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L’Oblò
Lettera agli studenti di giurisprudenza dell’Università della Bicocca
Alcuni di voi, in futuro, intraprenderanno un mestiere, una missione che richiederà un altissimo livello di responsabilità come quello giuridico. Avrete il compito di proteggere, giudicare, liberare delle vite. Avrete in mano esistenze che senza ombra di dubbio hanno compiuto reati di varia entità; vite che hanno giudicato giusto agire in modo sbagliato e per questo private di muoversi in tale direzione. Vite che chissà per quale ragione hanno scelto di delinquere. Vite che si accomunano a tutte le altre perché appartengono a una stessa radice. Sto parlando di noi detenuti e in particolare quelli del reparto La Nave, dove i reati sono legati esclusivamente alla tossicodipendenza. Una piaga a doppio taglio che annienta il consumatore e mina tutti gli altri. Oggi la vostra visita è stata particolarmente interessante e apprezzata; chiedersi se il carcere serva mi ha lasciato alquanto stupito. Ritengo che non sia possibile, inaccettabile, lasciare una mina vagante in giro; dunque certamente a qualcosa il carcere serve. Chiedersi se invece serva per bloccare l’infezione di questa piaga, guarendola, riabilitando il tossicodipendente e renderlo risorsa potenziale per sviluppare tutti insieme una vita migliore, la risposta è uguale a prima, sì! Dunque non si può fare altrimenti se non quello di decidere cosa si preferisce fare di questo problema, che nel male ci unisce una seconda volta. Io fortunatamente ho avuto la possibilità di scegliere la seconda soluzione. Un percorso difficile, frustrante; dove le fondamenta nascono nello scardinare l’estrema emarginazione che la droga comporta. Dove un uomo è arrivato solo e unicamente in compagnia di una sostanza. Dove si è allontanato non solo dagli altri, ma da sé stesso. Qui diamo importanza all’incontro, al dialogo, alla comunicazione in veste di lavoro, attività e riunioni, grazie agli spazi in comune. Pian piano si prende coscienza nel ritrovare se stessi nelle piccole cose. Pian piano nasce un sentimento per gli altri, perché parte integrante di te, del tuo essere, della tua crescita, della tua nuova vita, delle tue prime sane e piacevoli soddisfazioni nel sentire che vivi. Sentire gli altri vuol dire avere un occhio di riguardo; vuol dire sentire in modo tangibile la tua irresponsabilità; vuol dire sentir franare il terreno da sotto i piedi quando si sceglie, perché non si è più soli. Non è più come all’inizio di questa carcerazione al Coc: prima, oltre alla cella, nulla più mi riguardava. La mia unica responsabilità era quella di lavarmi i denti e chiamare la guardia per fare una doccia. Dove nella mia solitudine avevo bisogno di un ulteriore menefreghismo. Fortunatamente non lo è più! Adesso assaporo che tutto mi appartiene, che un futuro migliore mi aspetta, grazie a un programma, un obbiettivo, a un piccolo desiderio da realizzare. (sommario) Walter Madau
Dall’8 maggio si può usufruire della Stanza verde presso il Museo della Scienza e della Tecnica, che si trova in Via San Vittore 14 a Milano: cinque minuti di cammino dal carcere. Questo spazio è, per il momento, aperto solo al sabato durante l’orario dei colloqui, dalle 10 alle 14. È funzionante per tutti i parenti dei detenuti con figli al seguito e in particolare per i nostri bambini, al fine di evitargli lunghe ed estenuanti attese nella sala colloqui del carcere. È prevista la presenza di operatori che accoglieranno i più piccoli con visite guidate al Museo e attività ludiche all’interno della stanza. La stanza verde non ospiterà alcun colloquio tra detenuto e famigliari, ma accoglierà i nostri parenti durante l’attesa in un ambiente più sereno e più agevole. I parenti saranno accolti dai volontari che fanno parte del progetto Relais genitori/figli. Tutti i detenuti con bambini sono invitati a servirsi dello spazio e diffondere il più