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Alcologia e immigrazione: esperienze e interventi Mestre, 14 novembre 2003
Alcune riflessioni sul confronto culturale all’interno di una proposta alcologica rivolta agli stranieri delle carceri padovane
Gruppo di lavoro: Nicoletta Regonati, Francesco Borille, Stefano Buoso, Giulio Ciccia, Katia Cosmo, Zaira Pisaniello, Barbara Sacchetto.
Premessa
La scelta di usare il termine stranieri (e non immigrati, o extracomunitari, etc.) nasce non solo dalla necessità istituzionale di definire chiaramente il target a cui le attività sono rivolte, ma anche dalla scelta di identificare, a partire dalla terminologia, le necessità sulle quali il progetto è stato pensato prima, e realizzato poi. La nostra attività nella Casa di Reclusione di Padova è iniziata nell’aprile del 1998, grazie ad una Convenzione con l’Azienda ULSS 16, durata fino al 1999 e non più rinnovata, come ampliamento dei programmi alcologici territoriali dei Club degli alcolisti in trattamento, già sviluppatisi nel territorio padovano e da diversi anni presenti anche nel carcere e dell’attività già svolta nell’Istituto dall’allora denominato Ser.T. 2 di Padova. I Club, infatti, già dal 1992 offrivano alle persone detenute una risorsa importante per la rielaborazione delle esperienze e la progettazione di un futuro libero dalle sostanze, ma ci si era accorti che la percentuale degli stranieri che entravano nei programmi continuava ad essere molto bassa, in controtendenza con il suo aumento nella popolazione carceraria. (La storia di questa esperienza è stata raccontata in una videocassetta che si può richiedere) Parallelamente il Servizio Pubblico si trovava con poche risorse a dovere affrontare la mole di problematiche che la tossicodipendenza offriva in carcere, senza grande esperienza in tema di alcologia perché, per scelta, non se ne era occupato negli anni immediatamente precedenti. La costituzione, a Padova, dell’Agenzia del Centro Alcologico Territoriale come insieme funzionale di realtà del privato sociale che da tempo si occupavano dei problemi alcolcorrelati e complessi, (e la conseguente realizzazione di progetti comuni, come quello rivolto al carcere di cui stiamo parlando), hanno permesso all’èquipe, non solo di riflettere da subito sul succitato "scollamento", ma anche di farlo con l’elasticità ed il privilegio di punti di osservazione territoriali che il privato sociale possiede. Dal pensiero sono nate alcune ipotesi, proprio in questi giorni confermate dai dati preliminari di una ricerca sulla qualità delle carceri del Veneto della dott.ssa MacDonald, e su queste sono stati costruiti prima il progetto Nadir, poi il progetto Espansione, realizzati oltre che nella Casa di Reclusione, anche nella Casa Circondariale di Padova. Molte di queste ipotesi convergevano sulle difficoltà tipiche dell’incontro di culture diverse, quindi sui linguaggi e sui vissuti diversi, sulle letture diverse dei fenomeni, sulle diffidenze, etc.. Da qui la scelta di identificare nello straniero e non nell’immigrato, né nell’extracomunitario il soggetto con cui costruire un percorso di informazione, di confronto e di rielaborazione culturale che solo per alcuni, in un secondo momento e ad un altro livello aveva implicazioni con un progetto di vita di emigrazione e con l’appartenenza o meno alla Comunità europea.
