Nel braccio della morte

 

Usa: vivere una vita in attesa del boia

di Francesca Folda

 

Panorama, 7 aprile 2005

 

Le esecuzioni capitali in Texas procedono a ritmo incessante, e i vescovi Usa rilanciano: "Salvate i condannati". Anche quelli che parlano in queste pagine. Ma per uno di loro è troppo tardi. La prossima esecuzione è fissata per il 20 aprile: a Huntsville, capitale del sistema giudiziario texano, Robert Douglas, 43 anni, andrà incontro a un’iniezione letale nella "Dead House" del carcere di Walls Unit, considerato monumento storico.

Mai come in questi giorni il dibattito sulla pena di morte negli Stati Uniti è tornato a farsi vivace. L’arcivescovo di Washington, Theodore McCarrik, ha convocato la stampa proprio mentre George W. Bush si schierava a favore della salvezza di Terri Schiavo: "Non possiamo difendere la vita sopprimendo una vita" ha tuonato l’alto prelato. "Non possiamo insegnare, uccidendo, che uccidere è sbagliato. La conferenza dei vescovi Usa manifesta la sua opposizione alla pena di morte da 25 anni" ha detto il cardinale "ma questa campagna è nuova, ha nuova energia e urgenza". Un rinnovato vigore confortato anche dal risultato di recenti sondaggi che per la prima volta segnalano tra i cattolici americani una spaccatura a metà tra favorevoli e contrari alle esecuzioni (nel 2001 i favorevoli erano il 68 per cento).

Ad alimentare le speranze di chi vorrebbe cancellare la professione del boia, due decisioni della Corte suprema, a lungo sollecitate anche dalla Chiesa americana. All’inizio di marzo ha dichiarato incostituzionale l’esecuzione di detenuti che commisero il reato quando erano ancora minorenni. Nel 2002, aveva reso illegale giustiziare i ritardati mentali.

Ma nelle carceri statunitensi restano 3.455 condannati a morte e le esecuzioni procedono con drammatica regolarità: 12 dall’inizio dell’anno, altre 7 previste nel solo Texas entro luglio. Ecco perché assume grande valore la testimonianza di Mario Marazziti, giornalista, promotore con la Comunità di Sant’Egidio della campagna per una moratoria universale della pena capitale. Dopo essere stato più volte in Texas, ha preparato un film documentario sul braccio della morte in onda nello Speciale Tg1 di domenica 3 aprile alle 22.45. Si tratta delle interviste, che Panorama anticipa, a tre condannati a morte "esemplari": Eddie Johnson (minorenne quando commise il reato), John Paul Penry (arrivato tre volte a un passo dall’iniezione letale, annullata perché ritenuto mentalmente ritardato) e Dominique Green (giovane afroamericano seguito fino all’esecuzione). A loro si affiancano le voci del reverendo Carroll Pickett, cappellano della camera della morte, e di Jim Willett, direttore di Walls Unit.

 

Mi dichiaro innocente

 

Dominique Green: "Sono prigioniero nel braccio della morte, ho bisogno di qualcuno che voglia ascoltarmi. La solitudine di questo luogo comincia ad avere effetto su di me, anche perché ho capito che posso morire qui per qualcosa che non ho commesso. Nel braccio della morte ci sono persone buone e intelligenti ma molte di loro non hanno avuto possibilità nella vita. Guarda me: la vita stava solo cominciando ed è finita per una menzogna".

 

Una vita nel braccio della morte

 

John Paul Penry: "Ricordo quando sono arrivato. Era il 9 marzo 1980. Uno mi disse "Johnny, devi affrontare la realtà". Io ho detto: "Lo sto facendo". Lui ha risposto: "No".

 

Quello che si impara

 

Eddie Johnson: "Vivere qui mi ha fatto crescere, molto. Sono andato a scuola otto anni. Ci andavo ancora quando sono venuto nel braccio della morte".

 

Le mie lettere

 

John Paul Penry: "Un altro detenuto mi ha insegnato a leggere la Bibbia e a scrivere le mie lettere. Sai come…: "Caro... così e così… Come stai? Io mi chiamo Johnny Penry…". E così ho cominciato a scrivere. Ho raccontato da quanto tempo sto nel braccio della morte. E alla prima lettera che ho scritto ho ricevuto una risposta. Ho un vocabolario. È uno di quei libri che costano un sacco! Un bel vocabolario. È alto così... E c’è la A, poi la B, la C... Ci stanno tutte le lettere dell’alfabeto. Ti dice delle monete: quelle in Italia, come si chiamano i soldi in Germania… Quello che l’ha scritto, sapeva il fatto suo!".