possibile la notizia della sua esistenza, in modo che gli sforzi fatti per creare quest’iniziativa non vadano vanificati. Questo è solo l’inizio di un progetto che prevede il miglioramento del rapporto tra genitori detenuti e figli. A giugno sono previste due feste dell’affettività. Iniziative, inserite nel progetto Relais, organizzate dall’ufficio educatori con il supporto dell’associazione Bambini senza sbarre e dei genitori detenuti. Segnatevi queste date: sabato 12 e 19 giugno 2004. Ogni giornata prevede due turni di presenza. Il ritrovo sarà presso il campo degli agenti, verrà organizzato un karaoke per bambini e genitori, saranno presenti alcuni animatori e clown e comunque ci sarà la possibilità di passare un po’ di tempo divertendosi con i propri cari, in un clima sereno. Nei giorni delle feste, la stanza verde rimarrà aperta e a disposizione dei bambini e dei parenti per continuare la festa visitando il museo, scoprendo ciò che può essere offerto da questa importante iniziativa. Referenti dell’associazione Bambini senza sbarre sono: Maurizio Tremolada (La Nave), Gennaro Daniele e Raffaele Storelli (3° Reparto), Ettore Mussato (C.O.C.), Angela Di Giovine (femminile). Per qualsiasi tipo di informazione e richiesta contattate queste persone. (sommario) Gennaro Daniele
La pistola più veloce del West
Un universo fatto d’asfalto crepato, fame e lotte: corpi vibranti, schegge impazzite rubate a un mondo feroce, disumano… eppure vero. Vero, come le periferie chimiche e degradate come le vite di chi le abita, anonimi attori di un’oscura vita metropolitana che sta davanti agli occhi di tutti, ma che nessuno osserva. Sono gli scenari e i protagonisti di questo teatro occulto, dove furti o rapine si tramutano in tragedia, bagnate dal sangue inconsapevole del derubato o del malvivente. Non ci sono distinzioni, questi drammi accomunano persone che vivono l’enigmatica notte. L’ultimo episodio è accaduto poche settimane fa a Milano, con l’uccisione di un uomo affaccendato a sfondare con una mazza la vetrina di una gioielleria. Evidentemente, quando l’interesse per la proprietà materiale prevale e sovrasta il valore della vita, ci si sente eletti a giudice arbitrario per farsi giustizia da sé, quando, invece, precise disposizioni in materia disciplinano l’azione della legittima difesa dal suo abuso. Quale può essere il fattore che scatena un’aggressività così cieca e impulsiva? Non esistono "legittimazioni emotive" all’uccisione di una persona, che si stia difendendo o commettendo un delitto. Che questi casi siano fortemente influenzati dal tasso di pericolo percepito dall’opinione pubblica? Il riguardo per l’altro è ridotto al sospetto, è trascurata l’educazione sociale… ostacoli alla corretta percezione della realtà che, condizionata dalla fobia per l’altro e il diverso, introducono il concetto del "tutti contro tutti". Usare la violenza contro la violenza fa simili le diverse posizioni, assottiglia i differenti ruoli: il gioielliere pistoleros eguaglia, così, la nebulosa di chi sopravvive tramite espedienti. Nel Far West il più abile a maneggiare la pistola e il meglio armato dettavano legge: ecco come la non regola diviene la regola… come un proiettile vale più della vita. (sommario) Maurizio Albergoni
Un arma puntata al collo. È una rapina!; io fermo e paziente, dopo alcuni attimi lo saluto con un arrivederci. Raccolgo quel che rimane di un bracciale strappato con inutile fretta e tanta confusione. Tutto è cambiato in dieci secondi ed ero nuovamente tornato in guerra con me stesso e con il mondo intero. Quella sottile serenità che con fatica e sofferenza mi ero creato, svanita, dissolta, come un tiro di sigaretta. Una rabbia smisurata dominava ogni mio gesto e pensiero. Per giorni ho riempito di preoccupazione una mamma già rassegnata nel dolore. Per giorni la fidanzata è scappata da tanta aggressività nel parlare. Per giorni li ho cercati! L intenzione era quella di