L'Oblò aprile n° 3

 

L’Oblò

Anno 2, numero  3, aprile 2004

 

 

Diogene incontra le regole

Un carcere che vive. Un’insolita visita

E la guerra continua…

God bless America

Una risposta c’è

Scemo e più scemo

Infowar

Il peso degli accessori

Prima e dopo. La condanna continua…

Il piatto della bilancia

Dieci anni in… Apecar

Stanza Verde si comincia!

"Lettera ad un adolescente"

Medicina alternativa? Di più, Shiatzu

Le ali della libertà

Quadrangolare con fuoriclasse…

 

Diogene incontra le regole

 

Diogene è parecchio perplesso dalla moltitudine di regole che gli vengono imposte. "Le regole sono fatte per soddisfare i bisogni e le esigenze di convivenza degli uomini". Questo aveva letto in capo al bando appiccicato al muro, come tutti gli avvisi alla popolazione, adiacente l’ingresso dell’osteria che era solito frequentare,sotto e di seguito le centinaia di indicazioni che si sarebbero dovute osservare, ma scritte così in piccolo da non poter essere lette nemmeno con gli occhiali.

Senza indugi entra e si va a sedere al suo solito tavolo d’angolo, vicino alla stufa sempre accesa, è ancora inverno e le sue vecchie ossa cantano di gioia quando gli sta vicino; ordina il suo quartino di Refosco, il primo bicchiere gli scende rinfrescandogli la gola e iniziandolo ai suoi pensieri: "Se dividessi i destinatari delle regole in dieci tipologie di persone, dico dieci per non farla lunga, con necessità crescenti o decrescenti in rapporto al punto di partenza e dovessi ipotizzare una regola fatta non per l’uno o per l’altro in considerazione della loro estrazione sociale, della cultura, delle tradizioni, della religione ma pensata per la media, dovrebbe adattarsi perfettamente soltanto al soggetto "cinque"? Tutti gli altri la considereranno non perfettamente calzante,con costrizioni che diventeranno sempre più intollerabili quanto più si avvicineranno al soggetto zero o al soggetto dieci, fino a manifestare un’aperta ribellione in corrispondenza degli estremi.

È veramente un grosso problema… continua a ripetersi; nel frattempo ha iniziato il secondo quartino… ora sembra parlare con un interlocutore invisibile: "La vita talvolta ci obbliga ad accettare alcuni compromessi, sembra non sia proprio possibile fare della regole che vadano bene per tutti, non ci è riuscito nemmeno il buon Dio come possono pensare di riuscirci gli uomini? Forse con la loro onnipotente presunzione?".

Pensa e ripensa, bevi e ribevi, la botte era ormai piena, fu a quel punto che, alzandosi malfermo sulle gambe ma con voce stentorea quasi strillò: "Se non si potranno fare regole che vadano bene per gli uomini, faremo uomini che vadano bene per le regole!".

Con passo vacillante si apprestò ad uscire, accompagnato dal coro di mugugni degli altri avventori.

Si era offeso Diogene, per la disapprovazione manifestatagli e per qualche giorno evitò anche di passare davanti a quell’osteria, ma il richiamo del buon vino era troppo forte, fu così che si ritrovò nuovamente davanti al bando li attaccato, quasi non se ne accorgeva ma qualcosa era cambiato, ora diceva: "Gli uomini sono fatti per accettare le regole di convivenza che permetteranno di soddisfare i loro bisogni". (sommario)

Daniele Marini

 

 

Un carcere che vive. Un’insolita visita

Un incontro tra fuori e dentro, tra vittima e reo

 

Sono detenuto per rapina ed è un anno che sono ospite nel reparto chiamato "la Nave". Qui ho modo di portare avanti diverse attività, frequentare numerosi gruppi, dove le persone magicamente si propongono in maniera sincera e leale. Sto decisamente meglio e non solo perché non sono chiuso 22 ore su 24.

Ho come la strana sensazione d’aver fatto pace con me stesso; mi sembra quasi di vivere in un’altro mondo, o meglio di vedere il mondo in altra maniera. Prima pensavo d’essere diverso; invincibile, straordinariamente lontano da tutte quelle imperfezioni quasi simpatiche che caratterizzano ognuno di noi. Pensavo di essere altra cosa.

Adesso il solo pensiero mi fa sorridere in sofferenza; quanto tempo buttato via! Quante occasioni perse! Quanta serenità a portata di mano svanita! Stare insieme, incontrarci mi ha riempito saziandomi; ho come la piacevole sensazione di calzare perfettamente un paio di scarpe comode. Mi sento vivo nel mio piccolo e modesto modo di vivere; importante perché faccio parte di una grande cosa fatta di tante piccolissime idee, azioni e parole. Piccole, perché l’uomo è piccolo in una vita estremamente breve, dove in tempo reale è il piccolo, che al massimo un uomo può fare.

