La Rondine

 

La rondine, una voce dal carcere

Periodico dei detenuti della Casa di Reclusione di Fossano

Numero 15,  ottobre 2004

 

Anche a Fossano la protesta dei detenuti

Un fallimento chiamato indultino

Grande entusiasmo del pubblico

I giochi… con le frontiere 2004

Una piccola festa significativa

Positivo l’inserimento del mondo carcerario nel territorio

Polizia penitenziaria: "Ecco come si svolge il nostro lavoro"

Il "brigadiere"

"Anche la società ne esce sconfitta"

Buoni o cattivi: un esile filo

"Mi ero persa; ho chiesto aiuto a Dio e mi sono ritrovata"

Il Ramadan in Marocco

Quando il carcere aiuta a "guardarsi" dentro

"Contro il terrorismo vorrei poter scegliere la pace"

Poesie

Relax

L’indultino non ha risolto il problema del sovraffollamento

Anche a Fossano la protesta dei detenuti

 

di Andrea R.

Sull’onda dei soliti dibattiti di agosto, quest’anno il carcere di Fossano, come quasi tutti i carceri d’Italia, ha aderito alla giornata di protesta indetta dal partito radicale. La protesta è consistita nel rifiutare di prendere il vitto passato dall’amministrazione e, dalle 22 alle 23, in un’ora di battitura delle sbarre, modello di protesta pacifica che da alcuni anni viene utilizzato da noi carcerati con la speranza che, se non proprio la nostra voce, almeno arrivi all’esterno il rumore della nostra esistenza. Sicuramente in quell’occasione si è creato disturbo per la popolazione fossanese, che è incolpevole e non ha alcuna responsabilità di tutto ciò che sta succedendo da anni nel pianeta carcere e di questo ce ne rammarichiamo.

Da troppi anni i nostri politici di destra e di sinistra giocano e strumentalizzano, per i loro fini, la situazione dei carceri e dei carcerati, forse non pensando che all’interno di queste anguste mura, ci sono persone: persone che soffrono e che sperano, persone che sono disposte ad attaccarsi ad ogni piccola folata di vento pur di poter alimentare la speranza di potersi ricongiungere con i propri cari, o semplicemente di poter riacquistare la tanto agognata libertà. La protesta parte un anno dopo l’entrata in vigore del cosiddetto "indultino" che per stessa ammissione di coloro che l’hanno varato, è stato un totale fallimento. La realtà è che le poche persone che hanno potuto usufruire di questo provvedimento sono state oberate di restrizioni e, nella maggior parte dei casi, pur non avendo commesso nessun reato, sono rientrate in carcere per qualche infrazione.

Se la situazione delle carceri italiane era al collasso l’anno scorso, lo è ancora di più quest’anno: la popolazione detenuta è superiore del 30% alla capienza massima degli istituti di pena italiani; le strutture sono nella maggioranza dei casi obsolete e fatiscenti ma di interventi strutturali se ne parla solo. Intanto le persone, i detenuti, i colpevoli di reati, continuano a vivere così, ammassati e speranzosi in un qualcosa che temo non succederà mai. Se è vero che la civiltà di un paese si vede, tra l’altro, dallo stato delle sue carceri mi stupisco di non vedere in giro gente con la clava e vestita di pelle di leopardo.

Mi viene a volte da pensare e da immedesimarmi nella persona comune che sente parlare delle rivendicazioni di detenuti. Forse realmente l’interesse comune è semplicemente quello di tenere lontano dalle strade e dalle case i cosiddetti "delinquenti", ma il valore cristiano del perdono, il rispetto della dignità umana, di qualunque uomo, qualunque cosa egli abbia commesso, l’opera di rieducazione che dovrebbe viaggiare insieme alla pena stessa dove vanno a finire?

Qui non si sta parlando di malafede degli uni o degli altri, si sta parlando solo di carenze gestionali, strutturali e di personale che da sempre il pianeta carcere si porta appresso, essendo, forse, considerato dai nostri governanti un problema di secondaria importanza, un’onda emozionale da cavalcare quando viene funzionale ai loro scopi politici e poi silenzio e poi migliaia di persone e migliaia di famiglie deluse e sofferenti per le aspettative create e poi puntualmente non evase. I fondi per i carceri sono sempre meno, sembra che quando l’erario debba recuperare denaro, aumenti la benzina, le sigarette e faccia tagli sul carcere. C’è carenza di personale, di educatori e di psicologi che pur nella maggior parte dei casi svolgono il loro lavoro molto bene, ma non sono delle macchine; c’è carenza di magistrati. Non può che con dolore venirmi alla mente un recente episodio di un mio compagno, al quale è purtroppo mancata la mamma.

È previsto dalla legge che chi viene colpito da un così grave lutto abbia il diritto, con tutta la sorveglianza ritenuta necessaria, di partecipare alle esequie del congiunto; ciò non è avvenuto, perché al magistrato di sorveglianza non è pervenuta in tempo la verifica dei Carabinieri da cui dipende la concessione del relativo permesso. Questo è inaccettabile! Non voglio con questo attribuire colpe o responsabilità ai singoli ma al sistema, che dovrebbe essere reso più umano, più efficace, più giusto. Sicuramente non basterebbe, come dicono molti politici, dare un indulto per risolvere i problemi del carcere. Servono interventi strutturali, servono interventi per incrementare gli operatori nel settore rieducativo, servono possibilità concrete di reinserimento esterno; servono, per fare tutto ciò, volontà politica e soldi, cose di cui pare siamo molto carenti nel nostro bel paese. Confucio diceva: "Dai un pesce ad un affamato e mangerà per un giorno, insegnagli a pescare e mangerà per tutta la vita". Ma se non è possibile insegnargli a pescare, che si fa? Concludendo, vorrei citare una frase di mio nonno: "Se hai sete è meglio un sorso d’acqua che niente" e noi qui siamo abbastanza disidratati. (sommario)

 

 

Un fallimento chiamato indultino

Le previsioni dicevano 9mila persone, sono usciti poco più di 5mila e molti di questi sono tornati dentro il carcere. Ad un anno dall’entrata in vigore dell’indultino (una sospensione degli ultimi anni della pena se fuori dal carcere il detenuto mantiene una buona condotta), il sostanziale fallimento della legge è ben rappresentato nel "Rapporto 2004 sul carcere" dell’associazione Antigone. Solo negli ultimi mesi del 2003 si è riscontrata una diminuzione di 1500 persone all’interno degli istituti di pena ma con l’anno nuovo i dati sono tornati a segnare una risalita nelle presenze. Inoltre i molti beneficiati che sono tornati "dentro" perché trovati inadempienti alle clausole connesse all’applicazione della legge diventano recidivi e, come tali non possono più richiedere l’indultino.

