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La Rondine , una voce dal carcere Periodico dei detenuti della Casa di Reclusione di Fossano Dicembre 2004 - Numero 16
Buon compleanno Rondine!, di Andrea R. e della redazione
Il nostro giornalino compie quattro anni e vogliamo, oltre che fargli gli auguri, raccontarne anche un po’ la storia. Nasce appunto quattro anni fa grazie all’interessamento della volontaria Franca che ne cura il coordinamento interno e i collegamenti con l’esterno e al favorevole supporto della direzione del Santa Caterina, in particolare del comandante e delle educatrici. In questi anni molti di noi che sono entrati e usciti, si sono avvicendati e hanno collaborato alla realizzazione e alla crescita di questo giornale. Ora che è al suo quarto anno di vita, possiamo trarne uno sviluppo positivo. Grazie all’interessamento del comandante, siamo dotati di una vera e propria redazione con tanto di computer, scanner, stampante e programmi per la scrittura e l’impaginazione del giornale; inoltre da un anno a questa parte il nostro periodico, grazie alla sensibilità del settimanale diocesano "La Fedeltà", può essere distribuito anche in edicola ed esce come supplemento gratuito del giornale stesso. Per ora l’impaginazione è ancora affidata ad una cooperativa esterna e la stampa vera e propria viene fatta dalla stamperia del Comune che gratuitamente si presta ad effettuare questa operazione che noi non siamo ancora in grado di svolgere per motivi tecnici ed economici. L’uscita di un giornale per piccolo e umile che sia comporta sempre e comunque dei costi e per questo siamo generosamente finanziati dalla Fondazione della Cassa Di Risparmio di Fossano. I problemi non sono pochi. Intanto il primo è quello di riuscire a tenere sempre una redazione di persone in grado e con la voglia di scrivere e di raccogliere il materiale che poi andrà sul giornale; questo perché fortunatamente dal carcere si esce ed il ricambio delle persone non è sempre facile. Ci vorrebbe un corso di impaginazione, o perlomeno qualche persona di buona volontà che avesse voglia e tempo per insegnarci ad usare il programma Quark X Press di cui è dotato il PC della redazione. Purtroppo nessuno di noi, pur avendo buone basi di informatica, ma non essendo del settore, è in grado di usarlo se non nelle sue funzioni più elementari, cosa che non è assolutamente sufficiente al fine dell’impaginazione completa del giornale. Questo giornalino è per noi molto importante; è come una piccola finestra che noi detenuti abbiamo sul mondo; è una possibilità non indifferente di comunicare con l’esterno, non solo con familiari e amici ma anche e soprattutto con persone che non ci conoscono, che magari non sanno niente del carcere o che ancora pensano che il carcere sia come si vede nei film americani, pieno di energumeni tutti tatuati dalla testa ai piedi, dove il più pulito di loro è in carcere per reati allucinanti; è un impegno, un modo di riscatto, un modo di trasmettere il fatto che siamo persone normali, nella maggior parte dei casi molto consapevoli dei propri errori. Siamo contenti che il nostro giornale abbia compiuto quattro anni uscendo regolarmente ogni tre mesi; questa continuità per noi è un bel traguardo e un ottimo risultato. Cercheremo, noi che scriviamo oggi e mi auguro, ma ne sono sicuro, coloro che prenderanno il nostro posto domani, di portarlo avanti come un bene prezioso, quale è la possibilità di comunicare con il mondo esterno. Ringraziando ancora tutti coloro che, "dentro" e "fuori", si adoperano affinché il giornale viva, ringraziando voi che ci leggete con curiosità ed interesse, prendiamo l’occasione di questo numero natalizio per porgere a tutti indistintamente i nostri migliori auguri di buon Natale e di un felice anno nuovo e buon compleanno Rondine!
Lettera a Babbo Natale
"A noi, dietro le sbarre, una speranza per il futuro", di Andrea R.