Io ero il rapinatore che ha ucciso il suo amato marito. Papa di due figli; vedevo una mamma in lei; guardavo una sorella nella figlia; mi sentivo il fratello!

Ultimamente mi è stata data la possibilità di partecipare all’incontro "La trasgressione", fuori reparto, sempre in compagnia di studenti universitari e detenuti della sezione penale, con la supervisione del professor Angelo Aparo.

Una delle ultime tematiche affrontate è stata quella fra rapinatori e rapinati e tale in occasione ho avuto modo di conoscere la signora Bartocci in compagnia della figlia. Questa graziosa signora è rimasta vedova per colpa d’una rapina, e mai riuscirò a dimenticare il suo viso, il suo modo di parlare pacato a noi detenuti, "artefici della sua sofferenza".

Non ho parole per esprimere il mio dolore e il solo pensiero di avvicinarmi alla sua sofferenza è pura, indegna, assurdità. Nonostante tutto sento il bisogno di scrivere quello che in verità quel pomeriggio sentivo. Inizialmente non capivo il perché di tanta sofferenza appositamente cercata con quell’incontro; ormai il danno è stato fatto! Irrecuperabile la vita di quell’uomo! Perché aprire nuovamente una ferita così dolorosa? Perché io rapinatore stavo lì fermo, pietrificato davanti a tanta sofferenza, a mia volta soffrendo?

I conti non mi tornavano, come quando ero solo in quella camera d’albergo, prima dell’azione in gioielleria. Avrei voluto non fare mai quella rapina! Avrei voluto non farlo e non solo per lei! Avrei voluto non farla per non indossare quella veste così piena di contraddizioni.

Sto bene perché ho il bottino; sto male perché ho tolto la vita ad un uomo simile a me; gioisco perché mi compro un Honda CBR 900 nuova, ma soffro perché vedo mia sorella piangere straziata; piango perché è morto un padre in tempo di pace.

La forza e il coraggio di quella donna provata, nel resistere ed essere utilizzata come strumento, è stato straordinario, onorevole. Nonostante tutto, egoisticamente, sento il bisogno di dire che pur non essendo stato piacevole incontrarla è stato proficuo e vantaggioso; stare insieme a lei, di fronte al suo sguardo mi ha catapultato in maniera prepotente in chi sono io; simile a tutti codardi e coraggiosi; onesti e ladri, egoisti e altruisti; lavativi e campioni, faine e leoni.

Quella sera, arrivato in cella, non ho voluto raccontare nulla ai miei compagni, ma sono certo che ne beneficeranno anche loro di quel tesoro trovato e pagato a caro prezzo ovunque. Quelle brevissime 3 ore rimarranno sempre in me; svilupperanno nuove occasioni, nuovi atteggiamenti, certamente un nuovo stile.

(sommario)

Walter Madau

 

 

E la guerra continua…

 

Bombe intelligenti, kamikaze, guerra preventiva e guerra umanitaria.

Neologismi e vecchi termini che ritornano nel vocabolario quotidiano dell’intera umanità.

Termini che rappresentano, più o meno bene, una realtà con cui dobbiamo fare i conti.

La democrazia si può esportare come un bene di consumo?

Quando, dove e con quali mezzi?

Una guerra può essere giustificata, e quando?

Arrivano prima i fotografi dei proiettili, ma ancora si dibatte sui giornali e nelle televisioni sui motivi di questa guerra.

Un esercito che mantiene un equilibrio o un esercito invasore con chi sa chi, visto che Saddam Hussain è stato catturato?

La pace si può ottenere con le armi?

Le guerre si decidono nei palazzi del potere?

Tanti i dibattiti, anche nella nostra redazione. Su un tema così importante pensiamo che non ci si possa accontentare.

Vi proponiamo una serie di articoli che speriamo possano fare riflettere, magari anche farvi arrabbiare.

Convinti che non ci si debba accontentare di slogan e riflessioni superficiali su un tema che coinvolge il futuro dell’umanità. (sommario)

La redazione

 

 

God bless America

 

Ovvero Dio benedica l’America.

Questa frase che viene detta al termine di ogni discorso dal presidente Bush, contiene tutta la sua arroganza, infatti sarebbe corretto dire: Dio benedica gli Stati Uniti del Nord America, visto che Bush non intende sicuramente benedire la Colombia, l’Argentina o altri paesi che avrebbero davvero bisogno di un intervento divino per liberarsi dalla schiavitù economica impostagli dal gigante del nord. In questa frase c’è anche la legittimazione, in quanto paese benedetto, di portare la Democrazia e il "sogno americano" a quei paesi che non l’hanno.

Non importa se non lo vogliono, ma si devono prendere in testa tutta la produzione di bombe e missili dell’ultimo decennio, così da risanare l’industria e poi dare tutti gli appalti per la ricostruzione a compagnie statunitensi, che sono così buone da accettare anche petrolio per il pagamento.

