Dossier: "Morire di carcere"

 

"Morire di carcere": dossier febbraio 2006

Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose

 

Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nel mese di febbraio registra 11 nuovi casi: 7 suicidi, 2 morti per malattia, 1 per cause accidentali ed 1 per cause ancora da accertare.

 

Nome e cognome

Età

Data morte

Causa morte

Istituto

Marco P.

53 anni

01 febbraio 2006

Accidentale

Genova

Marco Fiorillo

41 anni

02 febbraio 2006

Malattia

Rebibbia (Roma)

Emiliano Santangelo

33 anni

04 febbraio 2006

Suicidio

Biella

Mohamed Faleb

24 anni

06 febbraio 2006

Suicidio

Lecce

Salvatore Caruso

67 anni

08 febbraio 2006

Da accertare

Messina

A.I., detenuto tunisino

39 anni

15 febbraio 2006

Suicidio

Brucoli (SR)

Tiziano Moschiera

34 anni

15 febbraio 2006

Suicidio

Palermo Pagliarelli

Andrea Anello

56 anni

18 febbraio 2006

Suicidio

Palermo Pagliarelli

M.R., detenuto italiano

45 anni

22 febbraio 2006

Suicidio

Massa

Asmelash Merhawui

28 anni

26 febbraio 2006

Suicidio

Rossano (CS)

Antonio Daddio

75 anni

26 febbraio 2006

Malattia

Secondigliano (NA)

 

Cause accidentali: 01 febbraio 2006, Carcere di Genova

 

Marco P., 53 anni, originario di Palermo, muore cadendo dalla branda, al terzo piano del "castello" in una cella del carcere di Marassi. Marco aveva tentato di commettere un furto nel 1985 e aveva subito una condanna a sei mesi che era diventata "definitiva" solo di recente. Condanna che avrebbe pure potuto evitare se, come gli permetteva la legge, ne avesse chiesto la sospensione, magari assistito da un legale. Quella domanda non l’ha mai fatta ed è morto il giorno dopo aver varcato la soglia d’una cella a Marassi, cadendo dal terzo piano dell’incastellatura di letti che riempiva la stanza dove insieme a lui stavano altre sette persone.

"La tragedia - conferma il direttore del penitenziario genovese Salvatore Mazzeo - è collegata al sovraffollamento dell’istituto, che ci costringe ad aggiungere pile di materassi e mette inevitabilmente a repentaglio l’incolumità dei carcerati". La storia di Marco è un concentrato di contraddizioni e coincidenze che forse nemmeno la fantasia perversa d’uno scrittore avrebbe potuto concepire. Perché, nonostante la mancata istanza per evitare la prigione, un briciolo di clemenza la sorte gliel’aveva offerta quando, nel recente passato, erano state riconosciute le sue precarie condizioni di salute e gli erano stati concessi gli arresti domiciliari. Pochi giorni fa, però, l’uomo è sorpreso all’esterno del proprio appartamento in orario "proibito" (senza che tuttavia avesse compiuto altri reati o, peggio, deciso di fuggire) e perciò la misura alternativa alla pena in carcere gli è stata revocata.

L’uomo è precipitato dalla scaletta di brande, che stava percorrendo a tentoni per andare in bagno: ha battuto la testa con violenza, perso conoscenza, e non è servito trasportarlo al pronto soccorso, dove si è spento ieri alle 14 e dove i familiari hanno autorizzato l’espianto degli organi. Difficile, al momento, ipotizzare scenari diversi dalla tragica fatalità. Lo stesso Mazzeo, che ha disposto un’indagine interna affidata agli agenti della Penitenziaria, si definisce certo della dinamica dell’incidente al 99 per cento: "Anche la magistratura ha aperto un fascicolo d’inchiesta ed è doveroso in casi simili, in attesa dell’autopsia che confermerà con precisione le esatte cause di morte. I primi riscontri medici certificano comunque che il trauma cranico è stato determinante".

