|
Eliminare il carcere: proposta, provocazione, assurdità?
Osservatorio sulla legalità, 24 ottobre 2005
Ripensare alla pena detentiva ed immaginare soluzioni alternative. Questa la proposta del dottor Gherardo Colombo a Ravenna, all’incontro organizzato da tre associazioni, fra cui la nostra, e cui hanno partecipato in veste di relatori l’avv. Ermanno Cicognani, vicepresidente dell’Unione Camere Penali della Romagna, la dottoressa Anna Mori, giudice penale ravennate, e la signora Maria Angela Barlotti, bibliotecaria ed esperta di progetti librari in situazione di svantaggio. Il dott. Colombo ha spiegato che il tema della pena si ricollega a quello della dignità della persona, il cui riconoscimento, sotto il profilo dei rapporti con le istituzioni, può farsi risalire soltanto agli ultimi tempi della nostra storia. In tempi precedenti era ammessa la schiavitù, quindi anche il riconoscimento della dignità era riferito solo alle persone libere. Ogni persona, ha sottolineato il magistrato, è titolare di una dignità inalienabile riconosciuta dalla Carta Costituzionale (art. 2 e 3) e, successivamente, dalla Carta dei diritti dell’uomo. Una persona perciò non dovrebbe mai perdere tali diritti inalienabili. Sotto il profilo della pena, le posizioni contrastanti venivano risolte una volta attraverso esclusioni e separazioni, con una pena di tipo retributivo (cioè un "pagamento" per gli errori commessi) che spesso giungeva alla eliminazione fisica del reo, ma che ai nostri giorni, per la maggioranza delle società è quella del carcere, che soddisfa contemporaneamente l’esigenza di punire il reo e quella della vendetta. Qualche decennio fa, il carattere retributivo della sanzione è passato in secondo piano e, soprattutto nei paesi di common law, si è cominciato a considerare la pena anche strumento di correzione (anche in Italia la pena deve tendere alla rieducazione del condannato). Il dottor Colombo fa rilevare che ci si trova in una situazione di forte riaffermazione della retribuzione penale: "Forse il carcere, riveduto e corretto, è effettivamente ineliminabile come strumento di neutralizzazione per chi, altrimenti, danneggerebbe sicuramente i diritti fondamentali delle altre persone: una persona dimostrata colpevole di una serie di omicidi, che manifesti comunque il proposito di continuare ad uccidere, non potrebbe che essere mantenuta separata dagli altri. A fronte di situazioni estreme, credo che la separazione continuerà sempre ad essere giustificabile. Ma queste sono le situazioni limite. Ma sono situazioni limite di cui la popolazione carceraria in Italia, e credo nel mondo, è composta in parte assolutamente minima". A giudizio del dottor Colombo, ci sono infiniti modi di aggregarsi, di organizzare e disciplinare una società. Ad un estremo di questi "si collocano le società basate su una concezione individualistica e gerarchica", "modelli più primitivi, che rispecchiano l’aspetto materiale dell’uomo piuttosto che i suoi lati più spirituali... è questa una organizzazione nella quale chi non sta al passo degli altri viene escluso. È la selezione della specie. È l’organizzazione secondo la quale tutte le volte in cui non ci si riconosce, e capita spesso di non riconoscersi, il non riconosciuto viene eliminato". "All’altro estremo sta invece la società organizzata e disciplinata secondo criteri di solidarietà, e, mi si lasci dire, di giustizia. Si potrebbe parlare per ore per riuscire a intendersi sul significato proprio, o meglio, condivisibile del termine giustizia. Anche perché si è, generalmente, portati a identificare la giustizia con la sua amministrazione. Purtroppo, quando si pensa alla giustizia, oggi ci si riferisce ai tribunali, alla amministrazione della giustizia... Ma giustizia è un termine di ben altro impegno". Nelle scritture, ricorda il dott. Colombo "quando si tratta di dare una definizione è "giusto" il riferimento, piuttosto che il termine generale e astratto giustizia". E "giusto", per quel che sono riuscito a capire, sta a significare soprattutto armonico, con se stesso e con gli altri. A questo estremo della gamma sta dunque una società disciplinata attraverso criteri di solidarietà, e di giustizia intesa nel senso di armonia con se stessi e con le persone con le quali si entra in relazione". A seconda del modello organizzativo scelto, lo stare insieme, " il vivere in società", sarà disciplinato secondo principi di "conflitto - esclusione", oppure di "collaborazione - recupero". "Dal modo in cui la società è organizzata discende il modo di concepire la pena. La pena, nel primo tipo di società, è retribuzione; nel secondo tipo di società, è un percorso che porta alla riconciliazione, è recupero, e quindi guadagno per tutti i membri della società, oltre che per colui che se n’è distaccato". Questo è il problema: trovare sanzioni alternative, ma il dottor Colombo ritiene importante che si cominci a riflettere, a parlarne: "l’uomo si è avvalso in passato di tutta la sua fantasia per inventarsi le più crudeli retribuzioni alle devianze; credo che sarebbe ora che la esercitasse per individuare percorsi, che possiamo continuare a chiamare "sanzionatori", ma seguendo i quali chi ha rotto la regola possa