Prima che invadessero l’Iraq con delle menzogne e delegittimando l’ONU, diventando di fatto una dittatura mondiale, al mondo c’era qualche migliaio di terroristi islamici disposti a combattere contro il "satana americano": adesso sono milioni e più ne uccidono più ce ne saranno.

La mia non è una previsione pessimistica, è una realtà sotto gli occhi di tutti. Sul Corriere della sera di qualche giorno fa ho letto un articolo dove si accusa la televisione Al Jazira di fomentare l’odio contro gli Stati Uniti perché fanno vedere… La Verità!! L’orrore dei corpi mutilati di uomini donne e bambini. Qui da noi come in quasi tutto il mondo occidentale i media parlano principalmente dei vili attentati contro i soldati della coalizione, non dicono mai quanti iracheni innocenti vengono uccisi dalle bombe "intelligenti". Io spero che si possa ancora salvare il mondo dal terrorismo, dai Bin Laden e dai Bush, che ci sia ancora spazio per un dialogo nel rispetto delle differenze culturali e senza inutili vendette, che servono solo a creare altro odio. (sommario)

Matteo De Maria

 

 

Una risposta c’è

 

Alla parola terrorismo il dizionario Garzanti recita: metodo di lotta politica basato su atti di violenza organizzata (attentati, omicidi, sabotaggi) al fine di rovesciare l’assetto politico esistente. La lotta partigiana è stata lotta terroristica? In alcuni momenti penso proprio di sì. Pur non avendola vissuta, se non attraverso i racconti, ne vado orgoglioso.

Che differenza ci sarà tra sparare un razzo da un elicottero in una via di una città per colpire un nemico e farsi saltare in aria in un autobus? La differenza forse è che chi ordina il primo atto spera di non uccidere civili, ma lo mette in conto e sa che sarà difficile che ciò non accada, il secondo spera di ucciderne il più possibile e per far ciò è disposto a perdere la sua stessa vita.

Che differenza ci sarà tra chi bombarda una città e la rade al suolo e chi per rappresaglia fucila decine di persone? Forse la differenza sta nel fatto che il primo lo fa per far terminare una guerra (bombardamento di Dresda, 140.000 morti), il secondo lo fa per soggiogare nel terrore una popolazione (Roma, 335 morti alle Fosse Ardeatine).

Dov’è il confine tra assassinio e lotta di liberazione? C’è. Bisogna cercarlo. Senza accontentarsi di ciò che gli altri dicono sia giusto o sbagliato. Lucidi in una situazione che non ha niente di lucido. Perché a parlare più di tutti è la morte. (sommario)

David Gentili

 

 

Scemo e più scemo

 

Sempre più spesso ricaccio indietro il fortissimo desiderio di lanciare all’interno del carcere una notizia falsa ed attenderne il passaggio di ritorno, come un buon pescatore sulla riva, certo che la piccola alborella è divenuta un’orca famelica incontrollabile.

Succede tutti i giorni e non in galera. Vi basta leggere i quotidiani, qualunque testata, per trovare oggi la smentita alla clamorosa notizia di ieri. L’ultimo attentato di Madrid ne è un esempio veramente clamoroso, dove l’ex premier Aznar, a poche ore dal botto mentre i cadaveri erano ancora caldi, lanciava anatemi sull’Eta.

I servizi segreti di mezzo mondo nell’arco di poche ore avevano già le idee chiare sui veri responsabili dell’attentato, sicuramente anche Aznar fu messo al corrente (o lo ha sempre saputo?) ma lui, imperterrito, ormai lanciato nella sua opera, continuava a sostenere l’incipit.

Mi sorge spontanea la domanda: "Ma davvero credono che siamo tutti scemi e abbocchiamo ad ogni loro fandonia?". Quando poi li vedo litigare sulle poltrone dei parlamenti, urlarsi addosso nei dibattiti televisivi senza il minimo senso per il rispetto della comunicazione, ognuno che continua a sostenere la sua linea anche quando è palesemente insostenibile o indifendibile.

Tanto qualche scemo che si allinea con gli scemi lo trovano sempre. Mettiamocelo nella zucca tutti quanti che ogni cittadino è fuori dai giuochi, che non abbiamo voce in capitolo su niente neppure quando si scende in piazza a milioni perché tanto strumentalizzano anche questi avvenimenti.

E allora mi convinco che non esiste un buon governo… (sommario)

Francesco Ghelardini

 

 

Infowar

 

Gli attacchi che hanno devastato l’America e la Spagna sono da condannare come gravi azioni contro la popolazione civile, inerte ed innocente. Non credo, però, che esista solo questa tipologia di terrorismo.

Per indole diffidente, non ho accettato la "verità" dei media prima d’essermi dato una spiegazione.