Sono stati i compagni di cella, a lanciare l’allarme, ma ormai la situazione era compromessa. E il direttore ha avuto un sobbalzo quando dall’incartamento di Marco sono saltate fuori tutte le sue traversie: il peccato veniale per cui l’avevano ammanettato, l’estenuante iter giudiziario precedente alla condanna e poi quella possibilità di ottenere benefici incredibilmente ignorata, forse perché nessuno gliel’aveva mai spiegato. Il fratello maggiore, che ha curato le pratiche per l’espianto, non ha avanzato sospetti, accettato con sconforto la tesi della disgrazia. Solo la nonna ha detto che "il carcere lo ha ucciso", probabilmente perché il nipote non poteva, dato il suo fisico provato, sostenere l’inferno nel quale da tempo si è trasformato Marassi: la sezione riservata ai "definitivi"è predisposta per 120 persone, oggi l’affollano in 300. Mazzeo adesso sospira, al telefono: "Le cose andranno ancora peggio dopo l’approvazione della ex Cirielli, che inasprisce le pene per i recidivi". Il direttore del carcere aveva appena consegnato gli effetti personali della vittima: una vecchia tuta, qualche maglione, un po’ di biancheria e le scarpe. (Secolo XIX, 2 febbraio 2006)

 

Assistenza sanitaria disastrata: 02 febbraio 2006, Carcere di Rebibbia (Roma)

 

Marco Fiorillo, di 41 anni, muore di Aids nel Reparto Infermeria di Rebibbia. La notizia arriva da una operatrice del carcere romano, con questa lettera: "A Rebibbia Nuovo Complesso è morto di Aids un altro detenuto, Marco Fiorillo, di 41 anni. Dovrebbe essere successo il 2 febbraio. Non ho ancora con precisione tutto il quadro, nel senso che non è sicuro se sia morto proprio in carcere, se cioè fosse già morto quando è stato portato in ospedale (negli ultimi giorni era all’infermeria del Nuovo Complesso, il G14), o sia realmente morto subito dopo, in ospedale, ma poco conta: è certo che è morto e questo, come sapete, è uno dei tanti modi per non conteggiare un morto in più in ambito carcerario. Sto anche cercando di capire perché Marco Fiorillo, quando era evidentemente così grave, fosse ancora detenuto nel circuito carcerario normale, in un normale reparto. So che era stato male durante le vacanze di Natale, che gli avevano fatto delle analisi, ma che poi era stato riportato nel suo reparto, il G9, tanto che fino a un paio di settimane prima, pur saltuariamente, perché continuava a non sentirsi bene, frequentava la scuola. Se vi interessa, quando li avrò, vi invierò altri particolari, ma intanto vorrei che Marco Fiorillo possa essere conteggiato nel numero dei detenuti morti di fatto in ambito carcerario". (Lettera firmata, 18 febbraio 2006)

 

Suicidio: 04 febbraio 2006, Carcere di Biella

 

Emiliano Santangelo, 33 anni, di Carema (Torino), si impicca in cella. Il suo proposito lo aveva comunicato al suo avvocato difensore Filippo Gramatica di Genova. "Un suicidio annunciato - spiega il legale - sin dal momento dell’arresto. Del resto, quando era stato fermato a Genova aveva affermato che si era recato laggiù per annegare in mare e al primo interrogatorio aveva chiesto al giudice che lo stava interrogando, del cianuro. Ora vogliamo sapere come era stato curato in queste ultime settimane nel carcere di Biella".

Santangelo si sarebbe tolto la vita poco prima delle 18 quando è stato scoperto dagli agenti con la testa infilata in una busta di nylon e stretta intorno al collo. Il polso era debolissimo e sono stati subito chiamati i soccorsi. La procura ha disposto per lunedì l’autopsia e ci sarà anche un perito di parte che affiancherà quello del tribunale. Emiliano Santangelo è accusato di aver ucciso a coltellate Deborah Rizzato e poi di averla investita con la sua stessa auto a Trivero (Biella). Nel 2001 Santangelo, titolare di una pensione di invalidità civile al 75 per cento per depressione medio-grave, era già stato condannato dal Tribunale di Biella a tre anni e due mesi di carcere per abusi sessuali nei confronti di Deborah e di altre due ragazze biellesi. Negli anni precedenti erano state numerose le giovani, in alcuni casi anche minorenni, vittime di suoi abusi, violenze, minacce, tentativi di estorsione alle famiglie con filmini erotici delle proprie figlie.

