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L’Oblò Anno 2, numero speciale, marzo 2004
Il motivo per cui questo giornale esce in edizione straordinaria è la presentazione di una raccolta di racconti pensati e scritti da un gruppo di detenuti del reparto "La Nave", corredato da un CD con gli stessi racconti recitati dagli autori. Le iniziative certamente nascono per soddisfare alcuni bisogni, quella appena conclusa sembra averne saziati parecchi: quelli di Emilia Patruno, dalla cui idea è nato il progetto, il prof. D’Amato, che in veste di scrittore ci ha dato utili indicazioni per comporre le prose in forma accettabile, il dr. Aparo, che ci ha offerto spunti per riflessioni importanti, Cristina Colombo, che con la sua infinita pazienza riesce a far recitare in maniera accettabile balbuzienti e dislessici, e che, con Stefano Cattaneo, ha trovato, inserito e coordinato come meglio non avrebbe potuto,suoni, musiche ed effetti nel CD. Per ultimi ma certamente primi fra tutti, gli autori, dei quali riportiamo alcuni pensieri. Felice: Mi sono molto emozionato nell’inventare una favola e spero che i miei figli la gradiscano, per me è stato come fare un salto nel passato, sono orgoglioso di aver partecipato a questa iniziativa e spero si possa ripetere nuovamente. Gabriele: Scrivere per il "Lupo racconta" per me ha avuto più di un aspetto positivo, quello principale è stato il non perdere l’opportunità di essere ascoltato (non sempre se ne presenta l’occasione). Beppe: Una cosa di questo genere non l’avevo mai fatta, ho dovuto mettermi in gioco con la mia timidezza; mi hanno detto che sarebbe stato un messaggio per adolescenti e io ne ho due; so cosa significa essere padri sbandati e quali conseguenze si ripercuotono sui figli. Nel mio racconto ci ho messo padri e figli, spero possa essere un messaggio per riflettere. Fulvio: È stata una bella esperienza, era la prima volta che inventavo e scrivevo un racconto, vedere la qualità del prodotto finito è stata una grossa soddisfazione. Ghepard: Credo, senza troppa presunzione di avere un carattere gioviale e una mente creativa, lavorare in gruppo mi stimola particolarmente, scrivere, raccontarmi e ascoltare gli altri è stato piacevole, sono convinto che in futuro si possa fare anche di meglio. Abbiamo apprezzato tutto quanto si è prodotto; persone comuni, accomunate da problemi con droga e giustizia che talvolta faticano anche quando scrivono una lettera a casa, che certamente non avrebbero mai pensato di diventare una parte importante in un piccolo progetto editoriale, Grazie a tutti! (sommario) Daniele Marini e Natalino Testa
Il mio percorso con l’Associazione Bambini senza sbarre
Mi sono avvicinato all’associazione Bambini senza sbarre circa quattro anni fa, dopo il mio arresto ed il conseguente protrarsi della mia carcerazione, causa principale della genesi dei miei problemi famigliari. Spinto dalla mia sofferenza mi proposi alle rappresentanti storiche dell’associazione, Lia Sacerdote e Floriana Battevi. Percepii immediatamente la sensibilità, la delicatezza, la determinazione e la riservatezza con cui si adoperavano nei miei riguardi. Ciò permise che si consolidasse in me la fiducia in loro, portandomi a chiedere di essere aiutato nel disperato tentativo di recuperare la serenità della mia relazione famigliare. Pur non riuscendo a realizzare il mio intento, mai è venuta a mancare in me la volontà di proseguire nel progetto. Partecipando all’attività dell’associazione mi accorsi che i conflitti famigliari che stavo vivendo non erano meramente personali, ma comuni a tanti altri detenuti. L’impegno nell’associazione da settimanale divenne quotidiano. Nella quotidianità, capii che i tempi erano ormai maturi per dar vita ad un gruppo nel quale le persone esponevano i loro problemi, si confrontavano ed il tutto nacque spontaneamente, dal bisogno comune. Attraverso l’associazione Bambini senza sbarre ho avuto modo di rapportarmi con molte figure istituzionali operanti nell’ambito dei rapporti familiari in genere ed in particolare quelli tra i detenuti e le proprie famiglie. La conseguenza logica fu che divenni referente interno per le problematiche di questo tipo, trasmettendo fiducia a chi si confidava, coinvolgendolo nel mio sempre crescente entusiasmo. Un entusiasmo che ben presto divenne collettivo. Ciò portò alla nascita di un gruppo di auto-aiuto di padri detenuti all’interno del reparto dove mi trovo ristretto, di cui oggi sono uno dei coordinatori. Il gruppo affronta tematiche affettive e famigliari. Il raggiungimento dell’obiettivo dell’utilizzo della "stanza verde" lo ritengo un motivo di orgoglio e di stimolo per continuare a lavorare con i miei compagni in quello che è il progetto di migliorare il rapporto con i nostri figli. (sommario) Gennaro Daniele
