo, in silenzio, a guardare quel bus andar via; per un attimo la vidi, attraverso il vetro posteriore, che guardandomi faceva un cenno con la mano come a volermi salutare. Passano pochi secondi, do uno sguardo all’orologio, sono le nove e due minuti e in quell’istante una violenta esplosione squarcia il bus uccidendo tutti i passeggeri e alcuni passanti. Poi il buio. Tutto ciò che seguì la deflagrazione, lo appresi la sera alla televisione dell’ospedale dove ero stato ricoverato in stato di shock. Al telegiornale apparve lei, la ragazza del bar, che con un filmato amatoriale rivendicava quell’attentato. Era un mercoledì qualunque a Tel Aviv. Non riesco a comprendere il sentimento che da quel giorno mi accompagna: mi sento diviso tra l’odio verso la responsabile di quella strage e la gratitudine per avermi risparmiato. Da allora i sentimenti nel mio cuore si accavallano, ma l’unica certezza che ho acquisito è la mia ritrovata fede in Dio. "….io pure ho creato il devastatore per distruggere. Nessuna arma fabbricata contro di te riuscirà". Oggi, per me, queste parole hanno un senso.
Finalmente! In carcere un incontro significativo
Incontro culturale con la scrittrice Francesca Marciano. Il giorno 16 ottobre, sabato pomeriggio, abbiamo avuto l’opportunità di conoscere la scrittrice Francesca Marciano, autrice del romanzo " Casa Rossa". Alcune ragazze della Sezione Femminile Comune, in previsione dell’incontro, avevano affrontato la lettura del romanzo, per sceglierne alcuni brani da commentare alla presenza della Marciano. Il romanzo è la storia di quattro donne appartenenti alla stessa famiglia, ma di generazioni diverse, che affrontano varie problematiche, anche drammatiche come, ad esempio, l’esperienza del carcere. Casa Rossa è il punto di partenza intorno al quale ruotano le vicende delle protagoniste. Attraverso il racconto di Alina vengono descritti la storia e gli inganni del nostro Paese dagli anni Trenta ai giorni nostri. Nell’incontro con la scrittrice abbiamo vissuto forti emozioni, anche perché abbiamo riscontrato molta partecipazione da parte della stessa. Non vorremmo essere considerate presuntuose, ma siamo state veramente " Brave" ! La lettura di alcuni brani e le nostre domande, che hanno denotato estremo interesse e coinvolgimento, hanno commosso non solo la scrittrice, ma anche l’intero pubblico delle compagne presenti. È stata per noi una giornata veramente diversa: da giorni eravamo entusiaste e al tempo stesso emozionate… emozione che si è sempre più acuita. La disponibilità e la semplicità della scrittrice ci hanno messo subito a nostro agio, facendoci apprezzare ancor di più quest’incontro. Ringraziando la Direzione Carceraria e le agenti della Sez. Femminile, ci auguriamo di avere la possibilità di ripetere tale esperienza in futuro.
La Sezione Comune Femminile
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