trovarlo e vendicarmi, sparando. L’idea era quella di farlo inginocchiare e guardare la paura nei suoi occhi prima di tirare, ma ora penso di essere stato fortunato a non averlo trovato. Penso a quel bracciale, a quel telefonino e a quella collana che non mi ricordano nessun affetto. Mi domando cosa mi ha veramente mandato in bestia e la risposta è in quella rapina così poco determinata, priva di chiara freddezza e perciò preoccupante e pericolosa più di altre. Mi chiedo quanto può aver guadagnato con quel misero assalto? In dieci secondi quell’uomo si è mostrato nudo come un verme in tutta la sua disperazione e stupidità, rischiando qualche anno di galera. Il mio vero danno subito è immenso perché, come un eco ha condizionato ogni cosa. Inutile dire che l’idea di chiamare o denunciare il fatto alle forze dell’ordine non mi ha nemmeno sfiorato. (sommario) Walter Madau
Durante la mia carcerazione ho avuto modo di partecipare a diverse attività e gruppi dove ci si confronta su varie tematiche; proprio durante uno di questi incontri di gruppo, dove spesso bisogna fare i conti con la propria coscienza, è accaduto quanto segue: quel giorno si affrontava il tema rapinato e rapinatori, "il tiranno". Da subito l’argomento trattato mi poneva di fronte ad una realtà, sono un’ex rapinatore, avverto la sensazione di dovermi trovare a confronto con la mia coscienza. In quel momento era Giovanna a parlare e stava parlando "una ragazza esterna" facente parte del gruppo: la giovane donna ci sta raccontando l’episodio in cui è stata vittima di una rapina, "perché di rapina si tratta". Come vi dicevo stavo ascoltando quanto era capitato a Giovanna: mentre parlava le sue parole mi portavano in una dimensione a me inusuale, ho di fronte una donna, giovane, esile nel fisico, ma sento la sua forza interiore che sta avendo il sopravvento su di me. Non riesco a reagire, mi vengo a trovare nelle sue stesse condizioni, mentre subiva l’oltraggio del tiranno che tempo prima l’aveva rapinata. Non so descrivervi con esattezza cosa mi stava capitando nel profondo della mia coscienza. Ero messo nelle condizioni di uno stato trans-emotivo-passivo, quindi incapace di ogni reazione fisica e psicologica. La sua voce diventava, in quel momento, come una parte di me: ero seduto, la guardavo, l’immagine che recepivo non era della sua persona ma dalla sua voce, sentivo che stava per accadere qualcosa. Giovanna nell’esporre il fatto di cui era stata vittima descriveva la sua paura, l’angoscia che aveva vissuto. Diceva: "Mentre subivo la rapina, ero come paralizzata, il rapinatore tiranno mi aveva fatto gelare il sangue, sentivo il sangue gelido correre lungo le braccia". In quel momento ho incominciato a sentirmi piccolo piccolo, mi stava facendo provare ad essere una vittima; ho avuto solo un attimo, un angoscioso momento di lucidità per dire: "Mi vergogno". Nel pronunciare queste due parole ho avvertito un sentimento di liberazione e mi è di nuovo ricomparsa l’immagine della persona di Giovanna. Oggi colgo l’occasione per ringraziare Giovanna per avermi donato quello che sapevo esistere, ma non avevo mai provato il dolore del tiranno. (sommario) Gennaro Daniele
Incontro tra vittima e autore: un progetto concreto
La mediazione dei conflitti è pratica che da tre anni viene svolta all’interno della Casa Circondariale San Vittore di Milano, grazie a successive convenzioni tra il Cipm (Centro Italiano per la Promozione della Mediazione) e l’Asl-Unità Operativa Carceri. Il progetto ha alternato, da allora, momenti di sensibilizzazione e formazione alla mediazione dei conflitti con periodi di apertura di uno sportello di ascolto per la mediazione dei conflitti, presso il II° raggio Coc. L’obiettivo principe è quello di diffondere, contagiando positivamente, una cultura pacifica della gestione del conflitto. Un contagio che parte da chi frequenta i corsi e che si spera possa coinvolgere direttamente e/o