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Indagine sulla certezza della pena Gazzetta del Sud, 5 febbraio 2003
La durata media delle condanne è ben distante dalle massime punizioni previste dal codice per quei reati. La maggior parte dei condannati ha precedenti penali, e aumentano tra "chi sbaglia" i giovani e le donne: la certezza della pena è solo un’illusione mentre l’identikit del condannato mostra una persona il più delle volte recidiva. È quanto emerge da una indagine compiuta dall’Eures, istituto di ricerche economiche e sociali, sulla quantità e sulla qualità delle condanne, sulla media delle pene comminate e sulla effettiva loro espiazione, tracciando anche l’identikit del condannato. Tutti i dati si riferiscono a condanne passate in giudicato in un arco di tempo che comprende gli ultimi dieci anni.
Si tratta di una indagine varata dall’Eures in
concomitanza con il dibattito parlamentare su provvedimenti di clemenza per i
detenuti, e proprio quando si approva l’indultino. Nell’ultimo decennio, secondo
l’Eures, sono stati 850 mila gli anni di detenzione inflitti e non scontati in
carcere. Dal rapporto tra anni scontati e anni di reclusione comminati dalle
sentenze definitive è stato possibile realizzare l’indice di certezza della
pena, vale a dire la percentuale degli anni effettivamente trascorsi in carcere
su quelli inflitti, che tocca nel 2001 la punta più bassa (38,4%) e nel 1995 la
punta più alta (44,9%). Condanne
Calcolando la media degli anni di reclusione comminati nell’ultimo decennio emerge un indice di applicazione della pena ben distante dalle massime punizioni previste dal codice penale per i singoli reati. Per l’omicidio volontario la durata media della pena inflitta è di 12,4 anni (il codice prevede da un minimo di 21 anni all’ergastolo), per l’omicidio preterintenzionale è di 8,8 anni (il codice prevede da 10 a 28 anni), per l’omicidio colposo 0,5 anni (da 6 mesi a 5 anni per il codice); 2 anni per la rapina (da 3 a 10 anni) e l’estorsione (da 5 a 10 anni); 0,4 anni per il furto (massimo previsto 3 anni) e per la truffa (da 6 a 12 mesi per il codice); per la bancarotta 1,3 anni (da 6-24 mesi a 3-10 anni per la "semplice" e la "fraudolenta" per il codice); 1,1 per la detenzione di armi (da 1 a 4 mesi da 1 a 3 anni) e 1,3 anni per il peculato (da 3 a 10 anni la pena edittale prevista).
Chi va in carcere
Ma per quali reati si rischia di andare effettivamente in carcere dopo la condanna definitiva? Calcolando il rapporto tra detenuti e condannati, la classifica vede ai primi posti il sequestro di persona e l’omicidio volontario; seguono, nella "classifica", estorsione, produzione e spaccio di stupefacenti, rapina, istigazione e sfruttamento della prostituzione, violenze sessuali, furto, violenza e oltraggio a pubblico ufficiale, infanticidio, atti osceni, lesioni personali volontarie; in coda, a forte distanza, peculato, truffa, bancarotta, emissioni di assegni a vuoto, lesioni personali colpose e omicidio colposo.
Identikit del condannato
Dal 1995 è cresciuto il peso dei condannati che hanno precedenti penali, che rappresentano il 62% del totale. Dato questo che denuncia la scarsa efficacia della cosiddetta "rieducazione" e del recupero: dal 1997 al 2001 ha precedenti penali il 76% dei condannati per omicidio volontario, il 63,7% dei condannati per furto, il 71,3% per rapina. Cresce tra i condannati il numero di donne (18% nel 2000 erano il 12,6% nel 1990) e dei giovani: nel 2001 rispetto al 2000 la presenza dei giovani tra i 14 e i 17 anni è aumentata di 0,6 punti percentuali, passando dall’1,2% all’1,8% e la percentuale dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni è aumentata di 3,2 punti (dal 20,3% del 2000 al 23,5% del 2001), così come quella dei giovani-adulti (25-34 anni), che passa dal 32,8% nel 2000 al 34,1% nel 2001. Diminuiscono i condannati tra i 45 e i 54 anni (-2,5 punti).
