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Circolare n° 3593/6043 del 9 ottobre 2003 Direzione Generale detenuti e trattamento Ufficio IV - Osservazione e trattamento intramurale
Oggetto: le Aree educative degli Istituti
Dopo circa 10 anni dalla circolare 3337/5787 del 7.2.1992 che istituiva tra le diverse aree quella educativa o del trattamento negli Istituti Penitenziari, si avverte la necessità di fare un bilancio dell’esistente e di procedere alla ridefinizione complessiva della sua organizzazione e del suo funzionamento.
Già nel maggio 2001, con la circolare n. 3554/6004, si è dato un primo impulso al rilancio o alla istituzione delle aree educative, partendo dalla constatazione del fatto che in alcune realtà dette aree non erano ancora state istituite e/o che comunque il loro funzionamento non rispondeva a criteri di efficacia e di efficienza, e che la loro attività si sviluppava su basi raramente legate ad un’ottica progettuale e spesso affidate all’iniziativa estemporanea ed alla professionalità dei singoli educatori. C’è da notare altresì come le aree educative abbiano subito un processo di costante e progressiva burocratizzazione, con la codificazione di prassi e di attività che attengono a volte più ad un ritualismo che ad un’ottica progettuale, e che smorzano nei fatti l’attenzione al principio fondamentale dell’individualizzazione dell’osservazione e del trattamento, ricercando prioritariamente la certezza dell’adempimento formale. Il recente monitoraggio effettuato con la collaborazione dei Provveditorati (nota DGDT n. 206626-2003 del 13/05/2003), lascia ancora vedere una ampia gamma di realtà diversificate, e a parte alcune situazioni che possono essere considerate quali poli di eccellenza e alcune altre di particolare e grave impasse, le aree educative degli Istituti presentano un generale stato di sofferenza, sia sotto il profilo organizzativo che tecnico professionale. Le motivazioni alla base di tale situazione sono molteplici e tutte significative. Preliminarmente va ricordato che in questo decennio sono avvenute profonde modifiche nella realtà penitenziaria, con una rapidità che spesso non ha consentito di adeguare i sistemi organizzativi alle nuove esigenze: la tipologia dei detenuti è mutata ed il numero è giunto a circa 56.000 unità. In particolare – com’è noto - in percentuale sono aumentati considerevolmente i detenuti provenienti dalle fasce più basse della popolazione, le cosiddette nuove povertà, come gli stranieri (il 30% circa del totale), i tossicodipendenti, i soggetti con problematiche di tipo psicologico, oltre gli appartenenti alla criminalità organizzata, ristretti in circuiti penitenziari particolari, come i 41/bis, gli AS., i collaboratori di giustizia, ed i ristretti nelle sezioni "Z". A fronte di tali mutamenti in questi anni si è assistito ad una diminuzione e/o mancato incremento delle presenze degli educatori (563 educatori presenti al 31.12.2002) rispetto agli organici di cui al DPCM dell’ottobre 2000 (complessivi 1.376 educatori dell’area funzionale C, con una carenza quindi di 813 unità). In particolare inoltre se si guarda alla proporzione degli educatori effettivamente presenti oggi in Istituto (474) rispetto ai 55.682 detenuti presenti al 10 settembre 2003, appare eVidente come essi siano numericamente del tutto inadeguati (all. 1). La necessità di potenziare gli organici dell’area pedagogica è ben presente all’attenzione di questo Dipartimento, e, malgrado la legge 27.12.02 n. 289, riferita alle disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, non consenta alle Pubbliche Amministrazioni di procedere al reclutamento di nuovo personale, troverà però risposta a medio termine nelle procedure di riqualificazione di cui all’art. 15 lett. A) del CCNL che dovrebbe consentire di ricoprire 300 posti di educatore C1. Nel definire il contesto "area educativa" non si può prescindere dal citare, d’altro canto, come dato di estrema positività, l’incremento delle presenze negli Istituti di operatori degli EE.LL., nonché di privati, e di istituzioni o associazioni pubbliche o private che partecipano all’azione rieducativa ai sensi dell’art. 17 dell’o.p. e dell’art. 68 del reg. di es., che rilancia l’importanza della partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa, in base ad una programmazione periodica delle iniziative. Al 31.12.2002 risultavano essere stati presenti negli Istituti ben 320 associazioni e cooperative di solidarietà sociale. Altra presenza sempre più rilevante è quella degli assistenti volontari ex art. 78 dell’o.p. e dell’art. 120 del reg. di es., che svolgono tipologie di attività specificate nei singoli provvedimenti autorizzativi (nel 2003 risultano autorizzati n. 1459 volontari, di cui 1394 per l’ingresso negli Istituti). Molti di essi appartengono oggi ad associazioni di volontariato opportunamente convenzionate. La presenza inoltre del mondo della cooperazione e delle imprese pubbliche o private, come previsto dall’art. 47 del reg. di es., ha ulteriormente ampliato il numero dei soggetti che - a diverso titolo - collaborano con l’Amministrazione per il buon andamento del trattamento penitenziario (dal 1 luglio 2000 al dicembre 2002 per es. sono state 41 le imprese e 69 le cooperative che hanno assunto detenuti ex Legge Smuraglia). Le obiettive difficoltà degli Istituti da un lato e le risorse esterne che collaborano con gli stessi dall’altro, sono i due riferimenti di cui prendere atto con realismo nel progetto di rilancio del trattamento penitenziario, con la consapevolezza che, perché il funzionamento degli Istituti di Pena possa essere compiutamente in linea con il dettato normativo, deve essere assicurato un corretto adempimento dei compiti attinenti sia il trattamento che la sicurezza, ambedue compiti essenziali dell’Istituzione Penitenziaria, e che quindi non possono per nessuna ragione essere scissi, ma devono convivere ed integrarsi per il raggiungimento del fine istituzionale. La rivitalizzazione del trattamento passa attraverso la rivitalizzazione delle Aree educative degli Istituti, superando la burocratizzazione cui si accennava, e