Parla Dario Foà, responsabile Servizio area penale e carceri A.S.L. città di Milano
Da un anno e mezzo da San Vittore è salpata la Nave verso programmi avanzati di trattamento. Il 19 marzo la flotta sarà composta da due Navi in quanto proprio all’interno della Sala della Nave Conte Biancamano, del Museo della Scienza e della Tecnica salperà l’audiolibro "Il Lupo racconta". Abbiamo intervistato il dr. Foà per avere notizie più precise su queste avveniristiche realtà. Dr. Foà, che cos’è l’audiolibro "Il Lupo racconta"? È un grazioso volume di 30 pagine che contiene 11 brevi racconti creati da "lupo autori". Inoltre non è solo un audiolibro, si tratta di un CD molto carino dove gli 11 racconti vengono recitati da numerosi "lupo attori" che hanno interpretato i testi del libro e hanno inventato delle sonorizzazioni simpatiche e attraenti. Il Lupo racconta "parole dalla Nave". Chi l’ha commissionato e soprattutto chi ha avuto l’idea? La prima ad avere questa idea è stata Emilia Patruno e sembrava quasi fantasia. Parlandone alla Nave si è scommesso almeno di provarci con l’aiuto di uno scrittore Francesco D’Adamo, di un’esperta di teatro Cristina Colombo, di un musicista Alejandro Jaray e di altre persone che da tempo sostengono le iniziative della Nave come il dr. Aparo, Laura Agnesi, Marcello Lago e tanti altri. Sarà un contributo che i ragazzi della Nave danno alle Associazioni del "Relais Figli e Genitori in Carcere". Che prospettive ci sono nel futuro più imminente? L’audiolibro verrà presentato presso la Stanza Verde al Museo della Scienza e della Tecnica il 19 marzo, Festa del papà, come contributo per migliorare la comunicazione genitori e figli e in particolare la relazione padre-figlio. Che cos’è la Stanza Verde? La Stanza Verde è uno spazio allestito presso il Museo della Scienza e della Tecnica messo a disposizione di tutti i figli delle persone detenute a San Vittore quando si recano a trovare i propri genitori o quando escono dopo l’incontro in carcere o tutte le volte che hanno voglia di andare in un posto amico con tante cose divertenti. Non tutti sanno che al Museo ci sono locomotive a vapore, navi e laboratori di gioco e apprendimento. Chi ha ideato questo spazio e chi l’ha commissionato? Lo spazio è il risultato del lavoro di un gruppo di enti pubblici e associazioni che aderiscono al Relais figli e genitori: il PRAP, la Casa circondariale San Vittore, la Regione Lombardia, il C.S.S.A, il Comune di Milano, assessorato alle Politiche sociali, il Museo della Scienza e della Tecnica, l’Università Milano Bicocca, la Facoltà di Scienze della formazione, la Caritas Ambrosiana, l’Arecs Milano, l’Associazione Bambini senza sbarre, l’ENAIP, e Telefono Azzurro. Il lavoro è stato coordinato dal Servizio Area penale e carceri della A.S.L. Città di Milano. Il Comune di Milano ha offerto finanziamenti per ristrutturare e arredare gli spazi, i detenuti hanno offerto le loro proposte per l’organizzazione e il funzionamento della stanza, le Associazioni di volontariato garantiranno l’apertura e il funzionamento delle attività. Che cosa succederà nel prossimo futuro? Si inizierà con l’apertura della Stanza Verde un giorno alla settimana e si amplieranno le attività gradualmente man mano che gli stessi detenuti e ex detenuti troveranno possibilità concrete di coinvolgimento nella iniziativa che è bene sottolinearlo non è una iniziativa assistenziale bensì una delle iniziative centrate sul "Peer Support" ovvero sul valorizzare le competenze e i talenti delle persone direttamente coinvolte nel problema del carcere. Come mai si è pensato di trovare uno spazio al Museo? L’idea del Museo è venuta fuori per disperazione in quanto inizialmente sembravano disponibili dei locali della Amministrazione penitenziaria. Successivamente locali di una parrocchia che, a questo punto, direi fortunatamente, non sono stati concessi. Dico fortunatamente perché abbiamo allora deciso di guardarci intorno e di cercare il luogo più bello e vicino al carcere dove si potesse liberare tutta la ricchezza dei legami e degli affetti figli-genitori e dove sviluppare una vera ricerca per un futuro migliore.
