Legge Finocchiaro non basta

 

Nel nostro Paese la legge Finocchiaro non basta

 

Corriere della Sera, 7 maggio 2004


Scena da un carcere. Nel cortile c’è una cerimonia. In prima fila, tra cinquanta detenute, una giovane mamma: ha un bambino di due anni attaccato alla gonna e una deliziosa bimbetta in braccio, di pochi mesi, che sorride a tutti. Non siamo ai giardini pubblici, ma a San Vittore. E poco più in là, c’è un’altra ragazza che regge una creaturina di nove giorni. Immagini del genere fanno rabbrividire, ma sono normali. Nel nostro grande e problematico Paese, nonostante una provvida legge che porta il nome di Anna Finocchiaro, non si riesce a evitare questo tonfo di civiltà, questa barbarie: i bambini in carcere, il pestaggio dell’innocenza. L’alba della vita vissuta in pochi metri quadrati di una cella o di un asilo nido, con l’affetto e la solidarietà delle detenute e delle agenti, ma in un mondo senza orizzonti, dove è difficile vivere con la fantasia e la libertà dei bambini, ma bisogna adattarsi ai ritmi delle celle.

E poi, se la condanna della mamma è lunga e il bambino compie tre anni, arriva un funzionario a portarselo via: in un istituto o presso qualche parente, se esiste. Barbarie su barbarie. La legge Finocchiaro è del marzo 2001. Divieto di carcere per donne incinte o madri di prole inferiore a tre anni. Differimento di pena per madri di prole inferiore a un anno. La sacrosanta norma mette sotto tutela il rapporto tra le madri e i figli minori, prevedendo misure alternative. Complimenti, titoli sui giornali, servizi televisivi. E poi, legge inapplicata. L’aspetto paradossale di questa vicenda è la sua dimensione assolutamente modesta. In Italia i bambini in carcere sono in media circa sessanta. E a San Vittore, da cinque a nove. C’è di più.

A Milano, si era trovata una soluzione già cinque anni fa con la firma di un protocollo d’intesa tra Regione, Ministero e Comune. L’assessore comunale alla sicurezza sociale Paolo Del Debbio mise a disposizione una ex scuola materna in via Zama 23, dove si sarebbe potuto approntare per le mamme un ambiente vivibile a custodia attenuata. Comunicazione ufficiale fu inviata alla direzione di San Vittore, a firma del vicesindaco De Corato, il 5 ottobre del 2000. Seguirono riunioni tecniche per definire il progetto.

Poi, improvvisamente, un lungo silenzio. Luigi Pagano, direttore di San Vittore, racconta: "Apprendemmo dai giornali che il progetto era stato unilateralmente accantonato dal Comune. Alle vibranti proteste, il nuovo assessore alla sicurezza sociale Guido Manca disse che, secondo lui, non c’erano più bambini in carcere e che aveva in mente l’idea di miniappartamenti da destinare alle mamme detenute a fine pena. E aggiunse che, in ogni caso, le materie carcerarie non erano di competenza del suo assessorato".

C’è dell’incredibile in questa storia, non certamente degna di Milano "finestra italiana sull’Europa", né di qualsiasi città civile. Speriamo che il sindaco Albertini ne raccolga subito i cocci e rimetta in piedi un piccolo, modesto, prezioso progetto che sollevi la città di Beccaria, lui e tutti noi da questa intollerabile vergogna.

 

 

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