recuperandone la potenzialità operativa, in linea con le previsioni dell’ordinamento penitenziario, ampiamente confermate dal nuovo regolamento di esecuzione. Vanno fatte a tal proposito alcune altre considerazioni. Preliminarmente va esplicitato come, nel fare riferimento all’area educativa degli Istituti, si opera il più delle volte una riduzione della sua dimensione operativa ad una sola tra le molteplici attività da essa svolte e precisamente alla riunione formale (solitamente definita equipe), svolta dal gruppo presieduto dal direttore dell’istituto e composta da personale dell’Amministrazione e, secondo le occorrenze, da professionisti ex art. 80 (art. 28 reg. di es.) che, ai sensi dell’art. 29 dello stesso, compila la cosiddetta relazione di sintesi e definisce le ipotesi trattamentali intra o extra murarie. Si parla sempre più - in altre parole - di equipe anziché di area e quindi di una delle attività che fanno capo all’area, della parte per il tutto. Ora, se obiettivo istituzionale dell’Amministrazione è il trattamento rieducativo di ogni singolo detenuto, in vista della reintegrazione sociale, non si può certamente non convenire sulla complessità delle azioni istituzionali che vengono poste in essere prima, durante e dopo l’osservazione e la definizione di un piano di trattamento individualizzato, azioni cui non viene data generalmente visibilità. Altra considerazione, già peraltro accennata, riguarda il fatto che le cosiddette "attività trattamentali" che si svolgono all’interno degli istituti (lavoro, istruzione, attività culturali, ricreative e sportive), non sono spesso inserite in un progetto organico dell’Istituto sul trattamento, ma piuttosto sono slegate tra loro e caratterizzate da estemporaneità e connesse alla disponibilità/possibilità di investimento dei singoli operatori istituzionali. La loro realizzazione avviene, tra l’altro, il più delle volte grazie anche alla proposta del volontariato, o più in generale della Comunità esterna, che viene accolta spesso senza una preventiva verifica dell’effettiva compatibilità e coordinamento di detti investimenti progettuali con altre iniziative, e senza che sia curata la piena integrazione con le attività degli operatori istituzionali, come da artt. 68 e 120 del reg. di es. In mancanza del presupposto di una verifica preventiva e in assenza di un coordinamento fattivo, resta ancor più improbabile o impraticabile una valutazione sui risultati della collaborazione dei soggetti terzi al trattamento, e sui risultati perseguiti o persegui bili da parte dei singoli detenuti. Si è creata pertanto - in molte realtà- in assenza di un progetto pedagogico dell’Istituto, quasi una sorta di parallelismo tra le attività svolte dalla cd Comunità esterna e l’attività istituzionale dell’area educativa, parallelismo che spesso ha assunto solo il senso di una supplenza alla povertà di risorse e di organico delle aree suddette, anziché di una sinergia costruttiva. L’ultima considerazione che si vuol esplicitare si riferisce al significato di trattamento, nel convincimento che, smorzatasi l’attenzione per il principio dell’individualizzazione dell’azione rieducativa, molte volte si fa piuttosto soltanto riferimento ad una serie di attività trattamentali rivolte alla popolazione detenuta nel suo insieme, attività che spesso assumono il senso di un "intrattenimento". La differenza che passa tra le attività di intrattenimento ed il trattamento individualizzato, è che le prime di cui non si nega ovviamente la validità e la rilevanza nella difficile gestione della complessità del carcere servono sostanzialmente a riempire dei tempi altrimenti vuoti, a smorzare le tensioni, a rendere occupato un tempo "inoccupato", a garantire spazi di socialità, avendo presumibilmente quindi anche una positiva ricaduta di significato sui singoli detenuti. Il trattamento, cardine fondamentale della riforma penitenziaria del’75, finalizzato alla rieducazione ed alla reintegrazione sociale del reo, presume invece la definizione - previa l’osservazione - di una ipotesi individualizzata il cui presupposto non può che essere l’adesione consapevole e responsabile del condannato. L’obiettivo della rieducazione, non può prescindere infatti dall’acquisizione da parte del singolo condannato di una volontà di cambiamento, nonché di una coscienza critica sulle condotte antigiuridiche poste in essere, e sulle conseguenze che il reato ha prodotto, e tra queste il danno provocato alla persona offesa. Parlare di un rilancio del trattamento significa quindi in linea con la legge - restituire ad ogni singolo detenuto una soggettività all’interno degli istituti penitenziari e più in generale dell’esecuzione della pena, "offrire" loro delle "risorse/interventi trattamentali" (art. 1 reg. di es.) rispetto alle quali essi hanno e/o possono trovare - in virtù del lavoro professionale degli operatori penitenziari e nella fattispecie dell’area educativa - una capacità di adesione, di consenso, la volontà di sottoscrivere un "patto trattamentale", non implicito ma consapevole e dichiarato, di riscrivere una solidarietà necessaria con dei valori socialmente accettabili, di ricostruire il patto di cittadinanza rotto con la commissione del reato. Al termine di queste considerazioni preliminari che possono essere considerate un bilancio ancorché non esaustivo dell’attività delle aree educative ad oggi, si ritiene di ridefinire con la presente circolare la strutturazione, l’organizzazione e il funzionamento delle aree medesime, dando altresì alcune prime indicazioni metodologiche, nella consapevolezza che già molte delle indicazioni che verranno date sono contenute nelle circolari del 1992 e del 200 l, e che in realtà non si tratta che di adempiere al dettato normativo. In particolare, nel dare le direttive, si ritiene di dover fare riferimento - in un’ottica progettuale rinnovata - a tre diversi livelli e precisamente:
1.Il livello della pianificazione (Direzione dell’Istituto) 2. Il livello dell’organizzazione, gestione e del coordinamento operativo (Area educativa) 3. Il livello operativo del trattamento individualizzato (Educatore- GOT - equipe).