Mi sono documentato per ragionare, indipendentemente, su quel che accade nel mondo: l’economia politica, le pluralità culturali, etniche e religiose comportano, grazie alla diversità, un inarrestabile arricchimento globale. Questione che, evidentemente, non interessa i "canali ufficiali", i quali, impegnati nella diffusione di funamboliche attività dialettiche, non portano a conoscenza... perché? Questi silenzi celano degli interessi?

Le inconfessabili convenienze di pochi coinvolgono miliardi di persone. Atti scatenati con così inaudita violenza non possono provenire che da un gruppetto d’estraniati invasati: trovo, però, che l’opinione diffusa dall’industria culturale è egualmente faziosa, poiché riduce realtà molto più articolate e complesse.

Chissà perché c’è poco interesse rispetto alle cause: sarebbe utile ascoltare la voce che hanno le popolazioni sfruttate e depredate? A chi conviene ridurre il terrorismo nell’espressione della disperazione? Forse a chi non conviene venire a capo delle problematiche che l’hanno prodotto. Il sangue che scorre in una parte del mondo ha una data (11 settembre - 11 marzo), mentre nell’altro è la quotidianità.

L’estremizzato benessere "occidentale" procura, in altri luoghi, distruzione e un’immensa ingiustizia. Queste involuzioni non cesseranno d’essere fino a quando lo strumento della politica internazionale sarà rivolto alla salvaguardia del modello consumistico filoamericano.

Nel mio piccolo, tutti i giorni, in ogni mia scelta l’ho presente. Ne sono certo… un mondo è possibile!!!

(sommario)

Maurizio Albergoni

 

 

Il peso degli accessori

 

Accessorio è ciò che si aggiunge a qualcos’altro per completarne la funzione, è quel tocco in più. Nella moda gli accessori fanno la differenza. E sulla fedina penale?

Le pene accessorie vengono comminate congiuntamente alle pene principali perché si ritiene non abbiano da sole una sufficiente efficacia intimidativa ed afflittiva ; il loro scopo, secondo la dottrina giuridica, sarebbe soprattutto quello di disincentivare il soggetto al quale sono attribuite dal ricadere nello stesso reato.

Solitamente conseguono di diritto alla condanna come effetti penali di questa, tuttavia esistono casi in cui vengono applicate discrezionalmente dal giudice. Il legislatore del 1930 le volle perpetue, come l’ergastolo. La Carta Costituzionale del 1948 ha dato una sterzata volendo che la pena avesse funzione rieducativa, cioè che avesse un’utilità pratica in vista del reinserimento del detenuto, essendo stata posta la persona al centro dell’ordinamento giuridico.

In quegli anni il processo penale era disciplinato dal codice del 1930: ombre inquisitorie lasciavano la persona sostanzialmente all’oscuro nel procedimento in corso a suo carico, senza un effettivo diritto di difesa, soggetto a carcerazione preventiva, destinatario di condanne decise sulle base di prove cercate ed assunte dall’ibrida figura del giudice istruttore, che sarebbe scomparsa solo nel 1989. Ed essendo la Costituzione fonte primaria di diritto ha corroso ciò che si opponeva alla sua linea.

Nel 1990 è stata introdotto il principio della sospendibilità delle pene accessorie, per cui attualmente abbiamo:

pene accessorie temporanee delle quali il giudice stabilisce la durata;

pene delle quali non viene precisata la durata e che perciò durano quanto quelle principali con le quali vengono inflitte;

pene accessorie perpetue, salva diversa disposizione di legge (art. 28 codice penale).

Le pene accessorie sono:

Interdizione dai pubblici uffici (art. 28 c.p.).

Perpetua: consegue all’ergastolo e alla reclusione non inferiore ai 5 anni ed in caso di dichiarazione di abitualità-professionalità nel delitto o di tendenza a delinquere.

Salvo sia diversamente disposto dalla legge, essa priva il condannato della capacità di votare, della capacità di essere eletto e del diritto di esercitare pubbliche funzioni legislative, giurisdizionali ed amministrative ( diritti politici ), cioè della possibilità di operare quali organi della pubblica amministrazione.

Temporanea: dura non meno di 1 anno e non più di 5, in caso di reclusione non inferiore a 3 anni.

Interdizione da una professione o arte (art. 30 c.p.)

Comporta la perdita della capacità di esercitare una professione (esempio medico, avvocato), un’arte (attività svolte secondo determinate regole ed abilità tecniche apprese con lo studio e con l’esperienza), un’industria, un commercio o un mestiere per i quali è necessario un particolare permesso, autorizzazione, licenza dell’autorità e il rispetto di precisi doveri (si può avere invece la "sospensione" da tali attività se la pena principale è l’arresto non inferiore ad 1 anno).

Interdizione legale (art. 32 c.p.)