Come già previsto fin dall’inizio dagli operatori carcerari e dagli stessi detenuti, il provvedimento si è dimostrato nei fatti poco utile a fronteggiare il problema del sovraffollamento nelle carceri italiane dove esiste un esubero di 14500 persone. Tutte le associazioni di volontariato sostengono che la normativa vigente, la legge Gozzini sui benefici risalente agli anni 80, è ancora largamente inapplicata mentre potrebbe essere una prima risposta all’attuale drammatica situazione del sovraffollamento. (sommario)

 

 

Due artisti del Fossano cabaret si esibiscono al Santa Caterina

Grande entusiasmo del pubblico coinvolto nello spettacolo

 

di Franco P.

Quest’estate, 8 e 9 luglio, qui nel carcere di Fossano è accaduto qualche cosa d’insolito. Grazie all’interessamento del comandante e delle educatrici è stato possibile per noi detenuti assistere a due momenti di spettacolo teatrale comico. Infatti, in concomitanza con la manifestazione locale Fossano cabaret nella quale sono apparsi volti noti della trasmissione televisiva Zelig abbiamo avuto, grazie anche alla loro disponibilità, il piacere di poter ospitare due di loro: Paolo Cevoli e Giovanni Cacioppo.

Questi due eventi sono stati molto graditi da tutti noi ed i protagonisti, dopo un’iniziale, seppur breve imbarazzo, dovuto forse alla struttura in cui si trovavano si sono lanciati nelle loro performance, coinvolgendo anche il pubblico e non risparmiando battute a nessuno, nemmeno alle autorità cittadine – il neo sindaco Balocco, l’assessore alla Cultura Cortese, l’assessore al Bilancio Olivero - venute in carcere ad assistere all’evento. In particolare Cacioppo si è presentato nelle vesti spassose di un criminale maldestro alle prese con sequestri falliti in partenza e rapine via fax. Un momento per me molto emozionante è stato quando comandante e compagni mi hanno invitato a salire sul palco per fare un po’ da spalla. L’emozione è stata tanta e l’esperienza bellissima ed è servita anche all’attore per aprirsi e prendere confidenza con l’ambiente. Alla fine mi ha invitato al suo prossimo spettacolo, quando ovviamente sarò in libertà. Con tutti hanno scambiato battute scherzose, strette di mani e rilasciato autografi proponendosi di ripetere l’esperienza.

Era la prima volta che i due comici entravano in carcere ed anche per loro è stato piacevole essere protagonisti di un incontro che li ha coinvolti per la spontaneità, il grande entusiasmo ed il clima di festa. Poi ognuno è ritornato alla propria realtà e noi ovviamente nelle nostre celle sicuramente con qualche cosa in più: il ricordo di una bella giornata, diversa dalla solita routine, anche se passata tra le sbarre.

E’ importante che il carcere e quindi i carcerati non restino completamente isolati dal resto del mondo, per non incattivirsi. Di questo ne hanno merito il comandante e le educatrici (diamo a Cesare quel che è di Cesare) che con il loro impegno e le loro iniziative, cercano sempre, nel limite del possibile e del conciliabile con la situazione carceraria, di aprire la struttura del carcere all’esterno, forse, penso io, per mostrare agli esterni che noi qui dentro non siamo poi dei mostri e per mostrare a noi che le persone esterne, quelle oneste, non sono poi così diverse da noi e che con un po’ di impegno e di sacrificio da parte nostra, abbiamo realmente la possibilità di integrarci nella società e di condurre una vita normale. (sommario)

 

 

I giochi… con le frontiere 2004

Si sono svolti ad agosto in contemporanea con le Olimpiadi

 

di Ljudevit G.

È stata una giornata davvero speciale che ha fatto vedere la realtà del carcere sotto una luce nuova e fatto capire come lo sport sia uno strumento importante sia per recuperare alla convivenza civile chi ha sbagliato, sia per aprire alla città un mondo così particolare. La terza edizione dei "Giochi… con le frontiere" si è svolta quest’anno il 17 agosto quasi a voler gemellare i Giochi con le frontiere alle Olimpiadi di Atene, in svolgimento nello stesso periodo.

Le tante prove in programma, ben 9 e le tante nazionalità dei partecipanti hanno fatto respirare una atmosfera quasi olimpica anche se alcune gare, come la mangiata delle angurie e quella di spaghetti piccanti hanno colorato l’iniziativa di un simpatico clima goliardico che, speriamo almeno per un giorno, abbia fatto pesare di meno ai detenuti di non essere liberi.

Lo spettacolo sportivo non è certo mancato ed è un peccato che solo pochi "privilegiati", come alcuni volontari e gli operatori del carcere, abbiano potuto condividere lo spirito dei giochi con i protagonisti. Il gruppo, composto da Maurizio F., Evidio M., Giovanni G., Giovanni C., Claudio B. si è dato un gran da fare per organizzare e gestire tutte le prove che si sono svolte nel cortile interno del carcere, per un giorno trasformato in "stadio olimpico". Con loro hanno collaborato i ragazzi impegnati in cucina che hanno preparato spaghetti e angurie e gli artisti Andrea, Luca, Nino e Adalberto che hanno realizzato il variopinto striscione, simbolo dei giochi. Le gare sono state inaugurate dal direttore Edoardo Torchio, alla sua prima esperienza in questa manifestazione, che ha sostenuto la realizzazione dell’iniziativa, affiancato dal comandante di reparto Pasquale Maglione, dalle educatrici Francesca e Michela, coordinate da Antonella Aragno e dalle volontarie. Rispetto agli anni scorsi è stata purtroppo assente una rappresentanza delle istituzioni locali: probabilmente per il periodo estivo gli amministratori locali erano in ferie, ma sappiamo che da tempo si mostrano sensibili alla realtà carceraria. E’ necessario che su questo tema delicato non cali mai l’attenzione perché, come gli stessi operatori ci hanno sottolineato, il rapporto fra il carcere e il territorio è fondamentale per l’attività di recupero verso chi ha sbagliato e cerca un reinserimento dignitoso nella società civile.