1. Il livello della pianificazione
Il primo livello da attualizzare è indubbiamente quello della pianificazione degli interventi e delle attività, compito che attiene alla responsabilità dei Direttori degli Istituti, i quali come recita l’art. 3 del reg. di es. esercitano ". . .i poteri attinenti alla organizzazione, al coordinamento ed al controllo dello svolgimento delle attività dell’Istituto. . .; decidono le iniziative idonee ad assicurare lo svolgimento dei programmi negli Istituti, nonché gli interventi all’esterno; impartiscono direttive agli operatori penitenziari, anche non appartenenti all’Amministrazione. . .", garantendo - avvalendosi del personale penitenziario - la sicurezza degli Istituti, condizione per la realizzazione delle finalità del trattamento. In relazione a ciò i Direttori dovranno definire annualmente un "Progetto pedagogico dell’Istituto", che dovrà contenere l’indicazione delle attività trattamentali da sviluppare all’interno dell’Istituto, i programmi e le progettualità da realizzare con riferimento alla Comunità esterna, in ciò coordinandosi ed integrandosi con il Direttore del Centro di servizio sociale competente, ai sensi dell’art. 4 comma 2 del reg. di es. Il Progetto pedagogico deve contenere l’indicazione delle risorse dell’Istituto (umane e materiali) , nonché delle Istituzioni pubbliche o private e, più in generale, della Comunità esterna che collabora al perseguimento degli obiettivi prefissati. Vanno intese altresì come risorse le norme nazionali e regionali cui è possibile fare riferimento nella pianificazione del Progetto medesimo, ed in particolare verrà curata l’inclusione e 10 sviluppo di iniziative a favore dell’utenza penitenziaria, nell’ambito dei Piani di zona, di cui alla Legge 8 novembre 2000, n. 328. Dovrà inoltre contenere l’indicazione delle iniziative, attività, progettualità che si intendano consolidare o sviluppare per l’anno in questione relativamente ad ogni elemento del trattamento, e tra questi in particolare:
a) al lavoro ed alla sua organizzazione ed all’attività delle Commissioni per l’impiego di cui all’art. 20 comma 8 dell’o.p. Verranno altresì aggiornate/confermate annualmente le "tabelle lavoranti" per l’approvazione del sig. Provveditore, previste dal comma 10 dell’art. 47 reg. di es. Andrà inoltre indicato 10 stato e le prospettive di ampliamento delle convenzioni con imprese pubbliche e private o con le cooperative che gestiscono le lavorazioni suddette, che assumano detenuti dentro l’Istituto o in art. 21, e le iniziative da porre in essere per sensibilizzare il mondo del lavoro ai problemi penitenziari, sia nel senso di produrre un maggior investimento di imprese e cooperative dentro gli Istituti, sia nella prospettiva di ampliare le commesse da parte di imprese pubbliche o private. Si avrà cura di citare altresì quali forme di collaborazione con le autorità competenti sono state avviate per consentire l’assegnazione dei ristretti al lavoro all’esterno, come previsto dall’art. 48 comma 8 del reg. di es.
b) ai corsi di istruzione siano essi riferiti alla scuola dell’obbligo - e nella fattispecie, al progetto annuale o pluriennale di istruzione definito dalle Commissioni didattiche di cui all’art. 41 comma 6 del reg. di es. - che ai corsi di istruzione secondaria superiore di cui all’art. 43 reg. es. ai corsi di formazione professionale, avendo cura di promuovere modelli operativi di rete con i diversi soggetti istituzionali e non, competenti nella materia. Si avrà riguardo altresì a implementare o consolidare intese con le competenti autorità per consentire ai detenuti di svolgere studi universitari.
c) alle attività culturali, ricreative e sportive programmate dalla Commissione di cui all’art. 27 o.p., con riferimento alle risorse interne all’Istituto e con la collaborazione della Comunità esterna, siano esse occasioni di intrattenimento della popolazione detenuta nel suo insieme, che iniziative specifiche cui il detenuto può partecipare nell’ambito del piano di trattamento individualizzato. Particolare riguardo verrà dato al rilancio della funzione della biblioteca, nonché a quelle iniziative e progetti che tendano o comunque facilitino individualmente o in gruppo - la sperimentazione da parte dei detenuti di spazi di socialità, e l’elaborazione critica del proprio vissuto deviante. Particolare rilievo potranno assumere - quale meta obiettivo rispetto alla rieducazione - le già ampiamente diffuse attività teatrali, musicali, ecc.