Applicata per i delitti più gravi, priva il soggetto della capacità d’agire, cioè della capacità di validamente disporre di beni ed amministrarli, di acquistare ed esercitare da solo diritti soggettivi e di assumersi obblighi. Ad esempio, se concludesse contratti essi sarebbero annullabili.

Interdizione dagli uffici direttivi di persone giuridiche ed imprese (art. 32-bis)

Pensata per i reati collegati con l’esercizio d’impresa tipici dei c.d. colletti bianchi, è una pena temporanea che dura tutt’al più quanto quella principale (sospensione se il reato è contravvenzionale).

Incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione

Significa che si può solo usufruire di pubblici servizi erogati dagli enti pubblici o da società private che li hanno in concessione (esempio metropolitana), non si può stipulare qualunque altro contratto con la pubblica amministrazione.

Decadenza o sospensione dall’esercizio della potestà genitoriale (art. 34 c.p.)

La prima consegue all’ergastolo o alla condanna a particolari delitti ( es. artt. 564, 671 c.p.), la seconda consegue alla condanna alla reclusione non inferiore ai 5 anni.

Il soggetto viene privato dell’esercizio dei diritti e doveri di genitore: custodire, proteggere, educare, istruire i figli minori non emancipati e curarne gli interessi patrimoniali, quindi rappresentarli legalmente ed amministrarne eventuali beni).

Pubblicazione della sentenza penale di condanna su uno o più giornali a spese del condannato, nei casi stabiliti dalla legge (esempio artt. 347, 475 c.p.).

 

Considerando che la posizione primaria che la persona, il suo sviluppo, la sua integrazione e tutela occupano nella Costituzione; che sono state introdotte ed ampliate nell’operatività le misure alternative e le pene sostitutive delle detentive brevi per decongestionare le carceri e facilitare il reinserimento nel tessuto sociale; che cadono i privilegi della pubblica amministrazione nei rapporti con i privati e la legislazione in materia di lavoro tutela i lavoratori disabili, possiamo chiederci che senso avrebbe oggi lo strascico di una pena accessoria perpetua nella vita di chi abbia saldato il suo debito con la giustizia, con la società e con se stesso. (sommario)

Alessandra D’Ercole

 

 

Prima e dopo. La condanna continua…

 

Le pene accessorie sono di diversa natura. Alcune, a parer nostro, sono legittimamente erogate; in altri casi, invece, appaiono assolutamente contrarie a tutte quelle che sono le indicazioni del legislatore prendendo spunto dall’Ordinamento penitenziario per la parte riguardante la fattispecie del reinserimento sociale: ad esempio l’interdizione dai pubblici uffici (cfr. art. 28 c.p.) e l’interdizione legale (cfr. art. 32 c.p.). Le pene accessorie appena citate sono da considerarsi la morte civile dell’individuo. Mentre risulta più accettabile una pena quando è temporanea, e quindi temporalmente adiacente alla condanna da espiare, quando questa è perpetua toglie la speranza e quindi mortifica ogni principio dei rinnovamento delle persone.

Così si può dire per l’interdizione legale applicata in maniera perpetua, priva sostanzialmente il soggetto della capacità di agire. In ogni caso, durante l’erogazione di una pena accessoria perpetua viene meno ogni principio di reinserimento sociale perché chiunque ha già espiato la condanna penale vive poi con la convinzione che gli vengano "riconsegnate" la dignità e la speranza di ricostruirsi una vita dignitosa ed onesta.

Considerando ulteriormente l’Ordinamento penitenziario per quanto concerne il panorama delle leggi in tema di reinserimento sociale ed in particolare l’art. 47, lo strascico temporale perpetuo di una pena accessoria risulta incompatibile in una logica appunto di reinserimento.

Quando ad un individuo viene comminata una pena accessoria in via perpetua e si trova a scontare una condanna penale, al termine della stessa la prima lo accompagnerà verso un percorso che conduce inevitabilmente all’emarginazione sociale. Anziché partire alla pari con gli altri cittadini nel perseguire l’obiettivo di un lavoro onesto e di una vita dignitosa, l’ex-detenuto si troverà a dover convivere con l’handicap della pena accessoria e quindi le sue legittime speranze verso un futuro più roseo, ineluttabilmente lo porteranno ad essere considerato per tutta la vita incapace di riproporsi con un ruolo attivo all’interno della società.

Questo risulta quindi contrario a tutto quello che il legislatore indica nei vari articoli dell’Ordinamento penitenziario a proposito di quello che viene definito con l’espressione di reinserimento sociale. A nostro parere, al termine di ogni condanna e dopo un’attenta valutazione durante l’espiazione della pena, sarebbe forse il caso di considerare l’ipotesi di far decadere la perpetuità della pena accessoria. Se viene meno la possibilità di utilizzare le varie opportunità che la società offre, in quale modo concreto viene offerta la chance di riproponimento attivo (o reinserimento che dir si voglia) in essa? (sommario)

Gennaro Daniele e Simone De Chirico

 

 

Il piatto della bilancia

 

Applicare pene accessorie con principio di sospendibilita a seconda dell’abitualità e professionalità nel delitto o di tendenza a delinquere, può sollevare apprezzabili argomenti sul valore ai diritti umani e al suo stesso sviluppo, integrazione e tutela.