indirettamente il resto della popolazione carceraria. Così è accaduto per gli operatori interni dello sportello, detenuti che hanno creduto nel progetto ed ora tengono aperto al Coc lo sportello di ascolto per la mediazione dei conflitti. Così è accaduto anche per le 35 persone che hanno utilizzato lo sportello negli ultimi 4 mesi e soprattutto per le persone che hanno accettato di mediare i propri conflitti, incontrando la "controparte". Non possiamo nascondere la nostra soddisfazione, anche se alcuni aspetti da correggere e da migliorare sono ben presenti: lo sportello non è conosciuto da tutto il raggio, spesso vengono richieste informazioni che non siamo in grado di dare e in alcune occasioni siamo intervenuti una volta che la situazione era già esplosa. Pensiamo però anche al futuro e le prospettive sono diverse, anche rivolte verso l’esterno del carcere. In via Paolucci di Calboli (zona Niguarda) c’è un centro che si occupa di mediazione, convenzionato con il Comune di Milano e gestito dalla stessa associazione che segue il progetto in carcere. In collaborazione con esso sono stati avviati alcuni percorsi di mediazione famigliare tra detenuti e loro cari e si potrebbe agire proprio nella direzione dell’incontro tra vittima e autore di reato. Un incontro importante proprio per il percorso personale di vita sia dell’uno che dell’altro. Da valutare proprio in quest’ottica e non nell’ottica dei benefici connessi. Già nell’Ordinamento Giudiziario Minorile è presente questa possibilità. Il D.P.R. 448/88 prevede esplicitamente l’opportunità della riconciliazione tra autore e vittima sia per la messa alla prova, sia per la valutazione del danno procurato e per la conseguente assoluzione, sia per accertamenti sulla personalità del minore. Pensiamo sia comunque importante, al di là di quello che potrebbe sancire il Codice, affrontare una situazione che ha coinvolto due persone in maniera così drammatica. Chi convive con il fantasma del suo aggressore, mai incontrato, a cui mai ha potuto rappresentare il dramma vissuto e le ripercussioni che l’atto può aver causato nella propria vita. Chi convive invece quotidianamente con il senso di colpa e con la realtà di pagare un debito che potrebbe non essere mai saldato. Chi sente l’esigenza di presentarsi a chi ha subito così fortemente il suo atto criminoso, come una persona con delle prospettive, dei sogni, degli affetti, dei rammarichi. (sommario) David Gentili
Una risata vi seppellirà… di voti!!
All’alba del terzo millennio pare che possa più uno sketch di striscia la notizia che un dibattito politico senza contraddittorio. La satira è cambiata o è cambiato il modo di discutere la politica? Oppure è cambiata la politica e chi la amministra? Se si va a rivedere brani satirici di inizio anni ‘90 – antetangentopoli –, le battute sarcastiche sul potente di turno erano feroci. Siamo sotto elezioni (come sempre), un momento importante e di verifica sull’andamento di questo governo e del paese, ma il potere persuasivo del tubo catodico pare essere protagonista degli incubi notturni di parecchie persone. Potere persuasivo fatto di semplici battute, spezzoni di trasmissioni rimontati e servizi informativi di condanna fatti dal supereroe mascherato di turno. E i dibattiti, i comizi, i volantinaggi e la manifestazioni che fine fanno nella politica degli anni 2000? Siamo così poco intelligenti da non riuscire a capire cosa ci sta proponendo l’interlocutore di turno, da confondere una battuta con un pensiero politico? Se così fosse il paese sarebbe in mano al "sense of humor" dell’elettore. (sommario) La redazione