Le riflessioni
I contenitori delle nostre esperienze sono due progetti, uno chiamato Nadir4, un percorso di sensibilizzazione alle problematiche alcol – droga – correlate legate al fenomeno dell’immigrazione, tanto quanto a quelli dello scollamento culturale e della complessità che caratterizzano il nostro tempo, l’ altro chiamato Espansione e nato proprio come "espansione" del primo e centrato sull’interculturalità. Il primo è attivo dal 1998 alla Casa di Reclusione e dal 2003 alla Casa Circondariale, dove è partito in contemporanea al secondo. Non mi dilungo sugli aspetti metodologici, né sui contenuti di tali progetti perché non sono oggetto di questo mio intervento, nel quale invece vorrei soffermarmi su alcune riflessioni fatte dagli operatori che vi hanno lavorato e dalle persone che vi hanno partecipato, attraverso anche la rilettura del materiale prodotto e la valutazione dei dati oggettivi. Già nella relazione presentata a Treviso dopo un anno di lavoro sottolineavamo che:
Oggi sentiamo di poter confermare una delle principali motivazioni che ha sostenuto il nostro agire, aggiungendo che, pur nella complessità generale (carcere, immigrazione, criminalità, comportamenti correlati alI ‘uso di sostanze, etc.) e nelle difficoltà da essa espresse avari livelli, il cambiamento verso una condizione più costruttiva e più soddisfacente per tutti è possibile. A partire da ogni singola persona, operatori compresi. Anche per questo stiamo preparando, in collaborazione con il Provveditorato degli Istituti Penitenziari del Triveneto, dei percorsi formativi per il personale. Siamo inoltre sempre più convinti che:
Conclusioni
Nello specifico di questa giornata di studio vorrei proporre alcuni spunti di discussione, a partire da due considerazioni:
Esse, sommate alle nostre esperienze, ci inducono a pensare al carcere come "luogo privilegiato" per la sensibilizzazione e l’informazione sui problemi alcol correlati, poiché permette (purtroppo!) di raggiungere contemporaneamente un gran numero di persone, per periodi sufficientemente lunghi per produrre dei cambiamenti e di collaborare con alcuni servizi specifici, di cui la legge prevede la presenza, per l’attivazione di percorsi o perlomeno "buone prassi". Tutto questo con la consapevolezza delle implicazioni spesso sfavorevoli legate al contesto specifico (superabili con l’esperienza ed il collegamento con la rete interna dei servizi e degli operatori) e della necessità di un consistente lavoro di rete, così come definito da Folgheraiter: "Il lavoro di rete è l’azione intenzionale di un operatore, che si esplica in una relazione con una rete di persone migliorando, così, la reciproca capacità di azione". Il lavoro di rete, così inteso, aiuta ad avere una visione allargata, nel tempo e nello spazio, di ciò che stiamo facendo e di ciò che questo significa per le persone che incontriamo nel nostro lavoro e soprattutto ci aiuta a non dimenticare, come spesso accade, che la storia della persona che ci sta dinnanzi è un elemento importante della sua vita, che ci aiuta a capire i suoi reali bisogni ed a spiegare i suoi comportamenti. Negargliela significherebbe negarle la possibilità di crescere, di andare oltre la ripetizione della "fase ci conoscenza" cui ogni singolo operatore che la incontra la sottopone, ripetendo spesso gli errori di chi lo ha preceduto, bruciando così risorse che, già naturalmente diminuiscono ad ogni nuovo tentativo. Il terzo pensiero che spesso ci siamo trovati ad avere riguarda il nostro ruolo: nei momenti di maggiore confronto e discussione all’interno del gruppo ci siamo sentiti mediatori tra culture diverse, alla ricerca di conoscenza reciproca prima, e di soluzioni condivise poi, ma non siamo certi che questo nostro lavoro possa ascriversi nella categoria della mediazione culturale. Riflessioni sul lavoro comune e di ricerca svolti dal Servizio Immigrazione del Comune di Venezia e Ser.T. Venezia Terraferma - Sezione di Alcologia dell’Aulss 12 Veneziana
Gruppo di lavoro: Gianfranco Bonesso, Lucia Baldassa, Flora Selmani, Mohamed Salhi, Silvano Felisati, Stefano Formaggi