Caro Babbo Natale... Sicuramente ognuno di noi, almeno una volta nella vita ha affidato a queste parole i suoi desideri e le sue speranze. Oggi che siamo adulti non lo facciamo più, ma il Natale mantiene sempre e comunque un’atmosfera magica. L’avvicinarsi di questa festa, qui in carcere provoca sentimenti di malessere in ognuno di noi, quasi come se la carcerazione durante questo periodo fosse raddoppiata. I più fortunati di noi avranno la possibilità di vedere i propri cari qualche giorno prima della festa e staranno male perché non la potranno passare con loro, gli altri invece staranno male e basta. Perché comunque ognuno di noi ha legato al Natale una serie di ricordi e di sensazioni forti e piacevoli, l’allegria delle case dove ci si riunisce, coi bambini che giocano e le donne che cucinano, le strade tutte illuminate, le vetrine dei negozi addobbate a festa per l’occasione, quel freddo pungente che però a Natale non dà fastidio e magari un po’ di neve ad imbiancare le strade e a rendere ancora più suggestiva ed irreale l’atmosfera natalizia. Tutti questi pensieri, la mancanza oggettiva di queste cose rendono il Natale per chi è detenuto, un momento che è meglio che passi in fretta. Il Natale è anche tempo di riflessione, di nuovo inizio, dove viene facile per ognuno di noi fare il punto della propria situazione e progettare per il futuro. Viene anche facile autocommiserarsi e pensare a quanto si è stati sfortunati e a quante ingiustizie abbiamo subito, forse no, pensando molto ai nostri sbagli, che comunque ci attribuiscono la paternità della nostra attuale situazione, ai nostri desideri inevasi, ai nostri progetti inattuati, alle nostre speranze. Mi sono chiesto se questo è egoistico e forse un po’ lo è, ma il Natale, per antonomasia è periodo di speranza per tutti, dove tutti dovrebbero essere più buoni. Il Natale però è anche quello dove "la piccola fiammiferaia" muore congelata per l’aridità del cuore degli uomini. Io non mi aspetto particolari doni per Natale, né che qualcuno generalmente insensibile diventi sensibile, né che il mondo cambi, nemmeno per un giorno. Quello che mi aspetto da questo mio ennesimo Natale in carcere è di raccogliere i frutti di ciò per cui ho lavorato a livello di crescita interiore, di trovare pace, bontà ed equilibrio, ma non nel mondo esterno, non certo a Bagdad o in Cisgiordania e nemmeno a Torino o Milano, ma dentro di me, esclusivamente dentro di me. Questo per me è l’ultimo Natale che passo tra le sbarre e se posso affidare un desiderio o una speranza a Babbo Natale, è che non me ne arrivino più di natali così, è che mi dia la forza e la capacità di riuscire a restare fuori da questi posti, di riuscire a vivere in una società con la quale non sono mai andato d’accordo, non per colpa della società, ma per la mia incapacità di adattarmi ad essa. Ecco, forse è proprio questo che mi aspetto dalla mia virtuale lettera a Babbo Natale: aver raggiunto sufficiente maturità per riuscire a stare fuori, crearmi una famiglia e tenermi un lavoro. Insomma, vorrei tanto, caro Babbo Natale, che quest’anno tu mi portassi una speranza per il futuro e vorrei che non la portassi solo a me, ma a tutti i ragazzi, gli uomini e le donne che oggi sono nella mia stessa situazione; certo, forse questo è chiedere un po’ troppo, ma siamo a Natale e per quest’anno mi voglio sbilanciare.
Una riflessione e un pensiero augurale del cappellano
"Vi annuncio una grande gioia"
"Vi annuncio una grande gioia!", così sentono dire alcuni pastori una notte di 2000 anni fa mentre stanno facendo la guardia al loro piccolo gregge di pecore e di capre alla periferia di Betlemme. Secondo il Vangelo di Luca, colui che porta quest’annuncio è un angelo. Chissà com’è fatto un angelo? Forse è una luce particolare che non si percepisce con gli occhi ma col cuore, forse è una voce che non risuona nelle orecchie ma nell’anima. Sicuramente un angelo porta un messaggio che viene da Dio... i messaggi divini sono numerosi nella Bibbia. Colui che è il nostro creatore parla in tanti modi a noi suoi figli per insegnarci a vivere, a fare scelte giuste che portino a mete sicure, per questo a volte le sue parole sono di rimprovero e di correzione. A Betlemme risuona un annuncio di gioia. Ancora oggi abbiamo bisogno di messaggi positivi, rassicuranti, veri, che riscaldino il cuore. Le voci della nostra società che ci arrivano ogni giorno sono spesso allarmanti, preoccupanti, oppure nascondono la verità tentando di illuderci o di ingannarci. Ci sono ancora voci positive, sincere, ma si perdono in una specie di caos in cui convivono messaggi contrastanti. A Betlemme vivono dei pastori, a Fossano c’è una comunità di detenuti di provenienza varia, internazionale, un piccolo mondo. L’angelo di Natale è mandato da Dio anche in questa comunità di detenuti, al personale di custodia, a tutti coloro che in vari modi prestano la loro opera rieducativa. A tutti è annunciata la gioia! Ma cosa sarà mai questa gioia? I detenuti troverebbero motivo di gioia se ottenessero una liberazione anticipata o se ricevessero un sostanzioso vaglia postale. Il personale che lavora troverebbe motivo