Lo scorso 27 gennaio Santangelo aveva subito una condanna a un anno e otto mesi per tentata violenza carnale nei confronti della madre di Deborah: nel 2000, secondo la ricostruzione, le aveva gentilmente offerto un passaggio e, una volta in auto, le aveva toccato le gambe e i fianchi, fino a chiederle un rapporto sessuale orale. Una volta a casa, la donna aveva riconosciuto il suo aggressore nella foto di un ex fidanzato di Deborah, a quel tempo assieme a una sua amica, cui la ragazza aveva subito chiesto di interrompere la relazione, ricevendone in cambio, da lui, minacce di morte. L’uomo, però, anche durante il processo, ha sempre negato tutto, accusando la famiglia Rizzato di perseguitarlo con "una macchinazione" finalizzata soltanto alla sua incarcerazione. Santangelo era anche in attesa di una perizia psichiatrica per un altro processo che lo vedeva accusato di essersi spacciato per poliziotto e di aver minacciato due minorenni che, con una pistola giocattolo, sparavano ai colombi in piazza del Duomo, a Biella. Sull’omicidio di Deborah Rizzato, invece, Santangelo ha sempre detto di non ricordare nulla. L’assassinio di Deborah era avvenuto al termine di dodici anni di molestie, minacce e ossessivi tentativi di riprendere la relazione, che gli erano valsi anche una diffida dall’incontrare la ragazza. (Gazzetta del Sud, 5 febbraio 2006)

 

Suicidio: 06 febbraio 2006, Carcere di Lecce

 

Mohamed Faleb, tunisino di 24 anni, si suicida impiccandosi in cella: nel carcere di Lecce è il secondo suicidio nel giro di un mese e mezzo. Ogni tentativo di soccorso è stato inutile. Il magistrato di turno, il sostituto procuratore Paola Guglielmi, ha disposto l’autopsia che è stata affidata al medico legale Alberto Tortorella. Accanto all’inchiesta aperta dalla Procura, c’è anche un’indagine interna, avviata dall’amministrazione penitenziaria. Gli accertamenti potrebbero essere utili per fare luce sul suicidio del magrebino. A quanto se ne sa, il tunisino non condivideva la cella con nessuno. E, se corrispondono al vero le notizie fin qui raccolte, pare che il suicidio sia stato scoperto solo un paio di ore dopo. Il nuovo suicidio riporta in primo piano la questione del supercarcere. La struttura è sovraffollata. La situazione allarmante ha trovato eco anche nella relazione del presidente della Corte d’Appello in occasione della cerimonia di apertura del nuovo anno giudiziario. A Lecce, nella struttura di borgo San Nicola, ci sono 1.231 detenuti. Sulla carta ce ne dovrebbero essere poco più di 510. Gli stranieri sono più del dieci per cento. E sempre secondo i dati forniti dal presidente della Corte d’Appello le presenze stranieri si aggirano intorno ai 170.

Dal sovraffollamento deriva l’allarme, lanciato dal presidente del Tribunale di Sorveglianza, sulle ridotte possibilità di assicurare ai detenuti un buon trattamento intramurario ed un’adeguata assistenza sanitaria (sono ricorrenti le patologie per infezioni di Hiv). Il suicidio del giovane tunisino - come si diceva - segue di una quarantina di giorni quello avvenuto alla fine di dicembre. Risale fra Natale e Capodanno il suicidio di un detenuto di Bitonto che si è impiccato nella cella dove si trovava rinchiuso per una rapina compiuta nel Barese. Per togliersi la vita, Gaetano Maggio, 34 anni, aveva usato la cintura dei pantaloni. A dare l’allarme era stato un agente di polizia penitenziaria, ma ogni soccorso fu inutile. (La Gazzetta del Mezzogiorno, 8 febbraio 2006)

 

Morte per cause da accertare: 08 febbraio 2006, Carcere di Messina

 