Alcuni operatori dell’Unità Operativa "Cittadini Stranieri" del Servizio Immigrazione - Comune di Venezia dallo scorso aprile hanno cominciato a partecipare al Coordinamento "Alcool e Immigrazione", un gruppo di riflessione e di scambio costituito da varie ed articolate realtà regionali, che vantano un’esperienza collaudata sul tema proposto in data odierna. Rispetto al dato certo di aumento dell’utenza straniera al Servizio di Alcologia di Mestre, gli operatori del Servizio Immigrazione hanno attualmente una casistica molto bassa inerente la tipologia di utenza in questione: su 1.200 cartelle aperte fino ad oggi per l’anno 2003, si possono contare una decina di casi in cui si è individuato con certezza "il problema alcool" e, solo per un paio di casi, si è investito e collaborato con il Servizio di Algologia. Peraltro un ruolo fondamentale del servizio Immigrazione è quello di realizzare delle azioni promozionali e di coordinamento, attivando e sensibilizzando le istituzioni ed i servizi affinché rispondano, ognuno per la propria competenza, includendo la presenza degli stranieri nella normalità delle loro azioni. In questi termini "la questione" alcool-immigrazione ci riguarda direttamente con una "mission" che ci vede fare da ponte, da facilitatori, di supporto per il superamento delle barriere reciproche tentando di non sostituirsi ai servizi già operanti per la popolazione residente. Solo di questi tempi, sullo stimolo pervenuto da questi incontri di sensibilizzazione ci siamo messi a ragionare sulla tematica Alcologia e Immigrazione e, in ordine a quanto premesso, il binomio ci è apparso sin da subito un argomento non facile da discutere. Al quesito che sin da subito ci siamo posti: "Ci sono problemi specifici per gli immigrati che abusano dell’alcool?" abbiamo risposto con l’impegno di fare una piccola indagine sul territorio per capire meglio quali realtà e quali risposte vengono date, attraverso la formulazione di una intervista. L’intervista è stata sottoposta ad operatori di altri servizi del Comune, enti e privato-sociale,che sono stati considerati testimoni privilegiati del fenomeno. In totale sono state fatte otto interviste, di tipo "qualitativo" nel senso che ne è emerso un colloquio approfondito rispetto alle domande -tematiche proposte. I servizi intervistati sono stati: "Riduzione del Danno" – "Città e prostituzione"- "Servizio Promozione Autonomia Adulti" (tutti servizi dell’Unità Operativa "Marginalità Urbane" del Comune di Venezia) Polfer, Casa dell’Ospitalità, Banca del Tempo Libero, Buon Pastore, Pronto Soccorso dell’O.C. di Mestre.
In sintesi le maggiori evidenze e gli spunti emersi dall’indagine:
Alcune questioni che aprono interrogativi e lasciano spazio ad un confronto:
Immigrazione e problemi alcol - correlati: un intervento di prevenzione, sensibilizzazione e cura
Fondo regionale di intervento per la lotta alla droga. Piano triennale di Intervento - Area Dipendenze. Ambito territoriale Ulss n° 6 di Vicenza
Area di intervento: Prevenzione secondaria delle patologie correlate, razionalizzazione e innovazione delle cure
Premessa
La migrazione di persone straniere nella nostra regione è diventata un fenomeno emergente ed in espansione. Se da un lato la forte domanda di manodopera consente un facile inserimento lavorativo, diversi sono i problemi di adattamento al nuovo contesto socio culturale e non di rado si assiste a fenomeni di uso di sostanze psicotrope ed in particolare di abuso di alcol con gravi conseguenze dal punto di vista sanitario, economico e sociale. Si nota una scarsa consapevolezza del problema da parte delle persone immigrate e una poca conoscenza dei Servizi socio sanitari e del privato sociale presenti nel territorio nonché la difficoltà degli stessi a far fronte alle richieste di aiuto. Fondamentale è la necessità di promuovere un lavoro di rete tra agenzie interessate per garantire un aggancio precoce degli immigrati con problemi alcol correlati e di ottimizzare gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione nel territorio.