di gioia in un aumento di stipendio o in nuove normative che alleggerissero gli impegni lavorativi. Ma il Vangelo di Luca ci narra che l’angelo vuole parlarci di un altro tipo di gioia, infatti il messaggio prosegue dicendo: "...oggi vi è nato il Salvatore... questo è il segno per voi: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia". Chissà i pastori cosa avranno provato e pensato nel sentire che l’annuncio non riguardava benefici materiali o soluzioni ai loro problemi immediati, bensì era l’annuncio della nascita di un bambino così povero da avere come culla il posto dove è deposto il fieno per le pecore. Eppure quel bambino è chiamato dall’angelo: il Salvatore... dunque qualcuno che può fare qualche cosa di importante per loro. Cosa potrà fare quel bambino per quei pastori, per gli uomini di tutti i tempi, per noi oggi, anche per coloro che momentaneamente si trovano in carcere? Può ancora una volta essere segno, cioè dimostrarci che la nostra vita è preziosa agli occhi di Dio. La vita di tutti, anche di coloro che hanno pasticciato, sbagliato qualcosa e adesso faranno fatica ad aver ancora la fiducia della gente e dovranno impegnarsi molto per ottenere delle conferme positive da parte della società in generale o da persone singole in particolare. La nostra vita è così importante che Dio stesso ha voluto diventare una persona umana per entrare nelle nostre esperienze, nei nostri pasticci, nelle nostre delusioni. Quando Dio entra nella nostra vita è per perdonarci, per risollevarci, per irrobustirci. La gioia annunciata dall’angelo può essere percepita se facciamo un po’ di posto a Dio, alla sua voce, al suo richiamo. È una gioia forse leggera, sottile, non ha subito un gusto da mordere che soddisfi i nostri sensi, ma è gioia profonda che entra nello spirito. Se siamo disponibili ad accogliere il segno e cioè, che quel bimbo piccolo e povero è l’amore di Dio per noi, allora le sbarre di ferro del carcere non possono impedire all’angelo di entrare. Se crediamo di essere amati da Dio è davvero un buon Natale.
Il cappellano Padre Bruno.
È Natale
È strano: ad un tratto sopraggiunge un grande compimento da considerarlo solo amore. Comincerei ad accogliere orfani tra le braccia per arricchirli della mia paternità; poi riceverei una vedova nel mio cuore per alleviarle la solitudine; così avvicinerei un giovane per accompagnarlo come amico; mi offrirei come nonno per difendere i piccoli bambini. Ho bisogno di star vicino a coloro che soffrono e insieme a tutti loro trasmetterci un’intensa voglia di vivere. Adesso è Natale!
Cosimo T.
Vieni sempre, signore!
Vieni di notte, ma nel nostro cuore è sempre notte: e dunque vieni sempre, Signore. Vieni nel silenzio, noi non sappiamo più cosa dirci: e dunque vieni sempre, Signore. Vieni in solitudine, ma ognuno di noi è sempre più solo: e dunque vieni sempre, Signore. Vieni a liberarci, noi siamo sempre più schiavi: e dunque vieni sempre, Signore. Vieni a consolarci, noi siamo sempre più tristi: e dunque vieni sempre, Signore. Vieni tu che ci ami, nessuno è in comunione con il fratello se non è con te, Signore. Vieni tu che sei la gioia e la speranza del mondo: abbiamo sempre bisogno di te. Vieni sempre, Signore!
Davide M. Turoldo
Riflessioni di un detenuto su un triste fenomeno
Bimbi abbandonati, di chi la colpa?, di Ljudevit G.
Il Natale è la festa della famiglia e i bambini sono i suoi protagonisti: la loro allegra eccitazione per i doni contagia di gioia tutta la casa e fa tornare tutti quanti un po’ più semplici, più spontanei, un po’ più bambini appunto. Ma i bambini dove sono? Pur non essendo un cittadino italiano, certi problemi di questo paese mi colpiscono nel più profondo del cuore. Mi fanno molto riflettere i casi di abbandono dei figli, tanto nei modi più inquietanti e vergognosi, quanto in quelli più "civili". Un’ paio di giorni fa stavo leggendo che nel solo ospedale di Sesto San Giovanni, nel milanese, dall’ inizio dell’anno a oggi, sono stati "dimenticati" dalle madre otto bambini, e qui vorrei sottolineare che stiamo parlando soltanto di una provincia. Qualcuno potrebbe pensare: meglio così, a fronte di probabili aborti o infanticidi! Se mettiamo in conto la statistica che pone l’Italia agli ultimi posti a livello mondiale per la nascita di bambini, i fenomeni sempre più numerosi di separazioni inspiegabili, gli aborti che continuano a prodursi più numerosi che mai e queste ultime segnalazioni di abbandoni non possiamo certamente sorridere, anzi! C’e però una domanda che tutti dobbiamo farci: perché le madri, icone storiche dell’amore, dell’abnegazione, della tenerezza stanno perdendo questa loro stupenda caratteristica? Un paese che ha più cellulari che neonati, più animali domestici che bambini, come può guardare avanti con quel minimo di serenità che ogni società civile dovrebbe augurarsi? Il fatto che mi rattrista di più è che vedo le case sempre più belle ma sempre più vuote e città nelle quali si preferisce discutere di un rigore non concesso alla propria squadra di calcio piuttosto che degli aiuti da elargire alle famiglie in difficoltà! Buon natale di speranza a tutti i bambini!
