Dossier: "Morire di carcere"

 

"Morire di carcere": dossier marzo 2006

Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose

 

Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nel mese di febbraio registra 7 nuovi casi: 5 suicidi e 2 morti per malattia.

 

Nome e cognome

Età

Data morte

Causa morte

Istituto

Pasquale Morrone

53 anni

3 marzo 2006

Malattia

Poggioreale (NA)

Cosimo Cirfeta

45 anni

17 marzo 2006

Suicidio

Busto Arsizio (VA)

Raffaele Montella

41 anni

18 marzo 2006

Suicidio

Viterbo

Giancarlo Bescapè

45 anni

20 marzo 2006

Suicidio

Lodi

Santo Tiscione

45 anni

21 marzo 2006

Suicidio

Sollicciano (FI)

D.O., detenuto rumeno

32 anni

22 marzo 2006

Suicidio

Secondigliano (NA)

Francesco Lombardo

42 anni

23 marzo 2006

Malattia

Sollicciano (FI)

 

Assistenza sanitaria disastrata: 3 marzo 2006, Carcere di Poggioreale (NA)

 

Pasquale Morrone, 53 anni, viene stroncato da un’embolia nel carcere di Poggioreale. L’uomo, da settimane, era in attesa di conoscere il responso di una perizia sulla compatibilità carceraria disposta dalla magistratura e affidata a un consulente. Morrone - che proprio il giorno prima aveva ricevuto in carcere la visita di uno dei suoi legali, il penalista Gaetano Anastasio - si trovava su una sedia a rotelle per le drammatiche condizioni di salute in cui versava: caviglie ingrossate e violacee, 170 chili di peso, ipertensione. Il boss del litorale era stato condannato a dodici anni di reclusione per associazione camorristica al termine del maxi-processo "Spartacus 1". Aveva già scontato quattro anni a seguito dell’arresto avvenuto nel 1995, poi era tornato libero per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Prima di entrare nel carcere di Poggioreale il boss si trovava agli arresti domiciliari per motivi di salute mentre in precedenza era stato recluso a Secondigliano, dove era stato curato presso il centro clinico del penitenziario. L’arresto, sopraggiunto lo scorso gennaio, era stato eseguito per il ripristino dell’ordinanza di carcerazione disposta dai giudici del processo "Spartacus" in seguito al deposito della sentenza di condanna. Nel frattempo, Morrone era stato raggiunto da una nuova ordinanza cautelare (nell’ambito dell’inchiesta denominata "Free River", del 25 gennaio scorso). Il gip Giovanna Ceppaluni aveva disposto una perizia medica per stabilire la compatibilità con il regime carcerario così come aveva fatto la Corte di Assise. Nonostante i solleciti dei difensori, però, il consulente non aveva ancora provveduto. I familiari hanno chiesto un perito di parte per l’esame autoptico. (Il Mattino, 4 marzo 2006)

 

Suicidio: 17 marzo 2006, Carcere di Busto Arsizio (VA)

 

Cosimo Cirfeta, 45 anni, collaboratore di giustizia, si suicida inalando del gas. Sarà aperta un’inchiesta da parte della Procura di Busto Arsizio per far luce sulla morte di un ex appartenente alla Sacra corona unita, rinvenuto cadavere nella sua cella del carcere Bustocco, dove era rinchiuso da circa un anno. L’uomo dopo parecchi anni di militanza nell’organizzazione malavitosa si era pentito, permettendo agli inquirenti di raggiungere importanti risultati investigativi. Sulla vicenda anche il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria avvierà un’indagine. Pochi i particolari certi: sembra che avesse chiesto di poter disporre di un fornelletto a gas, di quelli usati dai campeggiatori ed escursionisti, per prepararsi del caffè subito dopo l’ora d’aria. In realtà lo avrebbe utilizzato per inalarsi il gas dalla bomboletta. Da chiarire se il suo sia stato un gesto deliberato per togliersi la vita, oppure un fatale incidente. In molti casi i detenuti utilizzano questo sistema in sostituzione di sostanze stupefacenti. (Il Giorno, 19 marzo 2006).

