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La Rondine, una voce dal carcere rivista della Casa di Reclusione di Fossano (numero 14, luglio 2004)
Riflessione sulla giustizia riparativa, di Andrea Rossi
Il concetto di restituzione inteso come una forma di risarcimento della vittima da parte di chi ingiustamente ha provocato ad essa un danno, ha origini molto antiche: fin dal Codice di Hammurabi (1.700 A.C.), dalle Dodici Tavole delle leggi romane (449 A.C.), alla Lex Salica, la prima raccolta scritta delle leggi germaniche (49 D.C.), si vede chiaramente un’attenzione per la vittima del danno che viene quantificato secondo ben determinati metodi di calcolo. Di conseguenza sono applicati ben determinati criteri per fare in modo che il cagionatore del danno sia messo nell’obbligo e nella possibilità di rifondere il danno. E’ una giustizia basata sul rapporto tra le parti, dove chi viene ingiustamente danneggiato è messo in primo piano, dove il reato è considerato non tanto come una violazione delle leggi dello Stato e quindi comunque commesso contro lo Stato stesso, ma come una violazione dei diritti di un’altra persona verso la quale lo Stato ha il dovere di garantire il risarcimento. Durante il Medioevo l’approccio cambia notevolmente. Con il potere tutto accentrato ai vari regnanti e con ad essi attribuito il potere di decidere secondo "giustizia", si lascia un’individuale e pericolosa discrezionalità al potente, sotto il controllo solo della sua coscienza. Avviene così, che il reato comincia ad essere inteso come un’insubordinazione al potere del re e non più come un ingiusto danno provocato ad un'altra persona. Perde ogni importanza la persona offesa e danneggiata, alla quale ora non viene più riconosciuta nessuna forma di risarcimento e, nei confronti del reo, le uniche misure prese sono l’incarcerazione, la tortura, le sevizie ed in molti casi, la morte. Si è passati da un sistema (primitivo) di riparazione penale, ad un sistema (anch’esso primitivo) di pura e semplice repressione. Ma l’evoluzione del pensiero criminologico ha portato sicuramente ad un lento procedimento di umanizzazione del rapporto tra cittadini e giustizia fino a giungere, con il tempo, ad attribuire come nuovo obiettivo primario della pena, la rieducazione, al fine di ridurre la probabilità di nuovi crimini. A partire dagli anni 50, negli Stati Uniti si è cominciato a riconsiderare il danno cagionato dal reo alla vittima e a sperimentare sentenze con le quali si imponeva ai colpevoli di un reato, anziché la carcerazione, il pagamento di una somma di denaro o la prestazione di un servizio a favore della vittima, se questa lo desiderava (riparazione diretta), oppure alla comunità (riparazione indiretta). In tutte le legislazioni occidentali è prevista la possibilità di risarcire i danni provocati alla persona offesa da parte di chi ha commesso il crimine come pena autonoma, alternativa al carcere (Inghilterra,1982), o come forma di agevolazione per ridurre la pena detentiva (applicazione più frequente in Europa). Anche in Italia passi sono stati fatti in questo senso verso la fine degli anni 80, nell’ambito della giustizia penale minorile. Il Giudice può prescrivere la partecipazione del minore ad interventi di volontariato sociale sia durante la fase processuale come periodo di messa in prova che, se valutato positivamente, può dar luogo ad una sentenza di estinzione del reato, sia in fase di esecuzione della condanna, come misura alternativa al carcere. Viene ancora da dire che la categoria delle persone che avendo commesso un reato e che si trovano poi in grado di rifondere il danno arrecato è esigua: chi commette un reato, di solito, lo fa per bisogno o per disperazione ed è ovvio pensare che non abbia la possibilità economica di risarcire la parte lesa e quindi, di conseguenza, non avrà la possibilità di ottenere la relativa riduzione della pena. Quello che viene da chiedermi è: a chi beneficia tutto ciò? Sicuramente non alla parte lesa e nemmeno al condannato. Dovrebbe, a mio avviso, la legislatura orientarsi verso una politica che dia garanzia a chi è stato ingiustamente offeso, di essere risarcito e offra la possibilità al colpevole di inserimenti lavorativi utili per la società, concedendogli il suo diritto-dovere di riparare al male commesso, evitando lunghe ed improduttive carcerazioni e restituendo dignità e rispetto delle istituzioni ad entrambe le parti che, troppo spesso, si sentono numeri o pedine mosse non si sa bene da chi e non cittadini. Molto difficile per gli extracomunitari il ricorso a pene alternative
di Abdel Hakim Atrous, Abdelilah Khadli
L’Italia è il Paese europeo con il più alto tasso di immigrati carcerati sul totale della popolazione detenuta (nel 2003 era il 31,3 per cento). E’ quanto afferma uno studio dell’Istituto Cattaneo, un dato che, secondo il sociologo Ambrosiani, docente all’Università di Genova, "riflette le difficoltà degli stranieri ad accedere a misure alternative". "La stragrande maggioranza degli stranieri – dichiara Pagano, ex Direttore del carcere S.Vittore di Milano - commette reati che prevedono pene inferiori ai tre anni, pene per cui gli italiani riescono a ricorrere facilmente a misure alternative. La loro permanenza in carcere non è quindi motivata dalla gravità dei reati o dalla loro maggiore pericolosità ma è condizionata dalla difficoltà ad usufruire di sconti e benefici di legge", essendo per lo più irregolari e senza un domicilio. L’elevata percentuale di extracomunitari detenuti non ha subito una sostanziale variazione neanche con l’introduzione della legge Bossi-Fini che prevede un ampliamento delle possibilità di ricorso al mezzo dell’espulsione mediante disposizione o del Magistrato di sorveglianza come misura alternativa alla detenzione per pene residue non superiori a due anni oppure dell’Autorità Giudiziaria come sanzione sostitutiva a condanne inferiori a due anni. I dati del D.A.P. (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) indicano un aumento del numero delle espulsioni in seguito all’entrata in vigore della legge nel settembre 2002; si è passati da una media mensile di 21-25 prima di tale data ad una quota di circa 95 successivamente. Tuttavia i dati forniti sono complessivi e non precisano le singole causali del provvedimento di espulsione che potrebbe anche essere una sanzione amministrativa per infrazione alle leggi sull’immigrazione oppure una misura di sicurezza al termine della pena detentiva. Se pensiamo che nei primi dieci mesi di applicazione della legge Bossi-Fini le scarcerazioni per espulsione sono state 900 su una popolazione di 17000 detenuti stranieri, possiamo concludere che neanche questo provvedimento legislativo, come pure il cosiddetto "indultino", sta incidendo in maniera significativa sul problema del sovraffollamento delle carceri. Da Casablanca sognando l’Italia, di Abdel Hakim Atrous