Intervista all’educatrice Antonella Aragno
"Vorrei portare il lavoro all’interno del carcere", di Andrea R. e Adalberto C.
Proseguiamo, anche in questo numero, la presentazione delle varie figure professionali che operano all’interno del carcere soffermandoci sul ruolo dell’educatore. Abbiamo trovato con piacere la collaborazione della nostra educatrice Antonella che ha risposto di buon grado alle nostre domande e ciò che segue è quello che è emerso dalla nostra chiacchierata-intervista con lei. La legge 26 luglio1975, che ha riformato l’ordinamento penitenziario ha istituito il ruolo organico della carriera di concetto degli educatori per adulti, articolato in tre qualifiche: educatore, educatore principale, educatore capo. Le attribuzioni degli educatori sono stabilite come segue: "Gli educatori partecipano alle attività di gruppo per l’osservazione scientifica della personalità dei detenuti e degli internati e attendono al trattamento rieducativo individuale o di gruppo, coordinando la loro azione con quella di tutto il personale addetto alle attività concernenti le rieducazione". Oltre a ciò l’educatore fa parte di una commissione che predispone il regolamento interno del carcere; è membro dei centri di servizio sociale dell’amministrazione penitenziaria (che promuovono le inchieste sociali utili a fornire i dati occorrenti per l’applicazione delle misure per il trattamento dei detenuti e delle misure di sicurezza); infine operano ai fini del reinserimento nella vita libera dei sottoposti a misure di sicurezza non detentive. Sono responsabili della biblioteca e delle attività culturali dell’istituto. Per svolgere questo lavoro è richiesta una laurea ed un corso di formazione interno. "Dal 1992, quando ho iniziato questo lavoro, ad oggi ci sono stati tanti cambiamenti, spiega l’educatrice, e come in tutte le professioni bisogna adattarsi ad essi. Le problematiche sono cambiate per l’aumento esponenziale di detenuti extracomunitari, il continuo ricambio della popolazione ristretta nel nostro istituto, le limitazioni d’organico. L’Amministrazione Penitenziaria ci chiede e impone sempre nuovi compiti, che comunque nella maggior parte dei casi non riusciamo a mettere in atto per le carenze sia di personale che strutturali e per le scarse risorse distribuite. In un istituto come quello di Fossano sono previste le figure di sei educatori regolarmente assunti dal ministero tramite concorso, invece la situazione reale è che ci sono solo io, mentre le mie due colleghe sono assunte dalla Regione a tempo determinato; comunque anche così, siamo la metà dell’organico previsto. Pertanto non riusciamo a svolgere il nostro lavoro con la serenità e la perizia che ci vorrebbe, prosegue l’educatrice; in particolare non riusciamo spesso ad avere un rapporto frequente con i detenuti, per cui si crea, per forza maggiore, un distacco che non è positivo al fine della progettazione e del lavoro rieducativo in genere". "Pur considerando tutte queste difficoltà, aggiunge ancora Antonella, il bilancio, dopo tanti anni di lavoro in questo carcere direi che è decisamente positivo anche se non è mancata qualche amarezza. I rapporti con gli altri operatori sono buoni e di collaborazione con tutti, anche con i due magistrati di sorveglianza di Cuneo, con cui non ho contatti frequenti ma dei quali voglio sottolineare che, nonostante si occupino di quattro istituti, ogni volta che mi trovo nella necessità di interpellarli, ottengo sempre la massima considerazione. Inoltre, tramite i corsi professionali, molte persone hanno conseguito una qualifica e trovato il lavoro anche all’esterno, a fine pena o in misure alternative; alcuni hanno anche cambiato regione, trasferendosi qui nel cuneese con la famiglia per proseguire l’attività nella ditta in cui erano stati inseriti". "Un mio obbiettivo, continua Antonella, sarebbe proprio quello di riuscire a portare lavoro all’interno del carcere, ad esempio la saldo carpenteria, stipulando convenzioni con ditte esterne, che oltre ad offrire una fonte di reddito per chi è detenuto e vi