In una società libera come la nostra non ci può essere spazio per così tanto controllo da parte delle Istituzioni nella televisione e stampa. Nessuno dice il contrario! Ma in egual misura dobbiamo prendere atto che non sempre è solo la censura e rendere la visione distorta; esistono informazioni che già di per sé non sono equilibrate. Tutti abbiamo il diritto di dire ciò che pensiamo, ma non dimentichiamo che il conduttore televisivo o giornalista deve farsi carico di maggiore responsabilità, perché questo servizio può comportare, se usato senza ragione, un elevato rischio sociale. Il che significa presentare informazioni in un contesto di fatti e di eventi che ne consentono una corretta interpretazione. Ultimamente noto con dispiacere che l’intenzione del servizio pubblico non è più finalizzata ad un elevazione culturale degli spettatori: si vive un continuo bombardamento di satira, verso un qualcosa di importante per noi tutti; verso un tasto dolente come quello della politica. Questa non è una condanna verso il comico che mette in ridicolo vizi e debolezze di un singolo individuo; il comico non può essere condannato perché parte essenziale della comunicazione umana. Nonostante tutto trovo intollerabile che informazioni che riguardano la politica e che richiedono esclusivamente serietà e approfondimento vengano impoverite e ridotte in quattro risate. Con la lotta tutti contro tutti non si va proprio da nessuna parte ed è importante mantenere uno spirito di collaborazione e confronto. (sommario) Walter Madau
Durante il mio ultimo permesso, mi reco a far visita ad un’anziana parente. Erano molti anni che non la incontravo. Nonostante i suoi ottant’anni la trovo in buona salute. Era molto contenta di rivedermi "libero". Entrando in casa osservo l’ambiente: è pulito, decoroso. È la casa di una persona onesta. Sono onorato dall’accoglienza. Avevo annunciato la mia visita con una telefonata, il giorno prima. La mia anziana parente mi aveva fatto preparare dei biscotti fatti in casa da sua figlia. E proprio mentre mangiavo uno di questi deliziosi dolci, continuo ad osservare l’ambiente. Avevo la sensazione che mancasse qualcosa. Sul divano c’era un libro dal titolo: La carrozza di Rame e una radio vecchio modello. Non c’è il televisore. Solitamente in ogni casa almeno uno lo si trova e spesso rappresenta l’unica compagnia per persone sole e/o anziane. Quindi chiedo: "Lavinia, perché voi non avete il televisore?". "Da molto tempo", mi risponde "ho rinunciato a tenerlo in casa. Avevo l’impressione che parlando mi imbrogliasse". Forse gli anziani ci parlano così? (sommario) Gennaro Daniele
Scrittori maledetti: il caso Battisti e la giustizia italiana
Recentemente con il "caso Battisti" è tornata di stretta attualità la condizione degli esuli politici. Si tratta di persone rifugiatesi circa un ventennio addietro sul suolo francese, i quali beneficeranno di quell’accordo più o meno ufficiale tra i due governi che prese il nome di "dottrina Mitterand". Il protocollo della D.M. prevede una rigida applicazione di norme giuridiche francesi in base alle quali non è possibile procedere all’estradizione di un cittadino straniero quando la richiesta viene formulata ai fini di perseguimento in fase di istruttoria e quando i processi vengono celebrati in assenza dell’imputato. Pertanto le relative condanne passate in giudicato devono ritenersi non valide in virtù nel principio "ne bis in idem." Non è mia intenzione entrare nel merito strettamente giuridico della questione, ma ritengo opportuno fare alcune considerazioni che penso riguardino direttamente tutta la popolazione attualmente detenuta. Premesso che il Battisti non mi è particolarmente "simpatico", vorrei però soffermarmi su quegli aspetti che riguardano il cambiamento di una persona attraverso l’espiazione più o meno diretta dei delitti commessi. Di tutta questa vicenda l’unica certezza riguarda l’uomo, che è sicuramente cambiato e ha dato prova di aver rinunciato alle metodologie proprie della lotta armata reinserendosi in una società come quella francese e svolgendo l’attività di scrittore di romanzi gialli. Mi sembra perciò molto strumentale che i nostri illuminati politici, perennemente divisi su mille questioni (vedi Castelli e Violante), si trovino