Dossier: "Morire di carcere"

 

"Morire di carcere": dossier maggio 2006

Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose

 

Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nel mese di maggio registra 8 nuovi casi: 6 suicidi e 2 morti per malattia.

 

Nome e cognome

Età

Data morte

Causa morte

Istituto

Domenico Libri

72 anni

01 maggio 2006

Malattia

Secondigliano (NA)

Habteab Eyasu

36 anni

14 maggio 2006

Suicidio

Civitavecchia (RM)

Luca Carroccia

37 anni

15 maggio 2006

Suicidio

Rebibbia (RM)

Lucio Addeo

44 anni

20 maggio 2006

Suicidio

Secondigliano (NA)

Maurizio Ciccatelli

34 anni

20 maggio 2006

Suicidio

Volterra (SI)

Pino Lorenzo

46 anni

23 maggio 2006

Suicidio

Secondigliano (NA)

Detenuto italiano

50 anni

30 maggio 2006

Suicidio

Iglesias (CA)

Filippo Benevolenza

65 anni

31 maggio 2006

Malattia

Pisa

 

Assistenza sanitaria disastrata: 1 maggio 2006, Carcere di Secondigliano (Napoli)

 

Domenico Libri, 72 anni, muore nel centro clinico del carcere di Secondigliano (Napoli), dov’era detenuto da marzo. Domenico Libri era ammalato da tempo e stava scontando una condanna definitiva all’ergastolo. Era tornato in carcere dallo scorso primo marzo perché, mentre si trovava agli arresti domiciliari per via della malattia terminale che lo aveva colpito, era stato coinvolto nell’indagine della Guardia di Finanza di Reggio Calabria denominata "Rifiuti Spa", una storia relativa ad appalti in odore di mafia di alcune discariche esistenti a Reggio Calabria. Per questo il Gip di Reggio aveva emesso nei suoi confronti un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, motivata dal pericolo che l’uomo inquinasse le prove. Prima di tornare in carcere aveva trascorso alcuni anni ai domiciliari, perché il Tribunale di sorveglianza di Firenze gli aveva concesso la libertà perché "in gravi condizioni di infermità fisica". (Apcom, 3 maggio 2006)

 

Suicidio: 14 maggio 2006, Carcere di Civitavecchia

 

Habteab Eyasu, 36 anni, eritreo, si uccide impiccandosi in una cella di isolamento della Casa Circondariale di Civitavecchia. Il giovane si trovava nel carcere di contrada Aurelia da circa due mesi, rinchiuso nella sezione di Alta Sicurezza. A seguito violento litigio con due compagni (che sono tuttora ricoverati in ospedale) era stato isolato in una cella appositamente predisposta, ma dopo soli venti minuti l’agente in servizio l’ha trovato impiccato.

 

Roma: suicidi in carcere, protesta comunità dei rifugiati eritrei

 

Corriere della Sera, 9 giugno 2006

 

Uno è morto nel carcere di Civitavecchia; un altro, un mese e mezzo prima, in cella a Catanzaro. Più di 300 eritrei hanno manifestato ieri davanti al ministero della Giustizia per chiedere il conto di questi suicidi tra le sbarre. "Hanno promesso che faranno il possibile per chiarire cosa è successo", spiega Mussie Zerai, presidente dell’associazione Selam, uno dei membri della delegazione che è stata ricevuta.

Asmelash Merhawui, 28 anni, si è impiccato nel Carcere di Catanzaroil 26 febbraio scorso. È stato sepolto senza nemmeno avvertire la famiglia, che ora, dubitando del suicidio, vuole la riesumazione della salma. Il 14 maggio è toccato a Eyasu Habteab, 36 anni, in isolamento per una rissa, il giorno prima, con un altro detenuto. L’immigrato, rifugiato politico, era in carcere per associazione a delinquere, riduzione in schiavitù, immigrazione clandestina. Ma, secondo i congiunti e la comunità eritrea, era stato fermato in circostanze poco chiare.

