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"OZ", un serial televisivo americano sulla vita in carcere
Le Monde Diplomatique, maggio 2002
Un carcere, da qualche parte in America. Dovendo occuparsi del reinserimento dei condannati, Tim McManus, psicosociologo operativo in ambito carcerario, crea r esatto contrario di un ambiente di alta sicurezza: un ambiente aperto, in cui i carcerati si muovono liberamente fuori dalle loro celle. In teoria, questa parvenza di libertà dovrebbe servire a rieducarli alla vita in comune. n nome ufficiale del carcere è "penitenziario di stato Oswald". I detenuti gli hanno dato il soprannome dispregiativo di Oz, con esplicito riferimento al film Il mago di Oz in cui Judy Garland partiva alla ricerca di un mago nel paese immaginario di Oz. Per quanto riguarda l’ambiente aperto, è stato coniato il soprannome di "Esmerald City", la città di smeraldo, perché le sue celle sono chiuse da vetri e non da sbarre di metallo.
Il progetto di McManus sembra rispettabile, ma ben presto è chiaro che fa parte del mondo dei sogni. Quando sono rinchiuse in uno spazio ristretto, le belve non si comportano certo come pecore, ma si divorano a vicenda... e trascinano simbolicamente nella loro caduta e nella loro rovina tutti coloro che dovrebbero sorvegliarle in qualche modo: direttore e guardie, medici e cappellani...
Il carcere di Oswald ci presenta un campionario di "inquilini" quanto mai singolari. Nel settore amministrativo, a fianco di Leo Glynn, il direttore nero volenteroso ma indeciso, troviamo alcune figure che illustrano tutte le contraddizioni del sistema penitenziario: Tim McManus, le cui intenzioni non sono poi così innocenti come si potrebbe credere; suor Peter Mafie, psicologa che ha pronunciato i voti ed è entrata nel sistema penitenziario dopo l’ assassinio del marito; padre Mukada, giovane prete in continua difficoltà di fronte alla violenza che vivono i carcerati; Gloria Nathan, dottoressa del carcere, e Diane Wbittlesey, ragazza madre costretta a lavorare come secondino per tirar su i figli.
Fra i detenuti, invece, si formano clan in base all’etnia e all’ideologia: gangsta afroamericani, bikers dal corpo copertno di tatuaggi, wiseguys italo americani, "ariani" razzisti paladini della supremazia bianca, neri musulmani... Ogni gruppo tenta d’imporre la sua legge in una altalena di alleanze e tradimenti, con droga e dollari che circolano lireramente, introdotti con ogni mezzo, ivi compresa naturalmente la corruzione dei secondini. E ogni gruppo produce le proprie lotte di potere, i suoi leader, i suoi valori, le sue violenze… e i suoi morti ammazzati.
Il serial tv descrive questa autentica jungla nei suoi minimi particolari, e ci pesenta un certo numero di figure mostruose, come Groves, che ha ucciso i genitori e divorato sua madre, Schillinger, il razzista irriducibile che incide una croce uncinata sulla natica del compagno di cella, o Shirley Bellinger, detenuta in attesa di salire sulla sedia elettrica per l’assassinio della sua figlioletta...
Ma OZ include anche personaggi meno scontati, fuori dal branco: Poet, il rapper, che vedrà aprirsi le porte del carcere perché i suoi scritti sono stati pubblicati in una antologia di poesia afroamericana; Kareem Said, musulmano nero che si considera un prigioniero politico e, una volta entrato in carcere, si trasforma in accusatore di tutto il sistema giudiziario americano; Beecher, avvocato che si è visto infliggere una condanna esemplare per aver provocato la morte di una bambina mentre guidava in stato di ubriachezza: Busmalis, che scava con un cucchiaino sotto il pavimento della sua cella, in un ennesimo tentativo di evasione: O’Reilly. il grande manipolatore talmente innamorato di Gloria Nathan da uccidere per lei: Rebadow, il vecchio galeotto che riceve messaggi direttamente da Dio.
E poi, Augustus Hill, giovane carcerato inchiodato sulla sedia a rotelle - i poliziotti incaricati di arrestarlo l’hanno buttato giù da un tetto perché aveva sparato contro uno di loro. Augustus non è un detenuto come gli altri: in questo serial è la guida dello spettatore e l.alter ego dell’autore.
Come fiction televisiva, Oz fa categoria a se. Innanzi tutto. ha l.andamento di una tragedia antica. Ogni episodio inizia in modo sconcertante: seduto di fronte alla macchina da presa (il "muro assente" degli scenari televisivi), Augustus Hill pronunzia il nome di Oz e, come il corifeo degli spettacoli dell’antichità. Apparentemente ci parla d’altro - la famiglia. la legge, l’amore, la libertà - con un tono ancora più ironico e sferzante per il fatto di essere spesso rinchiuso in una gabbia di vetro al centro della zona franca che si trova al centro delle celle di EM City e che viene istintivo chiamare la sua agorà. Con il suo nome latino. Augustus ci parla degli uomini e delle loro passioni. in chiave velatamente metaforica. mentre alle sue spalle, su schermi virtuali, vediamo sfilare figure immobili o frenetiche. E poi, ci ritroviamo circondati dalle belve, coinvolti nei loro traffici, i loro odi, le manipolazioni a cui ricorrono per dominarsi, umiliarsi a vicenda.