improvvisamente in piena identità di vedute su certi argomenti e cerchino di condizionare l’opinione pubblica intorno al pericolo di un ritorno di fiamma del terrorismo causato dai "cattivi maestri" scampati alla giustizia. Il signor Battisti ha indubbiamente commesso delitti gravissimi, ma se in nome della "ragione di stato" sono stati presi accordi che tutelavano la sua condizione di rifugiato politico, trovo profondamente immotivata la battaglia giustizialistica e forcaiola che vorrebbe rinchiuderlo per il resto dei suoi giorni in qualche galera italiana. Per questo stato sembra che il fine giustifichi i mezzi, soprattutto in periodi di cosiddetta emergenza come del resto conferma la legislazione premiale sui "collaboratori di giustizia", che è una pietra miliare della nostra recente giurisprudenza e poco importa se a beneficiarne siano sempre quei soggetti molto "affidabili" che si sono macchiati dei più odiosi delitti. È cronaca di questi giorni che un certo "galantuomo", colpevole di aver sciolto nell’acido un innocente bambino, lascerà dopo cinque anni le patrie galere, ma se questo è un male necessario per sconfiggere la criminalità organizzata sono tutti felici e contenti? Abbiano almeno il pudore di risparmiarci considerazioni etiche o morali sulla "questione giustizia", che nel nostro paese assomiglia sempre più ad una vendetta più o meno annunciata. (sommario) Alberto Oldrini
Un progetto che ho in mente da quando le vicende della vita mi hanno portato a risiedere a San Vittore, avendolo praticato e conoscendone l’effetto benefico, è di creare un gruppo di meditazione e yoga nel carcere. Con lo yoga si prende coscienza del proprio essere e di come fisico e spirituale siano in comunione, tramite posizioni eseguite in armonia con la respirazione ed esercizi di rilassamento. Si arriva ad uno stato di benessere e di profonda consapevolezza ed è un aiuto concreto per scaricare o trasformare l’energia negativa che tutti ci portiamo addosso. A proposito della meditazione, ultimamente ho letto il libro: "La coscienza di sè" di Kiran Bedi, Giuffrè Editore. L’autrice è stata per due anni direttrice del carcere di Tihar a Nuova Delhi in India e spiega le modifiche fondamentali che ha apportato per migliorare la vita dei 9700 detenuti del carcere. Una delle novità portate in quella prigione infernale da Kiran Bedi è stata l’introduzione dei corsi di meditazione Vipassana, che hanno avuto un effetto in alcuni casi quasi miracoloso sui detenuti che l’hanno praticato. Si tratta di una tecnica laica (non religiosa). Il corso dura dieci giorni in un ambiente chiuso e durante questo periodo i partecipanti osservano uno stretto regime alimentare e si impegnano a mantenere il silenzio, non devono comunicare tra loro e passano le giornate facendo diversi esercizi di meditazione intensa per acquisire consapevolezza delle sensazioni corporee e delle diverse emozioni. Questa ricerca di autocontrollo e d’introspezione porta ad un processo di purificazione di liberazione dall’ansia, dalla tensione e dalla sofferenza. Gli Indiani sono diversi da noi e molto più portati alla meditazione, ma sono sicuro che anche da noi avrebbe un ottimo effetto, anche con dei corsi meno impegnativi di Vipassana. E da mesi che ne parlo con assistenti sociali, psicologi e medici all’interno del carcere e spero che questo articolo possa essere una spinta perché chi ne ha la possibilità si interessi concretamente a questo progetto. (sommario) Matteo Demaria
All’interno del "laboratorio di scrittura creativa" del C.P.T. di San Vittore abbiamo potuto sperimentare varie forme espressive di scrittura. Vi presentiamo alcune delle nostre poesie in cui abbiamo racchiuso emozioni, stati d’animo, speranze e voglia di vivere!
Non c’è nettare che può reggere il confronto sei limpida, chiara, trasparente spegni gli incendi, plachi la sete sei fonte di vita, dai benessere i ruscelli, poi mettono di buon umore.
