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Pontificio Consiglio Giustizia e Pace Commissione Internazionale della Pastorale Penitenziaria Cattolica Seminario sui diritti umani dei detenuti Roma, 1 - 2 marzo 2005
Riflessioni del Cardinale Renato Raffaele Martino, presidente Pontificio Consiglio Giustizia e Pace
Giunti alla conclusione del nostro Seminario di studio su Diritti umani dei detenuti, tocca a me dire una parola che vuole essere insieme di gratitudine e d’incoraggiamento. Prima di tutto, ringraziamo il Signore per averci dato la straordinaria e storica opportunità di ritrovarci in questo Pontificio Consiglio a condividere esperienze, propositi di bene e progetti. Soprattutto il Signore ci ha concesso di dare espressione alla nostra comune buona volontà di continuare nel nostro impegno, ecclesiale e civile, per la piena affermazione della dignità umana dei detenuti e dei loro diritti fondamentali. Il frutto più significativo del nostro Seminario mi sembra di poterlo individuare nella comune e condivisa convinzione, che si è manifestata lungo tutti gli atti del nostro incontro, dell’urgente necessità di dare la giusta collocazione alla difesa e alla promozione dei diritti fondamentali dei detenuti. La nostra gratitudine va a quanti ci hanno aiutato e guidato nelle nostra riflessioni, permettendoci così di capire meglio la complessa situazione della detenzione e di individuare le strade migliori per rendere quella situazione più rispondente alle esigenze del rispetto della dignità umana. In questa ottica, è emersa una straordinaria e promettente fioritura d’intuizioni e proposte, che, a tempo debito, sia questo Pontificio Consiglio sia la ICCPPC troveranno il modo di valutare e valorizzare al meglio. Evidentemente non è possibile, nel contesto di questa breve riflessione conclusiva, richiamarli tutti. Permettetemi comunque di sottolinearne alcuni che, a mio parere, contengono alcune indicazioni e sfide pastorali di grande rilievo. La prima sfida è quella costituita dal rapporto tra Chiesa e carcere. Si tratta di un rapporto che si deve continuare a coltivare e che va opportunamente incrementato. Di fatto, la pastorale penitenziaria è poco conosciuta e, spesso, risulta addirittura marginale se considerata nel contesto del complesso articolarsi dell’azione pastorale della Chiesa nella sua integralità. La pastorale penitenziaria, che è pastorale d’ambiente e specializzata, deve essere comunque e sempre una pastorale di tutta la Chiesa, nella quale tutta la Chiesa è coinvolta, dalla quale tutta la Chiesa è interpellata. Si tenga inoltre presente che nella considerazione del rapporto tra Chiesa e carcere, dal carcere può giungere alla Chiesa e al suo ministero di evangelizzazione e di carità una salutare provocazione spirituale: quella dell’icona evangelica del giudizio finale delineata nel capitolo venticinquesimo del Vangelo di Matteo: "Ero in prigione e veniste da me". Dall’icona matteana arriva l’ammonimento che la benedizione del Figlio dell’uomo (ma anche, in caso contrario, la condanna) è per tutti coloro che hanno amato, accolto, servito cristo nei poveri, nei forestieri, nei perseguitati e nei prigionieri. Il carcere, per la Chiesa, prima di essere un luogo pieno di problemi, è soprattutto un luogo "teologico", dove incontrare Cristo che ha scelto di abitare là. Per la Chiesa, il carcere è un dono che sollecita la conversione del cuore, orientando e purificando la fede, la speranza e la carità. La seconda sfida è quella del rapporto tra la Chiesa e il contesto sociale, economico, politico e giuridico che ruota attorno al carcere. Permettetemi una lunga citazione del numero 62 del Compendio: "Con il suo insegnamento sociale, la Chiesa intende annunciare ed attualizzare il Vangelo nella complessa rete delle relazioni sociali. Non si tratta semplicemente di raggiungere l’uomo nella società. L’uomo quale destinatario dell’annuncio evangelico, ma di fecondare e fermentare la società stessa con il Vangelo. Prendersi cura dell’uomo, pertanto, significa, per la Chiesa, coinvolgere anche la società nella sua sollecitudine missionaria e salvifica. La convivenza sociale spesso determina la qualità della vita e perciò le condizioni in cui ogni uomo e ogni donna comprendono se stessi e decidono di sé e della loro vocazione. Per questa ragione, la Chiesa non è indifferente a tutto ciò che nella società si sceglie, si produce e si vive, alla qualità morale, cioè autenticamente umana e umanizzante, della vita sociale. La società e con essa la politica, l’economia, il lavoro, il diritto, la cultura non costituiscono un ambito meramente secolare e mondano e perciò marginale ed estraneo al messaggio e all’economia della salvezza. La società, infatti, con tutto ciò che in essa si compie, riguarda l’uomo. Essa è la società degli uomini, che sono "la prima fondamentale via della Chiesa". Nella prospettiva delineata dal