Benché Oz sia trasmesso in Francia dalla rete Serie Club, accessibile esclusivamente via cavo e via satellite, molti spettatori ne hanno sentito parlare, e alcuni di loro hanno potuto farsene un’idea allorché la rete generali sta M6 ha mandato in onda il "pilota" (primo episodio) per "illustrare" (sic!) un numero della rivista "Zone interdite" dedicato alla vita in carcere. A dissuadere M6 dal trasmettere le puntate successive è certamente quel che colpisce gli spettatori del primo episodio: la carica di violenza, fisica e psicologica, che emana dalle storie e dai personaggi. Ma la violenza non è assolutamente l’unica caratteristica di Oz.
In programma negli Stati uniti da cinque anni su Hbo, il principale network via cavo, al ritmo di soltanto otto episodi all’anno e programmato senza interruzioni pubblicitarie, il serial ha al suo attivo ben quarantotto episodi, e non può assolutamente essere assimilato a un "serial di azione violenta ambientato in carcere". Attraverso quel microcosmo che è il carcere, ci propone una descrizione straordinariamente audace della cultura di violenza della società americana, un interrogativo profondo sulla fede e sul ruolo di Dio in una società senza leggi, e una riflessione sull’amicizia e la lealtà fra gli uomini.
E per quanto possa sorprenderci, è anche la cronaca di una serie di storie d’ amore: la più sorprendente è quella vissuta da Beecher, avvocato degenere che la reclusione ha trasformato in un essere asociale, e Cbris Keller, assassino che tradisce Beecher, e poi ne implora il perdono. Questa singolare vicenda, violenta ed insieme delicata, è una delle passioni più particolari che mi sia mai capitato di leggere - e dico leggere a ragion veduta perché sono i volti e i gesti a raccontarla, ben più delle parole - , e fa giustizia di tanti stereotipi della passione amorosa.
Come ogni ~ televisiva di forte rilievo, Oz non nasce dal nulla, ed è doveroso ricostruirne la genesi, per mostrare che non si tratta di un esempio isolato. All’origine c’era un altro serial televisivo, "Homicide", trasmesso dalla Nbc dal 1993 al 2000. "Homicide" era già una specie di Ufo nella produzione televisiva americana: ispirato da un libro - documento del giornalista David Simon sulla vita quotidiana dei poliziotti della Squadra omicidi di Baltimora (Maryland), è stato prodotto e girato proprio a Baltimora, con attori e sceneggiatori che in massima parte facevano la spola con New York:, e non con Hollywood.
Serial realistico e insieme poetico, "Homicide" è anche un esempio di deciso impianto cinematografico, tant’è veto che uno dei suoi due produttori esecutivi è il cineasta Barry Levinson, anche lui native di Baltimora.Girato con stile semidocumentaristico, con la camera a mano, in ambienti naturali, con attori per lo più senza trucco, "Homicide" è un prodotto molto curato sol piano visivo e musicale, con frequenti raccordi sfalsati e ripetizioni di sequenze per meglio sottolineare i sentimenti dei personaggi, e scene senza parole in cui il commento musicale sostituisce il discorso. Serial innovatore, anticonformista. fortemente personalizzato, estraneo a qualsiasi desiderio di "compiacere" il suo pubblico, non raggiungerà mai ascolti record, ma verrà trasmesso per ben sette anni da una rete molto sensibile alle sue qualità artistiche e ai premi prestigiosi di cui ha fatto incetta - a cominciare dal "Peabody Award", una sorte di Premio Pulitzer per la televisione, che, evento eccezionale, gli è stato assegnato per ben tre volte!
Al fianco di Levinson, l’altro punto di forza di "Homicide" è Tom Fontana, un ex professore di letteratura che dieci anni fa era diventato, per puro caso, uno dei principali sceneggiatori di un serial medico di buon valore, "St. Elsewhere". Fontana è conosciuto nell’ambiente per il suo rigore di sceneggiatore, il suo spirito provocatore, il suo forte legame con la realtà, e la sua inflessibilità: la sua penna non risparmia nessuno; qualsiasi personaggio rischia di morire o di scomparire da un giorno all’altro, anche se si tratta di uno dei protagonisti.
È evidente che Fontana è coerente con le sue idee. Negli anni in cui ha laVorato a "St. Elsewhere", cronaca della vita di un ospedale in un quartiere malfamato, ha acquisito uno straordinario talento per far evolvere numerosi protagonisti in parallelo. Per Oz, questa capacità è indispensabile: anche se le morti abbondano, nel penitenziario di Oswald una quindicina di personaggi fissi è pre. sente fin dall’inizio del serial, un’altra quindicina ha partecipato a numerosi episodi, e un numero incalcolabile di personaggi marginali appare regolarmente fra le mura del carcere.
L’aspetto più singolare nella concezione del Serial è che Fontana, sceneggiatore della stragrande maggioranza degli episodi, non perde mai di vista nessuno dei suoi personaggi. Ogni anno di produzione costituisce una "epoca" della dura vita dei detenuti, che Fontana elabora scrivendo separatamente la storia di ogni protagonista, e poi tessendo e intrecciando fra loro le vicende nel corso degli otto episodi annuali. Il risultato finale ha una forza e una fluidità eccezionale: anche se le storie sono numerose, lo spettatore non ha la minima difficoltà a orientarsi e a seguirne gli intrecci. Questa costruzione sofisticata, che dimostra uno straordinario rispetto per il telespettatore, abbinata al rigore del discorso politico, artistico e morale del serial spiega come mai il pubblico di Oz sia inevitabilmente colpito, sconcertato e commosso. L’opera di Toro Fontana - anzi, il suo work in progress, visto che è ancora in produzione - non ci parla d’altro se non del mondo - prigione in cui viviamo, quel mondo le cui storie sono scritte nella nostra carne viva proprio come i logo Oz è tatuato nella carne dell’autore, nei suoi avvincenti titoli di testa.
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