d) ai rapporti con la famiglia, il mantenimento o il recupero dei quali assume un imprescindibile valore ai fini della rieducazione e della reintegrazione sociale, e come tale sempre all’attenzione degli operatori nell’ambito dell’osservazione e del trattamento dei singoli detenuti. Per lo sviluppo di una progettualità rinnovata su tale elemento, indispensabile è ovviamente il contributo del Centro di servizio sociale competente. In particolare si curerà la definizione di una progettualità che miri al recupero da parte del detenuto (o di gruppi di detenuti) del ruolo genitoriale, quale elemento fondante di un progetto di cambiamento, mediante una riflessione critica sugli effetti che il reato ha prodotto nell’ambito familiare. Il Progetto pedagogico dovrà contenere oltre agli aspetti descrittivi e organizzativi, le indicazioni metodologiche e la definizione dei tempi previsti per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, ed il budget necessario sui vari capitoli di bilancio. Andranno altresì esplicitati i tempi e i modi della valutazione sui risultati del progetto medesimo. La predisposizione dell’ipotesi di Progetto pedagogico verrà curata dal responsabile dell’area educativa, entro il mese di novembre, e sottoposto al Dirigente che, previe intese - per quanto di competenza - con il direttore del Cssa, convocherà entro il successivo mese di dicembre un’apposita conferenza di servizio, per portarlo a conoscenza di tutti i responsabili delle aree dell’istituto, nonché del Direttore del Centro o suo delegato, onde assicurarne la fattibilità sotto i profili di competenza delle altre aree, condivisione che è la premessa fondamentale per la riuscita del Progetto pedagogico stesso. Il Progetto pedagogico, nella sua stesura definitiva, verrà inviato al Provveditore Regionale. Il Progetto pedagogico verrà altresì portato a conoscenza di tutti i soggetti che - a norma di legge - collaborano con l’Istituzione e le cui iniziative e ipotesi progettuali verranno pertanto valutate, per le necessarie autorizzazioni, in ordine a criteri di congruenza e complementarietà, per una fattiva integrazione delle varie attività nel Progetto medesimo. Il capo dell’Area educativa è il responsabile della realizzazione del Progetto, ed espleterà pertanto attività di organizzazione, coordinamento e verifica costante dei risultati. Lo stesso riferirà periodicamente al Dirigente sull’andamento del Progetto, sulle eventuali problematiche, sulla necessità di modifiche in itinere, sull’esigenza di verifiche intermedie con le altre aree, e redigerà una relazione finale valutativa. I Sigg. Provveditori provvederanno ad acquisire i Progetti pedagogici degli Istituti di competenza e cureranno l’inoltro alla DG detenuti e trattamento, con le opportune valutazioni, entro e non oltre il mese di gennaio di ogni anno.
2. Il livello dell’organizzazione e del coordinamento operativo dell’Area educativa
Il Progetto pedagogico dell’Istituto è pertanto lo strumento attraverso il quale si definisce il significato di ciascuna attività e progetto che si intende realizzare con riferimento agli elementi del trattamento, definisce altresì quali siano i soggetti istituzionali e non che collaborano al raggiungi mento degli obiettivi, quali i livelli di accordo convenzionale, di coordinamento e integrazione operativa tra imprese, cooperative, associazioni, EE.LL. e gli operatori penitenziari appartenenti all’area, quale il ventaglio di risorse ed occasioni trattamentali praticabili nel singolo Istituto con riferimento alla popolazione penitenziaria nel suo insieme e ad ogni singolo detenuto nel percorso individualizzato da definire. Due sono pertanto le dimensioni di impegno operativo dell’area educativa: quella dello sviluppo delle attività e dei progetti trattamentali e del coordinamento con le risorse della Comunità esterna e quella dell’osservazione e del trattamento individualizzato. Il Progetto nel suo insieme e la responsabilità organizzativa, gestionale e professionale di entrambe le dimensioni fanno capo al Responsabile dell’area, che agirà con piena autonomia operativa e decisionale, coordinando tutti gli operatori penitenziari assegnati all’Area, nonché tutti i soggetti esterni che collaborano con l’Istituto per il trattamento dei detenuti.