Ciò nonostante sono molto scettico nel dargli così tanta importanza perché a livello pratico tutti quei bei discorsi risultano poco coerenti con il suo stesso nucleo centrale: quello di rispettare e rendersi responsabili ai riguardi di un’Istituzione; chi è il sistema legale? Chi decide veri e propri diritti aventi forza di legge? Perché se non fossero riconosciuti da uno statuto come possono essere rivendicati.

È fondamentale precisare che essi non possono in nessuna maniera precedere le regole dello Stato, bensì solo seguirle. Devono essere visti in termini post-istituzionali, come strumenti per raggiungere determinati obiettivi e non come titoli etici davanti alle istituzioni. Pur riconoscendo l’importanza intrinseca e la pericolosità di pene accessorie perpetue, assolutamente non condivise da me, esistono buone ragioni di applicabilità temporanea per ridurre i danni causati da comportamenti illeciti, criminosi e irresponsabili.

Dunque l’unico approccio degno di attenzione comporta uno stretto collegamento fra un intervento pubblico che promuova la riabilitazione in strutture sia carcerarie che sociali, con particolare riguardo a istruzione e responsabilizzazione. Controbilanciando, rafforzando l’efficacia legale in Tribunale, una volta saldato il debito con la giustizia, per riconoscere nuovamente certi diritti che spettano a tutti i cittadini. Non sono certo meravigliato e, pur riconoscendo i miei sbagli, riconosco sempre più che non siamo soli e oltre ai diritti abbiamo dei doveri rispetto ad altri. (sommario)

Walter Madau

 

 

Dieci anni in… Apecar

 

Nel 1998, a 21 anni, mi è stata revocata la patente di guida, in seguito alla lunga serie di reati che ho commesso da minore. La pena accessoria era motivata dal fatto che sono stato ritenuto "moralmente" non idoneo alla guida d’autoveicoli, (in quanto pluripregiudicato), con il divieto di possederla per i successivi 10 anni. Moralmente? Beh, sì… sono un tossicodipendente malfattore. Infatti, con la vita che conducevo, chi avrebbe potuto scommettere sul mio rispetto del codice della strada? Il dubbio è fondato.

Mi nascono, invece, delle perplessità sulla temporalità della sanzione. Chi può garantire che, trascorsi i 10 anni, abbia recuperato la "moralità" necessaria? Quale eccelso matematico ha calcolato in 10 anni la generazione spontanea della sacra pianta del bene e del male? Questi dubbi minano la validità stessa di questo provvedimento. Se non c’è un ente che riscontri l’effettivo ripensamento del comportamento sanzionato, chi deve valutare l’efficacia di questa misura preventiva? Forse non è altro che una sorta di rinvio nel tempo, una specie di ripiego?

Questa misura, per essere efficace, richiederebbe la supervisione psicofisica, da parte d’esperti, dell’attuale andamento della persona: non facendolo e delegando il tempo come il migliore dei toccasana si vanifica la finalità stessa del provvedimento, che resta ma lascia il tempo che trova.

Fin della fiera, per ovviare al problema cosa ho fatto? Mi sono comprato un Apecar 50 station wagon e l’ho adibito a camper. Solido, bianco/nero e con il carburatore da competizione mi portava sempre in giro, anche durante i giorni di blocco del traffico, perché omologato euro3. Ahimè era sprovvisto dell’aria condizionata, ma non c’era problema, bastava smontare le portiere e… via col vento!

Quando mi sposerò e avrò dei figli comprerò una mini macchinina col motore 50, così che anch’io possa portare i miei affetti nei luoghi più belli del mondo. (sommario)

Maurizio Albergoni

 

 

Stanza Verde si comincia!

 

In occasione della festa del papà è stato presentato uno spazio al Museo della Scienza e della Tecnica, che verrà utilizzato dai familiari dei detenuti. Spesso l’attesa del colloquio con il proprio congiunto è molto penosa, soprattutto per i bambini, costretti ad aspettare anche parecchio tempo in situazioni caotiche e malsane. I bambini, spostandosi al Museo e utilizzando la Stanza verde, potranno passare del tempo distraendosi con giochi ed altri passatempi che il museo offrirà.

I parenti verranno accolti da Gabriella, operatrice dell’associazione Bambini senza sbarre. In questa occasione è stato autorizzato a partecipare dal tribunale di Sorveglianza un detenuto rappresentante dell’associazione e di tutti i genitori detenuti. Sono intervenuti alcuni familiari, a conoscenza del progetto, che hanno visionato la stanza e partecipato alla festa di inaugurazione.