Per chi ne voglia sapere di più: www.lacuravalelapena.it I ricavati dei contributi di vendita dell’audiolibro "Il Lupo racconta" saranno utilizzati per le attività rivolte ai bambini del progetto Relais figli e genitori in carcere. (sommario)
Come nasce l’Associazione Bambini senza sbarre, uno dei partner del progetto Relais
L’associazione opera all’interno del carcere di San Vittore e si occupa del rapporto tra genitori e figli da circa cinque anni. Nasce dal Gruppo carcere Mario Cuminetti , presente in carcere con attività culturali e la gestione delle biblioteche dall’85. Dal giugno 2002 si costituisce in associazione con il sostegno della Fondazione olandese Bernard van Leer. Nello stesso anno diventa membro di Eurochips, organismo di rete europea che collega realtà impegnate su questo tema. "Bambini senza sbarre" porta avanti la sua attività anche in collegamento con Federazione Relais Enfants Parents di Parigi. L’intervento dell’ associazione si sviluppa attraverso l’individuazione di un percorso d’accompagnamento del bambino e del genitore, nella loro esperienza di separazione e necessita di mantenimento o ricostruzione della relazione. L’intervento di Bambinisenzasbarre ha come finalità il mantenimento della relazione figlio/genitore durante la detenzione di uno o di entrambi i genitori e la tutela del diritto del figlio alla continuità del legame affettivo e la promozione della responsabilità genitoriale per consentire al genitore il diritto/dovere di svolgere il suo ruolo. È un lavoro di mediazione con l’esterno a sostegno della funzione genitoriale, per farla entrare a pieno titolo nella rete di relazioni da cui è separata (figlio, famiglia di origine, servizio sociale, famiglia affidataria, comunità, scuola, ospedale, amici) con al centro il benessere del bambino. Le attività in corso consistono in colloqui domenicali per i genitori detenuti. Ha l’obiettivo di evitare ai bambini attese estenuanti. L’attività dura due ore e permette ai bambini di giocate, fare una merenda e socializzare tra loro. È presente in modo discreto e disponibile un’operatrice di Bambini senza sbarre. L’accompagnamento dei bambini al colloquio è una necessità che si presenta per difficoltà contingenti della famiglia o elemento programmato nel lavoro di sostegno psicopedagogico. L’allestimento di spazi per gli incontri: anche lo spazio fisico nei colloqui favorisce una buona relazione e l’utilizzo dei giochi è uno di questi elementi, con la prospettiva di destinare uno spazio ed un tempo destinati solo agli incontri con i bambini anche per gli uomini padri con ricadute significative su tutto il problema della relazione genitori e figli. A tal proposito si segnala come spazio neutro l’utilizzo della stanza verde presso il Museo della Scienza e della Tecnica in via San Vittore 12. I colloqui individuali: è attivo lo sportello tutti i giovedì ed i primi venerdì di ogni mese. Non si tratta di colloqui terapeutici ma di counselling e di sostegno psicopedagogico attraverso i quali il genitore che lo richiede ha la possibilità di parlare dei propri figli, esprimere i propri desideri e propositi rispetto alla loro educazione nonostante la loro carcerazione, le proprie emozioni ed ansie, le eventuali difficoltà di rapporti con i servizi sociali, con eventuali famiglie affidatarie o istituti dove sono ospitati i figli, i rapporti con il Tribunale dei Minori ed altro secondo i casi. Da questi colloqui può nascere un percorso condiviso di accompagnamento. (sommario) I coordinatori interni: Gennaro Daniele, Raffaele Storelli, Maurizio Tremolada