Sono nato in una caotica città del Nord Africa, Casablanca. Come tutti i bambini che vivono in Marocco e in tutte le parti del mondo, i miei confini geografici erano la mia casa e quello che piano piano cominciavo a conoscere della mia città, dai giochi più infantili fatti tra le mura domestiche alle prime uscite con gli amici. La nostra attrazione principale erano i turisti; il loro modo di vestire, la loro carnagione e l’idea che rispetto a noi si potessero permettere praticamente tutto ci fece elaborare la semplice equazione: "Turisti = soldi". Crescendo, cambiano le esigenze e cambiano anche i discorsi; tra gli amici c’era già chi cominciava a parlare di venire a vivere in Europa, con la ferma convinzione di potervi trovare benessere e ragazze con una mentalità diversa da quelle del nostro paese. L’idea di partire, in me, pian piano stava diventando un’ossessione a tal punto che un giorno ne parlai con i miei genitori, i quali si dimostrarono favorevoli essendo convinti che con il lavoro ed il sacrificio avrei avuto molte più opportunità di una vita migliore in Europa che non nel mio paese. Lavorai duro e raggiunsi la fatidica cifra che mi serviva per imbarcarmi, scelsi l’Italia perché qui c’erano dei parenti e non mi sarei trovato completamente da solo. Feci il visto turistico e preparai tutto il necessario per la mia partenza. Ricordo ancora la notte antecedente al mio viaggio, la passai sveglio in uno stato di agitazione e curiosità, misti a paura e desiderio; finalmente arrivò il momento dell’imbarco ed in men che non si dica fui in Italia. Arrivai a Torino, vedevo solo gente che andava e veniva; prima di ogni cosa, volevo capire da dove cominciare, documenti, lavoro e permessi che mi avrebbero consentito di poter restare in questo paese colorato e pieno di attrattive. Qui cominciarono i primi problemi, le difficoltà per i documenti, le difficoltà per il lavoro e fu così che, dopo ripetuti e vani tentativi di mettermi in regola, entrai nel mondo dello spaccio, dal quale potevo aver soldi facili e una pseudo vita normale. Tutto questo durò poco, perché ben presto mi ritrovai chiuso in carcere a riflettere su tutto il mio passato. Il grande viaggio era finito, ma questo tempo che passo rinchiuso e privato della mia libertà, mi aiuta a capire i miei errori passati, che, nonostante i miei umani limiti, non mi hanno mai fatto cambiare l’idea su quello che era il mio scopo iniziale: vivere in questo paese con la possibilità di costruirmi un futuro e una famiglia e di poter crescere i miei figli nell’insegnamento del rispetto delle leggi di Dio e degli uomini. Il carcere di Fossano: una struttura che insegna la vita… anche a chi è fuori
di Giuseppina Sciolla, insegnante referente del progetto
Come previsto dalla programmazione iniziale dell’area di progetto "Carcere e società" applicata alle classi quarta Igea dell’ I.I.S. "G Vallari" – sez. ass. "Tesauro" di Fossano, l’attività in oggetto, dopo aver espletato la fase dell’analisi teorica o di documentazione dei contenuti, è transitata verso il contatto con la realtà territoriale, sfociando nell’accostamento diretto con l’esperienza della Casa di Reclusione di Fossano "Santa Caterina". Il passaggio si è concretizzato attraverso due giornate intensissime e particolarmente forti e ha avuto inizio lunedì 19 aprile, quando i nostri allievi sono entrati nell’istituto di reclusione e hanno avuto la grande opportunità di condividere, per alcune ore, l’ambiente e la vita del carcere, mediante la visita ai diversi spazi di residenza e di lavoro, dai laboratori di falegnameria, di saldo-carpenteria, di cablatura industriale, di informatica, ai locali destinati ad attività socio-culturali, concernenti corsi di: pittura, teatro, fotografia, alfabetizzazione, alla sala musica, alla sede della redazione del giornale interno "La Rondine". Accompagnati dal direttore dott. Edoardo Torchio, dal comandante Isp. Sup. Pasquale Maglione e da alcuni membri della Polizia Penitenziaria, gli studenti hanno, inoltre, visitato la Cappella, gli uffici, le cucine, le sale destinate ai colloqui, i cortili. Per tutto il tempo i ragazzi hanno vissuto a stretto contatto con gli ospiti, che hanno via via incontrato nei vari settori e che hanno poi accolto nella sala polivalente, dove, dopo un’illustrazione da parte del Direttore dei caratteri strutturali e delle metodologie del "Santa Caterina", i detenuti stessi hanno offerto agli alunni alcune personali riflessioni, sorrette da preziosissime e intense considerazioni legate alle proprie esperienze. Già da questo primo giorno è emersa molto chiaramente la peculiarità del carcere di Fossano, il quale, pur senza disattendere il proprio ruolo detentivo, non dimentica mai l’aspetto rieducativo, ancor più caratterizzato dall’istruzione, che, nel caso specifico della nostra città, ospitando persone condannate a pene brevi o in situazioni di conclusione della pena stessa, deve, con urgenza, predisporle ed accompagnarle al reinserimento nella società. L’ambiente carcerario di Fossano, grazie all’impostazione introdotta dalla direzione, dal comando e dagli operatori, a motivo del metodo sul quale si fonda che comporta l’apertura delle