Obiettivi
La migrazione di persone straniere nella nostra regione è diventata un fenomeno emergente che ha portato i servizi pubblici e privati, socio-sanitari e di aiuto, a confrontarsi con nuove culture e differenti espressioni di disagio. Se da un lato la forte domanda di manodopera consente un facile inserimento lavorativo, diversi sono i problemi di adattamento al nuovo contesto socio culturale e non di rado si assiste a fenomeni di uso di sostanze psicotrope ed in particolare di abuso di alcol con gravi conseguenze dal punto di vista sanitario, economico e sociale. I problemi alcol correlati all’interno del campo immigratorio rappresentano un fenomeno attuale, con un impatto che si prevede in espansione progressiva nei prossimi periodi. le persone immigrate nei paesi più sviluppati, oltre alla rottura con le tradizioni e la cultura di appartenenza, vivono una situazione di difficoltà di inserimento e di integrazione culturale e strutturale (precarietà abitativa, instabilità professionale, isolamento, etc.) che favorisce lo sviluppo e la moltiplicazione di patologie e forme di disagio. Ci sono inoltre evidenti difficoltà che gli operatori socio-sanitari riscontrano nell’interazione con utenti immigrati, di valutazione, di comprensione e di proposta del trattamento, aspetti che sono alla base della necessità di una formazione specifica. la capacità di fronteggiare in modo appropriato i bisogni di cura, di sostegno e di riabilitazione delle persone immigrate con tali problematiche dipende dalla disponibilità degli operatori a guardare la persona straniera con attenzione e curiosità e ad aprirsi veramente all’incontro con l’altro". Considerata la scarsa consapevolezza delle modalità di rapporto più adeguate da adottare con gli stranieri, la poca conoscenza del fenomeno "immigrazione e alcoldipendenza" da parte del Servizi socio-sanitari e del privato sociale presenti nel territorio, nonché la difficoltà degli stessi a far fronte alle richieste di aiuto, il progetto: "Immigrazione e problemi alcol correlati (PAC)" avviato dal giugno 2003 nel territorio dell’Ulss 6 "Vicenza", in una prima fase, prevede la creazione di una "rete" di coordinamento e confronto costante tra tutte le agenzie operanti in tale ambito. Questa collaborazione ha, tra gli obiettivi prioritari, quello di favorire una condivisione ed una analisi sulla problematica in oggetto al fine di garantire un aggancio precoce degli immigrati con problemi alcol correlati ed ottimizzare gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione da proporre. Il programma prevede il coinvolgimento dei mediatori culturali per mantenere stretti legami di collaborazione con le comunità di appartenenza degli immigrati con problematiche di alcoldipendenza. la modalità di inserimento di queste figure, in concerto con gli operatori e le agenzie coinvolte nell’intervento, permette inoltre di facilitare l’avvicinamento al circuito dei programmi di sensibilizzazione, prevenzione e trattamento da parte delle persone straniere etiliste. Il dialogo con i mediatori e le altre figure significative delle comunità osservate è utile non solo per capire il senso di certe forme di disagio, ma anche per vedere più chiaramente l’altro, l’immigrato e costruire insieme un percorso modulato. La specificità dell’argomento e la mancanza di informazioni disponibili relative al fenomeno considerato (modalità di consumo, frequenza, stereotipi sull’alcolismo presenti nel paese d’origine ed eventuali somiglianze/differenze rispetto al paese d’arrivo) hanno portato all’organizzazione di una ricerca qualitativa che prevede la somministrazione face - to - face di interviste in profondità ad un certo numero di mediatori culturali (e testimoni privilegiati) delle diverse comunità presenti nel territorio. L’analisi del materiale empirico raccolto tramite intervista semistrutturata (una serie di domande relative al bere nel paese d’origine e in quello di arrivo oltre che sulle strategie d’intervento), procede secondo un duplice binario: codifica e classificazione della base informativa comune e analisi qualitativa dei testi integrali. Le informazioni raccolte potranno favorire l’organizzazione di moduli formativi ad hoc per operatori e volontari interessati, oltre che l’elaborazione di proposte terapeutiche modulate. Il progetto si propone quindi di creare momenti di sensibilizzazione e formazione, rivolti al personale e ai volontari interessati che hanno contatti con tali realtà. Nel corso del triennio è previsto anche l’avvio di una campagna informativa multi lingue per immigrati sulle tematiche in oggetto. Il programma prevede lo sviluppo di una rete di aiuto e di programmi specifici di cura e riabilitazione per le persone immigrate con PAC oltre che la valutazione degli esiti degli interventi di cura e loro riproducibilità in altri contesti. Attività del Dipartimento per le Dipendenze Patologiche dell’Azienda Ulss 9 di Treviso
Relatrice: Barbara Nardin, Assistente Sociale Servizio Alcologia Ser.T.
