Le
ragioni del degrado penitenziario nel libro
di Salvatore Verde, operatore carcerario
Perché
in carcere c'è poco conflitto? Le risposte dell'autore
Liberazione,
3 ottobre 2001
Le
carceri sono tornate di nuova alla ribalta in questi mesi, sia perché sono
riesplose contraddizioni insopportabili della condizione carceraria - in primo
luogo il sovraffollamento - che hanno dato il via alla protesta dei detenuti,
sia perché il Guardasigilli Castelli si è reso protagonista qualche settimana
fa di un'indecorosa quanto ridicola esternazione circa il "lusso" che
a suo dire caratterizzerebbe i luoghi di detenzione. Succede sempre così:
periodicamente un qualche accadimento squarcia il sipario e spezza l'opacità
che ricopre lo stato reale dei luoghi di detenzione, la loro condizione di
degrado, la sofferenza di coloro che vi sono rinchiusi. I media sono costretti a
occuparsene per qualche giorno, ma sempre molto meno di quanto sarebbe doveroso
e sempre restando ben al di qua dei problemi. Ci sono ancora situazioni infami
di cui nessuno di norma parla, come a Poggioreale, dove i detenuti devono tenere
gli occhi abbassati quando sono al cospetto degli agenti. Ma il silenzio, la
rimozione sono d'obbligo, fanno parte del meccanismo sociale di funzionamento
della reclusione, di una istituzione, quella carceraria, per definizione totale
e disumanizzante.
La
qualità culturale di una società si dovrebbe misurare invece - e fortemente -
da come vanno le cose nella società reclusa, da come stanno insieme, in
equilibrio, politiche penitenziarie e orientamenti di politica criminale, da
come si concepisce e realizza l'esecutività della pena, per esempio senza
quell'infinita sequenza di extra-pene che amplifica la condanna giudiziaria e
costituisce in radice un'aggressione di fatto allo stato di diritto. Che è tale
- o tale dovrebbe essere - se vale in primis per chi incorre nei rigori della
legge. Castelli ci ha offerto un test allarmante di dove si possa finire con
questo governo e quanto oggi sia messa in discussione nel nostro Paese proprio
la salvaguardia dello stato di diritto. Minacciosa infatti oltre che ridicola la
sua esternazione, che rende palpabile la forte idiosincrasia della Casa delle
Libertà per la popolazione carceraria, soprattutto quando - come oggi - è
sempre più composta da "devianti" pericolosi: giovani immigrati e
tossicodipendenti in primo luogo. Ma il centro-destra si trova a lavorare con
una situazione già deteriorata e con meccanismi intrinseci di produzione del
degrado nel sistema penitenziario che risalgono a ben prima dell'avvento della
Casa delle libertà al governo.
Un
sistema in totale degrado da anni
Di questa complessa realtà e dei processi che l'hanno resa possibile parla
Salvatore Verde, operatore carcerario, nel libro Massima Sicurezza, sottotitolo
"Dal carcere speciale allo Stato penale", edizioni Odradek. Il libro,
uscito recentemente, è quanto mai attuale anche alla luce delle ultime vicende,
ma nello stesso tempo ha il pregio di rimettere insieme le tessere del mosaico,
di scandagliare le ragioni che stanno dietro agli eventi, facendo il punto su
quel mondo oscuro, volutamente ignorato e, soprattutto, sulle logiche che lo
governano, sulla tendenza in atto a imprigionare ghettizzare criminalizzare le
radicali contraddizioni di questa epoca nella dimensione del penale. E per
portare a segno questo suo obiettivo l'autore pone, fin dall'inizio del suo
lavoro di ricognizione e analisi, una domanda dirimente: perché nel carcere non
c'è conflitto? Perché un luogo così estremo, dove il dominio si presenta in
una forma così pura del rapporto di comando, non esprime "congruenti
livelli di opposizione e insubordinazione"? Perché la popolazione
carceraria ha difficoltà ad affermare, in maniera continuativa e strutturata,
una propria autonoma soggettività rivendicativa, una responsabilità diretta
della propria condizione?