Fra le varie gare i detenuti di origine straniera si sono particolarmente messi in luce in tutte le prove, in particolare nelle gare d’atletica. Da sottolineare soprattutto le performance di Dieng (primo nei 100 metri, nella corsa dei sacchi e nel tiro alla fune a squadre), di Grudic (primo nel salto in alto e nel salto in lungo), di Tawfik (primo nella maratona, secondo nel salto in alto, terzo nei 100 metri e nel salto in lungo) e Fhami (secondo nei 100 metri e nella corsa dei sacchi, terzo nella maratona e nel salto in lungo). Particolarmente spettacolari i 100 metri corsi con andata e ritorno (il cortile non è così lungo), la maratona che nei 20 giri di cortile (all’incirca 2500 metri) ha visto numerosi ritiri e colpi di scena con fughe, rimonte e crolli improvvisi.

Interessanti i risultati tecnici nel salto in lungo col vincitore Grudic che realizza in tre salti le tre migliori misure: 5.20, 4.95 e 4.20. Nel salto in alto invece il miglior risultato è 1.50. Le gare con il maggior numero di partecipanti sono state quelle più goliardiche: la mangiata di angurie e quella di spaghetti piccanti, talmente piccanti che solo pochi coraggiosi hanno terminato la prova. Entrambe le prove, affrontate senza mani, hanno visto un tifo appassionato dei detenuti spettatori tanto che sembrava di essere veramente in uno stadio. Al termine dei giochi il direttore Edoardo Torchio ed il comandante Pasquale Maglione hanno premiato i migliori tre atleti di ogni gara, mentre quest’anno gli organizzatori non hanno assegnato un titolo di campione assoluto come era avvenuto nelle edizioni precedenti.

I vincitori sono stati premiati con un pacco a sorpresa, quelli arrivati secondi con una cartellina di materiale di cancelleria ed i terzi con una medaglia. Dopo il pranzo, la giornata è terminata all’insegna della musica con una specie di "Corrida" organizzata dal gruppo musicale che anima anche le celebrazioni liturgiche in cappella. Potremmo continuare scrivendo i risultati di tutte le gare, ma il senso di questa giornata non era tanto vincere, bensì partecipare e trovare un momento di unione. In questo è riuscita pienamente. (sommario)

 

 

Una piccola festa significativa

L’esperienza di un detenuto nel volontariato

 

di Maurizio F.

Venerdì 1° ottobre ho vissuto un momento particolare. Durante la fruizione di un permesso mi hanno concesso la possibilità di fare volontariato in centro socio-formativo chiamato La cascina dove un gruppo di persone straordinarie, gli operatori, accolgono una decina di persone portatrici di handicap e con qualche volontario – tra cui obiettori di coscienza – passano insieme la giornata lavorativa svolgendo anche attività ricreative.

Proprio venerdì c’era un evento da festeggiare: Dodi, un ragazzo obiettore di coscienza aveva terminato il suo periodo di dieci mesi in questa struttura e così hanno pensato di fare una piccola festa. Io sono andato in cucina fin dal primo mattino per preparare gli gnocchi, con me anche Dodi che faceva la torta. Terminato il pranzo con una deliziosa torta alle mele, i ragazzi hanno voluto ringraziare Dodi con una fiammante mountain bike e concludere con canzoni cantate da tutti e accompagnate da due chitarre, la mia e quella di Vanni (un responsabile del centro).

Una piccola festa come ce ne possono essere tante ma questa per me è stato motivo per delle riflessioni. Questo ragazzo obiettore di coscienza nel suo piccolo discorso, un po’ emozionato, ha detto: "Ho fatto con voi un’esperienza meravigliosa; è vero che ho finito il mio servizio ma verrò ancora qui a trovarvi perché qui ho trovato amici veri". Non ha torto questo ragazzo, perché con noi, alla festa, c’erano Giorgio, un altro ex-obiettore e alcune ragazze, volontarie nei mesi estivi nell’organizzazione dell’estate ragazzi. Devo dire la verità: anch’io, in questa mia prima esperienza di volontariato, sono rimasto affascinato e inizio a capire che è bello poter donare una parte del proprio tempo a ragazzi stupendi come sono questi amici un po’ meno fortunati di me. (sommario)

 

 

Speciale festa della Polizia Penitenziaria

Annuale festa con padre Ghi, autorità militari e civili. Positivo l’inserimento del mondo carcerario nel territorio

 

a cura della redazione e dei volontari

L’annuale festa della Polizia Penitenziaria è stata celebrata nel carcere di Fossano giovedì 23 settembre alla presenza di varie autorità civili e militari, tra le quali il sindaco Balocco, la capogruppo di An al Consiglio provinciale Anna Mantini, il consigliere provinciale Beppe Lauria, il nuovo comandante della locale caserma dei Carabinieri tenente colonnello Filippo Ricciarelli. Nella cappella dell’istituto padre Pierino Ghi ha officiato la messa, concelebrata con don Felice Favole, che per trent’anni ha servito il nostro carcere e con padre Bruno Perrot, l’attuale cappellano e animata dal tenore, maestro Michelangelo Pepino. "La vostra missione – ha detto padre Ghi durante l’omelia - è quella di andare a riscoprire la persona umana e fare il possibile per rendere meno pesante la vita dietro le sbarre".