celle durante il giorno, favorisce le relazioni interpersonali ed è in grado di smorzare le eventuali tensioni e di circoscrivere al minimo i disagi. In esso si respira un clima di grande rispetto, emerge, prioritariamente, l’attenzione delle persone e da parte delle persone, che conduce a rapporti distesi e ad un grande interesse verso la collaborazione ed i contatti esterni. Le constatazioni raggiunte, praticamente, sul territorio sono state ampiamente rivisitate e ulteriormente motivate dalla conferenza-dibattito tenuta il giorno successivo, martedì 20 aprile, nell’Aula Magna del "Tesauro", dal comandante Maglione, il quale, nel corso di un’ampia e chiarissima indagine sul sistema carcerario, condotta con competenza, infinita saggezza e appassionato coinvolgimento, ha guidato l’attenzione delle classi sull’impostazione, la conduzione, i programmi del carcere e, partendo dalla Costituzione Italiana, ne ha letto, con precisa attualizzazione, l’applicazione concreta nell’istituto di reclusione. Il Comandante ha parlato dei diritti e dei doveri della popolazione carcerata, delle sue esigenze, delle difficoltà, delle sofferenze, delle ferite e dell’assoluta necessità di offrire, da parte di una stretta collaborazione di tutti gli operatori, risposte efficaci e, a volte, consolanti a tutte le attese e a tutte le speranze. Il progetto sul carcere viene così ad assumere una dimensione che va ben oltre il mero studio contenutistico e diventa un’efficace lezione di vita, perfettamente trasferibile anche all’esterno delle sue stesse mura e molto utile ai giovani. Oltre alla totale disponibilità e alla spiccata cordialità con le quali sempre veniamo accolti quando varchiamo i cancelli, il nostro lavoro ci ha portato ad accostare i valori imprescindibili dell’esistenza, ancor più incisivi quando si riscontrano in un contesto che, per sua natura, presenta risvolti difficili. Questa esperienza ci sta facendo crescere e maturare tutti insieme e ci incoraggia ad ulteriori collaborazioni. E’ anche per tali motivi che nell’ultima parte dell’anno scolastico, il progetto sarà ultimato mediante l’intervento diretto della popolazione del carcere fossanese, la quale sarà invitata ad offrire il proprio contributo nella stesura finale dell’attività e la realizzazione di alcuni tornei sportivi che vedranno impegnati studenti e detenuti per consolidare le sinergie e sperimentare l’amicizia nel reciproco arricchimento. "Quei portoni che si chiudono dietro le spalle"
Nel momento in cui sono entrato ed ho sentito sbattere il portone dietro le mie spalle, ho capito quanta tristezza queste persone portano nel cuore. Abbiamo attraversato molti cancelli sotto la minuziosa attenzione della Polizia Penitenziaria e quando ci è stato riferito che avremmo "passeggiato" in cortile con affianco i detenuti, mi è venuto un brivido lungo la schiena. Nel momento in cui siamo entrati in cortile, automaticamente ci siamo stretti e abbiamo creato un corpo unico vicino al Comandante e alla guardie, questa è stata la prima emozione molto forte. Nel momento in cui ho incrociato gli sguardi dei detenuti ho capito che un’altra vita è presente a pochi metri dalla mia scuola e che non si può visitare un luogo del genere con superficialità. Non credevo fosse possibile che tutti i detenuti potessero essere liberi di circolare per i locali, ma ho sempre pensato al carcere come ad un luogo di estrema rigidità e durezza dove ognuno deve stare nella propria cella e può trascorrere al massimo due o tre ore con gli altri reclusi. Per quanto riguarda le celle invece, sono proprio come me le immaginavo, fredde, buie, tappezzate di simboli o di desideri. Per tutto il tempo che sono stato in carcere ho percepito una sensazione di grigiore, di tristezza, di isolamento, un’infelicità che mi ha perseguitato per tutta la giornata, provocando un’ostilità verso le cose che noi diamo per scontate: la libertà in tutte le sue forme. Il Comandante e il Direttore hanno affermato, come poi anche i detenuti, che il carcere di Fossano sia "modello" in quanto è aperto, i detenuti sono liberi di circolare per il cortile per 6-7 ore al giorno e hanno la possibilità di frequentare corsi, studiare, conseguire un attestato; nonostante siamo stati messi al corrente di tutti questi elementi positivi rimane comunque una casa di reclusione dove vengono ristrette le libertà dell’uomo…. In particolare mi ha colpito la poca tensione che si respira all’interno del penitenziario, pensavo ci fosse molta più freddezza e distacco delle persone che vi sono presenti; invece vi è un rispetto reciproco fra detenuti e addetti al servizio di polizia, con frequenti discorsi e battute scherzose. Penso che una visita di questo tipo possa far capire molte realtà che vi sono nella nostra società e serve da esempio per noi giovani e alle persone più deboli che cedono alle tentazioni del crimine e dei soldi facili.
"Come deve essere difficile vivere in carcere"
La proposta dei docenti di visitare il carcere fossanese al fine di comprendere più da vicino l’esperienza e la vita dei detenuti ha suscitato grande approvazione ed interesse. Tuttavia, sin dall’ingresso nell’istituto carcerario, la serietà e l’attenzione a quel mondo nuovo hanno preso il sopravvento. La "visita" è immediatamente diventata un momento particolare, molto sentito da ognuno di noi. Nonostante alcune simpatiche battute sulla apparentemente eccezionale vivibilità del nostro carcere, i numerosi e successivi portoni d’ingresso automatizzati e le numerose guardie carcerarie sono da noi subito stati identificati come mezzi oppressivi, capaci di limitare immediatamente la libertà dei detenuti. I film analizzati dal prof. Marangi, come "Brubecker", nei quali si trattava spesso dell’entrata in carcere, sono gradualmente divenuti realtà, una realtà a noi vicina, affrontata non con gli occhi di un detenuto ma con quelli di uomo libero. Il Comandante del penitenziario ha subito iniziato il percorso guidato, che ha portato ognuno di noi direttamente a contatto con i detenuti. Egli ha