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La morte di Samuele Catta (Sassari, 10 luglio 2002)
Rassegna stampa sul caso di Samuele Catta
Suicida in carcere: la Procura indaga
L’Unione Sarda, 28 settembre 2002
Si era disintossicato dalla droga, aveva ottenuto il nulla osta del personale educativo, aspettava solo l’autorizzazione del giudice di sorveglianza. Era felice. Sarebbe tornato in libertà per continuare il cammino riabilitativo nella comunità per tossicodipendenti di S. Aspru. Invece, la notte del 10 luglio scorso, Samuele Catta, 28 anni, sassarese, si è ucciso in una cella d’isolamento del carcere di San Sebastiano, impiccandosi con il cavo del televisore. Da
allora c’è un magistrato della Procura che si occupa dell’inchiesta con
l’aiuto della polizia. Molti gli interrogativi cui dovrà dare una risposta.
Non ci sono dubbi sul gesto, ce ne sono tanti sulle cause che hanno spinto
Samuele al suicidio. Quando si è ucciso era un martedì. Il sabato precedente,
durante il colloquio con la madre, era apparso in buona forma, sorridente,
ottimista sul suo futuro. Cosa o chi lo ha fatto cambiare nell’arco di tre
giorni, al punto da spingerlo a togliersi la vita? Anzi, c’è chi riduce a
poche ore l’arco di tempo in cui Samuele sarebbe passato da uno stato di
euforia a uno di profonda depressione. Qualcosa di grave deve essere successo,
se quella sera il giovane detenuto è finito in una cella di isolamento. Che
cosa? E perché quella cella (che avrebbe dovuto essere priva di oggetti
utilizzabili per atti di autolesionismo) era dotata di tutte le suppellettili e
perfino di un televisore? E ancora: perché Samuele non era sorvegliato a vista?
Morte in cella, guardia indagata. L’accusa è di omicidio colposo
La Nuova Sardegna, 2 febbraio 2003
C’è un indagato per la tragica morte di Samuele Catta, il giovane trovato impiccato in una cella di San Sebastiano lo scorso mese di luglio: il sostituto procuratore Paolo Piras ha chiuso le indagini ipotizzando nei confronti del sovrintendente della polizia penitenziaria C.A., 42 anni, di Castelsardo, il reato di omicidio colposo. Un’accusa molto pesante, che va oltre quella "tradizionale" di negligenza nella sorveglianza che viene formalizzata solitamente in queste situazioni. Secondo il titolare dell’inchiesta quel sovrintendente, capoturno al momento della tragedia, aveva avuto un incarico preciso dopo che il medico del carcere aveva disposto nei confronti di Samuele Catta la precauzione dell’altissima sorveglianza. Il giovane, infatti, era stato portato in infermeria dopo un atto di autolesionismo e in quella sede aveva manifestato propositi suicidi. L’ordine era quello di condurlo in una cella priva di suppellettili, con le quali potesse attuare quei propositi o anche ripetere gli atti di autolesionismo, e venne eseguito: la stanza dove fu condotto, però, aveva il cavo dell’antenna appeso al muro, anche se a poco più di un metro di altezza, e Samuele Catta lo usò come patibolo impiccandosi con una garza. Secondo il magistrato, C.A. avrebbe disatteso le disposizioni provocando così la morte del giovane, sulla quale all’inizio ci furono due teorie: suicidio, appunto, o un tragico scherzo degenerato poi in una tragedia. La decisione di indagare il capoturno sembra chiaramente indicare che è stato un suicidio e che, secondo il magistrato, la morte di Samuele Catta si poteva evitare. Il sovrintendente indagato, che è assistito dall’avvocato Antonella Cuccureddu, ha ora 20 giorni di tempo per organizzare una strategia difensiva: potrà presentare memorie ed, eventualmente, chiedere di essere interrogato. Scaduto quel termine, il magistrato potrà formalizzare le conclusioni al gip e chiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione. L’inchiesta ha avuto così una svolta imprevista, dopo che qualche settimana fa sembrava avviata verso una semplice archiviazione. L’episodio aveva però suscitato un enorme clamore, sia per la vittima (Samuele Catta era figlio di Marco, il musicista scomparso a causa di un’esplosione al centro storico e anche in quel caso qualcuno parlò di suicidio), sia perché si trattava del quarto suicidio a San Sebastiano nel giro di poche settimane. Il provveditore aveva chiesto più volte l’autorizzazione per un’inchiesta interna, ma la magistratura l’aveva sempre rifiutata: evidentemente la procura voleva esaminare il caso più da vicino e a breve ci saranno nuovi sviluppi.
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