Salvatore Caruso, 67 anni, finito all’ospedale in seguito ad una presunta aggressione, muore dopo tre gironi di coma. La procura aveva accusato del ferimento l’ergastolano Giuseppe Mulè. Il Gip Massimiliano Micali non ha però accolto la richiesta dei pm in quanto la prima ricostruzione dei fatti non ha trovato riscontri: si pensava che Caruso fosse stato colpito da Mulè con una stampella in quanto non intendeva dare la precedenza al boss per fare la doccia all’interno del carcere. Invece il medico legale Mario Previtera non ha potuto stabilire se il trauma cranico di Caruso, di Noto (Siracusa), sia dovuto ad una caduta accidentale, o sia stato provocato dal Mulè al culmine di una lite. Mulè è indagato dalla Procura per omicidio preterintenzionale, per aver provocato la morte del compagno di cella. Alcuni testimoni scagionano il boss di Villa Lina, sostenendo che Caruso è invece scivolato a causa del pavimento bagnato battendo la testa. (Ansa, 12 febbraio 2006)

 

Suicidio: 15 febbraio 2006, Carcere di Brucoli (SR)

 

A.I., detenuto tunisino di 39 anni, si addice ingerendo una dose mortale di farmaci; a dare l’allarme è stato il compagno di cella. I sanitari del penitenziario hanno tentato di strappare il nordafricano alla morte, ma ogni tentativo è risultato vano. La salma del tunisino, che soffriva di crisi depressive, è stata trasferita all’obitorio dell’ospedale Umberto I° di Siracusa, dove domani sarà effettuata l’autopsia. (La Sicilia, 16 febbraio 2006)

 

Suicidio: 15 febbraio 2006, Carcere Pagliarelli di Palermo

 

Tiziano Moschiera, 34 anni, originario di Palermo, si suicida impiccandosi ad una finestra del carcere. Secondo una prima ricostruzione, l’uomo martedì sera si trovava nel reparto destinato a detenuti sofferenti di malattie psichiche quando ha deciso di annodare alcune lenzuola e di impiccarsi ad una finestra. Soccorso immediatamente, è stato trasportato all’ospedale "Civico", dove è spirato ieri. Moschiera, arrestato per reati contro il patrimonio, era nel carcere di "Pagliarelli" dalla scorsa settimana. (La Sicilia, 16 febbraio 2006)

 

Suicidio: 18 febbraio 2006, Carcere Pagliarelli di Palermo

 

Andrea Anello, 56 anni, si uccide nel carcere di "Pagliarelli", impiccandosi con un lenzuolo. Era indicato come un fedelissimo dell’ex capomafia Nino Giuffrè, oggi pentito, che gli avrebbe fatto avere lavori in subappalto, proteggendolo dalle richieste estorsive. Era stato arrestato giovedì scorso, perché accusato di associazione mafiosa, nel corso del maxi blitz di Trabia (Palermo) che aveva portato in carcere anche politici e imprenditori. Anello, di Caccamo, si è suicidato questa notte. Gli agenti della polizia penitenziaria lo hanno trovato impiccato con un lenzuolo a una sbarra della cella. Era stato interrogato venerdì ed era apparso sereno e risoluto nel respingere le accuse.

La morte dell’imprenditore è stata immediata, secondo quanto ha accertato il medico legale. Il suicidio, per la direttrice del carcere Pagliarelli, Laura Brancato, "potrebbe essere legato a una forte depressione: forse - afferma - non ha saputo superare l’impatto con una nuova realtà. Non aveva mai conosciuto il carcere e ora vi era stato catapultato dentro. Evidentemente, non ha saputo superare un momento di debolezza". Esclude la direttrice, invece, ogni legame con un altro suicidio, avvenuto nei giorni scorsi: "Sono fatti diversi - spiega - in quel caso si trattava di un giovane con problemi psichiatrici. Il nostro è un carcere moderno, che presta molta attenzione ai detenuti". (Il Giorno, 19 febbraio 2006)

 

Suicidio: 22 febbraio 2006, Carcere di Massa

 