Voglio un mondo colorato. Una giornata meravigliosa alla fine è solo uggiosa anche quando non piove dentro niente si muove il giorno è sempre triste pieno di piogge mai vista poi si aspetta la sera e un bel tempo si spera il cielo si tinge di nero e il dolore diventa più vero. Voglio un mondo colorato un avvenire fortunato. Ora comincio ad aspettare con amore ce la posso fare.
Sono sdraiato sopra il mio letto sento la pioggia che batte sul tetto guardo il cielo e sto ad ascoltare le gocce sussurrano parole rare compongono una sinfonia d’amore facendo annegare il mio dolore.
Che sarà di questa terra chi lo sa? Siamo tutti in guerra questo si sa religioni e ideali sono scuse un po’ banali politici e potenti sono loro i più violenti. sono sempre più disumani tutti pensano alle loro ragioni intanto costruiamo le nostre prigioni. Che sarà di questa terra chi lo sa? Siamo tutti in guerra questo si sa
Tra le sbarre e le mura di questa maledetta galera immagino una nuova vita: cammino per valli verdi e fiorite per cogliere rose e margherite per regalarle al mio amore per costruire una vita migliore.
Amore eterno Nulla può dividerci Nessuno potrà impedire la nostra amicizia Ancora uniti saremo. L’amore mio grande Inventerà rami di mimose da Seminare ai tuoi piedi Anche da lontano
Amore eterno Nulla può dividerci Nessuno potrà impedire la nostra amicizia Ancora uniti saremo. L’amore mio grande Inventerà rami di mimose da Seminare ai tuoi piedi Anche da lontano
La natura lo ha creato per mille e più cose donarlo a te vuol dire una cosa sola: ti penso col cuore e con la mente perché hai dato a me l’amore che rimarrà per sempre.
Non so più che fare devo proprio andare è una giornata prolissa ho provocato una rissa questo mi dispiace e adesso cerco la pace penso che è lontana ma non mi sembra vana magari mi devo punire per la porta che devo aprire il mio cuore è assetato ma ora è blindato non devo più errare la felicità devo trovare. (sommario)
Lo sapevate che le balene sono tra gli animali più vecchi del pianeta, se non erro addirittura tra i sopravissuti dell’era dei dinosauri e quindi a chissà quale olocausto o pestilenza? A parte questa premessa, che dimostra i loro collaudati schemi di sopravvivenza, mi sono spesso chiesto come facessero a smarrire la rotta, arenandosi mortalmente. Mi sono documentato ad onor della curiosità e ho capito che il loro sistema visivo ed orientativo è costituito da un radar, che le loro rotte di migliaia di miglia nelle profondità oceaniche non sono altro che canaloni secolari, vere e proprie autostrade, che hanno visto l’evoluzione di millenni. Un animale dotato di radar cambia rotta solo quando il segnale gli torna imprevisto e quindi segna un ostacolo, così lui cambia direzione, ma cosa potrà mai causare l’imprevisto e poi a tali profondità: la mia teoria mi porta a pensare a costruzioni subacquee sperimentali, al fine di preparare la nostra razza ad un futuro marino. Le premesse ci sarebbero, vedi il disgelo delle calotte artiche, poi, sinceramente, l’accanimento dei Giapponesi nello sterminio dei cetacei mi facilita le cose. I giapponesi non hanno più spazio sulla terraferma, in cielo più di tanto non si può andare, quindi non resta che il mare, dato che lo spazio è esclusiva -dopo la guerra fredda, la cosiddetta guerra dei satelliti- degli Stati Uniti d’America. Il risultato viene da sé, cari miei, mi sembra di vederle, città degli abissi, enormi cupole in chissà quale materiale e luci e forme spettrali. Di sicuro la fantasia non mi manca: vi sfido però a dimostrare il contrario. Come davanti ad alcuni romanzi di fantascienza, che in tempi lontani hanno fatto effetto - nella teoria del caos sono riusciti a dimostrare l’assurdo - aprite le vostre menti e preparatevi, perché prossimamente ho intenzione di contaminare il vostro mondo fatto di certezze scientifiche. Sarà un bel viaggio… è una promessa! (sommario) Massimo Barilli
