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Un documento rivoluzionario, articolo di don Bruno Oliviero (Cappellano del Casa Circondariale di Poggioreale)
Commento a margine del Documento della Caritas Italiana "Liberare la Pena"
Il documento della Caritas Italiana: Liberare la Pena, edito dalla EDB 2004, nasce, come è affermato nella presentazione per "rispondere all’invito rivolti dai vescovi italiani" che nel documento "Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia…, pag. 62" affermano: "Vogliamo sottolineare come tutti i cristiani, in forza del battesimo che li unisce al Verbo diventato uomo per noi e per la nostra salvezza, siamo chiamati a farci prossimi agli uomini e alle donne che vivono in situazioni di frontiera: i malati e i sofferenti, i poveri, gli immigrati, le tante persone che faticano trovare ragioni per vivere e sono sull’orlo della disperazione , le famiglie in crisi e in difficoltà materiale e spirituale". (pag. 5) Le Caritas diocesane sono presenti anche in quella "situazione di frontiera" rappresentata dal Carcere. Esse, "come espressioni delle Chiese locali, sono quotidianamente chiamate a svolgere un’importante azione di animazione, coinvolgimento e assistenza all’interno e all’esterno del Carcere, attraverso una presenza discreta fatta di volontariato, collaborazione con i centri di ascolto del territorio, promozione di momenti di sensibilizzazione e di informazione: una sorta di ponte fra la struttura penitenziaria e il territorio, soprattutto all’interno di percorsi alternativi alla pena". (pag. 6) Il mio tentativo vorrebbe essere quello di evidenziare l’idea, che a me sembra rivoluzionaria, che, come leit motiv, sottende tutto il documento: liberare la società dalla necessità del carcere. Lungi da me la presunzione di esaurire la ricchezza del documento. Anzi l’auspicio è quello che questo documento diventi oggetto di approfondimento da parte di tutta la comunità cristiana e in particolare di coloro che sono più direttamente a contatto con la realtà della giustizia.
Un documento rivoluzionario
Fin dall’inizio il documento testimonia la nuova "visione" segno della nuova coscienza ecclesiale rispetto alla pastorale carceraria. Di fatti l’introduzione così s’intitola: "Dal visitare al liberare: il segno alternativo." Dopo aver menzionato i multiformi servizi che le Caritas diocesane hanno sviluppato in questi anni il documento evidenzia che dall’impegno "si evince anche una maggiore capacità di visitare i detenuti più che uno sforzo di liberarli dalla necessità del Carcere. Per questo, l’impegno pedagogico e culturale delle Caritas dovrebbe svilupparsi maggiormente attorno ai temi della pena e della giustizia, per non appiattirsi sul dibattito odierno, che parla sempre di più di certezza della pena, di sicurezza, di pene alternative premiali, di costruzioni di nuove carceri." (pag. 10)
L’affermazione rivoluzionaria
È affermata a pag. 30 del documento quando si dice: "Davvero al male si può rispondere solo con il male?". È il completo ribaltamento del concetto della giustizia vista come retribuzione: "Resta diffusa una radicata sensazione che il carcere sia lo strumento privilegiato per fare giustizia: riusciamo a misurare la gravità dell’azione commessa (e il riconoscimento istituzionale della gravità) prevalentemente attraverso gli anni di carcere inflitti in sentenza. Analogamente, emerge la continua sensazione che le pene detentive non dovrebbero finire mai…, quasi che la scarcerazione rappresentasse, in ogni caso, una sconfitta della giustizia" (pag. 31) Nell’introduzione al libro del Card. Martini, Questa non è giustizia, Il Docente di Diritto Penale All’Università Cattolica di Piacenza Luciano Eusebi così si esprime: " Ciò da cui, in breve, il volume del Card Martini, propone – a tutti – di prendere le distanze è l’identificazione della giustizia con un concetto, dai contorni formali, di reciprocità, secondo il bene e secondo il male, così che al male sarebbe "giusto" rispondere in maniera analoga mentre soltanto al bene già compiuto sarebbe dovuta una risposta in termini di bene. Un concetto che pervade molti stili comportamentali nella nostra cultura. L’alternativa delineata è quella che vede nella giustizia la risposta al male secondo l’intelligenza di un’elaborazione conforme al bene." (Card. Carlo Maria Martini, Questa non è giustizia, Mondatori 2004, pag. XIX). Certo la Caritas, nel suo documento, afferma che "non sarebbe giusto, specie per i credenti, che una società non dichiarasse il male compiuto e non ne riconoscesse, dove riesce, le cause e le responsabilità. Non sarebbe certo opportuno un discorso semplicistico che portasse all’assoluzione generalizzata." (pag. 30)
La risposta al crimine: togliere la libertà o potenziarla?