È stata eseguita, all’ospedale di Busto Arsizio, l’autopsia sul corpo di Cosimo Cirfeta. Il medico legale Massimo Levratti non ha riscontrato ecchimosi o traumi e si è riservato 30 giorni per presentare al sostituto procuratore Cristiana Roveda la relazione, dovendo attendere l’esito degli esami tossicologici. Cosimo Cirfeta - secondo i primi rilievi - è morto annusando il gas della bomboletta del fornelletto usato per preparare il caffè. Un’abitudine diffusa fra i detenuti, ma che stavolta è costata la vita al collaboratore di giustizia che aveva testimoniato nel processo di Palermo a favore del senatore Marcello Dell’Utri, sostenendo che alcuni pentiti si erano messi d’accordo per accusare il parlamentare di rapporti con la mafia. I legali che assistevano Cirfeta, gli avvocati Alfredo Biondi e Pasquale Tonani, sostengono che il loro assistito non può essersi suicidato in quanto, proprio il giorno prima, aveva scritto ai difensori dicendo che voleva testimoniare al processo di Palermo "il che contrasta - dice l’onorevole Alfredo Biondi - con qualsiasi volontà suicida". (Il Giorno, 20 marzo 2006)

 

Suicidio: 18 marzo 2006, Carcere di Viterbo

 

Raffaele Montella, 41 anni, si suicida impiccandosi alle sbarre della cella con un lenzuolo fatto a strisce mentre, nel parlatorio, i fratelli lo aspettavano per un colloquio. È finita così, sabato scorso, nel carcere circondariale Mammagialla di Viterbo, la vita di un detenuto in attesa di giudizio. A quanto risulta al Garante Regionale del Lazio dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni, l’uomo di origine campana, era in carcere per rapina e altri reati contro il patrimonio ed era stato trasferito a Viterbo lo scorso 5 marzo, proveniente dal carcere di Civitavecchia. "Ci è stato raccontato che Raffaele era un uomo psicologicamente in difficoltà - ha detto il Garante - prostrato da gravi problemi familiari e in particolare nel rapporto con la moglie. A questo quadro, inoltre, occorre aggiungere la circostanza che l’uomo era appena arrivato a Viterbo dal carcere di Civitavecchia, struttura carceraria - ha spiegato Marroni - notoriamente ad alto rischio per quanto riguarda il rispetto dei diritti dei detenuti". Secondo Angelo Marroni quella di Raffaele Montella "è l’ennesima dimostrazione che, all’interno delle carceri, i detenuti psicologicamente provati sono abbandonati a se stessi. Questa è un’altra vita persa inutilmente". "È ora che chi può fare qualcosa - ha concluso il Garante dei detenuti - si renda conta che in carcere esseri umani che comunque fanno parte di questa società stanno pagando un prezzo troppo alto". (Apcom, 20 marzo 2006)

 

Suicidio: 20 marzo 2006, Carcere di Lodi

 

Giancarlo Bescapè, 45 anni, si suicida impiccandosi in cella. L’uomo era in carcere da appena due giorni, arrestato per aver ucciso a colpi di spranga l’amante Paola Faraldi, anch’ella di 45 anni, che intendeva metter fine alla loro relazione. Imperturbabile, non aveva dato alcun segno di pentimento.

Rinchiuso nel carcere di Lodi, era stato messo in isolamento. Ieri sera però era stato trasferito nella sezione con altri detenuti. Forse nelle ore passate in carcere l’uomo si è reso conto di quello che aveva fatto ed è stato assalito dal rimorso. Una presa di coscienza che, molto probabilmente, l’ha spinto a togliersi la vita. Infatti l’omicida, subito dopo essersi consegnato agli uomini dell’Arma, ha detto una sola frase: "Ho avuto cinque minuti di follia", poi si è chiuso in se stesso.