Al termine della funzione religiosa, durante la quale sono stati ricordati i defunti del Corpo, la celebrazione è proseguita con la consegna degli attestati di merito al personale della Polizia Penitenziaria e al loro comandante e con la lettura dei messaggi augurali del presidente della Repubblica, del ministro della Giustizia e del capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Dopo gli interventi del direttore della Casa di Reclusione Torchio, del comandante Maglione e del sindaco Balocco, che hanno evidenziato la positiva integrazione del mondo carcerario nel territorio fossanese, la mattinata si è conclusa con un rinfresco, momento di amichevole condivisione tra tutti i partecipanti. (sommario)

 

 

Polizia Penitenziaria: "Ecco come si svolge il nostro lavoro"

 

La redazione intervista alcuni agenti

L’assunzione nel Corpo della Polizia Penitenziaria avviene attraverso un pubblico concorso e la più comune motivazione che ha spinto i nostri intervistati a parteciparvi è stata la necessità di trovare un lavoro e non una scelta personale. Superate le tre prove del concorso e dopo un lungo e minuzioso colloquio con esperti psicologi che valutano, in particolare, la capacità di autocontrollo, i vincitori accedono ad un corso di sei mesi. Studiano elementi di Diritto e di Tecnica penitenziaria che insegna i modi di comportarsi e di fronteggiare eventuali situazioni spinose. Il corso si conclude con un mese di tirocinio nelle sezioni di un istituto, insieme ad un agente effettivo. "Al corso impariamo nozioni alquanto teoriche – afferma un agente – che poi, nel corso dell’esperienza di lavoro si rivelano inadeguate alla vera realtà carceraria". Infatti, anche noi notiamo nei nostri confronti un comportamento guardingo da parte dei nuovi agenti, ma, ben presto, questo atteggiamento si modifica, diventa più disteso, improntato al rispetto come deve essere tra persone.

"Se capita una situazione di tensione tra detenuti, noi agenti – dice uno di loro – cerchiamo di riportare la calma con la comprensione, facendo ragionare e solo se la lite non si risolve da sola e degenera suoniamo l’allarme". Bisogna precisare che gli agenti all’interno del carcere non sono dotati di alcun tipo di armi, né da fuoco, che devono depositare in portineria quando entrano in servizio, né bianche e questo per ovvie ragioni di sicurezza (il loro impiego può essere autorizzato solo dalle autorità dirigenti presenti sul posto). Pertanto, quando scatta l’allarme accorrono ispettori e agenti in servizio per sedare la lite e i detenuti coinvolti vengono separati in attesa della valutazione e decisione della commissione disciplinare, composta dal direttore, dal comandante, da un educatore e da un sanitario. Sentiti gli agenti in servizio e i detenuti coinvolti viene decisa la sanzione: un richiamo scritto o l’isolamento, oppure, se sussistono motivi di incompatibilità è chiesto il trasferimento.

"Nel carcere di Fossano questi episodi sono piuttosto rari – afferma un assistente – perché le celle rimangono aperte per molte ore al giorno (dalle 8 alle 19.30) e se da un lato questo comporta per noi una sorveglianza più attenta, dall’altro lato la maggiore possibilità di movimento del recluso lo aiuta a stemperare le sue tensioni e tutti insieme viviamo un clima più sereno". Gli agenti possono essere utilizzati nella sorveglianza delle sezioni e del cortile del passeggio. "Questa mansione – ci viene spiegato – comporta la "conta" sei volte al giorno (i detenuti vengono contati nelle rispettive celle o in altri locali se debitamente autorizzati), la chiusura e l’apertura delle sezioni, delle celle e dei locali usati per le varie attività (sono usate grosse, pesanti chiavi d’ottone), il controllo regolare delle finestre mediante un bastone di ferro (sbattuto sull’inferriata in senso orizzontale e verticale produce un caratteristico suono ritmico difficile da dimenticare), l’uso delle docce comuni, lo spegnimento del televisore ad una certa ora della notte, il controllo notturno delle celle".

Gli agenti e gli assistenti sorvegliano anche gli ambienti di lavoro e i laboratori dei corsi, la portineria d’ingresso e quella dei vari cortili dotati di cancelli automatici, controllano i famigliari a colloquio e le altre persone autorizzate ad entrare. "Inoltre la Polizia Penitenziaria, a vari livelli di carriera, - ci informa un sovrintendente - si trova impiegata nell’ufficio di segreteria del direttore e in quello del comandante di reparto, nell’ufficio di sorveglianza, nell’ufficio matricola (dove il detenuto viene identificato, registrato e dove pervengono e sono archiviati tutti gli atti), nel nucleo traduzioni per gli spostamenti in cellulare e di piantonamento in ospedale, al centralino telefonico e allo spaccio".

Nella struttura di Fossano, il Corpo è formato da circa 110 unità con una popolazione di circa 150 detenuti e non è sufficiente a coprire il normale orario di lavoro di 37 ore settimanali. "Per carenza di personale e per sostituzioni di colleghi assenti – spiega un agente - facciamo 3 turni di 8 ore ciascuno, 8 – 16 – mezzanotte, anziché 4 turni di 6 ore; le 2 ore in più ci vengono pagate come straordinario". Lo stipendio di base iniziale di un agente è di circa 1100 € a cui si aggiungono gli straordinari, le maggiorazioni notturne e festive, l’assegno funzione che dopo 19 anni è raddoppiato e l’assegno di presenza di 9 € al giorno per disincentivare l’assenteismo. L’avanzamento in carriera nello stesso ruolo è automatico come pure gli scatti retributivi.

Ci possono essere sanzioni per infrazioni penali e disciplinari (ritardi continuativi, mancanze nel servizio e così via). "Il richiamo verbale e quello scritto – dice un sovrintendente - viene fatto dal direttore dell’istituto, la deplorazione con possibilità di decurtazione dello stipendio dalla commissione regionale, la sospensione o la destituzione dal Ministero della Giustizia. C’è da dire che in seguito all’entrata in vigore della legge 395/90 che ha smilitarizzato il Corpo di Polizia abbiamo avuto un grande cambiamento nei rapporti interni – continua il sovrintendente. Prima c’era un inquadramento più rigido, il ruolo gerarchico influiva notevolmente sui rapporti personali e di lavoro. Ora, invece, si vive maggiormente lo spirito democratico, c’è maggiore libertà e più apertura mentale con tutti i pro e i contro connessi. La riforma ha permesso l’assunzione delle donne nel Corpo di Polizia. "Da noi, attualmente, ci sono sei agenti donne - spiega un assistente - e la loro unica limitazione lavorativa è la sorveglianza nelle sezioni e nel cortile dell’aria, essendo un carcere maschile". In seguito alla medesima riforma la polizia si è potuta organizzare in rappresentanze sindacali.