Al termine dell’incontro la soddisfazione era generale. Questa iniziativa è la prima in Italia, si spera possa fare da apripista per altre analoghe iniziative che possano dare la possibilità ai detenuti di poter effettuare dei colloqui con i propri figli in una struttura come questa, dove il genitore possa trascorrere un paio d’ore con i propri figli in una situazione più serena delle mura di un carcere. Questo è stato possibile grazie al direttore del museo, Roberto Galli e l’ex sindaco di Milano Carlo Tognoli, che hanno ricavato uno spazio mettendolo a disposizione per questa grande iniziativa.

La Stanza verde è inserita all’interno del Progetto relais fortemente voluto dalla Asl, in particolare dal dott. Dario Foà, e la sue collaboratrici Serena Pellegrino e Graziella Bertelli, sostenuto dal Direttore del carcere dott. Luigi Pagano. La giornata è stata caratterizzata dalla presentazione del lavoro dei ragazzi del Reparto La Nave denominato Il lupo racconta: raccolta di storie per bambini da leggere e da ascoltare attraverso un Cd. Il libro è in vendita e si può acquistare anche presso il tabacchi di piazza Filangeri.

In ultimo non posso non ringraziare tutti quei detenuti che in questi anni, unitamente alle associazioni che trattano problematiche famigliari all’interno del carcere, si sono adoperati per ottenere tutto ciò. Un ottimo lavoro, complimenti ragazzi, sono con tutti voi. (sommario)

 

 

"Lettera ad un adolescente"

Recensione del libro di Vittorio Andreoli

 

"Lettera ad un adolescente" è un libro ricco di emozioni coinvolgenti; riesce a semplificare, con un fine ragionamento, il conflitto tra un padre e un figlio. Coglie i tratti contrastanti tra due uomini (un padre e un figlio) diversi sul piano dello sviluppo, dell’apprendimento e delle necessità. Nessuna contrapposizione data dalla distanza tra le due generazioni può, però, rompere il legame affettivo - sentimentale che ogni uomo necessita. Nessuno è vittima, ma ciascuno nella relazione padre figlio diventa protagonista e responsabile di ciò che avviene.

Si assapora la sensazione di sentirsi importanti nel momento in cui prendi consapevolezza di aver un ruolo fondamentale nella relazione. Vittorino Andreoli, psichiatra, autore di numerosi testi su giovani e adolescenti, ci accompagna in un viaggio affascinante fra le bellezze di un intera vita, una vita capace di mutare e svilupparsi in continuazione. Si parte da cosa significhi educare, tirar fuori e non imporre, si sottolinea l’importanza del dialogo, condannando il male peggiore nella relazione tra generazioni: il mutismo.

Si riconosce l’importanza di un gruppo di amici per un adolescente, utile proprio in quella fase dello sviluppo (l’adolescenza), in cui sono forti le paure della metamorfosi del proprio corpo. Nel conflitto fra i diversi modi di vivere, l’autore ti inchioda parlando di come queste differenze si manifestano nella diversa percezione del rischio, della paura e del dolore di un’esistenza spesso faticosa. Infine il capolavoro arriva nello spazioso mondo dei sogni nel cassetto; un desiderio che si colloca nel futuro, un tempo assente nella mentalità adolescenziale, che purtroppo toglie la capacità di sentirsi diverso da come si è adesso, sdrammatizzando tutte le paure che si hanno nei continui mutamenti del proprio corpo e del proprio essere.

Purtroppo nella sua verità e realismo non poteva non parlare della morte, affiancandola all’amore. Proponendola come esperienza fondamentale perché il tutto non avrebbe un senso. (sommario)

Walter Madau

 

 

Medicina alternativa? Di più, Shiatzu

 

Da due settimane a "La Nave" vengono a portare la loro preziosissima ed insolita collaborazione un gruppo di maestri nell’arte del massaggio Shiatzu. Due volte alla settimana per un totale di sei ore riescono a dare beneficio a tutti quanti si presentano e, credetemi, nessuno rinuncia. Ogni massaggio individuale dura circa un’ora, in una stanza dove aleggia la fragranza dell’incenso e le musiche basse di note tibetane.