 

Contro la routine

 

Dominique Green: "Cerco di non essere preso dalla routine. Faccio l’esempio di oggi. La mia notte, in realtà il mio giorno, è cominciato alle 10 di ieri sera. È quando mi sono svegliato. Ho cominciato a leggere. Poi ho disegnato un po’ fino alla colazione, verso le 4.30. E dopo ho fatto ginnastica fino alle 6, quando c’è il cambio della guardia. Poi ho continuato a leggere. Io non leggo un libro alla volta. Adesso ne sto leggendo tre. È la mia formazione. Metto questo nel cervello".

 

La ricreazione

 

Eddie Johnson: "Abbiamo un’ora di ricreazione al giorno. Non possiamo scegliere quando. Dipende dalle guardie quando vogliono farci uscire. Dobbiamo essere sempre pronti per quando lo dicono. Perciò passo gran parte del tempo ad aspettare".

 

Il percorso delle rabbie

 

Dominique Green: "Noi abbiamo un altro approccio su come convivere col sistema. Non gli tiriamo merda. Facciamo dentro tutto il percorso delle rabbie, lo metabolizziamo e poi proviamo a risolvere le cose parlando. Se è necessario facciamo ricorso".

 

Niente e basta

 

Eddie Johnson: "Ci isolano dentro tre livelli. Il livello 1 è normale, ci lasciano la radio, la macchina da scrivere, le cose le possiamo comprare allo spaccio. E abbiamo una visita alla settimana. Al secondo livello non possiamo avere nessun macchinario. Ci levano le canottiere, i calzini e le mutande, ci danno quello che si chiama "di stato". La roba di stato è tutta roba tenuta ammucchiata insieme: 2 mila, 2.500 persone che devono avere tutto in comune. Ci permettono di comprare roba per l’igiene e i francobolli. E solo due visite al mese. A livello 3 non possiamo comprare nemmeno il deodorante e il dentifricio. Niente e basta. Solo i francobolli".

 

Sono un signore

 

Eddie Johnson: "Adesso non mi firmo più "Ej il guerriero". Sono maturato al punto che non m’importa più cosa pensano "loro". So nel profondo che non sono un animale. Sono un essere umano come tutti gli altri. Ora uso il titolo "Sir", Signore, davanti al mio nome, perché mi sento di valere".

 

Cappellano della morte

 

Reverendo Pickett: "Sono stato il cappellano della prigione dalla prima esecuzione, il 7 dicembre 1982, fino alla fine d’agosto del 1995. Non sapevo che mi sarei ritrovato nella camera della morte (dove avvengono le esecuzioni, ndr). Non l’ho mai considerato un lavoro. Non credo in un lavoro dove si uccide la gente. Da allora, mi hanno sempre chiamato "cappellano della morte". Un giornale mi ha chiamato "angelo della morte". Sempre di morte".

 

La prima volta

 

Jim Willett: "Sono stato un dipendente del dipartimento di Giustizia criminale per 30 anni, nel sistema penale. All’inizio pensavo che non sarei rimasto. Ho cominciato per pagarmi gli studi. Ma mi ci sono abituato e ho deciso di farne la mia carriera. Non ricordo il nome del primo detenuto messo a morte, ero il responsabile e l’équipe medica ha avuto problemi per gli aghi nelle braccia. In un braccio viene inserito un ago attivo, l’altro è di riserva. Dopo vari tentativi, il medico mi ha chiesto se potevano farlo solo a un braccio visto che era un ex tossicodipendente e aveva le vene rovinate. Ero molto teso, era la mia prima volta. Dopo le ultime parole, ho dato il segnale di cominciare con quello che dovevamo fare. Dopo 5 secondi, il detenuto si è girato verso di me e ha detto: "È caduto". L’ago era saltato e c’era roba che usciva. Ho deciso di riportare i testimoni nella sala d’aspetto e ricominciare da capo. Siamo finalmente riusciti a mettere l’ago. Il detenuto che la prima volta aveva detto un’ultima frase terribile per via del nervosismo che non lo faceva parlare bene, questa volta dice una bella frase e tutto va liscio".

