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Progetto per "liberare" i figli di madri detenute
Il Gazzettino VE, 09.03.2004
In partenza l’iniziativa "Nati per leggere" rivolta ai bambini con meno di 11 anni. E i piccoli potranno giocare all’asilo comunale. Presentato il libro Donne in sospeso
Venezia, progetto per "liberare" i figli di madri detenute
Dietro le sbarre del carcere femminile della Giudecca poliziotte, operatrici, volontarie e detenute sono unite da un filo sottile, che corre sottotraccia lungo la medesima condizione di donne divise solo da un valore: la libertà. Quella privata con una sentenza, ma spesso anche quella negata da chi ha condizionato fin dall'origine la vita di chi deve comunque espiare una colpa. Ieri, festa delle donne, davanti al carcere veneziano si sono radunati alcuni politici per l'annuale visita accompagnata da distribuzione di mimose, discorsi e buone intenzioni. Impossibile entrare per chi non aveva il permesso, ma all'uscita ciascuno ha portato una storia. Le detenute hanno presentato "Donne in sospeso", un libro con le loro testimonianze edito da Ristretti Orizzonti e curato dall'associazione "Il granello di senape". Ma un carcere è un mondo complesso, anzi un mondo a se stante in cui la convivenza, la realtà ristretta, comprimono ancora di più le singole vicende fino a intrecciarle in maniera indissolubile. Così dentro quelle mura ci sono i desideri e le passioni negate delle detenute, ma anche i racconti e gli sfoghi delle poliziotte e delle operatrici."Dobbiamo per forza separare noi stesse da questa realtà - racconta fuori dal carcere una guardia penitenziaria - Non possiamo permetterci di farci coinvolgere emotivamente. Per questo cerchiamo di evitare di farci chiamare per nome. Anche se poi succede". Un lavoro da 1.100 euro di stipendio base mensile "ma che ti vede piacere, se lo vuoi fare", dice un'altra donna in divisa. Sono 83 in organico, ma effettive in servizio sono circa una settantina. Il che vuol dire che sono sotto di almeno dieci unità. Le detenute invece sono un centinaio, più della metà straniere. Un rapporto comunque buono, per una realtà come quella della Giudecca che è all'avanguardia nelle iniziative per cercare di dare un futuro a chi un giorno finirà di scontare la pena. Presto, con la collaborazione della Fondazione Querini Stampalia, partirà anche il progetto "Nati per leggere", rivolto agli 11 bambini con meno di tre anni che le madri-detenute hanno scelto di tenere con sè fino all'età in cui la legge impone il ritorno alla famiglia.Ma in carcere qualcosa manca sempre: la libertà per i bambini, ad esempio. Proprio ieri, dopo mesi trattative e ricerche, l'assessore comunale ai servizi sociali Beppe Caccia ha annunciato che sono stati trovati i volontari per accompagnare i piccoli all'asilo comunale della Giudecca per qualche ora la settimana. Tanto per farli giocare in un ambiente diverso dalla sala appositamente allestita nel carcere.Manca anche un servizio di pronto soccorso efficiente: nei mesi scorsi un piccolo di tre mesi è stato ricoverato d'urgenza all'ospedale per una broncopolmonite. Per trasportarlo in tempi rapidi sono dovute intervenire le forze dell'ordine. Spesso i figli diventano anche strumento giudiziario, quando qualche madre furbescamente li porta in aula per cercare di impietosire il giudice. Altre volte diventano protagonisti di storie a lieto fine. Come quella di una bambina sudamericana che una coppia del Lido ha avuto in affidamento dai genitori naturali entrambi detenuti, lei alla Giudecca, lui a Santa Maria Maggiore. La bambina è stata accudita, è stata fatta studiare, e poi è tornata ai genitori al termine della loro pena. La famiglia se n'è andata in Sudamerica, ma la ragazzina ha mantenuto il legame con la coppia del Lido, che continua a sostenerla.Chi ha assistito ieri alla presentazione di "Donne in sospeso" parla di persone "che hanno perduto la libertà, ma non la propria dignità". Dignità che arriva anche all'estremo sacrificio. Come nel caso di una madre siciliana a cui fu ucciso il marito in un agguato di mafia. Proprio alcuni "picciotti" la costrinsero ad accusarsi del delitto, minacciando in caso contrario di ucciderle i figli. Lei accettò, fu condannata e rinchiusa a scontare una pena che non le era dovuta. Prima di morire di tumore rivelò ai figli di essersi sacrificata per salvarli.Davide Scalzotto
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