tenuto a precisare una fra le caratteristiche fondamentali del carcere fossanese: la grande "libertà" concessa ai detenuti. "Essi sono liberi di uscire dalle loro celle, di camminare in cortile o giocare a pallone dalle ore 8 del mattino alle 4 del pomeriggio, differentemente da quasi tutte le altre carceri piemontesi, dove la possibilità di uscire all’aperto è piuttosto limitata". Queste le parole del nuovo Direttore del carcere, il quale ha sottolineato anche i fondamentali obiettivi della detenzione in quel di Fossano: la rieducazione e l’istruzione scolastica e lavorativa dei carcerati, messa in atto con corsi professionali attestanti l’attività eseguita, attraverso il conseguimento di un diploma al termine del ciclo di apprendimento. Il laboratorio di falegnameria è stato segnalato come il "migliore in tutto il Piemonte", riguardo all’avanguardia dei macchinari e delle lavorazioni. Altre attività di svago sono state illustrate: possibilità di suonare e cantare, dipingere, frequentare la palestra, giocare a tennis. In seguito è avvenuta la visita nei corridoi e in due celle carcerarie vere e proprie. A quel punto la sensazione di una frustrante realtà, monotona e fatta di giorni esattamente "piatti", ha fatto emergere in ognuno di noi un secondo e meno felice obiettivo del carcere: la spersonalizzazione, vera protagonista di numerosi film presentati dall’esperto Aiace, pochi mesi or sono. Ancora più imbarazzante lo sguardo di alcuni detenuti, felici ma allo stesso tempo molto diffidenti e confusi nel vedere facce nuove in quel luogo di chiusura. Il Direttore ha spiegato anche la possibilità per i detenuti di avere colloqui con i parenti a stretto contatto con essi, "come al bar". Ecco emergere dunque un altro elemento caratterizzante il clima di questo carcere: un clima disteso e calmo, anche fra i detenuti stessi, condannati alla perdita della libertà ma non oppressi da un’eccessiva chiusura. Dopo è arrivato il momento di ascoltare alcuni detenuti aperti alle nostre domande. Al quesito "Come vivi la tua detenzione?" è immediatamente emersa la grande difficoltà di adattamento al carcere e all’idea stessa di aver perso la libertà. Difficile anche separarsi dai familiari e dalla routine quotidiana; a tal proposito è intervenuto un giovane di appena 30 anni, sposatosi all’età di 15 anni, padre di quattro bambini e detenuto già in trenta carceri italiane per più di dieci anni. Pochi i pensieri saliti alla mente nell’ascoltare le sue parole, se non un grande stupore. Poi, però, l’affermazione "entrare in carcere è un attimo, uscirne è tosto" ha suscitato riflessioni importanti legate al rischio di cadere nella "tentazione" di voler sopraffare le regole dettate dalla società odierna, "tentazione" che porta quasi sempre al reato, più o meno grave e poi alla detenzione. Altra testimonianza importante è stata quella di un giovane il quale ha provato a spiegare le cause principali che conducono a commettere un reato punibile penalmente: innanzitutto le condizioni famigliari, "ero orfano di madre", spiega. Inoltre la gran voglia di avvicinarsi agli altri, in una società condizionata totalmente dalla pubblicità e dalle firme: "Ho iniziato piano piano a prendermi ciò che desideravo, insieme a colore che erano con me, senza capire che era meglio sudarmelo". Entrato in carcere a 15 anni per la prima volta, è ricascato nella trappola una seconda volta seppur con infinita voglia di voltar pagina. Forse si può concludere con una frase di un detenuto condannato a 12 anni di reclusione per rapina a mano armata e tentato omicidio, che appare, a pochi mesi dalla scarcerazione, completamente redento: "Il momento più difficile per ognuno di noi è la sera quando andiamo a letto, ci si trova nella propria intimità. Qui si ripensa ai propri sbagli e agli errori commessi, ci si sente davvero soli e si spera nelle piccole cose: ricevere una lettera, una visita dall’esterno o semplicemente di poter uscire per ricominciare a vivere". Una simpaticissima commedia ha divertito pubblico ed ospiti, di Maurizio Fabbris
Giovedì 29 aprile, nel nostro carcere si è svolta una rappresentazione teatrale divertente ed ironica di fronte ad un pubblico formato anche dal candidato sindaco di Fossano, dott. Balocco, dagli studenti dell’Istituto "Tesauro" che partecipano al progetto "Carcere e società" e dagli inviati dei settimanali locali. Questa volta la compagnia teatrale ha voluto mettere in scena una commedia in tre atti in cui una famiglia leghista e razzista, attraverso varie vicissitudini sentimentali ed un processo, riesce ad accettare nel proprio ambito una persona di colore. Bravissimi i due attori protagonisti, Bruno Chiricosta e Maurizio Beretta che hanno interpretato, rispettivamente, un marito un po’ sprovveduto e tanto cornuto e la moglie razzista, confusionaria e farfallona. Bravi tutti gli altri a partire dai componenti della famiglia: Aureliano, il nonno un po’ svanito; Ciro, la figlia bruttina che vuole accasarsi; Giovanni, il figlio, tipico "pierino" dell’occasione; Hansaray, il fidanzato di colore della figlia, prima respinto, poi accettato. Non è stato facile preparare questa commedia da soli ma l’entusiasmo, l’impegno e la determinazione hanno vinto su tutto, in una sfida prima di tutto con se stessi, nel mettersi in gioco. L’esperienza è stata significativa non solo a livello personale ma l’aver lavorato in un gruppo dove c’erano persone di diversa nazionalità, rumena, slava, peruviana, araba ha permesso di aumentare la conoscenza e la comprensione reciproca, nonostante le diverse culture. E’ nato il cosiddetto "spirito cameratesco" che spinge le persone ad aiutarsi l’un l’altro e a superare le paure di non essere all’altezza, di dimenticare le battute, di affrontare il giudizio degli altri. L’esperienza teatrale ha permesso di conoscere meglio se stessi e rafforzare la propria autostima. Il gruppo si è divertito e spera di aver divertito e ringrazia tutto il pubblico presente, in particolare gli studenti e quelli che hanno collaborato alla realizzazione.
