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La riforma del Codice penale: l’esperienza italiana al confronto con quella di altri Paesi europei di Enrico Ambrosetti (Straordinario di diritto penale all’Università degli Studi di Padova)
Anche questa legislatura può considerarsi conclusa senza che il Parlamento sia riuscito ad approvare quel nuovo codice penale che gli operatori giuridici attendono ormai da molti anni. Come è noto, fin dal dopoguerra sono stati presentati importanti progetti di riforma. In particolare, nel corso degli ultimi quindici anni vanno ricordati dapprima il progetto ministeriale presentato dalla "Commissione Pagliaro", poi il disegno di legge "Riz", in seguito quello della "Commissione Grosso", ed infine quello recentemente pubblicato della "Commissione Nordio". Tutti questi ultimi progetti hanno avuto il comune destino di non essere stati approvati dalla Camera dei Deputati e dal Senato e alcuni, addirittura, non sono stati neppure sottoposti all’assemblea parlamentare. A fronte dell’insuccesso di questi progetti si deve peraltro sottolineare come - soprattutto nel corso degli ultimi anni - il settore penale sia stato oggetto di importanti riforme. Infatti, sebbene il legislatore non abbia proceduto ad una riforma globale del Codice Rocco, numerose novelle legislative hanno ridisegnato il volto del sistema penale. Per la precisione, si deve sottolineare come numerosi interventi legislativi, da un lato, abbiano modificato istituti di parte generale - ad esempio, reato continuato, sospensione condizionale della pena, prescrizione del reato etc., dall’altro, abbiano ridisciplinato intere categorie di reati - ad esempio, i delitti sessuali e quelli dei pubblici contro la pubblica amministrazione - ovvero compiuto riforme parziali inserendo muove figure criminose. Analogamente, anche buona parte della legislazione complementare - si veda, per tutti, la materia degli stupefacenti - è stata oggetto di importanti cambiamenti. D’altra parte, è scontato rilevare che una così intensa attività legislativa nel settore penale si giustifica nelle radicali differenze che caratterizzano l’odierna società italiana rispetto a quella degli anni Trenta quando il codice penale Rocco è entrato in vigore. Allo stesso tempo, è giocoforza sottolineare che il ricorso a singoli leggi di modifica ha portato ad un sistema penale segnato da scelte sovente incoerenti o addirittura contraddittorie fra loro. Un esempio valga per tutti. Come è noto, la recente legge n. 251/2005 - c.d. legge "Cirielli" - ha introdotto una nuova disciplina della recidiva. Il tratto caratterizzante la novella del 2005 può essere individuato nella prospettiva di un generale inasprimento del trattamento sanzionatorio nei confronti del recidivo, e cioè di chi già condannato per un delitto non colposo ricade nel reato. Tale maggior rigore sanzionatorio si manifesta non solamente negli aumenti di pena dettati dal modificato art. 99 c.p. e nella previsione di un’ipotesi di recidiva obbligatoria, ma anche in ordine ad altri istituti - circostanze attenuanti generiche, continuazione, prescrizione del reato e benefici penitenziari -. Ebbene, tale scelta viene sostanzialmente a smentire quella che era stata compiuta dal legislatore nel 1974, quando il regime della recidiva era stato trasformato da obbligatorio a discrezionale, attenuando così il rigore dell’originaria disciplina del Codice penale. In buona sostanza, un dato emerge con evidenza: il ricorso ad una sempre più frenetica attività di riforma, lungi dal portare al risultato di un sistema penale moderno, idoneo cioè a tutelare la società dall’attività criminosa ed allo stesso a garantire al reo i diritti fondamentali di uno Stato di diritto, conduce a scelte di politica criminale spesso incoerenti e ingiustificate. A fronte di tale situazione, si giustifica perciò la richiesta di giungere finalmente all’approvazione di un nuovo codice, che permetterebbe di abbandonare l’ormai vetusto testo degli anni Trenta. Fatte queste brevi premesse, sorge naturale l’interrogativo se anche negli altri Paesi europei il contesto legislativo sia analogo a quello italiano. Ebbene, la risposta è molto semplice. Si può tranquillamente affermare che la posizione italiana è oggi "atipica" rispetto a quella europea. In effetti, nel corso dell’ultimo dopoguerra si può dire che quasi tutti i Paesi europei hanno proceduto a abbandonare codici penali che risalivano, in alcuni casi, addirittura ai primi anni dell’Ottocento. Emblematiche, in tal senso, possono considerarsi