Alla nostra domanda sulle difficoltà di lavoro risponde un ispettore: "Nel nostro istituto le difficoltà sono aumentate da quando hanno variato la tipologia d’istituto che è passata a pene attenuate (ultimi tre anni). Il continuo via-vai di detenuti non dà la possibilità di conoscerci reciprocamente, di instaurare un migliore clima di fiducia e di progettare percorsi e attività a lunga scadenza. Sarebbe quindi opportuno un ritorno ad una popolazione detentiva più stabile nel tempo. Inoltre – prosegue l’ispettore – un’altra difficoltà che deve far riflettere è l’ormai grande numero di detenuti legati alla tossicodipendenza e con disturbi mentali. Presentano personalità complesse e dagli equilibri molto delicati e richiedono particolari trattamenti psicologici e farmacologici che possono essere meglio forniti da una struttura diversa dalla nostra".

La redazione ringrazia la disponibilità del personale intervistato e si augura che continui sempre a prevalere il buon senso da ambo le parti per rendere maggiormente vivibile a tutti il tempo vissuto in questo luogo di pena.

(sommario)

 

 

Il "brigadiere"

Ritratto di un assistente capo dell’ufficio di sorveglianza

 

di Walter V.

dal settimanale La Fedeltà dell’11 febbraio 2004

Le antiche denominazioni "appuntato" e "brigadiere" non compaiono più nelle circolari ministeriali, ma, anche se obsolete, sono frequenti nel linguaggio e nei rapporti interpersonali interni al carcere. Esiste un criterio indecifrabile, mai scritto, che determina i "gradi" spontaneamente, anche tra colleghi. Al Santa Caterina il "brigadiere" è solo uno. Di fatto si tratta dell’assistente capo dell’Ufficio Sorveglianza: napoletano, 32 anni di servizio, un fisico da peso massimo, un sorriso raro quanto espressivo, la barba sempre incolta e un carisma ineguagliabile. Tutti lo rispettano e il rispetto, in ambito carcerario soprattutto, è ben diverso dal timore. È sempre lui che chiamano in occasione di colluttazioni, litigi, polemiche. Ed è ancora lui che riesce, sempre, a trovare le soluzioni che poi i suoi superiori, il giorno appresso, notificano dalle loro scrivanie nei diari dei rapporti giornalieri.

La fiction televisiva ci ha inondati di "maresciallo Rocca" e presidi di polizia e dei loro conflitti tra dovere e morale. Il brigadiere è un protagonista senza fama né pubblico. Pochi sanno che nel tempo libero quell’energumeno si offre come volontario per il servizio 118 o per assistere gli anziani, vittime della solitudine; pochi sanno che è stato promotore di collette spontanee in favore di detenuti scarcerandi indigenti.

Lo scomparso regista Sergio Leone fu attratto da un attore-comparsa in "Mezzogiorno di fuoco" di John Ford. Diede vita ad una ricerca indescrivibile perché lo voleva nei suoi "Spaghetti western". Lo trovò in una clinica californiana impegnato a disintossicarsi dall’alcol e dalla droga, aveva un lungo impermeabile bianco e non si radeva da dieci giorni. Gli propose la sceneggiatura del suo prossimo film e l’attore mancato accettò di buon grado promettendogli di darsi in fretta "una ripulita". Leone gli disse: "Sei perfetto così" e così apparse in tante pellicole celebri che continuano a fare il giro del mondo. L’attore era Lee Van Cleef e il nostro "brigadiere", con qualche chilo in più, lo ricorda in tutte le sue espressioni. Il suo è un ruolo svolto e non recitato; nella sua vita, nel bene e nel male, è sempre "buona la prima", a lui non è dato mai un secondo ciak. Il suo set non è l’arido Texas, ma il cortile di un penitenziario. Sicuramente anche la retribuzione è molto lontana dal suo similare attore, ma a lui va tutta la riconoscenza che meritano i "buoni" che si muovono nell’ombra, lontano dai clamori, schivi e indifferenti alle lusinghe di promozione come a quelle di corruzione. Buon lavoro, brigadiere. (sommario)

 

 

Il lupo è stato ucciso; anche la società ne esce sconfitta

Riflessioni sulla morte di Liboni tratte da "Famiglia Cristiana"

 

a cura della redazione

Leggendo un articolo su "Famiglia Cristiana" di Alberto Di Martino, professore di Diritto Penale a Pisa, ne siamo rimasti colpiti e lo vogliamo riproporre ai nostri lettori.

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Luciano Liboni, "il lupo", alla fine è stato ucciso. Anzi, ci suggerisce il tamburo battente di tanti mass media: finalmente! Agghiacciante questa mancanza di pietà che esibisce trionfante il corpo e il sangue di un uomo, come quello di una bestia finalmente abbattuta. Qui non si tratta della liceità dell’azione di chi ha sparato. L’ordinamento autorizza l’uso delle armi per gli appartenenti alla forza pubblica (art. 53 del Codice Penale), anche quando i colpi sono diretti a uccidere. Ma va ricordato che quella norma serve a rendere lecito un fatto che altrimenti, nella nudità oggettiva della sua verità, è illecito. "Cagionare la morte di un uomo" è sempre illecito. Può essere giustificato, ma, appunto: illecito giustificato. E qui, giustificato entro rigorosissimi limiti, condizioni estreme e necessaria proporzione tra valori costituzionalmente tutelati: l’uno salvato, l’altro annullato dall’uso dell’arma. Ma non è questo il punto. La morte del delinquente è una sconfitta per la società, che non è riuscita a recuperarlo a se, fosse anche neutralizzato in carcere, ad espiare una pena che comunque deve tenere alla rieducazione del condannato (art. 27 della Costituzione, troppo dimenticato).