Recensione del libro di Max Aub
"Delitti esemplari" è un piccolo libricino scritto da Max Aub circa cinquanta anni fa. Non è una storia né un insieme di racconti. Si tratta di brevi episodi che hanno come sfondo la realizzazione di quei delitti sottintesi, banali e gratuiti, originati più dall’irritazione che non da un movente, che ognuno di noi ha pensato almeno una volta nella vita. Sono narrati con tranquillità, facendone trasparire la gentilezza, il cinismo, l’esemplarità appunto. Non si tratta certo di delitti perfetti! Ognuno di loro cadrebbe di fronte alla più semplice inchiesta; ma sono esemplari, perché rivelano e analizzano al lettore episodi nascosti e latenti del vissuto dell’uomo che si potrebbero in un attimo concretizzare nel delitto. La distanza che passa tra l’immaginazione e il passaggio all’atto, qui è colmata dalla descrizione anche umoristica del delitto esemplare per eccellenza; quello cioè che non si commette ma si pensa e si sublima nel momento stesso in cui viene descritto con coraggio e senza moralismo. (sommario) Graziella Bertelli
Recensione del film "L’uomo che non c’era" The man who wasn’t there, di Joel Coen
Siamo negli anni ‘50, Stati Uniti d’America, California. Ed Crane è un aiuto barbiere, ormai ultraquarantenne, che lavora nel negozio del logorroico cognato, è sposato con Doris, una commessa la cui massima aspirazione è diventare la direttrice di un emporio che vende calze e rossetti, e che è l’amante del suo capo, Big Dave. La vita di Ed scorre nella più assoluta assenza di scosse tra il negozio, casa e squallide festicciole finchè il destino ci mette lo zampino, ed un giorno in negozio entra Craighton Tolliver, un "imprenditore" che cerca un socio con il quale avviare un’attività di lavanderie a secco. Ed vorrebbe entrare in società con lui, ma non possiede il denaro necessario, e decide così, per procurarselo, di ricattare Big Dave a causa della sua relazione con Doris. Un apparente gioco si trasforma però in tragedia, a partire dalla morte del ricattato, e seguendo poi con l’arresto della donna, e molto altro… Con "L’uomo che non c’era" Joel ed Etman Coen (il primo regista, il secondo co-sceneggiatore) riescono a costruire un film affascinante e raffinato, ma anche profondamente amaro. La vicenda di Ed non è poi molto diversa da quella che ognuno di noi potrebbe vivere: un lavoro sicuro, una moglie che, pur tradendolo, non ha nessuna intenzione di lasciarlo, una vita tranquilla e regolare. Verrebbe spontaneo chiedersi per quale motivo l’uomo decida di uscire dalla sua aura di inesistenza per dare il via ad una serie di eventi inarrestabili… Perché Ed decida per una volta nella vita di non seguire l’istinto che fino a quel momento l’aveva tenuto fuori dai guai. La risposta è allo stesso tempo tragica e banale: la sensazione che abbiamo noi spettatori è che egli non possa fare nulla di diverso, che quella sia la via che il destino gli ha preparato e che lui, avvolto nella sua eterna nuvola di fumo grigio, non possa e non voglia far altro che seguirla. La sceneggiatura è veramente interessante, con alla base una costruzione dei personaggi che non lascia nulla al caso; tutto è architettato magistralmente in modo da interessare lo spettatore, continuamente sospeso tra la risata amara e il dramma.Da segnalare la meravigliosa fotografia in bianco e nero che appare a volte grigio, verde, azzurro, a tratti perfetto nella sua chiarezza, a tratti sgranato e retrò. Inquadrature tipo palcoscenico eccitazioni di films del passato, completano l’opera. (sommario) Simone De Chirico
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