Straniero in carcere
I condannati stranieri, per lo più immigrati, sono aumentati: dal 94 al 2000, la loro incidenza rispetto al totale dei condannati è passata dal 10,8% al 19,1%. Ebbene, rispetto alle condanne ricevute, sono proprio gli stranieri a "rischiare" di più il carcere rispetto agli italiani: nel 2000 i condannati stranieri sono stati infatti il 19,1% del totale, mentre i detenuti stranieri ammontavano al 28,8% del totale dei detenuti, con uno scarto di quasi 10 punti percentuali tra le due componenti. Prostituzione e furto i reati con la più alta componente di immigrati (42,9% e 42,5%), seguiti da spaccio di stupefacenti (30,7% dei condannati), rapina (19,8%), violenze sessuali (16,2%) e omicidio volontario (8,6%). L’Istituto Eures conclude che è più facile, andare in carcere per reati di bassa manovalanza criminale, commessi magari da stranieri, come lo spaccio di sostanze stupefacenti, rispetto a reati più "raffinati" come il peculato o la bancarotta. Per i reati più gravi (omicidio e sequestro di persona) la giustizia appare comunque intransigente. L’indagine non consente valutazioni sulla qualità della difesa dei criminali di basso profilo o sul condizionamento esercitato dalla estrazione sociale che, evidentemente secondo l’Eures, hanno un peso sull’iter processuale e detentivo del condannato. Preoccupa l’aumento dei giovani e delle donne tra i condannati. Ma ancor più preoccupante è la constatazione che chi ha sbagliato una volta (il pregiudicato) torni a delinquere mentre dovrebbe essere in teoria recuperato. "Un atto di clemenza, dunque, senza potenziare l’aspetto rieducativo della pena, – conclude l’Eures – rischia di essere un passaggio parlamentare, pur utile, ma di scarsa prospettiva". Tinebra: "Senza misure alternative i recidivi sarebbero ancora di più"
Il Messaggero, 5 febbraio 2003
"I recidivi sono più della metà? Senza le misure
alternative, senza i "percorsi" di riabilitazione, sarebbero un numero più
alto". Giovanni Tinebra, presidente del Dap (Dipartimento amministrazione
giudiziaria), non giudica negativamente i risultati a cui è approdata l’Eures.
Per quanto riguarda la statistica dei condannati con precedenti penali alle
spalle. Presidente, il "sistema" quindi tiene? "Dal punto di vista della riabilitazione possiamo essere abbastanza soddisfatti. Senza i tentativi di recupero del condannato, quelli che ci ricadono sarebbero ben più numerosi. Certo, ci sono dei miglioramenti da fare. Soprattutto più risorse su cui investire".
A cominciare dagli organici attualmente in forza nelle varie carceri? "Esattamente. È l’emergenza più grave a cui stiamo facendo fronte. E a cui sopperiamo grazie all’impegno e alla competenza degli agenti, dei "civili" e anche dei volontari attualmente al lavoro nei vari istituti penitenziari".
La ricerca dell’Eures parla anche di un abbassamento dell’indice della certezza della pena. È così? "Prima occorre precisare cosa si intende per certezza della pena".
Per lei che significa? "Significa che ogni condannato deve sapere con esattezza a che cosa va incontro, dopo la definitiva sentenza di condanna. Intendo, oltre agli anni di carcere sentenziati, ai possibili benefici di legge e alle possibili misure alternative di cui può disporre".
Le carceri sono sempre più affollate di stranieri.
Una ulteriore emergenza. Che problemi comporta?
È vero che è più facile finire dietro le sbarre
per un piccolo spaccio che per una bancarotta?
La ricerca adombra anche che i sovraffollamenti dei vari carceri possano indurre i giudici a decidere per le misure alternative, al posto della prigione, anche laddove non ve ne sarebbero i presupposti... "Non mi trovo d’accordo. Non credo che nelle aule dei tribunali ci si ponga questi problemi. Anche perché in quella sede si deve decidere solo la certezza del reato commesso e la conseguente pena. Il carcere e il sovraffollamento delle celle arriva in un secondo momento. Risolverlo compete al mio Dipartimento". Frigo: "Ma la legge non prevede la reclusione fino all’ultimo giorno"
Il Messaggero, 5 febbraio 2003
"Certezza della pena non significa dover scontare fino all’ultimo giorno gli anni di reclusione inflitti dal tribunale". Giuseppe Frigo, penalista, ex presidente dell’Unione Camere penali, sottolinea alcuni importanti "distinguo" dalla ricerca targata Eures. E aggiunge: "Il nostro ordinamento dice a chiare lettere che il carcere deve avere come obiettivo la riabilitazione e la rieducazione".
Il rapporto fra anni scontati e anni di reclusione
sentenziati viene comunque giudicato troppo basso, sotto il 35 per cento...
Oppure? "Oppure andiamo a vedere, come secondo me si dovrebbe fare, quanto si è investito nelle misure alternative e in che modo vengono attuate. Verificare cioè se veramente assolvono al loro compito di rieducazione del condannato. Un lavoro di verifica vasto e complicato che però potrebbe portare a un risultato molto utile. Fondamentale anche per poter risolvere definitivamente il sovraffollamento delle carceri".
Che qualcosa non funzioni nel processo di recupero sembrerebbe testimoniato dalla cifra che indica come oltre il 60 per cento dei condannati sia recidivo, cioè con precedenti penali... "Mi sembrano cifre che non fotografano a fondo la situazione. Anche questi numeri, infatti, andrebbero analizzati scorporando le variabili previste per legge".
Fra i condannati ci sono sempre più stranieri. C’è un motivo preciso? "Il motivo sta nell’aumento degli immigrati nel nostro Paese, così come in tutte le altre nazioni dell’Europa occidentale. È tempo che si studino i metodi per fronteggiare e gestire questo fenomeno".
Pare che sia più facile finire in carcere per uno
spaccio che per bancarotta o per peculato. A rimetterci sono sempre i ladri di
polli, specie se extracomunitari?
C’è una possibile soluzione per il grave problema del sovraffollamento delle carceri? "L’unica via praticabile, nel lungo periodo, vista la grave situazione, può essere quella delle misure alternative. Nel breve? L’indulto".
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