Indovina chi viene a cena al S. Caterina - Commedia in tre atti
Gruppo teatrale: Claudio Barri, Maurizio Beretta, Giovanni Caputo, Bruno Chiricosta, Antonio De Cesare, Giovanni Guzza, Hansaray, Jusic, Ciro Massa, Popescu, Maurizio Riccobono, Alvaro Ruiz, Renato R., Aureliano T. Gruppo musicale: Patrizio Deiana, Vito Di Lorenzo, Matteo, Maurizio Fabbris, Giuseppe Maggiore, Francesco Puma. Sceneggiatura: Antonio Monaco, Andrea Rossi, Boris Sverko. Luci: Luca V. Messa solenne nel giorno di Pasqua con tante autorità, di Andrea Rossi
Anche quest’anno nella cappella del Santa Caterina, il giorno di Pasqua, un gruppo di detenuti, insieme alla volontaria Silvia nei panni di Maria Maddalena, ha fatto rivivere con bravura ai loro tanti compagni presenti e ai numerosi ospiti intervenuti una breve ma intensa e commovente rappresentazione della Risurrezione. Il clima di raccoglimento si è mantenuto per tutta la solenne Santa Messa presieduta da padre Ghi, il gesuita carismatico che con grande affetto viene tra gli amici carcerati di Fossano nelle grandi feste religiose e concelabrata dal cappellano, padre Bruno. Anche gli ortodossi, che quest’anno festeggiano la Pasqua lo stesso giorno dei cattolici, si sono uniti in lingua slava alla preghiera dei fedeli durante la quale è pure stato letto un saluto augurale dei musulmani rivolto ai compagni cristiani nella loro festa più importante. Questo gesto inaspettato ha prodotto un applauso spontaneo per sottolineare il desiderio di tutti di vivere insieme pacificamente e che la persona di fede non può essere per la violenza. Il piccolo mondo della comunità multietnica del Santa Caterina dà un bell’esempio di come si possa convivere, anche in spazi ristretti, nel rispetto reciproco e nella condivisione di tutti delle occasioni più importanti per ciascuna religione o tradizione. Terminata la Santa Messa che è stata bene animata dal gruppo musicale, coordinato con maestria dall’instancabile Maurizio, il Comandante Maglione ha fatto gli onori di casa, in rappresentanza del Direttore, ai numerosi ospiti politici, tra cui il Sindaco Manfredi, il Presidente della Provincia Quaglia, l’on. Costa, consiglieri provinciali e comunali che anche in questa occasione hanno voluto mostrare la loro sensibilità verso il mondo carcerario. "Qui, in carcere, sono riuscito a meditare sulla Pasqua", di Giovanni Guzza
Queste saranno proprio quattro righe, di una persona che per forza si rende conto di essere in carcere. Innanzitutto per aver commesso un reato ed in secondo luogo, per non aver fatto un’istanza quando ero in libertà che mi consentisse di rimanere fuori. Facendo la somma di tutto ciò, ne deriva che sono in carcere e posso dire che sia due volte colpa mia. Ma nel mio cervello è successo qualcos’altro, grazie a Dio non per essere in carcere. Proprio qui, in carcere a Fossano, ho potuto fare un’interessante seppur breve preparazione alla Pasqua. Anche la festa l’ho passata qui, in un primo momento ho cercato di non pensare solo al fatto che è stata la prima Pasqua della mia vita senza colomba. Ma forse proprio grazie al fatto che ero qui, al di fuori del tran tran quotidiano della vita esterna, sono stato meno corazzato nei confronti delle parole che ho ascoltato durante la preparazione della Pasqua, meno propenso a non dare valore a ciò che stavo ascoltando, sono riuscito a raccogliermi e a meditare. E’ vero che sono lontano da casa e che per i miei questi 200 km sono come se fossero 2000, sono tante le difficoltà, anche a carattere economico perché loro possano venirmi a trovare; i miei parenti o sono troppo giovani o troppo anziani anche per venire qui una volta ogni tanto. Nonostante ciò, ho deciso di far loro sapere quello che mi stava succedendo qui, nella chiesetta di un carcere: pregare come continua cantilena di Pater- Ave-Gloria, per poi chiedere a Dio di farmi uscire presto. Questa è una leggerezza da bambino, ora prego e basta, non mi sento solo e neanche fallito. Dalla risposta di tutti i miei, anche se per lettera, so di averli vicini col pensiero, con la preghiera sento di averli veramente più vicini ora che sono qui, figuriamoci fuori. Non sono mai stato uno di quelli che non sa che farsene della giornata, ho sempre avuto degli impegni fuori, a volte svolti bene, a volte male, non sta a me dare interpretazioni. Ma di una cosa sono certo, porrò sempre maggior attenzione a svolgere i miei compiti e i miei doveri e penserò sempre alla Pasqua passata qui nel 2004, perché l’ho vissuta molto più intensamente di tutte le altre. Voglio concludere ringraziando Padre Ghi e Padre Bruno che mi hanno dato lo spunto per la mia riflessione personale. Convegno regionale della Caritas. Giustizia e pace: valori da promuovere e difendere, di Silvia
Sabato 15 maggio si è svolto presso il teatro annesso al Santuario di Colle Don Bosco il III Confronto Regionale della Caritas sui temi Giustizia e Pace. All’incontro hanno partecipato circa 300 volontari delle varie delegazioni del Piemonte e della Valle d’Aosta che sono stati accolti da un’ottima organizzazione. La giornata si è aperta con un momento di preghiera seguito dall’introduzione alla giornata di Monsignor Francesco Ravinale, Vescovo di Asti, che con parole semplici ha riassunto il programma e le finalità che il confronto si prefiggeva, ossia comprendere quello che si è fatto e quello che ancora si deve fare per raggiungere e mantenere la pace e la giustizia all’interno della nostra Società. A seguito dell’introduzione del Mons. Ravinale ci sono stati tre brevi flash di esperienze vissute dalle varie Caritas e c’è stato anche l’intervento di una volontaria di Fossano che ha affrontato il tema del carcere parlando in particolare della realtà del Santa Caterina, di quello che si è fatto, si fa e si farà per mantenere la pace all’interno della struttura e soprattutto per ricordare che nei carceri, prima di tutto, ci sono uomini che non devono essere compatiti ma che devono essere spronati ad avere la forza di analizzare i propri sbagli e andare avanti meritandosi una nuova possibilità. Dopo l’intervento dei tre volontari ha preso la parola Monsignor Fernando Charrier, Vescovo di Alessandria e delegato CEP per la Pastorale Sociale e Lavoro, che ha affrontato per circa un’ora l’argomento su cui verteva l’intero incontro. Il suo intervento è stato coinvolgente e profondo, e in particolare ha chiarito il ruolo del volontariato in Italia, in quanto attualmente l’Amministrazione tende a scaricare tutte le incombenze relative ai vari problemi sociali direttamente sulle associazioni di volontariato, anche se in realtà queste ultime devono fornire supporto ed appoggio a ciò che lo Stato deve/dovrebbe fare per costituzione e a questo riguardo è stato detto "la promozione umana deve essere fatta dalle Istituzioni e non che l’assistenza venga appaltata alle associazioni di volontariato". Inoltre è stato aggiunto che la giustizia si raggiunge attraverso la rimozione delle fonti che provocano emarginazione e differenze, infatti il potere è nella dignità di ogni singolo cittadino. A proposito