lavora all’interno, dia anche la possibilità di inserimenti lavorativi esterni, alla fine della pena o con misure alternative se il caso specifico lo consente". L’incontro con Antonella si conclude parlando della fruizione dei benefici e delle misure alternative da parte dei detenuti del Santa Caterina. È un argomento spinoso se si pensa che attualmente soltanto tre godono di tali misure ma a cui l’educatrice non si sottrae, non smentendo la sua abituale franchezza. "Sì, è vero, un po’ di anni fa da questo carcere molte persone andavano in permesso ed usufruivano di misure alternative molto più facilmente. Anche qui il panorama è cambiato. Circa la metà dei detenuti è formata da extracomunitari, per la maggior parte non in regola con i permessi di soggiorno; tra i restanti, ad oggi, molte sono le persone che sono già state chiuse da misure alternative e, per legge, prima che possano di nuovo usufruirne devono passare tre anni. Per quei pochi che rimangono bisogna fare i conti con la tossicodipendenza e con le loro personali situazioni esterne che spesso non favoriscono la concessione dei benefici. In un panorama di questo genere vi renderete conto che il discorso benefici diventa molto complicato, ma non è una condizione particolare del carcere di Fossano; questa condizione si riscontra su tutto il territorio".
Riflessioni sul rapporto tra genitori e figli
Quando papà è in carcere, di Maurizio F.
Parlare dell’affettività tra un genitore detenuto ed i suoi figli non è facile, perché sorgono complicazioni e problematiche che rendono particolarmente doloroso questo argomento delicatissimo. Esistono, a mio parere, tre condizioni che riguardano il rapporto tra padre recluso e figlio. La più grave condizione è quella in cui viene tolta la patria potestà al genitore. Infatti, molti detenuti padri, dopo una condanna sono colpiti da questo drastico provvedimento che è causa di un forte trauma, sia per il genitore, che si vede privato non soltanto della libertà, ma anche del diritto-dovere e della gioia di essere padre e sia per il figlio che si ritrova a tutti gli effetti senza la figura paterna. Questa situazione è deleteria per entrambi che si vedono precludere la possibilità, anche in vista della liberazione del padre, di poter ricostruire un nucleo familiare. Ci sono altri detenuti che non possono più vedere il proprio figlio a causa dell’interruzione dei rapporti con la madre, la quale, non venendo a colloquio, impedisce di fatto anche quel minimo contatto che permetterebbe di mantenere vivo il rapporto col figlio. La situazione è disastrosa in quanto il padre si sente defraudato del suo diritto di vedere il figlio e, questo, se legato affettivamente al padre, soffre e si sente privato di quella figura fondamentale per la sua crescita e per il suo equilibrio psicologico. Per fortuna tanto altri detenuti hanno la possibilità di continuare a coltivare con i propri figli un rapporto basato sul dialogo, la comprensione e la fiducia. In questo caso, i membri della famiglia ne risultano ancora più uniti; il padre detenuto, pur privato della libertà ha la possibilità di mantenere, tramite la corrispondenza ed i colloqui settimanali, quel rapporto di amore già impostato in precedenza. Contemporaneamente il figlio ha l’opportunità di avere un contatto frequente con il padre, trovando così in lui la figura affettiva che, nonostante la condizione forzata di un allontanamento temporaneo, può aiutarlo e comprenderlo nella sua crescita. Di fronte a questi tre contesti è facile comprendere quanto i sentimenti possano essere contrastanti e deleteri fino a sfociare in una condizione di depressione autodistruttiva, in moti rabbiosi che possono portare ad atti inconsulti; oppure, viceversa, si possano instaurare sentimenti costruttivi e profonde riflessioni su quell’importantissimo valore che è la famiglia, l’essere padre, l’avere la responsabilità di un figlio. Voglio proporre all’attenzione dei lettori tre scritti che chiariscono meglio le situazioni e invitano ad una seria, meditata e costruttiva riflessione.