La società si è data il diritto penale, non per affermare, ma per limitare l’immane potenza dell’ordinamento statale sul singolo; limitarla a ciò che è "giusta reazione", che solo se tale educa ai valori. Un ordinamento chinato con quelle intenzioni sul delinquente, si china pietoso per ciò stesso anche sulle vittime, mostrando di fare di tutto nel ricondurre a se stesso il "deviante", per evitare che ce ne sia uno di più. Non comunicare questo, da parte dei media, è un’ineducazione civile, di volgarità intellettuale, che trasmette un’idea d’ineluttabilità del male, estranea alla cultura giuridica del paese. E, soprattutto, a quella cultura per la quale chi perde una pecora lascia le altre novantanove nel deserto e va dietro a quella smarrita; non certo per ucciderla, ma perché ben sa che "ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione" (Luca 15-1-7).

Liboni è stato ucciso. Quando muore un giusto, tutti versano lacrime giuste; ma quando muore un delinquente, sono i giusti che dovrebbero versare lacrime, amare, perché sanno di aver fallito. Noi le versiamo perché sembra che si sia persa anche questa coscienza. (sommario)

 

 

Buoni o cattivi: un esile filo

Riflessioni di un detenuto

 

di Nino M.

Chi è che non si è mai sentito in colpa per qualcosa di male, oppure appagato dopo aver fatto un bel gesto? Ma quali sono i parametri per giudicare cosa è giusto e cosa è sbagliato? In certi casi quello che può essere giusto per una persona, per un’altra non lo è. Siamo milioni e milioni di persone con teste diverse, per questo penso che chi ha il potere di cambiare la detenzione di una persona, dovrebbe valutare molto bene tanti aspetti, non soffermarsi solo sui punti negativi perché tra una persona che cerca di costruire qualche cosa di buono ed una che vuole bruciare tutto, c’è un filo sottilissimo. A volte basta poco, un meccanismo che si rompe,una delusione. Chi sta scontando una pena in carcere, quasi sicuramente ha commesso un crimine, ma chi può stabilire con certezza che il protrarsi della detenzione per tutto il periodo della condanna, stia veramente recuperando il soggetto, oppure non lo stia incattivendo ancora di più? Buoni o cattivi? Noi qui dentro saremo sempre i cattivi, forse perché non abbiamo la possibilità di dimostrare il contrario. (sommario)

 

 

"Mi ero persa; ho chiesto aiuto a dio e mi sono ritrovata"

Dagli scritti di Donatella, una personale riflessione sulla parabola del figliol prodigo

 

a cura di fratel Luca

Comunità di padre Gasperino - Cuneo

Ho conosciuto Donatella appena entrato in comunità; era il primo agosto del 2000. Uno dei suoi doni più spiccati era quello della parola; possedeva una grande capacità di comunicare. Carattere forte, decisa, molto emotiva: sapeva quello che voleva e come ottenerlo… Posso solo immaginare la sofferenza che ha passato, nei suoi ultimi due anni nella nostra casa di accoglienza. L’AIDS è una malattia che ti distrugge poco per volta. La vedevo deperire ogni giorno di più, ma coglievo in lei un desiderio straordinario di vivere e continuare a lottare nonostante la tragica situazione. Per me è stata un esempio di tenacia che mi aiuta nei momenti più difficili. Soprattutto per questo ringrazio di averla conosciuta.

 

8 novembre 1998

La prima volta che ho sentito di questa parabola mi ha colpito, turbata notevolmente. Rileggendola pian piano, attentamente non so descrivere a parole quello che provavo, tanto i sentimenti e la mia coscienza si battagliavano dentro di me. Mi sono rivista io, l’unica differenza era che, essendo nata in questo periodo, ho aggiunto a tutti i miei peccati la droga.

La droga… che mi ha aiutata sempre di più a perdere la mia dignità, con la droga sono entrata vertiginosamente nel male e quando mi sono accorta che ormai non ne potevo più fare a meno, ho continuato a drogarmi, aggiungendo peccato su peccato. Sono arrivata ad essere schiava, a dovermi abbassare a tutto ciò che è male. Io sono riuscita tirarmi fuori solamente quando ho gridato aiuto a Dio. Disperata, con il cuore pieno di tristezza dalle morti di tanti miei amici e amiche come me, dal rifiuto di non poter stare neanche più in galera, avendo riscontrato di essere conclamata dalla malattia dell’AIDS, non più compatibile con il regime carcerario.

Uscita, proprio con il foglio della scarcerazione nelle mani, con ancora l’astinenza in corpo sono entrata in una chiesa e lì, vicino all’acqua benedetta c’era un tavolino su cui vi erano scritte delle suppliche rivolte a Dio. Ne ho lette alcune. Ricordo che accanto vi era una penna. Non avendo la forza di stare in piedi ho preso il libro con le mani, ma era legato. Così mi sono cercata una seggiola e lì ho chiesto al Signore di aiutarmi. Vi sono ritornata un’altra volta in quella chiesa a distanza di poco e non sapevo che quello che avevo scritto erano intercessioni e che ai vespri l’avrebbero lette. A sentire la mia supplica di aiuto sono rimasta stupita.

Adesso so quanto sia importante pregare e più si è a pregare insieme, più ci si unisce alla forza dello Spirito Santo. Il Signore dopo un po’ è venuto attraverso una suora, bella come il sole. Mi sono fatta prendere per mano e inspiegabilmente ho seguito alla lettera tutto quello che mi diceva. Di questa suora sono riuscita a fidarmi e a non dirle menzogne. Questa suora mi ha fatto entrare in comunità. Mi ha fatto lasciare tutto senza girarmi indietro, non avendomene dato la possibilità. Tengo a precisare: non è una comunità terapeutica, nata per aiutare i tossicomani, ma una comunità dove l’unica terapia è l’amore di Dio.