del tema pace sono state molto significative le parole del Monsignore che in sostanza dicevano che sono i piccoli odi e l’incapacità di stare assieme che provocano la guerra, in poche parole l’individualità a cui sta tendendo l’uomo moderno. Vivere in modo pacifico vorrebbe dire che ogni uomo si assumesse i propri doveri e allo stesso tempo potesse esercitare liberamente i propri diritti sempre nel rispetto del prossimo, ma purtroppo ciò non avviene perché a molti non sono riconosciuti diritti ed altrettanti non esercitano alcun dovere scaricandolo sul prossimo meno fortunato. Ciò genera le guerre che da secoli imperversano in ogni dove, ma che troppo spesso vengono combattute da giovani vite che non condividono neanche le ragioni per cui tutto è iniziato, a questo proposito sono state lette le parole del testo di una canzone di Bob Dylan "…ho visto a pochi metri il mio nemico e il suo volto era come il mio…". Bisogna quindi che le istituzioni e i governi prendano coscienza della giustizia sociale anche a scapito degli interessi economici, ma affinché ciò avvenga ci vorrà tempo e impegno da parte di TUTTI (individui, associazioni religiose e non, famiglie, Governi, Istituzioni, gruppi, etc.). Dopo l’intervento del Vescovo di Alessandria c’è stato un momento di dibattito dove ci sono stati diversi interventi e domande sempre su questo tema e alle 13 la pausa pranzo. Nel pomeriggio i lavori sono proseguiti a gruppi e in particolare sono stati avviati tre laboratori relativi al tema Pace e Giustizia in tre diversi ambiti: nella nostra casa, nel proprio paese e nel mondo. Alla fine si sono tratte le conclusioni ed è stato piantato il seme per futuri incontri e sviluppi. La giornata si è chiusa con il saluto di Don Giovanni Perini, delegato regionale. Riflessioni di un detenuto slavo sulla guerra. Buoni e cattivi, vincitori e vinti, di Ljudevit Grudic
Siamo tutti indignati per gli avvenimenti nel carcere di Bagdad, dove, degli ormai inermi prigionieri di guerra, venivano (e mi auguro che l’uso del verbo al passato sia nella forma corretta) sistematicamente seviziati, umiliati e torturati. Ciò che viene spontanea è una domanda: chi e perché è vittima e chi e perché è carnefice? Chi tortura per il bene dell’umanità e chi invece è un criminale? La storia ci insegna che i nazisti furono giustamente perseguiti e condannati per gli atroci crimini contro il popolo ebraico, mentre i Gulag staliniani passarono quasi inosservati davanti al mondo, infiammato per l’orrore nazista. Vengono alla mente la tragedia di Hiroshima e Nagasaki, il napalm sui villaggi vietnamiti, la rivoluzione di Mao Tze Tung, la lunga e sanguinosa guerra etnica che ha infiammato i Balcani ed il relativo uranio impoverito sparso un po’ dappertutto dagli americani allo scopo di riportare la democrazia in quelle terre tanto martoriate. La storia ci insegna e tutti sanno che in una guerra, ci sono torture, ingiustizie e massacri. Prima di indignarci e di mostrare il nostro sdegno per queste cose, dovremmo farlo nei confronti della guerra, di chiunque la produca, qualunque sia la sua parte politica e religiosa. Buoni o cattivi, si evince che la giustizia è sempre più un valore soggettivo, dove chi vince può appuntarsi al petto la medaglia di buono ed avere il diritto di processare e condannare i cattivi, cioè coloro che hanno perso. Spunti di riflessione e di approfondimento di uno psicologo. La pace: un fenomeno dinamico, di Giuseppe Brondino (da Uomini con gli uomini n° 1/1991. Mensile missionario dei frati Cappuccini piemontesi)
Da millenni si parla di pace, si discute, si manifesta… ma quanto a risultati, non è che se ne vedano poi molti. Molte persone impegnate e sensibili cominciano a chiedersi: che cosa dovremmo fare di più incisivo, di più efficace? Perché non si cambia? Dov’è che stiamo sbagliando? E’ molto difficile definire esattamente "la pace". Vi sono numerose definizioni sui dizionari, sui libri, parlando in giro ma non per questo possiamo dire di sapere che cosa sia, esattamente, la pace. Una definizione classica afferma che la pace deve essere letta in negativo e in positivo. In negativo, la pace è assenza di conflitto (non vi sono guerre, lotte, aggressioni…). In positivo, è armonia, concordia, collaborazione funzionale. Ovviamente, la semplice "assenza di conflitti" non è una condizione sufficiente: potremo avere infatti situazioni "senza conflitti" ma a causa di paure, egoismi, timori di rappresaglie… All’apparenza non emerge alcun conflitto: ma si tratta solo di immobilismo, di rigidità statica, devitalizzata. Ma neppur la definizione che sottolinea soltanto l’armonia e la concordia si rivela soddisfacente. Vi deve infatti essere spazio per la "tensione" – differenze di idee, di impostazioni, di interessi, di metodologie… - ma tensione dialogica, non violenta e litigiosa; tensione accogliente, estremamente rispettosa e tollerante. Tensione ed armonia possono allora miscelarsi molto bene tra di loro, offrendo un quadro molto più ricco, dinamico e sfumato. Una sana dialettica può trasformarsi in stimolo per ulteriori miglioramenti, come del resto l’armonia e la concordia possono diventare la base che permette la fioritura di "passaggi armonici" o "note di abbellimento", validissime e gradevoli.
La pace come conseguenza
La pace è conseguenza: si vive in un certo modo ed abbiamo la pace; si vive in un altro modo, abbiamo guerra, lotta, violenza. La pace assomiglia straordinariamente alla "salute" e con essa condivide l’aspetto squisitamente esperienziale. La salute, a ben vedere, è la conseguenza di un certo modo di vivere e di funzionare. Questa profonda sensazione di benessere, per cui ci sentiamo vivi, pieni di vitalità e di energia, in perfetta forma e felici è la conseguenza di un buon funzionamento generale dell’organismo psicofisico. E’ la conseguenza ed il segnale che tutto funziona a meraviglia, che ogni cosa è al suo posto e fa la sua parte, che vi è collaborazione, interazione armoniosa, facile e fluida… E’ una spia luminosa. Anche la pace è così. Se c’è la pace, allora vuol dire che tutte le cose stanno andando per il verso giusto. E’ come il suono del motore: non sapresti come definire, esattamente, questo "suono": ma se esso è regolare, vibrante, senza intoppi o cedimenti, è il segno evidente che tutto funziona bene.
La pace come fenomeno interiore
La pace è innanzitutto e soprattutto un fatto interiore. Non illuderti che la pace provenga da riforme o da soluzioni esterne, per quanto intelligenti e proposte in buona fede. La soluzione, una vera soluzione, non è mai esteriore. Perfino se si giungesse ad una equa ripartizione economia, precisa e definitiva fino all’inverosimile, non si risolverebbe del tutto il problema delle lotte di classe. Certamente emergerebbero alcune persone che, in modo più o meno subdolo, cercheranno di mettersi in posizione di privilegio…Ricordi la "Fattoria degli animali" di Orwell? No. Le soluzioni esteriori possono favorire - e spesso in misura determinante – la nascita, lo sviluppo e la fioritura della pace. Ma non ne sono la causa.