Testimonianza di un padre detenuto, tratta dalla rivista "Ristretti Orizzonti"
"Sono sette anni che non vedo mio figlio"
Sono in carcere da sette anni e mezzo. Da sette anni e mezzo non vedo mio figlio. In tutti questi anni non mi sono mai arreso e ho sempre continuato a lottare per poterlo incontrare. Ho vinto tutte le battaglie giudiziarie, però non è servito a nulla. So già quale sarà l’esito finale: "Lei ha ragione però ormai è passato troppo tempo, il bambino è cresciuto e per lui sarebbe traumatizzante." E questa sarà la sentenza definitiva. Quando sono finito dentro, mio figlio aveva due anni e stava appena iniziando a parlare; per qualche tempo ho cercato di mantenere un contatto con lui inviandogli delle cartoline ma l’accurata "damnatio memoriae" operata nei miei confronti esigeva che questi residui emozionali venissero estinti. Così hanno smesso di consegnargliele. Adesso mio figlio ha nove anni e non so niente di lui. Per qualche tempo ho potuto seguire parte dei suoi progressi attraverso i miei genitori ma, ben presto, è stato impedito anche a loro di incontrarlo. I primi anni ho sofferto in modo atroce per questa separazione. Adesso non provo nulla e so che non soffrirò mai più nella mia vita: non è possibile strapparmi un figlio una seconda volta. Ancora adesso, di tanto in tanto lo incontro nei sogni, è un ragazzino che non conosco con l’aria triste e accusatoria e io mi affanno nel vano tentativo di spiegargli tutto, cerco di convincerlo che non l’ho mai dimenticato. Ma non ci riesco mai e lui mi respinge. Per fortuna sono sogni che faccio di rado.
Testimonianza di un detenuto dal Santa Caterina
"Ho una moglie e due figli stupendi", di Flavio A.
Parlo della mia situazione di padre che, in conseguenza della carcerazione che sto affrontando, è purtroppo diviso dalla sua famiglia. Ho la fortuna di avere una moglie stupenda che mi sta vicino e mi dà la forza di superare questa difficile esperienza. Ho un figlio e una figlia che continuano a volermi bene e che sono la gioia del mio cuore. Abbiamo a disposizione solo due ore di colloquio alla settimana, ma questa opportunità è molto importante perché mi permette di comunicare con loro e di ricevere il supporto morale per continuare ad affrontare con una certa serenità questa situazione. Il momento più triste per me si verifica alla fine del collquio, quando mi devo separare dalle persone che amo: il mio cuore si riempie sia della gioia per averli visti sia del dolore del distacco. Con mia moglie e i miei figli ho costruito un bel rapporto, confidenziale e molto onesto che prosegue, nonostante le mura del carcere, anche tramite la corrispondenza; il nostro bene reciproco si va sempre più consolidando con il passare del tempo. Alla sera, poi, vivo intensamente un altro tempo di tristezza, quando mi trovo a pensare più profondamente ai miei tre angeli e in me scaturiscono varie riflessioni. Mi rendo conto di quanto grande ed importante è il valore della famiglia e ringrazio Dio per avermi dato questa fortuna. In tante circostanze ho avuto modo di verificare come è grande l’amore di mia moglie che per me è compagna, madre, sorella, amica, ... tutta la mia vita. Ho visto quanto i miei ragazzi siano maturi e rispettosi e comprendano la situazione che sto vivendo aumentando ancora il loro affetto di figli verso di me e il sostegno alla loro mamma. Durante l’esperienza del carcere, sebbene in forma particolarmente dolorosa, ho potuto riflettere a fondo sull’intensità dei miei sentimenti verso la famiglia e ciò mi ha ulteriormente maturato sotto il profilo umano. Nella famiglia ho trovato una grandissima ricchezza, un tesoro che desidererei avessero tante altre persone e questo mi permette di pensare alla fine della mia carcerazione con una gioiosa speranza: riabbracciare presto i miei cari e tornare a condividere con loro la quotidianità dell’esistenza come un qualsiasi cittadino, uguale a tutti gli altri, dopo che avrò pagato il mio debito con la società. Oggi, mentre scrivo queste riflessioni, è un giorno particolare perché è il compleanno di mia moglie e, pensando a lei, le parole mi salgono dal cuore e provo un’indescrivibile emozione. La voglio ringraziare perché, con i nostri figli, è la mia forza e la mia gioia più grande.