giungere ad apprezzarne i contenuti e a condividerla". Alessandro Balducci - che ha portato il saluto delle Associazioni promotrici dell’iniziativa - Comitato Emergenza Legalità di Ravenna. Ass. Culturale Legalità e Giustizia ed Osservatorio sulla legalità e sui diritti - ha ricordato che la Costituzione repubblicana afferma all’art. 27 che "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Egli ha sottolineato che i padri fondatori vollero riprendere il processo democratico e liberale interrotto con la ventennale dittatura e, a tal scopo, non poteva non mancare un riferimento alla pena, visto che ogni regime autoritario si caratterizza essenzialmente per l’esaltazione dell’aspetto punitivo della sanzione, che trova espressione, per esempio, nella pratica della tortura e della pena di morte". Balducci ha aggiunto che "si potrebbe forse affermare, senza esagerare, che il grado di avanzamento sociale e giuridico di una società o di un paese può essere, in un certo senso, misurato anche dal modo in cui la società sanziona coloro che si allontanano dalle regole. E da questo punto di vista, le parole pronunciate dal procuratore generale di Cassazione Favara, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario 2005, descrivono una situazione del sistema carcerario italiano caratterizzata da luci ma anche da molte ombre". Sostanzialmente d’accordo con il dott. Colombo si dice l’avv. Cicognani, il quale però non è ottimista sull’evoluzione concreta del discorso, poiché vede nel concreto affermarsi logiche che si muovono invece in direzione opposta a quella analizzata dal dott. Colombo. L’avv. Cicognani ricorda che l’avvocatura penale negli ultimi anni non ha concentrato la sua attenzione sulla pena, ma sul processo, sulle garanzie e sulla procedura. L’aspetto che ha visto più impegnati gli avvocati riguardo al carcere è quello del 41 bis, il cosiddetto "carcere duro", alcune misure del quale vengono criticate sotto il profilo umano e quello dell’effettivo beneficio. Una di queste è la regolazione del rapporto con i figli minori, che viene penalizzato fortemente. La proposta dell’avv. Cicognani per muoversi nella direzione indicata dal dott. Colombo è invece quella di ampliare l’istituto della "messa alla prova", oggi applicato per i minori ancora non condannati. La misura della "messa alla prova" viene adottata dal giudice, sentite le parti, quando ritiene di dover valutare la personalità di un minorenne che ha commesso un reato. In tal caso il processo è sospeso, insieme al corso della prescrizione. Con l’ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, di attività di osservazione, trattamento e sostegno e può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato ed a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato. La misura può essere interrotta ove il beneficiario violi le regole. A parere del penalista, l’adozione di tale percorso potrebbe essere estesa come forma altenativa alla pena, e comunque per il condannato si potrebbero trovare soluzioni analoghe. La dottoressa Mori spiega le difficoltà incontrate dal giudice che deve comminare la pena. In alcuni casi che la dottoressa ha esemplificato, infatti, il magistrato è consapevole che la pena detentiva è inutile e persino dannosa, in altri che il condannato se l’aspetta ma non si trova nelle condizioni di averla, oppure che per i suoi parametri culturali il comportamento sanzionato non è moralmente riprovevole. È ad esempio inutile la condanna penale in diversi casi in cui una persona incensurata e dal comportamento normalmente irreprensibile abbia commesso un omicidio colposo (ad es. incidente d’auto). In questo caso, la morte della vittima è di tale portata, per l’autore del fatto, da costituire di per sè un deterrente fortissimo che gli impedirà di compiere in futuro nuovamente questa azione. Pertanto egli non è una minaccia per la società, e la privazione della libertà potrebbe solo indurlo alla disperazione o portarlo a fare incontri negativi. La pena "malintesa" si riscontra nei casi in cui nel processo siano coinvolti extracomunitari, casi con cui, avverte il magistrato, ci si troverà a fare i conti sempre più spesso e cui si dovrà dare una risposta che nasca dalla collaborazione e comprensione reciproca. I nomadi che abbiano commesso piccoli furti ma che vengono rilasciati perché incensurati, non capiscono: per loro a cattiva azione deve corrispondere una punizione, se lo aspettano. Un episodio emblematico di un’altra difficoltà riscontrata è quello verificatosi tempo fa a Torino in cui un extracomunitario musulmano regolare e ben inserito aveva trovato la moglie in flagrante adulterio. Aveva reagito massacrandola di botte e poi chiamato le forze dell’ordine per farla arrestare, dato che l’adulterio della donna è un grave delitto per la sua cultura. Ma i Carabinieri avevano arrestato lui, che protestava di conseguenza all’errore giudiziario. Il presidente dell’Osservatorio sulla legalità e sui diritti onlus, Rita Guma, ha ricordato anche le conseguenze della combinazione fra il "giusto processo" e la legge "Bossi-Fini" che prevede l’accompagnamento alla frontiera dell’extracomunitario rinvenuto in condizione di clandestinità. Un