2a, il Personale dell’Area
Il Responsabile dell’area è un Educatore C3, le cui specifiche professionali previste dal CCNL sono: elevate conoscenze, capacità ed esperienze consolidate, direzione e controllo di unità organiche con assunzione diretta di responsabilità e risultati, relazioni esterne (vedi declaratoria delle aree del CCNL), caratteristiche ribadite dall’art. 24 del Contratto integrativo di Ministero, che, per la figura professionale dell’Educatore, posizione economica C3, afferma che si tratta di lavoratori che "assumono la direzione del servizio e collaborano direttamente con il dirigente dell’Istituto per la definizione e la realizzazione delle linee di indirizzo e degli obiettivi nel campo del trattamento in materia di esecuzione penale." Il responsabile dell’area - ai sensi delle ipotesi contrattuali - dirige e coordina settori e strutture di livello non dirigenziale, assume funzioni dirigenziali in assenza del dirigente titolare, con l’autonomia operativa e decisionale che ne consegue. In ordine alla eventualità che in un istituto vi siano più educatori C3, sarà necessario operare una scelta tra loro, attraverso criteri che siano di assoluta trasparenza. È da escludere ogni ipotesi di turnazione, ipotesi prevista dalla circolare del 1992 sulle aree, perché - laddove attuata - ha contribuito soltanto allo spezzettamento degli interventi ed alla discontinuità del lavoro dell’area. Si segnala che tra i criteri di selezione va considerata prioritariamente l’anzianità di servizio nella posizione economica C3, e non quindi genericamente l’anzianità di servizio nell’area funzionale di Educatore. Sono da tenere presenti indicatori quali la credibilità professionale che il C3 gode presso il personale addetto all’area e quella autorevolezza allo stesso riconosciuta, elementi questi indispensabili al funzionamento dell’unità organizzativa. In presenza di un numero elevato di Educatori C3 nella medesima Area, va comunque parimenti garantito a ciascuno la possibilità di svolgere funzioni adeguate. Sarà in tale caso cura del responsabile dell’area medesima affidare ai colleghi C3, oltre all’osservazione e trattamento dei detenuti, un settore di lavoro (quali i Corsi scolastici e professionali, le attività culturali, ricreative e sportive. . .), un team di progetto, ogni altro idoneo incarico che essi avranno il potere/dovere di seguire direttamente, assumendone le conseguenti responsabilità. In assenza di almeno un C3 l’incarico di responsabile verrà ricoperto da un Educatore C2 individuato secondo criteri analoghi a quelli precedentemente descritti. Gli educatori: è imprescindibile che alle aree educative debbano essere assegnati un congruo numero di Educatori CI, C2 e C3. La realtà come emerge dai grafici allegati non è oggi adeguata: la proporzione tra numero di educatori in servizio e detenuti si attesta infatti dal rapporto la 252 del Prap di Milano a quello di 1 a 77 del Prap di Perugia e pertanto non si può che prendere atto del fatto che il divario tra detenuti e operatori del trattamento è stato per molti anni, ed è ancor oggi, assolutamente incongruo. Al di là del rapporto meramente numerico andrà ulteriormente curata la valutazione di maggiore o minore complessità della tipologia di Istituto e della tipologia di detenuti presenti in ciascuno di essi, variabili queste di sicura ricaduta sull’operatività dell’area. Gli esperti che prestano la loro attività professionale ex art. 80 dell’o.p., siano essi psicologi o criminologi, rappresentano un’altra risorsa fondamentale contribuendo, secondo le occorrenze, all’osservazione dei detenuti (294 psicologi e 57 criminologi) o espletando i compiti connessi al servizio "nuovi giunti" (90 psicologi e II criminologi). Il numero di detti professionisti è tuttavia contenuto rispetto alle esigenze a motivo – com’è noto - dei limiti del capitolo di spesa competente. Andrà però in ogni caso particolarmente curata la rivitalizzazione del loro ruolo in ordine alla specifica professionalità di appartenenza di ciascuno, recuperandone le peculiari competenze ed evitando la massificazione degli interventi cui talvolta si è assistito, o il loro impiego generalizzato che rischia di disperdere valide energie. La recente assunzione in organico di alcuni psicologi, rende possibile sperimentare l’opportunità, per la maggiore attuale complessità del lavoro delle aree educative con riferimento a particolari target di utenze, di Strutturare all’interno dell’Area educativa un settore ad hoc, con riferimento particolare al disagio psicologico e psichico di taluni ristretti e teso comunque a ridurre il rischio di atti auto o etero lesionistici. L’assegnazione stabile di personale di supporto alle aree, sollecitata dalla circolare del 200l, ha trovato un riscontro positivo - anche se non esaustivo in termini numerici - in circa il 50% degli Istituti, come risulta dal recente monitoraggio. Anche in questo senso si invitano i Sigg. Provveditori a sollecitare gli Istituti acché garantiscano un numero congruo di personale amministrativo. Va citato che in alcuni Istituti sono assegnate unità di Polizia Penitenziaria all’Area educativa, spesso per assolvere compiti amministrativi. Più raramente risulta che gli operatori di Polizia Penitenziaria assegnati all’Area svolgono compiti direttamente legati al trattamento individualizzato, mentre più sovente essi garantiscono lo svolgimento delle attività trattamentali in genere, nel senso di accompagnare i detenuti al lavoro, ai corsi scolastici genericamente intesi, all’espletamento dei colloqui da parte dei vari operatori istituzionali. Detto personale viene però - in molte realtà - impegnato per l’espletamento di altri servizi. In ogni caso la polizia penitenziaria – nell’ambito dell’espletamento dei compiti propri legati al servizio di sicurezza e custodia - garantisce le condizioni per la realizzazione delle finalità del trattamento. Si invitano pertanto i Sigg. Provveditori a sollecitare le Direzioni degli Istituti a rimuovere gli ostacoli che si frappongono, perché sia data attuazione alle competenze in materia di trattamento riconosciute dal legislatore alla Polizia Penitenziaria, favorendone il coinvolgimento nelle aree educative. Non si ritiene superfluo infatti sottolineare l’importanza di un rilancio della significatività del ruolo della Polizia Penitenziaria nella gestione degli Istituti penitenziari con riferimento non solo all’ordine ed alla disciplina, ma anche all’osservazione ed al trattamento, aspetti inscindibili della vita penitenziaria. Si citano al proposito alcuni riferimenti normativi fondamentali quali:
L’art. 5, comma 2 della legge 395/90, che sancisce tra i compici istituzionali del Corpo di Polizia Penitenziaria quello di partecipare - anche nell’ambito di gruppi di lavoro - alle attività di osservazione e trattamento rieducativo dei detenuti e degli internati;
L’art. 23- comma 2, del D. Lgs. 30 ottobre 1992, n. 443, che afferma che "gli appartenenti al ruolo degli ispettori partecipano alle riunioni di gruppo di cui agli art. 28 e 29 del DPR 29 aprile 196 n. 431" oggi DPR 230/ 2000;
L’art. 15- comma 2, del DPR 15 febbraio 1999, n. 82, che afferma: "Il personale del Corpo di Polizia penitenziaria, nell’espletamento dei propri compiti istituzionali, si uniforma ai principi in materia di trattamento e rieducazione stabiliti dall’Ordinamento Penitenziario e dal relativo Regolamento di esecuzione, operando nei confronti dei detenuti e degli internati con imparzialità e nel rispetto della dignità della persona";
L’art. 24- al comma 2, n. 8, del medesimo DPR, che sancisce che detto personale deve "fornire elementi utili per l’attività di osservazione dei condannati e degli internaci anche intervenendo alle riunioni del gruppo di cui agli art. 28 e 29" del reg. di es., e che al successivo n. 9 recita "deve tener conto, nello svolgimento della propria attività, delle indicazioni contenute nei programmi individualizzati di trattamento rieducativo";
L’art. 31- al comma 5, lettera d) dello stesso DPR, che prevede che il Comandante di Reparto "partecipi alle riunioni di cui agli art. 28 e 29 DPR 431/76 (ora DPR 230/00), anche utilizzando gli elementi di osservazione raccolti dal personale ai fini di cui ai numeri 8) e 9) del comma 2 dell’art. 24". Non si tratta pertanto di definire nuove competenze, bensì di valorizzare la portata del dettato normativo, attualizzandone le previsioni e, nella fattispecie, favorendo e incentivando l’impegno della Polizia Penitenziaria in ordine non solo all’espletamento delle attività/iniziative trattamentali, ma anche allo sviluppo di una sempre più attenta competenza nell’ambito dell’osservazione e trattamento dei singoli detenuti, così da fornire al Gruppo di osservazione e trattamento quel contributo di conoscenza di ineliminabile e insostituibile portata che deriva dal quotidiano contatto professionale/ colloquio/ osservazione con la popolazione ristretta. Prendendo spunto dalle iniziative già avviate in tal senso in alcune realtà, si ritiene pertanto di sollecitare l’integrazione reale e sostanziale della Polizia Penitenziaria nelle attività ed azioni afferenti alle Aree educative, attivando quel coordinamento di competenza del Responsabile dell’Area, ed una metodologia di lavoro integrato tra tutti gli operatori afferenti all’Area medesima, mediante anche opportuni corsi di formazione ed aggiornamento.
2b. L’organizzazione ed il coordinamento operativo dell’Area
L’area si struttura su due assi portanti che di fatto si intersecano vicendevolmente e, per la parte amministrativo-burocratica, dispone di una Segreteria:
a) Il primo asse riguarda la definizione, gestione, coordinamento e verifica del Progetto Pedagogico dell’Istituto, di cui si è già diffusamente parlato. Responsabile di tali azioni è - come si è detto - il Responsabile dell’Area, che si avvarrà degli altri Educatori e di tutti gli altri operatori penitenziari assegnati all’Area, curando la valorizzazione di ogni professionalità e garantendo i livelli di autonomia connessi alle diverse posizioni, rispondendone direttamente al Dirigente. Al di fuori delle figure istituzionali propriamente dette, il Responsabile dell’Area ha il compito di coordinare anche tutti gli altri soggetti (singoli o associati) che collaborano al trattamento ex art. 17 e 78 o.p., la Comunità esterna in senso lato. Esso favorirà inoltre l’attuazione di rapporti di rete e di fattiva integrazione con gli altri soggetti istituzionali che gestiscono, per competenza, alcune attività trattamentali, quali, per esempio, gli insegnanti dei corsi scolastici o dei corsi di formazione professionale, e gli operatori delle ASL. Il Responsabile, oltre a curare le riunioni delle Commissioni previste dalla legge (Commissione attività ricreative, sportive e culturali, Commissioni didattiche, Commissioni per l’impiego. . .), terrà periodiche riunioni con gli altri operatori penitenziari e non, con l’obiettivo di:
Assicurare un flusso di costante comunicazione e la conoscenza tra tutti gli operatori, favorendone l’integrazione e la condivisione di metodi, tecniche e strategie operative;
Verificare la validità delle diverse attività trattamentali dell’Istituto;
Verificare l’andamento dei progetti avviati con la collaborazione della Comunità esterna, rilevarne i nodi problematici, valutare la congruenza delle azioni poste in essere dagli operatori dell’Area, nonché dalla Comunità esterna, rispetto alla gestione delle attività trattamentali e dei programmi individualizzati di trattamento;
Verificare lo stato di attuazione delle convenzioni stipulate con soggetti terzi (imprese e cooperative) in ordine alla definizione / revisione di un metodo di lavoro che consenta l’integrazione dei diversi operatori, ed il raggiungimento di significativi risultati per l’Istituto e per i singoli detenuti;
Istituire e coordinare direttamente, o incaricando altri colleghi C3, ove presenti, dei team di progetto, per le progettualità più strutturate;
Valutare eventuali nuove progettualità non ricompresse nel Progetto pedagogico, anche su proposta della Comunità esterna;
Predisporre ipotesi progettuali in riferimento a particolari target di utenti (singoli o gruppi). Il Responsabile riferirà periodicamente al Dirigente sui nodi problematici individuati, proponendo eventuali soluzioni, nonché la variazione o l’opportunità di interruzione di talune progettualità. Darà il proprio contributo alla Direzione, congiuntamente con i responsabili dell’Area Sanitaria e l’Area sicurezza, e nell’ambito delle proprie competenze professionali pedagogiche, e in relazione alle responsabilità affidategli, per la gestione di episodi di particolare rilevanza legati alle condizioni psicofisiche dei ristretti. li Responsabile, infine, sentiti tutti gli altri operatori afferenti all’Area, predisporrà annualmente una relazione consuntiva ed il nuovo Progetto Pedagogico.