"Bisogna però chiedersi se attraverso la privazione della libertà si possa educare o se l’educazione non sia innanzi tutto sprigionamento e dono di totale libertà. Gli incontri che Gesù ha avuto, nel corso della sua vita, ci sono d’esempio: la crescita, la conversione avviene attraverso il riconoscimento di dignità e di libertà, per ciascuno; perché la libertà abbia questo potere di educare , va intesa come modo per stare in rapporto con gli altri e non come via di separazione da essi. Una libertà intesa come sistema di legami ( e non come deprivazione da essi) è una libertà che dona diritti e richiama doveri. Contrariamente, la detenzione deresponsabilizza i soggetti sottoponendoli a una deprivazione della libertà e dei suoi legami". (pag. 31) Il documento insiste su questa nuova visione: "Un altro problema che ci dobbiamo porre è se subendo un trattamento disumano (come spesso capita in carcere) si possa costruire una motivazione per appartenere in modo costruttivo allo stesso sistema che sta infliggendo quel trattamento o se non siano altre le vie per costruire opportunità di partecipazione al bene comune da parte di chi è stato autore di reato." A supporto di quest’affermazione viene citata l’affermazione del Santo padre Giovanni Paolo II tratta dal "Messaggio per il giubileo nelle Carceri, del 9 Giugno 2000: "I dati che sono sotto gli occhi di tutti ci dicono che questa forma punitiva in genere riesce solo in parte a far fronte al fenomeno della delinquenza. Anzi, in vari casi, i problemi che crea sembrano maggiori di quelli che tenta di risolvere. Ciò impone un ripensamento…"
L’insegnamento biblico
L’omicidio di Abele da parte del fratello Caino è il contesto biblico vetero testamentario nel quale si cerca di scoprire "l’atteggiamento" di Dio nei confronti del "crimine" e si evidenzia come "Dio, paradossalmente, prima sta dalla parte del debole, Abele, ed è la coscienza di Caino: poi sta dalla parte dell’omicida, Caino che è diventato il nuovo debole, il nuovo insicuro."(pag. 9) Il segno alternativo, nel titolo dell’introduzione, si riferisce all’invenzione di Dio: "Un segno di tutela, a difesa di Caino…un’alternativa al carcere. Un’alternativa che non elimina le responsabilità personali e sociali di Caino (come leggiamo nei versetti successivi del cap.4,16-17, dove Caino lavora, ha un figlio, Enoch, costruisce una città), ma liberasse il fratello di Abele dal peso della vendetta e facesse assaporare il valore della misericordia". (pag. 8) Il passaggio è semplice: "Come Dio ha fatto per Caino, anche l’uomo detenuto e disperato ha bisogno di un "segno" che permetta di ritornare al lavoro, di aver un figlio, di costruire una città." Purtroppo il documento evidenzia come la realtà vada in altra direzione: " Invece: 1 su 5 lavora, i rapporti con la famiglia sono difficili se non impossibili, la salute s’indebolisce anche sul piano psichico, il carcere è fuori della città, lontano dal territorio, dai circuiti vitali che permettono una cittadinanza attiva…" (pag. 10)
La rivoluzione del Vangelo
Il "ripensamento" a cui il Santo Padre c’invita è certamente un ripensamento fatto alla luce del Vangelo: "Avete inteso che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste…". (Mt. 5, 43 ss.) e quando insegna a pregare il Padre nostro Gesù così conclude: "Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi" (Mt. 6, 14). Così si esprime Giovanni Paolo II nel messaggio per la Giornata Mondiale della pace 1997, a proposito della Giustizia riconciliativa: "Non sussiste nessuna contraddizione fra perdono e giustizia. Il perdono non elimina, né diminuisce l’esigenza della riparazione, che è propria della giustizia ma punta a reintegrare sia le persone e i gruppi nella società, sia gli Stati nella comunità delle Nazioni. Nessuna punizione può mortificare l’inalienabile dignità di chi ha compiuto il male. La porta verso il pentimento e la riabilitazione deve restare sempre aperta." (n. 5) A questo proposito il documento della Caritas così si esprime: "Oggi parlare di pena, riconciliazione, perdono sembra essere "complesso, anche in una comunità ecclesiale che certamente non cessa di ricordare le parole rivolte da Giov. Paolo II nel documento già citato in occasione del Giubileo delle carceri : "Il perdono va contro l’istinto spontaneo di ripagare il male con il male…Nella misura in cui affermiamo un’etica e una cultura del perdono, si può anche sperare in una politica del perdono espressa in atteggiamenti sociali e in istituti giuridici nei quali la giustizia assuma un volto più umano" (n. 8)" (pag. 6).