In comunità ho conosciuto piano piano la parola di Dio. In comunità ho incontrato un padre, che adesso è il mio padre spirituale e col suo aiuto sono riuscita a confessarmi. Per me la comunità è uno dei doni più belli che Dio mi ha dato nella mia vita. Sempre qui in comunità mi hanno insegnato a pregare e adesso in preghiera riesco a portare tutto il mio essere a Dio. Dio, mio padre misericordioso che mi ama, che ha mandato suo figlio Gesù, qui sulla terra per prendere sulla sua croce tutti i nostri peccati. Adesso gli voglio talmente bene che ho desiderio di seguire i suoi insegnamenti, metterli in pratica nella mia vita quotidiana.

Ogni giorno mi aiuta a risorgere. Ogni giorno mi insegna ad amare. Penso che Dio ha fiducia in me e quindi questa fiducia devo meritarla sempre di più. Adesso non posso fare a meno di ringraziare Dio. Adesso ogni volta che in preghiera leggo la parabola del figliol prodigo riesco ad accostarmi a Dio con fiducia, speranza, senza più paura, vergogna. Adesso so che Dio è sempre pronto ad aspettarmi a braccia aperte. Adesso so che Dio ci vuole tutti salvi per poi così risuscitare a nuova vita, alla vita eterna. (sommario)

 

 

Il ramadan in Marocco

A ottobre inizia il Ramadan ed un islamico racconta le principali feste religiose

 

di Hakim A.

Il sole picchiante scalda la famosa piazza della città di Marakesh dove la gente assiste ai vari spettacoli, dagli acrobati ai giocolieri, agli incantatori di serpenti. Si rimane stregati dalla bellezza del posto che sembra uscire da una fiaba delle mille e una notte. Tra i banchi dei commercianti, spicca la fragranza del tipico dolce del sacro mese del Ramadan in Marocco. Questo dolce è la sciabbacchia che sono praticamente delle bugie cosparse di miele. Mentre si avvicina il tramonto, gli uomini capiscono il loro ultimo destino e la piazza inizia a perdere la sua intensità vitale; tutti tornano a casa per rompere il digiuno.

Nelle moschee dopo la preghiera del tramonto, i fedeli bevono un bicchiere d’acqua e masticano un dattero prima di tornare a casa dove li aspetta la harira, che è una zuppa fatta con farina, ceci e pomodori. Alla fine del mese di Ramadan, periodo del distacco dalle cose terrene e della purificazione dello spirito, c’è la festa della fine del digiuno. I bambini si vestono dei loro abiti migliori e le famiglie si scambiano visite augurali e dolci fatti in casa. Bisogna anche pagare lo Zacat, che è una vera e propria tassa, calcolata secondo il diritto coranico islamico per aiutare i più poveri.

Due mesi dopo arriva la grande festa, quella del sacrificio: tutte le famiglie comprano un agnello per sacrificarlo a Dio, celebrando la tradizione secondo la quale il profeta Abramo (che ha coniato il termine "mussulmano") aveva portato suo figlio Isacco in sacrificio a Dio. E’ l’inizio dell’anno islamico che segue un calendario lunare corrispondente alla feste della Higra, in ricordo dell’anno in cui il profeta Maometto emigrò dalla Mecca verso Medina per difendere la religione islamica. Si offrono regali ai bambini e della frutta secca ai poveri. Un’altra festa importante da sottolineare è il ricordo del giorno della nascita del profeta Maometto. (sommario)

 

 

Lettere dal Santa Caterina

Quando il carcere aiuta a "guardarsi" dentro

 

Carissimo lettore,

parlando di carcere o sul carcere si possono dire moltissime cose… È vero che la maggior parte di esse sfociano sempre nel negativo, nel pessimismo e nella depressione, ma è altrettanto vero che se ne possono conoscere e approfondire altre. La propria persona è una di quelle. Si dedica molto tempo alla riflessione personale e tante volte ci si ritrova a pensare ad aspetti che non si sapeva facessero parte di noi o diversamente non si volevano neanche vedere e soprattutto accettare. La maggior parte di queste emozioni fanno male e col tempo si impara a non sentirle, fino al punto che diventa difficile tornare indietro.

In questi anni ho letto diversi argomenti di psicologia, alcuni mi hanno interessato molto, altri meno e altri mi sono stati proprio incomprensibili. L’ultima cosa che ho letto parlava di questo: il senso di colpa e sull’argomento desidero comunicare alcuni miei pensieri. Il senso di colpa, sì, è molto interessante, doloroso e altrettanto pericoloso. Ti tiene legato al passato perché in qualche modo ci si sente responsabili di quanto accaduto. In certi casi lo si è, mentre in altri no! Allora come fare? Continuare a sentirsi in debito, in obbligo e mettersi in ombra nei confronti delle persone verso le quali si prova questo sentimento, non serve. È anche vero che il perdono aiuta a dimenticare e a non dare più tutto quel peso ma non sempre si viene perdonati o capiti. Ci sono casi dove tornare indietro è impossibile, o persone che non ci sono più e noi cosa possiamo fare?

Ho visto applicare metodi che hanno aiutato: gruppi di psicodramma per esprimere e cercare di capire come diversamente sarebbero potute andare gli avvenimenti se i comportamenti e le reazioni fossero state diverse; persone che ne parlano per condividere quel malloppo che ci si porta dentro da una vita e, cercando aiuto negli altri, alleggerirlo; chi cerca di insabbiare il tutto ma serve a poco perché i fantasmi prima o poi ritornano. Tra le mie esperienze passate ho provato alcuni di questi metodi ma ancora oggi mi trovo a fare i conti con me stesso e stare male, anche se non più come prima! Non si può cambiare il passato, ma si può modificare il presente per migliorare il futuro… Pensateci… (sommario)

Adalberto

 

 

"Contro il terrorismo vorrei poter scegliere la pace"

 