L’uomo, rinchiuso in una cella di isolamento, ha utilizzato un lenzuolo. Ne ha ricavato una striscia e l’ha legata alla sponda superiore del letto a castello della cella. Poi se l’è stretta attorno al collo e si è lasciato andare. Bescapè, che era guardato a vista, per eludere la sorveglianza delle guardie carcerarie ha atteso il momento del cambio di turno degli agenti. È bastato un attimo per farla finita. Quando le guardie sono intervenute, ormai non c’era più niente da fare. Ma non era il caso di sottoporre Bescapè ad una sorveglianza più ferrea ed accurata? La domanda non trova risposta perché la direttrice del carcere Caterina Ciampoli lascia detto in segreteria che non intende fare dichiarazioni. "Quando viene adottato un provvedimento di isolamento - ricorda Luigi Morsello, ispettore generale in pensione e direttore del carcere lodigiano dal 1997 al 2005 - sia il soggetto sia la cella sono privati di tutti gli oggetti che possono essere utilizzati per compiere gesti aggressivi, come quello di Bescapè. Le lenzuola però, strappate a strisce, possono essere utilizzate per confezionare un cappio mortale".

Per Andrea Ferrari, uno dei responsabili del gruppo di una ventina di volontari che operano nel carcere lodigiano, "si tratta di un episodio drammatico che deve far riflettere. È il secondo suicidio, a Lodi, nel giro di due anni. Preferiamo non entrare nel merito del caso specifico. Conferma però i problemi che esistono all’interno di tutte le carceri". Da dicembre è rottura completa tra direttrice e volontari, che non hanno più accesso alla casa circondariale. "La nostra presenza - dice Ferrari - non avrebbe evitato il suicidio di Bescapè, ma serve a rasserenare il clima tra i detenuti". In mancanza di dati ufficiali, che il ministero della Giustizia non fornisce, Ferrari ricorda quelli raccolti, tramite i volontari, dalla rivista "Ristretti Orizzonti" di Padova. Nel 2005 i suicidi in carcere sono stati 57, le morti per cause non accertate 22, quelle per malattia 21, quattro gli omicidi, altrettanti i decessi per droga. In questi primi mesi del nuovo anno i suicidi hanno già raggiunto quota dodici.

La morte di Bescapè rappresenta l’ultimo capitolo della vicenda iniziata con l’uccisione sabato mattina di Paola Faraldi. Verso le 6.30 Bescapè aveva atteso la donna nel parcheggio del Centro Sportivo "Il boschetto" di San Fiorano. Lei era arrivata verso le 7 per iniziare il lavoro di addetta alle pulizie nel ristorante pizzeria all’interno del centro sportivo. Tra i due c’era stata l’ennesima discussione. L’uomo aveva afferrato una spranga di ferro e colpito più volte la Faraldi alle gambe ed alla testa. Poi aveva telefonato ai carabinieri di Codogno. Al tenente Luigi Angiolini aveva detto: "Ho ucciso una donna sul piazzale del centro sportivo". Rinchiuso nel carcere di Lodi, proprio ieri avrebbe dovuto essere interrogato dal magistrato. Un appuntamento al quale Bescapè ha preferito sottrarsi nel modo più drammatico. (Corriere della Sera, 23 marzo 2006)

 

Suicidio: 21 marzo 2006, Carcere di Sollicciano (FI)

 

Santo Tiscione, 45 anni, si suicida nel carcere di Sollicciano servendosi della cintura dell’accappatoio, si è impiccato nel bagno della cella nella quale era rinchiuso, la seconda della IV sezione del reparto giudiziario. Il cadavere è stato ritrovato dai due compagni di cella. Sembra che prima di morire Tiscione abbia lasciato una lettera dalla quale si potranno forse evincere i motivi specifici che lo hanno portato a suicidarsi. Come per gli altri circa cinquanta suicidi, per le decine di tentati suicidi e per le centinaia di casi di autolesionismo che annualmente si registrano nelle carceri italiane, le cause di un tale gesto vanno però anche ricercate nell’isolamento che l’istituzione penitenziaria produce di per sé rispetto al mondo esterno e nelle disumane condizioni di non-vita che i detenuti sono costretti a sopportare. A Sollicciano oltre mille detenuti vivono per ventidue ore al giorno letteralmente ammassati in celle di dieci metri quadrati e il resto in quei cubi di cemento che sono i cortili del passeggio. Il livello intollerabile delle condizioni di detenzione nel carcere fiorentino è stato da ultimo osservato e reso pubblico nella giornata di ieri, lunedì 20 marzo 2006, da una delegazione della quale faceva parte anche un esponente del Gruppo Dentro e Fuori le Mura. Le parole chiave per descriverlo, sempre drammaticamente insufficienti a fronte di una realtà drammatica, sono le seguenti: sovraffollamento, negazione del diritto alla salute e dell’affettività, cronica scarsità di lavoro, fortissime limitazioni nell’accesso alle misure alternative alla detenzione. (Gruppo "Dentro e Fuori le Mura", 23 marzo 2006)