L’inchiesta della procura di Civitavecchia ha stabilito che Habteab si è impiccato. Ma per l’avvocato Luca Santini i punti da chiarire sono altri: "Perché era stato arrestato? E perché, vista l’aggressività del giorno precedente, non era sorvegliato?". "L’amministrazione penitenziaria è tranquilla", ribatte il direttore del carcere, Giuseppe Tressanti. Ma la zia Sara Tseghe Paulos insiste: "Vogliamo la verità, Eyasu era venuto in Italia per vivere, non per morire.

 

Roma: rifugiati eritrei; chiarezza sulla morte di Habteab

 

Redattore Sociale, 9 giugno 2006

 

Manifestazione della comunità eritrea a Roma davanti al ministero della giustizia: un centinaio di persone per chiedere che il guardasigilli faccia chiarezza sulla misteriosa morte di Habteab Eyasu, 37 anni, rifugiato in Italia da 3 anni, sposato con due bambini, trovato morto in cella di isolamento lo scorso 14 maggio nel carcere di Civitavecchia. Sul tavolo anche il caso della morte un mese fa a Catanzaro di un altro detenuto eritreo. Ufficialmente entrambi si sono impiccati, ma le foto scattate dai familiari al cadavere di Habteab sembrano smentire la versione delle autorità.

Dopo aver visto ematomi e ferite sul volto e sulle braccia del cadavere, la famiglia ha incaricato un avvocato - Luca Santini - di verificare l’attendibilità della versione ufficiale dei fatti. La richiesta è arrivata quando l’autopsia era già stata effettuata, su disposizione dell’autorità giudiziaria di Civitavecchia, che in questi casi può non consultare i parenti. L’avvocato ha quindi chiesto che un medico, il dottor Caringi Cristiano, potesse verificare il tipo di lesioni osservate dai familiari di Habteab. I segni dell’impiccamento ci sarebbero, la vertebra cervicale è rotta. Ma è anche vero che dopo due settimane dall’autopsia non si può capire se la rottura della cervicale sia stata provocata per creare ad arte la scena del suicidio. La ferita alla nuca invece sarebbe stata provocata dagli esami necrologici per verificare le cause di morte. "Nelle verifiche non sono emersi elementi sufficienti a dubitare del suicidio" secondo l’avvocato, il referto ufficiale dell’autopsia non arriverà prima di metà luglio, ma quel che è certo è che non si rifarà.

Le foto mostrano segni di maltrattamento sul corpo di Habteab. Secondo indiscrezioni questi sarebbero stati causati da una colluttazione avvenuta il giorno prima del decesso con un altro detenuto, su cui è in corso un’indagine dei carabinieri. Quest’ultimo sarebbe stato medicato per la rottura del setto nasale, ma nulla si sa su quanto accaduto successivamente a Habteab, se non che è stato subito trasferito in cella di isolamento. Ecco i primi motivi di perplessità. L’isolamento non può essere disposto senza un previo parere medico-psicologico, che verifichi la capacità della persona di sopportare uno stress ulteriore a quello della detenzione. Ancora non è chiaro se il parere sia stato dato o meno, ma ad ogni modo - visti i risultati - l’intervento non è stato sufficientemente pesato. E comunque in questi casi è buona norma togliere dalla cella tutti gli oggetti con cui è possibile procurarsi lesioni, quindi anche le lenzuola. Per gli agenti del carcere di Civitavecchia si presenta quindi l’ipotesi di responsabilità di omissione e di mancata vigilanza. Oltretutto l’istituto penale non è nuovo ad episodi simili: il 15 settembre 2004 si impiccava M.C., polacco, 45 anni, e un anno dopo, il 31 marzo 2005, moriva nello stesso modo un detenuto rumeno di 30 anni. Inoltre "ci sono spesso episodi di autolesionismo, a volte gravi", si legge nel rapporto dell’Associazione Antigone, a riprova delle dure condizioni di questa casa circondariale.