b) Il secondo asse riguarda l’organizzazione e il coordinamento operativo delle attività di osservazione e trattamento individualizzato, che ai sensi dell’art. 28 del reg. di es. "si svolgono sotto la responsabilità del direttore dell’Istituto e sono dal medesimo coordinate". Il Responsabile dell’Area pertanto svolgerà compiti di organizzazione e coordinamento su delega del Dirigente, riferendone costantemente allo stesso. Come da dettato normativo, l’osservazione della personalità è predisposta per tutti i condannati ed internati, fin dall’inizio dell’esecuzione e proseguita nel corso di essa ed è propedeutica alla definizione, e necessari aggiornamenti, del programma di trattamento da attuare secondo criteri di individualizzazione, in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti. Il Responsabile dell’Area provvederà pertanto all’assegnazione dei casi dei soggetti "definitivi" ai colleghi educatori, secondo criteri di distribuzione che tengano conto della tipologia dell’Istituto e della tipologia dei ristretti, così da assicurare carichi di lavoro omogenei. Curerà altresì l’assegnazione dei casi degli imputati e indagati per quegli interventi diretti a sostenere i loro interessi umani, culturali e professionali. Verificherà che siano inoltrate al CSSA eventuali richieste dei detenuti di colloquio/intervento di specifica competenza del servizio sociale. Verrà assicurata dal Responsabile dell’Area la verifica del riscontro in tempi congrui alle richieste della Magistratura di Sorveglianza in ordine alle istanze di benefici presentate dal detenuto.
c) Segreteria dell’Area
Presso l’Area deve essere organizzata una Segreteria, cui sarà adibito il relativo personale, che curerà tutte le incombenze burocratico - amministrative derivanti dall’attività dell’Area stessa. Verrà curato in particolare il collegamento tra Segreteria e Ufficio matricola. Stante la rilevata eccessiva burocratizzazione e diversificazione delle prassi, si ritiene indispensabile procedere alla semplificazione di alcune azioni amministrative, nonché alla loro omologazione a livello nazionale. A tal fine è stato recentemente istituito presso questa Direzione Generale un gruppo di lavoro incaricato dell’analisi delle diverse situazioni e alla definizione di un documento, propedeutico alle necessarie indicazioni e disposizioni che verranno successivamente inviate.
3. Il livello operativo del trattamento individualizzato
Il trattamento, cardine fondamentale della riforma penitenziaria del’75, finalizzato alla rieducazione ed alla reintegrazione sociale del reo, presume la definizione- previa osservazione - di un’ipotesi individualizzata per ogni condannato / internato, il cui presupposto - come si è detto in premessa - non può che essere l’adesione consapevole e responsabile del condannato stesso. Preliminare quindi, e di ineliminabile importanza, nell’ambito dell’osservazione e nella prospettiva del trattamento, è l’espletamento - con il sostegno degli operatori - di una riflessione critica che ogni ristretto deve sviluppare "sulle condotte antigiuridiche poste in essere, sulle motivazioni e sulle conseguenze negative delle stesse per l’interessato medesimo e sulle possibili azioni di riparazione delle conseguenze del reato, incluso il risarcimento dovuto alla persona offesa", compito questo normativamente definito dall’att. 27 del nuovo reg. di es., e rispetto al quale è opportuno attivare in ogni realtà momenti di riflessione e di approfondimento. Sempre nell’ottica di riconsegnare significatività al dettato normativo, per la valutazione delle ipotesi da inserire nel piano di trattamento individualizzato, si terrà conto di tutti gli elementi del trattamento e di tutte le iniziative poste in essere dall’Istituto nell’ambito del Progetto pedagogico, acquisendo formalmente l’adesione del detenuto. Quest’ultimo sarà pertanto invitato a sottoscrivere un vero e proprio patto trattamentale. Il piano di trattamento definirà quindi non ipotesi generiche ma impegni e obiettivi precisi, consapevolmente assunti dal condannato e rispetto ai quali sarà possibile attuare una costante valutazione sul comportamento dello stesso, sulla sua capacità di adesione al "patto", sugli aggiornamenti e modifiche da fare. Il buon esito del patto trattamentale di ogni singolo detenuto/internato, non può che concorrere alla riduzione della recidiva ed all’aumento di un clima generale di sicurezza. L’educatore è il responsabile della conduzione del singolo caso ed ha compiti propri, esclusivi, connessi alla sua peculiarità professionale, ed è altresì il perno di tutte le attività connesse all’osservazione ed alla realizzazione dei progetti individualizzati di trattamento A tal fine, utilizzando le tecniche e i metodi professionali, l’educatore instaura un rapporto dialogico con ogni detenuto, teso a favorirne la motivazione ad aderire ad un progetto trattamentale, e più in generale ad un processo di risocializzazione. Va comunque sottolineata l’importanza di superare l’ottica che ha ridotto l’azione dell’educatore all’utilizzo di un solo strumento operativo ovvero del colloquio, laddove la ricchezza di informazioni e valutazioni che tale operatore può raccogliere sul