 

Prove di esecuzione

 

Reverendo Pickett: "Ricordo chiaramente la prima. Nessuno mai era stato messo a morte da una iniezione letale; era la prima volta al mondo. Non avevamo un manuale, nessun precedente, nessun consiglio per aiutarci. Sapevo che c’era un braccio della morte al Walls Unit. Ma avevo scelto di lavorare come cappellano per i vivi. È stato traumatizzante anche fare le prove. Un volontario si è messo sul lettino e ha cominciato a ribellarsi. Il lettino slittava, le ruote lo facevano muovere da tutte le parti. Perciò, hanno deciso di fissarlo al pavimento (...). Nessuno sapeva come il corpo umano avrebbe reagito a queste sostanze".

 

Io mi ricordo

 

John Paul Penry: "Mi ricordo quando mi hanno fissato l’esecuzione e ho avuto paura. Sono arrivato a tre ore dall’esecuzione. Finora, ho avuto quattro date fissate e la quarta è stata la più terribile. La mia testa è ancora sottosopra quando ci penso. Ancora adesso".

 

Posso tornare nella mia cella, dopo?

 

Reverendo Pickett: "Ce n’erano almeno altri dieci mentalmente ritardati. Non avevano idea di cosa ci facessero nella casa della morte. Io spiegavo: "Faremo questo e quello, e a mezzanotte morirai". "Ok, ma dopo posso tornare nella mia cella?". Non erano abbastanza intelligenti per capire che venivano uccisi".

 

Gli innocenti

 

Dominique Green: "Io faccio molto lavoro legale per ogni carcerato che me lo chiede. Credo seriamente che gli innocenti nel braccio della morte siano tra il 10 e 13 per cento".

 

Cara giustizia

 

Reverendo Pickett: "Si tratta di gente che non si può permettere un buon avvocato, le minoranze, i poveri, chi è ignorante, chi si è trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Un grande ha detto: "Meglio dieci colpevoli liberi che uccidere un innocente". Giustiziamo gente innocente in Texas".

 

Spese folli

 

Dominique Green: "Ogni processo costa dai 2.5 ai 7 milioni di dollari per giustiziare uno di noi. Se prendi quello che si spende per uccidermi e lo investi nella mia vita, potrei avere un futuro straordinario. Ma loro non investono sulle nostre vite, investono per distruggerle".

 

Troppo stretto

 

Jim Willett: "Una volta arrivato alla fine della camera della morte, che è una piccola stanza, dico al detenuto di sdraiarsi sul lettino con la testa dall’altra parte. Gli ufficiali gli mettono tutte le cinte per legargli il corpo. Lo bloccano. Allora chiedo al detenuto se sono strette. Due o tre volte mi hanno chiesto: "Ne puoi allentare una? Quella sul petto". Lo facciamo".

 

Le ultime parole

 

Reverendo Pickett: "Sapevo quando il detenuto finiva di dire le sue ultime parole, perché avevo fatto le prove. Me le diceva in anticipo. Il direttore, che era un uomo gentile, non voleva tagliare le ultime parole. Sarebbe orribile togliere le ultime parole a un uomo. Allora io gli facevo io un cenno quando finivano. Perché certi esitavano".

 

Il segnale

 

Jim Willett: "Mi mettevo gli occhiali e quando era ora, quando il detenuto finiva la sua frase finale, li abbassavo. Era il segnale per i medici nell’altra sala. E poi, circa 30-35 secondi dopo, il detenuto mandava l’ultimo respiro".

 

Lotto per tutta la posta

 

Dominique Green: "Da quando sono arrivato, è una questione di sfidare il sistema per uscire, se possibile. È solo che, sai, è l’unica cosa che mi fa andare avanti e continuare la battaglia: lottare per tutta la posta o perdere. L’unico modo è continuare a lottare".

 

L’ultima frase di Dominique

 

Dominique Green: "Ci sono state molte persone che mi hanno accompagnato fino a questo punto. Non posso ringraziarle tutte. Ma grazie per il vostro amore e il vostro sostegno. Mi hanno permesso di fare molto più di quanto non avrei potuto da solo. Ci sono tante cose che vorrei dire, ma non posso dire tutto. Vi voglio bene. Per favore, continuate la battaglia. Se voltate le spalle a me, voltate le spalle a tutti gli altri. Grazie per avermi permesso di toccare tanti cuori. Non avrei mai potuto da solo. Mi dispiace. Non sono così forte come credevo di poter essere. Ma immagino che farà male solo per un istante. Voi siete la mia famiglia. Vi prego, tenete viva la mia memoria". Dominique Green è stato ucciso il 26 ottobre 2004, a 30 anni. Per lui, avevano chiesto la grazia anche André, Andrew e Berretta Lastrapes, i familiari dell’uomo che era accusato di aver ucciso.

 

 

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