M.R., 45 anni, di origini napoletane, s’impicca nella cella che condivideva col fratello. Ha strappato un lenzuolo e lo ha rigirato a mo di corda, poi ha legato la fune alle sbarre del bagno della sua cella e si è messo il cappio al collo. Infine è salito su uno sgabello e si è lasciato andare penzoloni. A pochi metri da quei suoi ultimi respiri stavano dormendo il fratello e un altro detenuto. L’altra sera si è tolto la vita così M.R., venditore di cocco napoletano finito nel carcere di Massa per un accumulo di pene l’estate scorsa. Non se lo aspettava nessuno un gesto del genere da un uomo così. Non se lo aspettava il fratello, di due anni più giovane e come lui finito in carcere per dei piccoli reati; non se lo aspettava neanche l’altro detenuto. I tre avevano visto la partita di Champions League mercoledì, quella dell’Inter. Avevano esultato per le reti dei nerazzurri, poi avevano preso i farmaci prescritti dal medico della casa circondariale ed erano andati a dormire. Erano da poco passare le 23. L’ex venditore di cocco sulla spiaggia ha deciso di impiccarsi proprio mentre a Massa si verificava un black out. Una prima interruzione di corrente, qualche istante di luce e poi ancora buio. In mezzo un po’ di grida di scherno di chi stava dietro le sbarre ("pagate la luce"). Il caos ha svegliato il compagno del suicida, che si è alzato per andare a fare pipì. Arrivato sulla soglia della porta ha lanciato un urlo. A quel punto gli agenti hanno cominciato a controllare le celle con le torce elettriche. Quando sono arrivati davanti alla stanza occupata dai due fratelli sono entrati e hanno visto M.R. penzoloni. Quando lo hanno tirato giù l’uomo era cianotico, ma il cuore seppur debolmente batteva ancora. Il medico di guardia, che si trovava al piano di sopra, ha tentato di rianimarlo. Inutilmente. Lo hanno portato in infermeria, gli hanno fatto un elettrocardiogramma. E hanno dovuto arrendersi al decesso. Ma perché M.R. si è tolto la vita? Qualcuno dice che era depresso da diverso tempo, chi gli è stato vicino fino all’ultimo però non la pensa così. Stava male da giorni: aveva dei dolori addominali che non lo facevano dormire la notte. Aveva fatto degli accertamenti, anche una visita specialistica. Non gli avevano trovato niente, gli aveva prescritto una cura ma nulla di importante. Temeva che non lo volessero curare e si è lasciato andare. In fondo per deprimersi basta poco e anche il più piccolo problema a quel punto pare una disgrazia. L’altra sera ha deciso che era meglio farla finita. (Il Tirreno, 24 febbraio 2006)

 

Suicidio: 26 febbraio 2006, Carcere di Rossano Calabro

 

Asmelash Merhawui, 28 anni, di nazionalità eritrea, si impicca con un filo sottile alle sbarre della cella d’isolamento. I medici del 118, chiamati dagli agenti di polizia penitenziaria, hanno constatato la morte del giovane per soffocamento. M.A., in attesa di giudizio, proveniva dal carcere di Crotone ed era a Rossano da pochi giorni. Era accusato di traffico di clandestini e favoreggiamento della prostituzione. Il sostituto procuratore della Repubblica di Rossano, Alessia Notaro, ha disposto l’autopsia che sarà effettuata domani nell’obitorio dell’ospedale dove è stata trasportata la salma. (Ansa, 26 febbraio 2006)

 

Assistenza sanitaria disastrata: 26 febbraio 2006, Carcere di Secondigliano (NA)

 

Antonio Daddio, 75 anni, cardiopatico, muore nel Centro Diagnostico Terapeutico dell’Istituto Penitenziario di Secondigliano, sempre più "area di parcheggio in attesa della morte" per decine e decine di detenuti. È pure la riprova dell’inutilità di centri clinici interni agli istituti di pena: burocrazia, visti, permessi ed inadeguatezza delle strutture vanificano ogni intervento d’urgenza quale il ricovero in struttura ospedaliera. Fatta eccezione per pochissimi CDT, quali il Don Bosco di Pisa, dotato di sala di rianimazione e di terapia intensiva, non servono assolutamente a niente anche per la cronica mancanza di medicinali. All’interno del CDT di Secondigliano, vi sono almeno altri 5 casi ad altissimo rischio di morte. (Napoli - Movimento per la difesa dei diritti umani, 28 febbraio 2006)

 

 

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