La chiave è dentro
Di certo avrai sentito raccontare la storiella di Mullà Nasruddin, l’ingenuo e saggio "Pierino" di molte storie sufi: è una delle storie che mi piacciono di più. Il nostro Mullà sta cercando qualcosa per terra, davanti all’ingresso della sua casa. "Che fai, Mullà?" gli chiede un amico. "Ho perso la chiave di casa e la sto cercando". Anche l’amico si china e si mette a cercare la chiave. Inutilmente. "Ma dove hai perso la chiave, Mullà?" "Dentro casa". "E perché la cerchi qui fuori?" chiede spazientito l’amico. "Perché qui c’è più luce"… Spesso cerchiamo le soluzioni all’esterno: c’è più luce. Belle teorie, ottimi programmi, slogans elettrizzanti: tutte cose positive, ma… Non ingannarti amico mio: la chiave "è dentro".
Un atteggiamento del cuore
La pace è innanzitutto un atteggiamento, un’atmosfera del cuore: atmosfera che si manifesterà spontaneamente e che si espanderà a tutti i livelli. Se c’è questa pace, questa atmosfera, questo clima intenso, luminoso e vivo, automaticamente emergerà la pace interiore. Purtroppo, non sempre è vero l’inverso: anche se vi è pace esterna, non è detto che vi sia pace interiore. Detto in altro modo: tutti i conflitti esterni – di cui il più vistoso è la guerra, con tutte le sue implicanze – non sono che la esteriorizzazione dei conflitti interni. La fonte di tutte le violenze, dei conflitti, delle guerre è "dentro" – "E’ dal cuore dell’uomo che nascono i mali" dice il Vangelo – ed è "dentro" che dovrai cercare la risposta e la soluzione. E’ facile lasciarsi entusiasmare da iniziative e manifestazioni – del resto molto belle e utili: ci tengo a dirlo – dimenticando l’atteggiamento di fondo. Solo se diventeremo persone "pacifiche", davvero pacifiche, vi sarà pace: pace a tutti i livelli e in tutte le dimensioni dell’esistenza. Potremmo rifarci al vecchio esempio del proiettore e dello schermo. Se le immagini che stai proiettando sullo schermo di casa tua non ti piacciono e le vuoi cambiare, che cosa puoi fare? Togliere lo schermo? No: basta togliere la diapositiva dal proiettore. Se vuoi lavorare davvero per la pace, comincia a diventare tu una persona estremamente pacifica. E il primo passo è quello di cominciare a riconoscere in modo diretto le nostre violenze quotidiane: quelle cui non facciamo neppure più caso, tanto sono scontate e diffuse: litigi, assurde prese di posizione – "per principio" – egoismi, rancori, piccole vendette, voler sempre avere ragione, frasi che feriscono, allusioni ben piazzate… Come puoi parlare di pace quando tu sei pieno di violenza? Il luminoso messaggio che vorresti trasmettere verrebbe automaticamente deformato; le note della tua canzone risulterebbero stonate e sgradevoli… Come diceva il vecchio Emerson: "Quello che sei grida così forte da impedirmi di sentire quello che dici". Comincia allora a diventare una persona totalmente pacificata: con se stessa, con gli altri e con Dio. A queste condizioni, il tuo impegno interiore ed esteriore avrà una consistenza ed un profumo che giungerà a molte persone. Se invece ti sbracci ed urli con violenza i tuoi slogans per la pace – senza essere tu stesso una persona di pace – sarai una delle tante voci altisonanti e pretenziose che, in definitiva, suonano note false e stonate. Notizie flash dal Santa Caterina
Terminati i corsi professionali, di Abdelilah Kadhli
Quest’anno si è svolto il corso di "Cablatore", un corso di 1200 ore nel quale molti di noi hanno avuto l’opportunità di apprendere i principi del mestiere per poter anche avere un’opportunità per il futuro al di fuori del carcere. E’ stato per noi un anno positivo nel quale ci siamo sentiti persone responsabili e non solo dei numeri. Per questo vogliamo far arrivare il nostro più sincero e affettuoso ringraziamento agli istruttori Terenzio, Bruno e Massimiliano. Ringraziamo, inoltre, l’assistente dei corsi che si è prodigato per farci trovare sempre un ambiente consono e sereno per il nostro apprendimento.
Carcere in mostra
In concomitanza con la festa patronale di Fossano, all’inizio di maggio, è stata allestita la mostra "Expoflora" all’interno della quale l’ente organizzatore ha concesso gratuitamente un grande spazio espositivo al carcere Santa Caterina. Con gusto e cura sono stati esibiti molti manufatti in ferro battuto costruiti dai detenuti che frequentano il corso professionale di saldo carpenteria, sotto l’esperta e creativa guida del loro istruttore, Enrico Borello. I numerosi visitatori hanno mostrato grande interesse ed apprezzamento per portavasi, fioriere, tavoli e sedie, barbecue e si sono informati sulla possibilità di eseguire ordinativi che darebbero maggiori opportunità di lavoro ai detenuti. Anche questa volta, come già l’anno scorso, il successo pubblicitario è stato grande per aver fatto conoscere le lavorazioni interne al carcere e sostenere la speranza delle persone recluse di un costruttivo inserimento nella società. La settimana successiva, invece, in occasione della sempre più famosa rassegna di modellismo "Expomodel", il carcere ha nuovamente riscosso curiosità e interesse attorno al suo stand espositivo di vecchie divise della Polizia Penitenziara, appositamente fatte pervenire da Roma.