Lello: sono papà di Gabry, di due anni e mezzo e Vale, ora di undici. Li vedo nella mia mente, dentro quel parco giochi con le panchine, che riesco a scorgere dalla mia cella sita al 4°piano, altri compagni vedono quel che vogliono vedere, a me quel finestrone porta a giocare con Gabry e Vale. Proprio lì in quel parco, specie quando viene la domenica mattina, si vedono i papà che si dedicano a loro più degli altri giorni. Per via dalla primavera non mi sarà possibile vedere tutto ciò, le foglie riempiranno di verde gli alberi posti tra me e quel parco giochi con le panchine, dove spesso si siedono anche i ragazzi e le ragazze prima di entrare a scuola che non è distante da qui. Anche mia figlia Vale va a scuola, frequenta regolarmente, ed è contenta. Mi dà molte soddisfazioni, ma questo dopo che è stata affiancata da un’insegnante di sostegno, quando il papà è andato a finire su i giornali ed anche nella sua classe tutti l’hanno saputo. Un dolore immenso per me e per Vale. Per chi conosce Valentina, sa che è una bambina dolce e brava, anche gli insegnanti lo dicono. I bambini a volte sono cattivi, sarà perché ascoltano i loro genitori che parlano del papà di Valentina, lo fanno con il proposito meno educativo che c’è, e soprattutto con cattiveria. La società a volte è fatta anche di queste cose inevitabili. Sono stato giustamente condannato da un giudice che mi priverà della mia libertà per alcuni anni, facendomi restare in una cella rinchiuso, con un agente che mi apre e mi chiude a determinati orari. La società fa il resto nella maniera peggiore allungando la mia condanna, coinvolgendo i miei figli che sono innocenti. (sommario) Lello Martelli… il papà di Gabry e Valentina
"Questa legge non funziona come dovrebbe" Legge Finocchiaro, parla l’ex-ministro
Onorevole Finocchiaro, c’è una legge del 2000 che porta il suo nome, e che riguarda il rapporto fra i figli e i genitori detenuti. Di cosa si tratta, esattamente? Era il tentativo di eliminare quella barbarie in base alla quale i figli delle donne detenute rimanevano con le loro mamme, in carcere, fino a tre anni. Poi, improvvisamente, venivano tolti alle loro madri e portati a vivere altrove. Perché una barbarie? Come si possono immaginare dei bambini che per tre anni crescono sentendo solo il rumore dei chiavistelli, delle porte di ferro delle celle che sbattono, che vengono su in mezzo soltanto alle donne dei reparti femminili e che poi, da un giorno all’altro, vengono portati fuori, nel mondo esterno, privati però della donna che li ha messi al mondo, che li ha cresciuti divenendo il loro solo riferimento? E così è arrivata la sua legge. Cosa prevede? Due cose semplici. La prima: il periodo di detenzione per una madre incinta viene sospeso non fino a sei mesi dopo il parto, ma fino a un anno. Secondo: una detenuta madre ha il diritto di trascorrere la propria detenzione a casa fino a quando il figlio non avrà compiuto 8 anni. Fu difficile far approvare la legge? È sempre una fatica prendere provvedimenti legislativi che vanno incontro al rispetto di diritti fondamentali di civiltà, ma che riguardano un numero ridotto di persone. Poi, quando si parla di carceri, incombe sempre il problema della sicurezza collettiva, e allora bisogna mettere dei paletti. Io pensavo e continuo a pensare che quella legge sia il minimo consentito per rispettare l’articolo 31 della costituzione, quando dice: la repubblica protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo. Onorevole Finocchiaro, però c’è un problema… Lo so bene. Questa legge non funziona come dovrebbe. Esattamente. Le carceri italiane sono ancora piene di mamme detenute. Perché? Perché molte non hanno una fissa dimora, e quindi non possono godere della detenzione domiciliare. Si tratta soprattutto di nomadi, ma non soltanto. Niente casa, niente possibilità di uscire dalle mura del carcere per crescere il proprio figlio. È assurdo: ma la colpa, va detto, non è della legge. E di chi è? Della politica, in senso più largo. Per ovviare a questo problema basterebbe una azione di governo coordinata. Visto il numero di persone interessate non si tratterebbe