L’unità operativa di Alcologia di Treviso, attualmente inserita nel Dipartimento per le Dipendenze Patologiche della Az. Ulss 9, in sintonia con quanto accaduto altrove e con le nuove acquisizioni scientifiche, ha orientato la propria attività nella direzione di una cultura alcologica complessa: da un approccio semplice e monoterapeutico elettivo si è approdati ad una clinica della complessità, nella quale più saperi, più figure professionali e più agenzie contribuiscono a costituire quella che viene definita "catena terapeutica". Fondamentalmente si è passati da un approccio monomodale ad un approccio multimodale complesso, e nello specifico ciò ha significato:
In particolare per quanto riguarda il fenomeno dell’immigrazione e la presenza di soggetti stranieri con problemi legati al consumo di alcol, riteniamo sia un fenomeno che va studiato, analizzato, al fine di comprenderne meglio le ragioni e le implicazioni, per arricchire il bagaglio di competenze specifiche dell’ equipe, e per fornire l’ approccio e le risposte più rispondenti ai bisogni. La possibilità di partecipare al Gruppo di Coordinamento Regionale Alcol e Immigrazione, istituitosi spontaneamente a seguito del "1° colloquio mediterraneo sui problemi alcolcorrelati nella popolazione migrante", svoltosi a Castelfranco nel 2001, ha permesso un confronto tra le diverse equipe delle unità operative presenti nella Regione Veneto, e ha consentito al nostro Servizio di studiare più compiutamente il fenomeno, e il primo passo è stato, all’interno del Servizio stesso, analizzare quante e quali situazioni di utenti immigrati che presentavano PAC si siano rivolte al Servizio. È stata così effettuata un’analisi e lettura dei dati in possesso al Servizio, relativamente agli accessi e la presa in carico di utenti stranieri dal 1995 al 2003, suddivisi per aree e paese di provenienza, e tutto ciò ha permesso, facendo alcune significative considerazioni, di orientare l’attività del Servizio su alcuni ambiti specifici. Si è deciso di lavorare su due fronti: la non conoscenza da parte degli stranieri del Servizio, e la poca conoscenza che il Servizio aveva degli stranieri. Un primo obiettivo è stato quello di organizzare azioni di visibilità e informazione nei luoghi o servizi abitualmente frequentati dagli stranieri, per aumentare la conoscenza e le informazioni sull’alcol, e quindi favorendo indirettamente anche la conoscenza del Servizio. Il secondo obiettivo mirava a favorire una maggiore conoscenza da parte del Servizio delle diverse culture di provenienza degli stranieri e un avvicinamento a realtà singole o di associazionismo straniere, obiettivo che si è realizzato mediante la collaborazione con il Corso di Formazione per Mediatori Linguistico Culturali, organizzato dai Centri Territoriali Permanenti di Treviso, il Coordinamento Fratelli d’Italia, la Provincia, l’Azienda Ulss, il Comune e la Cooperativa "Una Casa per l’Uomo", per lo svolgimento di tirocini formativi. In conclusione, si possono individuare 3 punti chiave, sul quali il Servizio Alcologia proseguirà il proprio intervento:
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