Lettera di Arnolfo alla figlia
"Ti voglio bene"
Ti voglio bene! Non ricordo se in questi ultimi tempi ho avuto modo di dirtelo, ma so che ora nei frammenti di tempo in cui ci vediamo al sabato, mi manca il coraggio di pronunciare quelle tre piccole parole. Sono ormai sei mesi che consumi l’unico tuo giorno libero settimanale per venirmi a trovare e per regalarmi quel sorriso velato di tristezza che maldestramente cerchi di nascondere. Ad ogni colloquio quando mi stringi le mani vorrei ripeterlo mille volte, gridare quanto sono orgoglioso di te e dei tuoi ingenui tentativi di trasmettermi una serenità che è tradita dai tuoi grandi occhi perennemente in tempesta. Ti voglio bene! Mi riprometto sempre di dirtelo e puntualmente rimando la volta successiva quando dopo l’ennesima perquisizione si aprirà quella porta e ti vedrò seduta al tavolo come un pulcino spaurito. Oggi sto pagando un errore di tredici anni fa che provocando il mio allontanamento forzato ha però messo in evidenza il grande amore che ci ha sempre unito e che non smette di respirare nonostante tutto. Fra qualche giorno è Natale e sarà l’occasione giusta per abbracciarti, stringerti e sussurrarti quello che ho dentro, sempre che ne trovi il coraggio. Questa grande emozione, questo immenso tormento mi ha spinto a dirti una piccola bugia per fare in modo di non farti venire a ridosso di queste festività così da evitarti ed evitarmi un dolore più grande. Ti voglio bene! Perdonami, forse il mio modo di dirlo è stato un piccolo sotterfugio, ma preferisco immaginarti a casa nostra insieme a tuo fratello ed alla mamma e non fra queste mura. Ti porto nel cuore da quando sei nata, ventidue anni fa e se il prezzo da pagare per la felicità di avere una figlia come te fosse questo, ben venga. Buon Natale figlia mia!
Incontro tra le redazioni del Santa Caterina e dell’istituto scolastico Grandis
"Mi sono arricchita di un’esperienza interessante", di Maurizio F.
Martedì 23 novembre ho avuto un incontro con un gruppo di studentesse dell’istituto professionale "Grandis" di Cuneo. Con me c’era Franca Ravera, l’assistente volontaria coordinatrice del nostro organo di informazione "La Rondine", la quale ha organizzato con la professoressa Luisa Revelli, responsabile del giornale scolastico "Gradis... simo", un incontro di scambio di esperienze sull’informazione dentro e fuori del carcere. Franca ha inizialmente illustrato la storia del nostro giornale, il lavoro di ricerca delle notizie, la stesura degli articoli e l’impaginazione. Successivamente, le ragazze, prese dalla curiosità di avere tra loro un detenuto in permesso premio, hanno cominciato a farmi una raffica di domande su tutto quello che concerne il carcere di Fossano, come si vive, come si svolge la giornata tipo di un detenuto, quali sono le possibilità di lavoro e un po’ su tutte le problematiche che investono la nostra condizione di reclusi; ho trascorso quasi un’ora e mezza in un confronto con queste ragazze serrato, molto costruttivo e ricco di spunti di riflessioni profonde. La loro curiosità era basata soprattutto sul raccogliere informazioni su di una realtà a loro sconosciuta come il carcere, le loro domande sono state intelligenti e molto pertinenti, creando così un clima di dialogo importante. Proprio alla fine una delle ragazze ha detto:" Per me quest’incontro è stato importante, molto meglio di tanti altri incontri dove ci sono state persone che non mi hanno dato niente; oggi invece mi sono arricchita di un’esperienza interessante". Questo dimostra come i giovani, oggi (nonostante certe dichiarazioni sulla stampa nazionale), abbiano dei valori e sappiano cogliere il vero senso della vita, perché seppur queste ragazze non siano toccate in prima persona dall’esperienza carceraria hanno potuto percepire, attraverso un incontro, l’importanza di alcuni valori: la libertà, la vita, l’amicizia, la fiducia e capire che un essere umano può commettere degli errori, ma che può avere anche il desiderio e la volontà di un riscatto sociale. Infine, il gruppo ha espresso il desiderio di poter avere un nuovo incontro dibattito, questa volta all’interno del carcere di Fossano. La direzione è sempre stata disponibile all’apertura verso la società esterna e la nostra amica Franca, lo sappiamo, cercherà di realizzare questo incontro. Io ci conto, perché queste ragazze sono straordinarie ed hanno una grande capacità di ascolto e di confronto con gli altri. Io sono stato entusiasta dell’incontro avuto con loro, perché mi sono arricchito, perché nonostante la mia condizione di detenuto sono stato accettato così come sono, senza pregiudizi; il loro caloroso saluto finale è stato per me un segno di amicizia sincera e genuina. Siete "Grandis...sime", ragazze!