 

Suicidio: 22 marzo 2006, Carcere di Secondigliano (NA)

 

D.O., rumeno, 32 anni, si suicida impiccandosi nella sua cella di isolamento. Ne dà notizia l’associazione Antigone Napoli. Nel carcere di Secondigliano sono detenuti 1.500 persone circa, su una capienza ufficiale di 1.028 posti. "Il suicidio di un detenuto isolamento - ha dichiarato Dario Stefano Dell’Aquila, presidente di Antigone Napoli e componente dell’Osservatorio Nazionale sulla detenzione - solleva più di un problema. È indubbiamente il segnale di un disagio diffuso che si vive nelle prigioni italiane, mai così sovraffollate. Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, ritiene fisiologico che ci sia in carcere una percentuale di suicidi superiore a quella dei cittadini normali, noi pensiamo che esiste un preciso compito giuridico dell’Amministrazione Penitenziaria di tutelare l’integrità di persone prive della libertà". "Sarebbe opportuno - ha concluso il presidente di Antigone Napoli - che si facesse chiarezza sulle dinamiche di questi eventi, senza reticenze e con trasparenza". (Adnkronos, 24 marzo 2006)

 

Assistenza sanitaria disastrata: 23 marzo 2006, Carcere di Sollicciano (FI)

 

Francesco Lombardo, 42 anni, muore d’infarto nella sua cella di Sollicciano. In carcere per reati di droga, l’uomo avrebbe dovuto scontare la pena fino al 2009. Erano da poco passate le 22.00 quando ha accusato i primi malori: i primi a dare l’allarme sono stati i compagni di cella. Gli agenti di polizia penitenziaria dal canto loro hanno chiamato i medici di guardia del carcere e il 118. Non c’è stato però nulla da fare. Neanche un intervento col defibrillatore ha potuto salvare l’uomo che, essendo cardiopatico, era già stato ricoverato al centro clinico del carcere don Bosco di Pisa. "La sua condizione - ha detto Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti - conferma che il carcere è una struttura malata e che produce morte e che il diritto fondamentale è quello alla salute e alla vita. Solo che le condizioni del carcere contrastano violentemente questa prerogativa. Il carcere reso invivibile dal sovraffollamento e da leggi criminogene non è in grado di garantire i diritti fondamentali e quindi o per suicidio o per malattia la conclusione è ugualmente drammatica". (La Nazione, 24 marzo 2006)

Firenze: a Sollicciano 2 decessi e un tentato suicidio in 3 giorni. Dopo il suicidio di tre giorni fa, un altro detenuto è morto all’interno del carcere di Sollicciano, questa volta a causa dei ritardi nell’assistenza medica. Alle 22.30 di ieri, 23 marzo 2006, Francesco Lombardo, di 42 anni, ha accusato dolori gravi. Se ne è accorto il compagno con cui divideva la cella, la sedicesima della XII sezione (reparto penale maschile), che ha immediatamente cominciato a gridare e battere contro il blindo, subito seguito dagli altri detenuti dell’intera sezione, per avvertire gli agenti in servizio. Solo dopo oltre venti minuti questi ultimi hanno aperto la porta della cella, consentendo ai detenuti stessi di trasportare Lombardo fino all’infermeria interna servendosi di un lenzuolo. All’infermeria, Lombardo è giunto ancora in vita ma è deceduto poco tempo dopo, probabilmente per un ictus. Intanto, emerge solo ora un ulteriore grave episodio avvenuto la settimana scorsa: un detenuto della XI sezione ha tentato il suicidio colpendosi ripetutamente con una forchetta. È stato salvato dall’intervento degli altri detenuti. La situazione del carcere di Sollicciano è evidentemente del tutto fuori controllo. Quanti altri detenuti devono morire perché le autorità e le forze politiche si decidano a volerla affrontare sul serio? (Gruppo "Dentro e Fuori le Mura", 24 marzo 2006)

 

 

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