Verde
ripercorre le tappe delle trasformazioni subite dal sistema carcerario negli
ultimi trent'anni, dimostrando come progetti, tentativi, linee di riforma
mostrino la corda di fronte al gap crescente tra dichiarazioni di intenti sulla
necessità di ridurre il carcere a estrema ratio e intervento dei pubblici
poteri sempre più subordinato all'emergenza e al proliferare di nuovi allarmi e
di conseguenti nuove fattispecie di reato. Lo Stato penale prende forma e
inventa le nuove forme del controllo sociale appunto in questo gap, che si
trasforma nello strumento di una strategia funzionale e ricercata. Il disegno
riformista degli anni Settanta - che venne tentato e operò delle modifiche
anche importanti - appare ormai sempre più lontano. Alla critica radicale
contro la logica concentrazionaria del carcere, che in quegli anni si sviluppò
grazie a movimenti interni ed esterni all'istituzione, lo Stato rispose con due
riforme del diritto penitenziario - una risalente al 1975, l'altra al 1986 -
entrambe ispirate all'idea di rompere il principio della separatezza, di fatto e
teorizzata, tra l'istituzione carceraria e il mondo esterno, introducendo una
misura di civiltà nei rapporti con e tra la popolazione reclusa, cercando di
"umanizzare" l'istituzione.
Dove si è inceppato il disegno riformista
Ma il disegno riformista si è via via inceppato, svuotandosi delle primitive
intenzioni e subendo una vera e propria torsione negativa nel corso degli anni
Novanta. Il 1990, nota Verde, è infatti un anno decisivo, sia sul piano interno
sia su quello internazionale, per le politiche del controllo penale. Passa la
nuova legge sulle tossicodipendenze (Craxi-Jervolino-Vassalli); Claudio Martelli
firma il primo provvedimento organico di governo dei flussi migratori; viene
presentata in Parlamento un' importante proposta per l'inasprimento della lotta
alle organizzazioni mafiose. E in quello stesso anno i temi della sicurezza e
del crimine vengono portati alla ribalta mediatica come temi centrali da
affrontare, insieme a quelli relativi ai sentimenti di paura e allarme che
animano - così ostinatamente si sostiene - il corpo sociale. Un corto circuito,
insomma, alimentato dal potere mediatico e dalle sempre più numerose e
martellanti campagne securitarie orchestrate dal potere politico alla ricerca di
consenso, in un mondo così vorticosamente in trasformazione. Il crepuscolo
della "Prima Repubblica", scrive Verde, si avvia così con l'apertura
di due nuovi fronti emergenziali. Alla criminalizzazione dei consumatori di
stupefacenti si aggiunge la dichiarazione di guerra contro gli stranieri. In
questo modo l'Italia partecipa di suo alla costruzione della fortezza Europa.
Saltano molti dei vincoli, legami, principi ispiratori della convivenza sociale,
per come si erano affermati nei decenni precedenti. E si prepara la strada alla
realtà penitenziaria di oggi, caratterizzata non a caso dalla massiccia,
disperata presenza di giovani tossici e giovani immigrati, che perdono la loro
vita nei luoghi della reclusione e del non futuro. Nello stesso tempo, spiega
Verde, mentre per effetto della legge Gozzini è cresciuto enormemente il numero
di chi sconta le condanne fuori dal carcere, altrettanto grandemente è
aumentato il numero degli internamenti nel carcere. Insomma aumentano a più non
posso la logica penale, la criminalizzazione dei problemi sociali, i principi
della "tolleranza zero" su cui molta parte della Casa delle libertà
ha costruito le sue fortune elettorali. Insomma è un sistema malato al cuore,
che non è in grado di tenere insieme politiche penali e politiche
penitenziarie. Nelle ultime settimane la protesta della popolazione reclusa ha
portato alla ribalta questo insieme di problemi e di contraddizioni. Lo ha fatto
in forme civilissime e con l'individuazione di una "piattaforma" che
opportunamente mette insieme rivendicazioni relative alla condizione materiale
dei/delle recluse e obiettivi di vera e propria riforma della detenzione: dalla
depenalizzazione dei reati minori alle misure alternative al carcere, a forme di
indulto e amnistia. Non è certo risolta la questione che Verde pone all'inizio
del suo lavoro, interrogandosi sulla mancanza di iniziativa da parte della
popolazione reclusa. Né è minimamente inceppata la tendenza a quella
configurazione dello Stato penale di cui parla l'autore. Ma è comunque un
segnale importante da raccogliere.