Ma le perplessità del caso riguardano anche l’arresto e l’interrogatorio. Habteab era accusato dalla Procura di Crotone - sulla base di alcune intercettazioni telefoniche - di associazione a delinquere, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e riduzione in schiavitù. Il suo arresto è avvenuto all’aeroporto di Fiumicino, ma ancora non è chiaro se sia stato arrestato in Inghilterra su mandato europeo o se dall’Inghilterra sia stato espulso e poi identificato alla frontiera italiana. Durante l’interrogatorio a Civitavecchia Habteab non ha avuto la possibilità di parlare nella sua lingua, il tigrino. L’interprete era di nazionalità etiope e i due comunicavano in inglese, una lingua che Habteab conosceva poco bene. Habteab si era comunque dichiarato innocente nel merito delle accuse, sebbene ammettesse di conoscere gran parte delle persone della presunta associazione su cui indagava Crotone. Insomma il materiale per riaprire il caso non manca. Per questo una delegazione dei manifestanti questa mattina è stata ricevuta da Stefano Anastasia, capo segreteria del sottosegretario alla giustizia Luigi Manconi, e gli ha chiesto che il Ministero apra un’indagine sul caso. "Tra 10 giorni - promettono i manifestanti - torneremo a chiedere conto dei fatti".

 

Roma: lettera al Parlamento da comunità dei rifugiati eritrei

 

Ristretti Orizzonti, 9 giugno 2006

 

Onorevoli Senatori e Deputati,

la comunità dei rifugiati Eritrei, ha indetto una manifestazione per giovedì 08.06.2006 ore 9.00 davanti al ministero della grazie e giustizia. Dopo le recenti arresti e morti in carcere di Civitavecchia e Crotone, di due cittadini Eritrei in circostanze poco chiare per noi, abbiamo ritenuto opportuno fare questa manifestazione per sollecitare una inchiesta ministeriale che accerti la verità dei fatti, sul perché queste persone si trovavano in carcere, su quali prove ci sono a carico di questi ultimi, perché e come sono morti in carcere, a distanza di un mese l’uno dall’altro? Ci risulta che di recente è morto nel carcere di Civitavecchia anche un cittadino Nigeriano: come si spiegano tute queste morti a distanza di pochi giorni? Chiediamo la solidarietà e il sostegno di tutti affinché venga fatta piena luce su questa vicenda. Grazie per la vostra attenzione.

 

Mosè Zerai, Presidente dell’Agenzia Habeshia

Via Casilina, 634 - 00177 Roma

Tel. 06.2411405 - Fax. 06.24304412 - Cell. 3384424202

 

Civitavecchia: troppi misteri sulla morte del detenuto eritreo

 

Il Manifesto, 9 giugno 2006

 

Nelle fotografie scattate all’ospedale di Civitavecchia Habteab Eyasu ha un ferita in fronte, e dietro la nuca una grande macchia rossa di sangue. Sara Tseghe Paulous, sua zia, arrivata appositamente dall’Arabia Saudita, mostra il cadavere del nipote e dice a chiare lettere: "Io ora voglio sapere cosa è accaduto. Non credo che si sia suicidato. Perché chi si suicida non ha queste ferite in faccia".

Habteab era eritreo e aveva 37 anni. Domenica scorsa è morto nella casa circondariale di Civitavecchia, dove era stato rinchiuso in seguito a un’espulsione dall’Inghilterra. "Ormai viveva in Italia da quasi tre anni - racconta un suo amico eritreo - siamo arrivati insieme con la barca a Lampedusa, poi siamo passati per il cpt e per il centro di accoglienza. Abbiamo ricevuto tutti e due lo status di rifugiato". Subito dopo, Habteab si è spostato a Bologna. Tre mesi fa ha avuto una bambina dalla sua compagna, Nasthinet, anche lei eritrea e rifugiata in Italia.