Un resoconto dell’incontro dal giornale scolastico "Grandis... simo"
"Il perdono della mia vittima mi ha sconvolto"
Maurizio, dopo un primo momento in cui ha trattato argomenti di tipo generale riguardanti come si vive in carcere e in particolare nel carcere di Fossano, ha parlato della sua esperienza personale raccontandoci la sua storia. Dai sei ai dodici anni è stato in collegio e poco dopo, scappato da casa, purtroppo ha incontrato una "batteria" di ragazzi che "facevano rapine"; così, ancora minorenne è finito in carcere. Le prime due volte, però, se l’è cavata con pene abbastanza lievi e, dunque, con un sacrificio relativo. Quando era fuori continuava così la sua vita da delinquente: aveva sempre tanti soldi in tasca, poteva fare una vita brillante, da ricco...tanto "che problemi c’erano? Se mancavano i soldi faceva un’altra rapina"... La terza volta che è stato arrestato le cose non sono andate così lisce. È successo quello che non doveva succedere, che, però, nelle rapine a mano armata, può accadere: durante il furto è capitato che dovesse sparare ed ha colpito un uomo che poi è rimasto paralizzato. Questa volta l’accusa è stata molto più pesante: "Tentata rapina e tentato omicidio" e la pena adeguata: 19 anni! Maurizio si è sentito davvero castigato, era arrabbiato con il mondo e si sentiva in gabbia. Tuttavia questa condizione dolorosa ha consentito che iniziasse a riflettere su se stesso e sulle scelte fatte fino a quel momento, a riesaminare le sue sicurezze e la sua spavalderia, non gli era più tutto chiaro come prima: "Io sono in gamba; se ho bisogno di soldi, non ci sono problemi, me li prendo con la forza". Maurizio già iniziava a meditare sul male che aveva provocato a se stesso, privato della libertà per un tempo che sembrava infinito quando da quel ragazzo finito sulla sedia a rotelle gli è giunta una lettera. Per chi è "dentro" in genere è una gioia ricevere posta, perché vuol dire che si è ricordati da qualcuno. Quindi Maurizio ha accolto con molta felicità e curiosità questo scritto e con grande sorpresa ha scoperto che era stata inviata proprio dal ragazzo che ha subito la sua violenza. Ma la cosa che l’ha completamente sconcertato è stato il contenuto: quel ragazzo, che per il resto della vita rimarrà senza l’uso delle gambe, lo perdonava. Incredibile! Come poteva fare questo? Se fosse capitato a lui, non avrebbe fatto altro che cercare di vendicarsi; per una cosa così, altro che perdono...E invece lui riceveva il perdono! Questa lettera gli ha cambiato la vita; da quel momento Maurizio ha incominciato a rivedere tutta la sua storia, le sue scelte, a cercare di capire come era possibile che gli fosse concesso il perdono. Così, aiutato da alcune persone che operano in carcere, si è reso conto che il guadagno facile non è che un’illusione, che il consumismo non serve ad essere felici, che facendo del bene si hanno anche delle belle soddisfazioni. Ha incominciato ad approfittare delle occasioni che gli si presentavano per aiutare gli altri detenuti mettendo a disposizione le sue competenze nell’ambito della giurisprudenza; ha fatto due adozioni a distanza di bambini ed ora che va in permesso si presta come volontario per seguire alcuni disabili. Maurizio è contento della sua nuova vita e, attualmente, si sta organizzando per la futura uscita dal carcere che avverrà tra tre anni. È brutto essere in carcere, essere privati della libertà, ma anche l’uscita deve essere preparata altrimenti, una volta fuori, ci si trova spaesati e se non si ha un lavoro e un posto in cui andare ad abitare, si corre il rischio di ritrovare nuovamente le vecchie e cattive amicizie o comunque si è in una condizione di forte disagio. Il fatto di essere rimasti rinchiusi per tanto tempo fa perdere la realtà sociale, non si ha più la normale cognizione del tempo e anche i ricordi sbiadiscono. Quando si ritorna nel mondo civile ci si sente stranieri. Tuttavia la libertà è bella: dopo tanta reclusione si capisce il valore di semplici gesti come affacciarsi ad un balcone e vedere lo splendore del paesaggio montano (non a quadretti), oppure si apprezza il "lusso" di bere in bicchieri di vetro, anziché nei soliti bicchieri di plastica, i soli consentiti per ragioni di sicurezza. Quest’incontro è stato molto arricchente per noi, abbiamo potuto vedere come volendo si può cambiare, come le energie un tempo utilizzate per delinquere possano trasformarsi in aiuto per i più deboli. Indubbiamente non possiamo che ammirare anche la bontà e profondità d’animo del ragazzo paralizzato, vittima innocente e, nonostante questo, davvero grande, anzi grandissimo costruttore di pace.
Domeniche sportive con molte forze dell’ordine in campo, |