di mettere a disposizione 3000 alloggi, ma una cinquantina al massimo. Alloggi protetti, naturalmente, controllati, dove venga garantito sia il diritto alla sicurezza dei cittadini che quello dei figli di crescere con le loro madri in luoghi adatti . Questa cosa non si fa. Evidentemente non c’è la volontà politica di farlo. Mi risulta che là dove si erano trovate delle soluzioni, poi tutto si è bloccato, credo per piccoli interessi di convenienza politica. La sua legge, tuttavia, ha un altro problema. Non riguarda le detenute in attesa di giudizio: e in questo modo il numero delle mamme costrette a svezzare i loro bambini in carcere, anziché diminuire, cresce. Sì, abbiamo capito, adesso sappiamo che è un problema e sappiamo che per modificare quel testo di legge allargandolo alle detenute in attesa di giudizio ci si mette poco. Va fatto. Si deve fare, e si deve fare in fretta. (sommario)
"La casa di via Zama? Un progetto da riprendere" Parla l’assessore Tiziana Maiolo
"Il progetto era positivo, c’erano anche i soldi per realizzarlo… Sì, meriterebbe di essere ripreso: e anzi garantisco, fin d’ora, che mi impegnerò perché questo accada". Tiziana Maiolo, assessore ai Servizi sociali di Palazzo Marino, ricorda bene l’idea della casa protetta per madri detenute e figli nell’ex scuola di via Zama 23: "Anche se il progetto – precisa – non l’avevo seguito io ma mia sorella Antonella. Comunque sia, purtroppo il progetto si è arenato e adesso va ripreso in mano". Perché non andò in porto a suo tempo? La risposta più sintetica: questioni di burocrazia e competenze. Ma non basta. E così a raccontarla nei dettagli è Antonella Maiolo, oggi consigliere regionale ma all’epoca presidente della Commissione servizi sociali. "Mi sembra fosse il ‘98. Il progetto di via Zama prevedeva, in sostanza, una mini-casa di reclusione gestita dall’amministrazione penitenziaria con criteri moderni e destinata alle madri con bambini, per evitare a questi ultimi lo shock del carcere". C’erano anche i soldi, 300 milioni di lire che erano stati messi a bilancio dal Comune e la speranza che la Regione avrebbe dato un miliardo. E invece? "Cadde la giunta Albertini, alcuni assessori se ne andarono, e alla Sicurezza arrivò Guido Manca, che è ancora in carica. Tutto ciò che riguardava le carceri venne trasferito ai Servizi sociali, tranne il progetto di via Zama, che rimase a Manca. Il quale a un certo punto decise di non farne più nulla. Gli stanziamenti non vennero utilizzati, e la cosa finì lì". E l’assessore Manca, oggi, spiega così la decisione: "Perché nel frattempo era arrivata la legge Finocchiaro. E la struttura di via Zama a quel punto fu ritenuta non più necessaria, e i tre miliardi a cui era salito il finanziamento dirottati su altri progetti". L’assessore esibisce in proposito la lettera che l’8 gennaio dello scorso anno scrisse al direttore del carcere Luigi Pagano: "Risulterebbe – vi si legge – che dopo l’approvazione della legge Finocchiaro, non ci sia più stato in carcere un numero di mamme con figli minori di tre anni superiore a 5-6 unità, quasi sempre appartenenti a famiglie nomadi, che comunque difficilmente restano detenute per più di una settimana". Fine dunque? Forse no. L’assessore Tiziana Maiolo, pur senza entrare in alcuna polemica col collega Manca, come si è detto, vorrebbe provare a riaprire quella porta chiusa. "Non entro in dettagli tecnici – argomenta – ma i dati concreti ci dicono che la legge Finocchiaro è in realtà applicata assai meno di quel che si pensasse. E io credo che progetti tipo quello di via Zama potrebbero essere non necessariamente alternativi, bensì complementari rispetto alla legge in questione. Ripeto: quell’idea era buona. E ora, nel rispetto delle reciproche competenze, faro il possibile per riprenderla". (sommario)
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