le vicende della Francia. In questo Stato fino al 1994 era in vigore il Codice penale napoleonico che era stato approvato nell’ormai lontano 1810. Solamente sotto la Presidenza Mitterand il parlamento francese è stato in grado di procedere all’adozione del nuovo Code pénal. A tale proposito, è opportuno operare alcune distinzioni nell’ambito di questo processo di codificazione che ha interessato il continente europeo. In primo luogo, va ricordato che alcuni Paesi europei ancor oggi non hanno nel loro ordinamento un codice penale. Sono questi i Paesi appartenenti alla famiglia giuridica della common law, e cioè quei sistemi penali che fanno riferimento alla tradizione dell’Inghilterra ove il diritto penale si è originariamente formato sulla base delle consuetudini e delle decisioni dei giudici. Oggi, anche in questi Stati - Inghilterra, Irlanda e Scozia - vi è un dibattito sull’opportunità di introdurre un codice penale, ma finora i progetti non sono stati accolti dai Parlamenti nazionali. Per quanto riguarda gli altri Paesi Europei, si deve compiere un’ulteriore distinzione. Alcuni fra essi hanno proceduto ad iniziare un processo di riforma penale immediatamente dopo la seconda guerra mondiale. È questo stato il caso della Germania e dell’Austria, per le quali le tragiche vicende belliche imponevano l’adozione di un codice pienamente rispettoso dei principi dei nuovi Stati democratici. Per contro, in altre nazioni europei il processo di riforma è iniziato molto più tardi e si attuato solamente negli anni Novanta. Intendo qui fare riferimento alla già citata Francia, ma anche alla Spagna ed al Portogallo. Le ragioni che hanno determinato questa maggiore lentezza sono le più varie. In alcuni casi- Spagna e Portogallo - è solamente con l’instaurarsi di un regime democratico negli anni Settanta che è potuto iniziare un processo di riforma penale. Per la Francia è stato, invece, il forte attaccamento alle proprie tradizioni giuridiche a rendere difficile l’adozione di un nuovo codice. Vi è poi il capitolo dei Paesi "ex comunisti". In questi ordinamenti vigevano codici penali ispirati ai principi del c.d. socialismo reale. È stato quindi inevitabile che con l’avvento di regimi democratici venissero introdotti codici penali corrispondenti ai principi di uno Stato di diritto. È quindi giunto il momento di trarre alcune conclusioni. Da quanto si è venuto esponendo emerge con tutta chiarezza la circostanza che in Europa il processo della riforma penale si è ormai compiuto. A tale riguardo, va peraltro riconosciuto che il cammino per questa riforma non è stato né facile, né veloce. Emblematiche possono considerarsi le vicende della Germania. Infatti, è bensì vero che gia nell’immediato dopoguerra sono state realizzate importanti leggi di riforma del codice penale e che a metà degli anni Settanta la Germania era dotata, per lo meno per la parte generale, di un nuovo codice. Tuttavia, si deve rilevare che anche successivamente a tale data il processo di riforma è proseguito, tant’è che le ultime modifiche risalgono solamente a pochi fa. In buona sostanza, è doveroso sottolineare che l’adozione di un nuovo codice penale costituisce un momento fondamentale per l’ordinamento dello Stato e in quanto tale richiede una forte coesione fra tutte le forze politiche. Tale giudizio trova conferma proprio nelle vicende europee. Non può, infatti, considerarsi privo di significato il fatto che proprio dopo il passaggio dai regimi autoritari a quelli democratici si è creata la situazione politica atta a permettere l’approvazione del codice che più di tutti gli altri è indice dello stadio di evoluzione della società. In simile prospettiva possono comprendersi le ragioni delle difficoltà che, nel corso delle varie legislature, hanno avuto i Parlamenti italiani ad approvare un nuovo codice. L’instabilità delle maggioranze parlamentari e le coalizioni di governo con i conseguenti scioglimenti anticipati delle Camere hanno impedito quel complesso lavoro che deve precedere l’approvazione di un testo legislativo di tale importanza. E d’altro canto, non può considerarsi casuale il fatto che dall’entrata in vigore della Repubblica vi sia stata la promulgazione del solo codice di procedura penale. Tutti gli altri - civile, procedura civile, penale - sono ancora risalenti al regime fascista. Oggi, tuttavia i tempi sono ormai maturi perché anche l’Italia affronti la società del nuovo millennio con un codice penale più corrispondente al mutato scenario sociale.
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