Corpus Domini, di Maurizio Fabbris
Nel carcere Santa Caterina, domenica 13 giugno 2004 è stata celebrata una solenne festa del Corpus Domini, presieduta da padre Ghi e concelebrata da padre Bruno, il nostro Cappellano. Prima dell’inizio della S.Messa si è svolta una piccola processione nel cortile del passeggio, dove, in quattro punti, è stata recitata una preghiera universale di pace e di amore da quattro diversi detenuti nelle loro rispettive lingue per sottolineare la partecipazione delle diverse etnie ad un incontro di preghiera di tutti gli uomini per gli uomini. A questa semplice processione hanno partecipato anche il Presidente della Provincia, prof. Quaglia ed il Presidente della Fondazione della Cassa di Risparmio di Fossano, dott. Miglio, accompagnati dal Comandante, Isp. Sup. Maglione. Poi si è svolta la S.Messa, animata dai canti del gruppo musicale interno, alla presenza delle immancabili Suore Domenicane e di alcune volontarie, oltrechè del personale civile e militare del carcere. E’ stata una Messa molto sentita dalla popolazione reclusa, come sempre quando una persona così carismatica come padre Ghi trasmette intensamente la fede cristiana, insieme a serenità e sincera amicizia verso le persone che soffrono la lontananza dai propri cari e la privazione della libertà. Lettera ad un amico. Ma tu non eri Pantani
Ciao maestro, è un bel po’ che non ci si sente, l’ultima immagine che ho di te è con il bicchiere in mano, brindavamo a chissà quale cosa ed io parlavo dei miei progetti, tu invece dei tuoi: dicevi che a febbraio saresti andato a Venezia da tuo fratello, gli nasceva una bambina, tua nipote. Ricordo come soffrivi per il suo trasferimento, ma sempre in silenzio come facevamo sempre noi quando c’era qualche cosa che non andava. Mi viene in mente quel giorno che ti vidi con gli occhi lucidi, in quel periodo non vi parlavate, lui era su a casa tua che prendeva dei vestiti e poi sarebbe ripartito. Io tentai di convincerti ad andargli a parlare ma tu non lo facesti. Facendo ancora un salto nel tempo non posso non ricordare quella volta a casa tua dove ci stavamo dividendo quella bustina, io tirai la mia parte tu invece la tua te la iniettasti, eri diventato viola, poi eri caduto e non respiravi più, ti ho subito soccorso, ho chiamato l’ambulanza e ricordo che la parte più dura era stata tirarti fuori la lingua dalla gola, sembravi proprio morto! Poi, mentre ti facevo pressione sui polmoni, hai urlato ed hai ripreso a vivere, l’ambulanza non è servita più. Ma torniamo a quel maledetto giorno che eravamo in quel bar a bere una cosa, era un po’ di tempo che non passavo di lì ma sono stato felice di incontrarti e di passare il pomeriggio con te. Sapevo che non ti facevi più e anche se io ne ero ancora dentro, parlammo di tutto tranne che di quello, ma avevi uno sguardo strano, forse "la nera signora" aveva già posato lo sguardo su di te ed aspettava solo un tuo passo falso. Ci lasciammo per rivederci dopo un’ora. Io non venni, ma al mio posto trovasti quella carogna che ti convinse a farti, anche quella volta a casa tua collassasti, ma non c’era più nessun amico a soccorrerti. Due ore dopo ero a casa mia, mi ero dimenticato del nostro appuntamento, poi ricevetti una telefonata, mi precipitai al bar sperando che fosse uno dei tuoi soliti scherzi, ma tu non c’eri, non c’eri più. Fosti tu a darmi il soprannome che porto ancora adesso, mentre io ti chiamavo "maestro" per via dei quadri stupendi che dipingevi. Quante ne abbiamo fatte insieme, quante cose abbiamo diviso, abbiamo riso e pianto e quanto abbiamo sbagliato, ma sempre assieme. Voglio ricordarti così, tu con la birra, io con la chitarra mentre cantiamo "liberi, liberi" e andiamo al mare. Poi qualcosa più grande di te ti ha portato via come tanti altri nostri amici. Da poco tempo anche Pantani ha fatto la tua fine, ma tu, non eri Pantani, perché lui è rimasto un bravo ragazzo, mentre tu, amico mio, sarai ricordato da molta gente solo come un tossico morto di overdose. Questa è la vita, tu non eri famoso, ma noi, i pochi che ti conoscevamo bene, ti ricorderemo sempre come un grande, perché lo sappiamo quanto valevi!
Nino
Ricordi
Ricordi remoti, dentro di me, avanzano lentamente tenendosi per mano. Andate via, vi prego! Voi non dovete essere qui voi non potete! La mente vi ha scacciati da tanto tempo, perché siete tornati dall’esilio in cui vi avevo confinato? – Con aria audace ne viene avanti uno. E’ sicuro di sé, parla con voce chiara, il timbro è forte: La mente tua non vuole, è vero, ma se siamo qui è perché ci ha chiamati il cuore. Siamo solo dei vecchi ricordi, i nostri nomi, li sai quali sono: offese subite, torti mai fatti, umiliazioni, errori commessi. Non belli, hai ragione! Ma per poter vivere serenamente domani, per ricordare i momenti migliori, insieme a quegli altri dolcissimi, serviamo anche noi. Ma per fare questo e saperli apprezzare, riapri la mente lasciaci entrare!
Andrea M.
Gemma di sole
Vorrei rubare una goccia d’oceano per poter scrivere nel vento Pace!
Andrea M.
Desiderio di pace
Vorrei che si perdessero le tue fiamme o guerra dell’odio. Vorrei che dall’alto del cielo uno sprazzo di luce avvolgesse la Terra in un crescendo di sole. Vorrei che naufragasse l’anima folle portatrice di dolore e di morte. Vorrei che il Dio della vittoria con il suo spettro di potenza imponesse gioia e amore.
Andrea M.
Destino
Tempestato di gemme come il ciliegio smunto ma ricco di luci morirà anche questo giorno e con lui il gran cielo stellato.
Andrea M. Trimestrale della Casa di Reclusione "S. Caterina" di Fossano – Supplemento gratuito a "La Fedeltà"
Via Bava, 36 – 12045 Fossano Direttore responsabile: Corrado Avagnina Redazione: Abdel Hakim Atrous, Maurizio Fabbris, Abdelilah Khadli, Andrea Rossi Hanno collaborato a questo numero: Giuseppe Brondino, Ljudevit Grudic, Giovanni Guzza, Giuseppina Sciolla, alunni IV A "Tesauro", Silvia M., Antonio M., Andrea M. La redazione ringrazia: Luigina Ambrogio, Pasquale Maglione, Bruno Perrot, Edoardo Torchio, gli assistenti volontari, il periodico "Uomini con gli uomini". Video impaginazione: Cooperativa "Nuove idee" Stampa: Stamperia Comune di Fossano La comunità del S. Caterina ringrazia la Fondazione della Cassa di Risparmio di Fossano, la Banca di Credito Cooperativo di Bene Vagienna, il Comune di Fossano, il settimanale diocesano "La Fedeltà". |