Compendio, una buona pastorale penitenziaria è più efficace quando risulta collocata nell’azione di pastorale sociale di tutta la Chiesa. In questa prospettiva c’è un lavoro immenso da fare per la Chiesa: quello di convincere la società, a tutti i livelli, soprattutto quelli civili e istituzionali, a guardare con occhi nuovi, lungimiranti, alla realtà carceraria. La Chiesa deve farsi promotrice, nell’ambito della realtà sociale, di una cultura dei diritti umani e del rispetto e promozione della dignità umana, anche di coloro che hanno sbagliato o hanno commesso dei delitti e dei crimini. Una cultura dei diritti umani che, senza negare le esigenze della giustizia, sa ed è capace d’indicare le strade della fiducia e della speranza. La terza sfida è quella del rapporto tra Chiesa e diritti umani dei detenuti. E’ un rapporto che va coltivato con passione, dedizione e amore, anche se l’odierno contesto culturale in cui s’iscrive questo rapporto non è sempre facile e favorevole, soprattutto se si considera la necessità di tenere insieme, da una parte, le esigenze della giustizia e, dall’altra, quelle della carità e della speranza, le esigenze del realismo giuridico e quelle della profezia. Il realismo cristiano vede gli abissi del peccato, ma nella luce della speranza, più grande di ogni male, donata dall’atto redentivo di Gesù Cristo, che ha distrutto il peccato e la morte. A questo riguardo, voglio solo dare qualche veloce indicazione di carattere generale. Primo: non dobbiamo dimenticare mai e, soprattutto, annunciarlo a tutti, che la fonte ultima dei diritti umani non si situa nella volontà degli esseri umani, nella realtà dello Stato, nei poteri pubblici, ma nell’uomo stesso e in Dio suo Creatore. Tali diritti sono universali, inviolabili, inalienabili. <> Secondo: i diritti dell’uomo vanno tutelati non singolarmente ma nel loro insieme. Terzo: si deve operare costantemente per superare la distanza tra lettera e spirito dei diritti umani, ai quali è tributato spesso un rispetto puramente formale. Quarto: la Chiesa deve essere maggiormente consapevole che la sua missione pastorale include la difesa e la promozione dei diritti fondamentali dell’uomo. Una grazie particolare lo voglio rivolgere a tutti voi che avete partecipato a questo incontro. La vostra presenza ci ha consentito di riflettere, con una maggiore aderenza alla realtà, sulle tante e difficili problematiche delle persone nel carcere, delle persone del carcere, delle istituzioni collegate al mondo del carcere. Desidero soprattutto dire la mia gratitudine ai cappellani delle carceri, molti dei quali appartenenti a Congregazioni religiose, ricordando loro quanto afferma il Compendio al numero 403: "A questo riguardo, è importante l’attività che i cappellani delle carceri sono chiamati a svolgere, non solo sotto il profilo specificamente religioso, ma anche in difesa della dignità delle persone detenute. Purtroppo, le condizioni in cui esse scontano la loro pena non favoriscono sempre il rispetto della loro dignità; spesso le prigioni diventano addirittura teatro di nuovi crimini. L’ambiente degli istituti di pena offre, tuttavia, un terreno privilegiato sul quale testimoniare, ancora una volta, la sollecitudine cristiana in campo sociale: "ero…carcerato e siete venuti a trovarmi" (Mt 25,36)". Un’espressione di gratitudine va anche alle religiose e al vasto mondo del volontariato organizzato che sostengono e collaborano al ministero dei cappellani delle carceri. Sono profondamente convinto del valore straordinario che le religiose e il volontariato offrono con la sua testimonianza all’interno del carcere e in tutte le realtà che sono collegate con il carcere. Dal nostro seminario deve venire un incoraggiamento e un impulso forte e convinto all’azione del volontariato. La sfida culturale e pastorale che abbiamo di fronte è comune: da un lato, favorire il reinserimento delle persone condannate; da un altro lato, promuovere una giustizia riconciliatrice, capace di restaurare le relazioni di armonica convivenza spezzate dall’atto criminoso. Un grazie particolare va alla ICCPPC: questo seminario ci ha consentito di conoscerci meglio, di stabilire legami di amicizia e di stima, di individuare strade per future collaborazioni.. Non mi resta che segnalarvi alcune indicazioni concrete.
Ci avviamo ora a celebrare l’Eucaristia, il sacramento del sacrificio di Cristo, il sacramento dell’amore. In quella fonte siamo tutti invitati a trovare le ragioni e la forza per continuare con gioia, coraggio, fiducia e speranza il nostro ministero. L’Eucaristia sarà celebrata nel carcere di Regina Coeli, dedicato alla Madonna: a lei, nostra Madre e Protettrice, affidiamo tutti i nostri propositi di bene, confidando nel suo aiuto.
Renato Raffaele Card. Martino, Presidente del pontificio Consiglio Della Giustizia e della Pace
Roma, 2 Marzo 2005
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