Carcere,
discarica dell'umanità
di Adriano Sofri
Panorama,
7 giugno 2002
È come una favola la storia di Said, algerino che uscito di prigione si addormenta in un cassonetto. E si risveglia appena in tempo per non venire triturato come un rifiuto.
Non
so chi abbia detto per primo che il carcere è una discarica di rifiuti umani.
Forse io, forse l'aveva già detto qualcun altro: certo l'hanno ripetuto in
molti. Al tempo in cui era il responsabile per le carceri al ministero della
Giustizia, lo diceva Gian Carlo Caselli. Un'immagine che aveva fatto l'unanimità.
Poi capita che la vita inghiotta la metafora e ne risputi il nocciolo. È
capitato a Torino. Bella storia. La ricapitolo, così come l'hanno raccontata i
giornali.
Protagonista: Said Paudi, nato in Algeria (come dicono le carte giudiziarie, che
non vanno per il sottile) il 18 agosto 1981. Arriva a Torino in treno, dalla
Francia, nell'autunno scorso. Vive in strada, finisce in galera alle Vallette,
ne esce giovedì 30 maggio, festeggia con qualche birra. Di sera ha sonno e va a
dormire dentro un cassonetto della monnezza in corso Traiano. Venerdì mattina,
alle 10 e mezza, dorme ancora della grossa. Il camion dell'Amiat addetto alla
raccolta, guidato da Stefano Bregola, solleva il cassonetto, rovescia il
contenuto nella bocca del contenitore, ridepone il cassonetto sul marciapiede,
aziona la pala compattatrice e poi la stritolatrice. A questo punto Said Paudi
si è svegliato del tutto e urla con tutto il fiato che ha e batte contro le
pareti del camion. Bregola sente qualcosa, si allarma, blocca tutto e scende a
vedere. Trova un giovane compattato nella monnezza, col viso tagliuzzato dai
vetri, le gambe incastrate sotto la pressa. Dà l'allarme, arrivano pompieri,
ambulanze, polizia. Bisogna aprire il tetto del camion con la fiamma ossidrica:
tre ore di lavoro, e intanto il ragazzo continua a gridare, finché sviene. Ma
quando lo estraggono dal mucchio, è vivo e vegeto. Una signora che si è
fermata ad assistere alla scena, interpellata dal telegiornale, che le chiede:
«E che cosa ha detto quando è uscito?», risponde: «Niente: ha fatto il segno
della vittoria con le dita».
La cronaca della «Stampa» riferisce i dubbi della polizia sulla versione del
giovane. E se fosse stato qualche farabutto che voleva fargli pagare qualcosa a
buttarlo tramortito dentro un cassonetto? La polizia fa bene a dubitare. Ma a me
il racconto di Said sembra straordinariamente verosimile. I cassonetti della
monnezza servono spesso a buttar via cuccioli non voluti (ora deposti in un
cestello di lavatrice, come nell'espressione proverbiale: «Buttare via il
bambino con la vaschetta dell'acqua sporca»), di umani e di altri animali. Ma
io sto attento alle storie di barboni, per invidia, e mi ricordo di altri
episodi simili, di stranieri poveri andati a passare la notte nella monnezza,
benché di preferenza d'inverno, e specialmente me ne ricordo uno ancora a
Torino, in cui l'uomo (forse era un egiziano) si svegliò e si mise a gridare
durante il sollevamento del suo cassonetto. Me lo ricordo senz'altro, per via
della metafora della discarica.
Said Paudi ha raccontato una storia che la cronaca cittadina, peraltro accurata
e non cinica, definisce «oscura e confusa», ma è, per i conoscitori, assai
attendibile. «L'altra mattina ero stato scarcerato dalle Vallette, non sapevo
dove andare». Gran parte della gente che esce dalla galera non sa dove andare.
«Avevo solo la mia maglietta e i pantaloni che mi hanno dato in carcere, e
pochi soldi in tasca». Gran parte della gente che entra in galera ha sì e no i
pantaloni. «Ero molto triste e ho bevuto birra». Gran parte dei ragazzi
maghrebini, benché musulmana credente, impara a bere birra qui da noi, e se ne
ubriaca con una notevole facilità, soprattutto quando la mescola con altre
porcherie. Dico ragazzi maghrebini, ma non bisogna generalizzare. Per esempio,
gli algerini si arrabbiano se li confondete coi tunisini e ancora più coi
marocchini, e vi spiegano che loro non spacciano, ma borseggiano. «All'alba mi
è venuta fame. L'ho fatto tante volte, ho aperto il cassonetto per vedere se
potevo trovare qualcosa da mangiare.
Ci sono scivolato dentro...». Gran parte della popolazione mondiale (scavengers, si chiamano) ha fame e va a rovistare nelle discariche. In Africa, in Asia, in America Latina, ci vive senz'altro dentro in permanenza, vero secondo mondo parallelo al primo, il mondo della monnezza, che vincerà, alla lunga. «Non ho casa, non ho nessun posto dove andare. Anche quello è un rifugio, meglio che stare disteso sulla strada. Più sicuro».
Questo
si commenta da sé: gran parte dell'umanità cerca un tetto da mettere sulla
testa, fosse anche il coperchio di un cassonetto dell'Amiat. «Mi sono
addormentato subito, un sonno di piombo. Il trambusto mi ha svegliato... Mi sono
sentito sollevare... La pressa mi schiacciava le gambe, mi sentivo trascinare
verso le pale che trituravano i sacchetti... Meno male che l'autista ha sentito.
Non so come ringraziarlo». Come si fa ad addormentarsi in un cassonetto di
monnezza, direte voi, un po' disgustati. Beh, bisogna provare. A me non è
ancora successo, ma quando dico che la galera è una discarica umana so il fatto
mio. Certo, sono più adatte le storie in cui un bambino è deposto in un
cestello di papiro sulle acque e trovato dalla figlia del faraone, e non da
Stefano Bregola, 31 anni, da Venaria, con indosso i pantaloni
dell'amministrazione penitenziaria. Però quella di Said Paudi è una fiaba. Una
delle migliori che possiamo permetterci. Non diventerà faraone, probabilmente,
né guiderà il ritorno del suo popolo attraverso il Canale di Sicilia
prosciugato. Non sarà la Bibbia, ma il libro Cuore sì. Forse tornerà in
galera. Succede. Racconterà agli altri la sua avventura, e passerà per un gran
bugiardo. Eppure, ancora pochi centimetri, e sarebbe stato scaricato,
compattato, nella discarica di Germagnano.