Può la giustizia di Dio allora, illuminare la giustizia umana?
La Chiesa lo crede fermamente per questo il documento della Caritas dice che: "in questo senso vanno i documenti e le schede costruite in questo testo: desiderano tracciare un percorso pastorale che abiliti a una maggiore progettazione territoriale che non solo sensibilizzi a una cultura della pena alternativa alla detenzione, ma anche aiuti concretamente a costruire "storie di liberazione" dentro e fuori del carcere. Accanto a ciò, è necessaria un’azione più ampia di riflessione su strumenti amministrativi e legislativi che portino sul territorio, e quindi anche nelle nostre comunità ecclesiali l’intervento sui conflitti a rilevanza penale, cioè all’incontro con le vittime…la credibilità delle nostre proposte di solidarietà nasce da una consapevolezza di responsabilità di tutti, capace di dialogare anche con le giuste esigenze di sicurezza sociale." (pag. 11).
Il segno alternativo
Nella scheda, proposta 1, dove si parla delle pene e misure alternative alla detenzione il documento afferma che : " In diversi paesi sono in atto forme di pena che non usano il carcere come primo strumento. Si chiamano pene alternative alle detenzione e prevedono la sanzione amministrativa (realmente riscossa), l’obbligo di lavoro socialmente utile (accanto e spesso, al mantenimento del proprio), la limitazione di attività che possono essere svolte. Non sono strumenti labili: sono prevalentemente strumenti equi, che rinunciano alla privazione della libertà (che poi rischia di divenire solo teorica) per punire reati la cui natura è di altra specie." (pag. 38). Il documento afferma però che nel nostro paese purtroppo questo non è possibile infatti: "Il giudice assegna anni di carcere e poi, a certe condizioni, sono possibili delle misure alternative alla detenzione, sotto una certa soglia di anni rimasti da scontare." (pag. 38)
La mediazione penale
Nella scheda "proposta 2" il documento parla della mediazione penale e ne dà questa definizione: "con il termine "mediazione" si intende, in via generale, un procedimento di risoluzione dei conflitti che coinvolge un terzo neutrale, con l’intento di favorire la comprensione e il riconoscimento reciproco tra le parti e promuovere fra loro l’eventuale stipulazione di accordi volontari." (40) Nella mediazione penale quindi sia la vittima sia l’agente del reato "hanno la possibilità di partecipare attivamente, e a titolo volontario, alla risoluzione dei problemi che sorgono dalla commissione del reato con l’aiuto di un terzo che agisce in modo imparziale. All’esito dell’incontro è possibile l’elaborazione di un’attività riparativa, materiale o simbolica, nella forma – per esempio - di prestazioni gratuite a favore dell’offeso o della collettività, del risarcimento del danno ecc." (pag. 40)
Giustizia riparativa
A pag. 43 il documento ricorda che "recentemente il tema della mediazione e della giustizia riparativa in ambito penale è stato oggetto di interesse a livello internazionale…Gli scenari futuri lasciano intendere una diffusione della Giustizia Riparativa: è indispensabile farsi trovare pronti, preparati, competenti, in grado di conservarne lo spirito e il significato originari."
Carcere estrema ratio
Di modo che come afferma il Card. Martini : "la carcerazione va vista come un intervento di emergenza, un estremo rimedio per arginare una violenza gratuita e ingiusta, impazzita e disumana; è un rimedio necessario per fermare coloro che, afferrati da un istinto egoistico e distruttivo, hanno perso il controllo di sé, calpestano i valori sacri della vita e delle persone e il senso della convivenza civile." (Colpa e Pena, per una nuova cultura della giustizia, atti del convegno, Bergamo 2000, pag. 31)
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