condannato derivano dalla valorizzazione anche di altri strumenti quali, tra gli altri: l’osservazione partecipata, l’attenzione rivolta cioè al comportamento tenuto dal condannato nei momenti di vita quotidiana, nel tempo destinato alla socialità, nell’impegno dello stesso nelle diverse attività di istituto, durante i colloqui con la famiglia, occasioni di incontro con il detenuto in situazioni meno strutturate del colloquio nell’ufficio educatori, incontri con gruppi di detenuti. L’educatore non è, non deve, ne potrebbe realisticamente essere, comunque l’unica fonte di conoscenza del detenuto, anzi proprio dall’integrazione delle notizie fornite da altri soggetti istituzionali, dal confronto e l’integrazione delle valutazioni di ciascuno, si può pervenire ad un reale e completo risultato dell’osservazione e trattamento del soggetto. Se quindi da un lato l’educatore - tecnico del comportamento- è il titolare del caso ed espleta in prima persona una serie di azioni professionali, dall’altro va rilanciato il significato della previsione normativa che affida allo stesso la segreteria tecnica del gruppo di osservazione e trattamento rispetto ad ogni singolo caso, e pertanto il coordinamento dei contributi di tutti gli operatori istituzionali e non, che con il soggetto in carico interagiscono, compito definito nella circolare del 1 agosto 1979 come "mantenimento dei collegamenti operativi tra i membri dell’equipe". Per Gruppo di osservazione e trattamento (che verrà richiamato in seguito con l’acronimo GOT), deve intendersi il gruppo allargato di cui fanno parte o possono essere chiamati a far parte, con il coordinamento dell’educatore, tutti coloro che interagiscono con il detenuto o che collaborano al trattamento dello stesso (operatori di Polizia Penitenziaria, l’assistente sociale incaricato dal direttore del Centro, l’esperto, l’insegnante del corso scolastico o professionale frequentato dal detenuto, il volontario, il medico, il responsabile dell’impresa convenzionata. . .). L’educatore pertanto, nell’ambito della competenza di segretario tecnico, deve:
1. curare l’apertura e l’aggiornamento del fascicolo relativo all’osservazione del detenuto/internato da un punto di vista tecnico professionale, ed è responsabile del rispetto delle scadenze formali;
2. curare che venga segnalata l’apertura dell’osservazione agli operatori afferenti all’Area, con particolare riferimento al CSSA, per l’espletamento di quanto di competenza del servizio sociale, ed agli esperti, ove necessario;
3. coinvolgere attivamente gli operatori esterni all’Amministrazione in ordine ad una positiva collaborazione ed integrazione, evitando ogni sovrapposizione di intervento o incongruenze nel modello educativo;
4. favorire gli scambi tra tutti gli operatori penitenziari egli altri soggetti di cui al punto 2., onde acquisire ogni diversificata valutazione, pianificare nel gruppo allargato gli interventi o la tipologia di approccio rispetto alla singola persona detenuta, in ogni momento della sua vita detentiva, condividere le ipotesi attuabili e verificarne la praticabilità sotto il profilo soggettivo (detenuto) o oggettivo (risorse Istituto);
5. promuovere in particolare - a tal fine - incontri preliminari alla definizione della formale relazione di sintesi e del piano di trattamento, e cadenzate riunioni per le necessarie verifiche ed aggiornamenti. Verranno promosse e favorite attività di supervisione di gruppo del lavoro del GOT, prendendo atto dei risultati e delle valutazioni che scaturiranno dalla sperimentazione già condotta e in via di conclusione del Progetto Pandora, e tenendo conto del modello di Area educativa definita dalla presente circolare. Per distinguere il GOT (gruppo allargato) dal gruppo ristretto, presieduto ex art. 29 reg. di es. dal direttore e composto dagli operatori penitenziari e dall’esperto, il secondo gruppo verrà chiamato convenzionalmente equipe, facendo in tal caso riferimento esclusivamente al momento formale in cui - posto il preliminare lavoro del GOT - si cristallizza, con il contributo degli operatori formalmente indicati dalla legge, un documento avente rilevanza esterna, una sintesi /aggiornamento dell’osservazione, un’ipotesi di trattamento intra o extra murario, da inviare per l’approvazione/ratifica alla competente Magistratura di sorveglianza, o ancora la relazione contenente le notizie per la medesima Magistratura in ordine alla richiesta di benefici. Sul documento di sintesi, sotto il profilo sia formale che sostanziale, verranno inviate da questa Direzione Generale, separate indicazioni e direttive. L’adeguamento alla presente circolare - che i Sigg. Provveditori vorranno tempestivamente avviare - consentirà di migliorare sensibilmente l’opera rieducativa di competenza di questa Amministrazione, di rilanciare la qualità della collaborazione con la Magistratura di Sorveglianza, rendendo valutabili i risultati delle attività poste in essere dalle Aree educative e visibile l’impegno da sempre profuso da tutti gli operatori. Si resta in attesa di assicurazione.
Il Capo del Dipartimento, Giovanni Tinebra Il Direttore Generale, Sebastiano Ardita
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