Il 1°di aprile, noto per i pesci, è stato per me giorno di rivelazione. Mi sdraiavo sul materassino con un’emicrania devastante da un tambur battente di dolore alle tempie, che purtroppo è ricorrente, poi mi alzavo con un senso di rigenerazione su tutto il corpo. Sicuramente le sapienti pressioni con le dita su invisibili (per me) canali energetici, avevano ristabilito gli equilibri del mio corpo. Chiunque è scettico sui reali benefici di questa tecnica di massaggio farà bene in futuro a provarla. (sommario)

Francesco Ghelardini

 

 

Le ali della libertà

Riceviamo e pubblichiamo il contributo di un padre

 

Come è noto l’idea di San Vittore venne in mente a Dio come alternativa al Paradiso Terrestre. Là non mancava nulla, gli alberi stillavano miele e ambrosia e le giornate trascorrevano in un ozio beato. Tutto sarebbe continuato cosi, per l’eternità, se due "balordi" tentati dal serpente e dai suoi opuscoli rivoluzionari non avessero cominciato a chiedersi se, al di là dei confini del Paradiso Terrestre, non ci fosse qualcosa di meglio. Dio la prese male. Come potevano due balordi permettersi tale ingratitudine oltraggiosa? Il Paradiso Terrestre che offriva ai suoi ospiti ogni ben di Dio era un luogo ben recintato, in modo di tener lontano il mondo e le sue tentazioni. A tale scopo pullulava di guardie angeliche, il meglio dell’intellighentia, molto cortesi ma ben addestrate a tenere vivo un clima di sospetto.

Particolarmente temuti erano i visitatori. Ognuno di loro poteva introdurre fermenti eversivi, un mazzo di papaveri… insomma qualunque cosa potesse far sospettare che fuori c’era dell’altro. Idea questa che era insopportabile al Sovrintendente. Come non essere grati ad un regime che ti offriva ogni godimento tranne quello colpevolmente anarchico della libertà? Fu per questo che Dio, fallito il primo tentativo ne tentò un altro meglio organizzato: San Vittore.

All’inizio fu un successo clamoroso e tanto velocemente si sparse la voce che quello era un paradiso in terra, che tutti facevano la fila per entrarvi. Per molti anni quest’isola felice prosperò in letizia. I carcerieri si erano talmente affezionati ai carcerati che non sapevano separarsene. Per loro l’idea che qualcuno potesse desiderare di uscire da lì era inconcepibile. A San Vittore nessuno era innocente, né guardie né carcerati e meno che mai i visitatori. Chi varcava la soglia di San Vittore aveva commesso qualcosa, magari in sogno. L’innocenza era preclusa; tutti i visitatori potevano nascondere una lima dentro l’orologio o in una barra di cioccolato… tutto era sospetto. Ogni capo di vestiario poteva celare un doppio fondo. Di qui le perquisizioni accurate, con guanti di plastica, alla ricerca di qualcosa che potesse sfuggire al regolamento.

Comunque San Vittore avrebbe potuto continuare ad essere un Paradiso Terrestre, se non fosse successo quel fatto strano. Pare che da un certo tempo, qualcuno sia riuscito ad infiltrare un pappagallo il quale grida continuamente ai detenuti e ai loro carcerieri: "sapete volare?" (che sia una ennesima reincarnazione del serpente?) Questa domanda impertinente cominciò ad irritare tutti, carcerati e carcerieri. Come si può infatti volare via da un luogo dove pace e letizia sono assicurate, a patto di non pensare ad altro? Cominciò cosi una caccia spietata al pappagallo. Niente da fare. Era introvabile. E la sua domanda, sempre ripetuta esasperava gli animi e rendeva tutti nevrastenici. Era la fine del Paradiso.

Il direttore, offeso e sconcertato da questa voce anarchica, promise mille euro di ricompensa a chi gli avesse portato il cadavere di questo esecrabile pennuto, infilzato in uno spiedo. Un direttore che si rispetti deve infatti saper arrostire i fantasmi della libertà. Ma a quanto pare ancora oggi il pappagallo continua a gridare: "Sapete volare?". E non è escluso che questa stupida domanda possa portare ad un crollo dell’euro, a disordini civili o a gravi depressioni: Peccato. San Vittore era forse l’ultimo baluardo paradisiaco prima dell’inferno. (sommario)

Bruno De Maria

 

 

Quadrangolare con fuoriclasse…

 

Anche se è più di un anno che non gioca più nel Milan, vedere giocare Leonardo – con i suoi tocchi brasiliani – è sempre un piacere. Il 24 marzo si è svolto nel campo degli agenti un quadrangolare che ha visto coinvolte le squadre della Nave, operatori, allievi di Bolognino e agenti. La partita inaugurale tra Nave e agenti è stata la più combattuta, solo a pochi minuti dalla fine uno scatto imperioso sulla fascia del nostro "vecchio" serviva un pallone al centro, dove era appostato Bartolino che con tutta calma insaccava per l’unico gol prezioso, dandoci la vittoria.

La finale è stata disputata contro gli operatori (la squadra dove giocava Leonardo). Sarà forse questo ad averci dato quello stimolo in più, sta di fatto che dopo pochi minuti, con un uno-due, la premiata ditta ma-mi ha messo subito le cose in chiaro, avrebbe steso anche un toro. Per la cronaca la partita è finita 6 a 3 per la Nave. Alla fine tutti sono rimasti consolati con delle torte offerte dai ragazzi de la Nave. (sommario)

Vincenzo Marceca

 

 

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