magistrato torinese che tratta casi di prostitute dell’est lamentava che le ragazze, in Italia come clandestine, denunciando i loro sfruttatori vengono espulse, non potendo confermare al dibattimento la testimonianza resa alle forze dell’ordine. In quel caso il magistrato ha le mani legate, e non può procedere nei confronti del malfattore, che viene rilasciato e può per giunta vendicarsi con la sua accusatrice. Altro caso di impunità quello in cui l’autore del delitto fugga in un Paese balcanico che non abbia accordi di estradizione con l’Italia. Queste situazioni vengono vissute dal magistrato con forte frustrazione, sia perché sono la negazione della giustizia, sia perché vanificano di fatto il lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura. L’ultimo intervento, prima delle domande del pubblico è stata l’illustrazione da parte della signora Barlotti, bibliotecaria della provincia di Ravenna ed appassionata operatrice delle biblioteche in carcere, dell’utilità del progetto "biblioteche fuori di se" (regala un libro ad un detenuto, ad un malato, ad un anziano, ad un disabile), delle positive ricadute e dei presupposti giuridici internazionali alla sua attività in carcere. Ne è emerso che avvicinare i detenuti alla biblioteca è un’impresa non facile, ma che questi ne vengono poi coinvolti e ne traggono molteplice giovamento, interessandosi spesso anche ai testi di legge riguardanti il loro caso. Altri progetti riguardano poi i libri scolastici per i bimbi che vivono con le madri in carcere e i progetti per le donne. I dati del ministero sciorinati dalla signora Barlotti per fotografare la realtà carceraria sono impressionanti per mole, per percentuale di minori e per il dato appunto dei bimbi in carcere. Il che riconduce al discorso introdotto dal dottor Colombo. Un intervento dal pubblico sottolinea l’invivibilità del carcere e lo sforzo che dovrebbe essere fatto perché esso sia un luogo di crescita e non di perdizione o di disperazione. Il presidente dell’Osservatorio sottoline a tal proposito non solo i progetti istituzionali in atto, ma anche l’operato delle diverse associazioni di volontariato che operano all’interno del carcere, con progetti educativi, laboratori di giardinaggio, di ceramica, di teatro, tutti finalizzati non solo ad alleviare la disperazione per i detenuti già pentiti o quelli che si ritengono ingiustamente condannati, ma anche alla rieducazione. Un altro intervento chiede polemicamente (e forse accoratamante) conto - nell’ambito della proposta - del dato di chi ha subito un torto, a volte anche grave, la vittima (o il familiare di chi sia stato ucciso). La dott.ssa Guma sottolinea l’intervento, ricordando che anche per i gravissimi torti dell’Africa (Sudafrica, Ruanda) dove sono stati perpetrati feroci crimini contro ‘umanità e genocidi, si è chiesto l’assenso ed il coinvolgimento delle famiglie per iniziare il percorso di riconciliazione sostitutivo della pena (in genere insieme ad un risarcimento sotto forma di indennità). Non sarebbe possibile, a giudizio del presidente dell’Osservatorio, pensare di eliminare la carcerazione prescindendo dall’accordo di chi ha subito il torto, per evitare che subisca torto una seconda volta. Il dottor Colombo ne ha convenuto, sottolineando che l’aspetto importante per la vittima è che sia riconosciuto dalla società il torto subito, cioè l’accertamento della verità, che sarebbe il primo fine del "fare giustizia", fine che la legislazione attuale non sempre (o quasi mai) permette di ottenere, dato che per questioni procedurali, per il sistema delle garanzie e per altri fattori connessi, accade talora che testimonianze e prove non siano considerate ammissibili. La dott.ssa Guma ha detto di trovare la proposta del dottor Colombo su cui si è incentrata la serata piuttosto rivoluzionaria e "forte". L’Osservatorio sulla legalità e sui diritti, infatti, se vuole difendere i diritti di tutti crede anche nell’inasprimento delle pene per la recidiva e soprattutto nella certezza della pena come deterrente al crimine. È invece proposta dell’Osservatorio quella di modificare le condizioni della carcerazione preventiva, oggi consistente di fatto in una pena detentiva precedente alla condanna. E ciò non come critica al magistrato che la richieda, oggi considerato a torto responsabile diretto del suicidio di una persona sottoposta a norma di legge a custodia cautelare ed anche dei delitti commessi da chi al contrario non sia stato trattenuto in prigione prima del processo, ma come prassi di civiltà e riconoscimento della innocenza fino a condanna. Tuttavia, per quanto riguarda invece i condannati, è anche vero il concetto espresso di recente dal presidente azionale delle Camere Penali, avv. Randazzo, secondo cui le recenti leggi hanno disegnato un sistema giudiziario forte con i deboli e debole con i forti, riempiendo le patrie galere di poveracci e condonando (di fatto o come effetto) i reati dei benestanti. Ricordava peraltro il dottor Colombo che spesso è proprio la società a produrre le condizioni per il crimine in alcuni contesti deboli (ad es. rubare per fame, etc.) e non può essere corretto voler punire cosi’ severamente il prodotto di tali politiche.
|