Carissimi lettori de La Rondine,

voglio fermarmi un po’ a ragionare su quello che sta succedendo in Iraq e in Medio oriente e su cos’è in fondo il terrorismo, da sempre esistito nella storia dell’umanità. Si può considerare terrorista una nazione che ne bombarda un’altra, che rade al suolo villaggi, uccidendo donne, bambini e persone la cui unica colpa è quella di essere nate lì (le cronache parlano di decine di migliaia di morti)? Si può considerare terrorista chi sequestra, incatena, sevizia e uccide persone la cui unica colpa è quella di appartenere ad un’etnia piuttosto che ad un’altra? Si può considerare disgustoso che tutte queste porcherie vengano fatte nel nome di Dio sia esso cristiano o mussulmano? La mia risposta a tutte queste domande è sì! Se fossi Dio sarei molto arrabbiato per tutto questo ma sono solo un uomo che pur pensando che nessuno ha ragione si deve schierare! Vorrei vivere in un mondo migliore e poter passeggiare per le strade di Bagdad con il mio crocifisso al collo senza la paura di essere sgozzato; vorrei che le donne islamiche potessero camminare liberamente per Bergamo con i loro paramenti religiosi e che nessuno si sentisse in dovere di multarle; vorrei vivere in mezzo ad un’umanità libera e rispettosa del suo prossimo.

Sono disgustato da tutta questa falsa moralità dei buoni contro i cattivi, dai terroristi che hanno i caccia e da quelli più poveri che hanno le bombe umane, da tutto questo sangue innocente che ogni giorno viene versato in nome di qualcuno o di qualcosa. Questo è quello che desidero: vorrei poter scegliere, vorrei potermi schierare dalla parte della pace e della giustizia. Ma non posso, devo stare dalla parte in cui sono nato. (sommario)

Andrea

 

 

Poesie

Occhi di bimbo

 

Ho visto dal disegno di un bambino

cieli verdi, prati rosa, montagne blu,

un mondo che rideva d’allegria

come gli occhi scuri dov’era rifugiato.

Guardando intorno

cercavo quei colori,

ma tutto era consueto, immutato,

eccetto gli occhi tuoi, bambino,

che nel fondo avevano tutta la bellezza

di questo strano mondo.

 

 

Per non soffrire

 

Per non soffrire

ama il silenzio

non c’è bisogno di parole

che passano

e lasciano delusi.

Se è amore

basta una carezza

inaspettata

uno sguardo

che si fa

rincorrere

ed improvvisamente

si posa

tra i fiori

della mente.

Per non soffrire

ama il silenzio

e il silenzio

ti ripagherà.

 

 

A Cristiano

 

Ti ho conosciuto ai piedi di Maria

scarno e curvo

con i riccioli scomposti

sul volto pallido domandavi

non ti ho chiesto cosa…

Ho visto l’innocenza trasparire

da tutte le tue ferite.

Ti ho visto al tavolino del bar.

Ti volgevi assetato verso di me,

cercando una fonte perduta

lungo le strade dell’infanzia lontana.

Poi sei tornato nel tuo deserto

laggiù dove io non posso raggiungerti.

 

 

Foglie d’autunno

 

Nella sera dal crepuscolo più breve

ascolta il vento soffiare

freddo ed imperioso

dai monti al mare.

Durante la rincorsa

trascina nugoli di foglie gialle

ed insieme ad esse

le vicende degli uomini in cammino.

Vanno da soli,

insieme al loro destino,

fino a quando un giorno li rapisce

un nugolo di vento

come foglie appassite.

(sommario)

 

 

Relax

 

a cura di Francesco P.

Un carabiniere torna a casa dal turno di notte che è ancora buio. Per non disturbare, non accende la luce e va a tentoni, toccando le pareti. Riconosce l’ingresso e dice: "Questo è il corridoio". Poi riconosce la stanza da letto e dice: "Ecco questa è la camera da letto". Poi tocca il letto e dice: "Questo è il letto". Tocca i piedi di sua moglie e pensa: "Questa è mia moglie". Si sposta ancora un po’ e tocca altri due piedi e dice: "Ecco questo sono io".

 

 

Un uomo va dal suo medico di fiducia e gli dice: "Dottore, io ho un grosso problema ma mi vergogno molto a dirlo". Ed il dottore stupito ribatte: "Ma si figuri, lei è mio paziente da tanti anni ed ora si vergogna, mi dica tranquillamente!". E l’altro: "Beh dottore, io mi sento un cane". Ed il dottore stupito: "Come un cane, e da quando?"… "Fin da cucciolo, dottore!".

 

 

Una signora telefona al dottore preoccupata e dice: Dottore mio marito è uscito fuori di testa, ora si sente un cavallo!". E il dottore: "Come un cavallo! Vabbè, signora, lo porti qui in studio e vediamo cosa fare". E la signora: "Grazie dottore, tempo di mettergli la sella e sono da lei".

 

 

Due vecchi amici si incontrano ed informandosi ognuno delle cose dell’altro, ad un certo punto uno chiede all’altro: "E tuo figlio, tuo figlio, cosa fa?". "Ah - risponde l’altro orgoglioso - mio figlio è entrato in banca". Risponde l’amico: "Bene e quanto prende?". Il padre: "Non lo so, il processo glielo fanno domani".

 

 

Due amici si incontrano ed uno chiede: "Come stai, come ti vanno le cose?". L’altro: "Abbastanza bene, ora sto lavorando per la televisione!". "Bene! Allora stai facendo dei progressi!". Risponde l’interpellato: "Sì, ancora due cambiali e l’ho pagata".

 

 

Bossi entra in un bar con al guinzaglio un coccodrillo e chiede: "In questo bar servite anche i meridionali?". Il barista, un po’ seccato, risponde: "Certo, noi non siamo mica razzisti!". Ribatte Bossi: "Bene, allora un cappuccino per me ed un calabrese per il mio coccodrillo!".

 

 

Due carabinieri entrano in un bar ed uno chiede all’altro: "Cosa prendi?". E l’altro risponde: "Quello che prendi tu". Allora il primo dice: "Due caffè!". Ed il secondo: "Due caffè anche a me".

 

Un uomo va dal barbiere e si siede sulla sedia. Il barbiere chiede: "I capelli li vuole indietro?". E l’altro: "No, se li tenga pure!". (sommario)

 

 

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