Ha deciso che doveva guadagnare di più, che doveva trovare un lavoro migliore e ha tentato la carta dell’Inghilterra, come fanno in molti. Ma da Londra è stato rimandato in Italia, ed è finito in carcere, forse a causa di qualche precedente pendenza penale. Non si sa con precisione, perché i suoi amici, i suoi parenti, la sua compagna non lo sentivano ormai da qualche giorno e erano piuttosto preoccupati. Finché l’amico che ha condiviso con lui l’esperienza del viaggio, riceve una telefonata dal Comune di Crotone martedì 16 maggio: "Mi comunicano che Habteab è morto il 14 maggio, in carcere, a Civitavecchia. Non ci capivo niente, ho avvertito i suoi parenti e mi sono precipitato a Roma". La notizia, inizialmente, è che Habteab si è suicidato, impiccandosi.

Ma quando, l’altro ieri, gli amici e i parenti si sono recati nell’ospedale di Civitavecchia per vedere la salma, sono rimasti a bocca aperta: Habteab presentava delle chiare lesioni in viso. E secondo quanto riferito da un medico, ci sarebbero anche lesioni sul resto del copro, che però non è stato mostrato ai parenti. Non sapendo che fare, gli amici hanno iniziato a scattare fotografie e ieri si sono messi in contatto con un avvocato.

Ieri, nel centro autogestito di via Collatina - occupato da un gruppo di immigrati e da Action dopo la "cacciata" dal famoso "Hotel Africa" della Tiburtina - è stata allestita una specie di camera ardente, anche se la salma non c’è perché è rimasta in ospedale. La zia, con il velo nero, sta seduta su una sedia, Nasthinet coccola la figlia, lungo le pareti amici di vecchia data di Habteab e i suoi parenti arrivati da Milano, Bologna, Crotone. La signora Sara è una donna che gira il mondo.

È una suora laica delle "Figlie di S. Anna", istituite alla fine dell’800 dalla beata genovese Anna Rosa Gattorno. Racconta di aver parlato con il personale della casa circondariale: "Prima mi hanno detto che si è impiccato con un lenzuolo, poi con un cordone. Mi hanno detto che era solo nella cella, lo avevano spostato perché aveva litigato con un altro detenuto. Io gli ho detto che chi si impicca non si spacca la testa. Loro mi hanno risposto che quando hanno tagliato il cordone il corpo è caduto e ha sbattuto a terra. Ma allora perché aveva una ferita anche dietro la nuca?".

Domande inquietanti, tanto più che la casa circondariale di Civitavecchia non è nuova a tristi episodi di cronaca. Una lunga scia di suicidi, a volte misteriosi, sovraffollamento e mancanza di personale. Il senatore di Rifondazione comunista Francesco Martone ha presentato un’interrogazione parlamentare sulla morte di Habteab: "Una vicenda allarmante che pone di nuovo all’attenzione la casa circondariale di Civitavecchia per il triste primato di decessi in carcere. Una struttura che è più una casa di Reclusione che una Circondariale, con problemi gravi e cronici che rendono gravoso per molti aspetti il clima complessivo dell’istituto".

 

N.d.R. Per chi volesse approfondire questo caso, avvertiamo che in redazione abbiamo la fotografia del corpo di Habteab Eyasu al termine dell’autospia. La fotografia è stata fornita dai famigliari con la specifica richiesta di sollecitare un’indagine sulla morte del loro congiunto.

 

Suicidio: 15 maggio 2006, Carcere di Rebibbia (Roma)

 

Luca Carroccia, 37 anni, si uccide nella sezione "Alta Sicurezza" di Rebibbia Nuovo Complesso. Piuttosto fragile psicologicamente, l’uomo era stato comunque rinchiuso in una cella di isolamento.

Aveva due figli ed era reduce da alcuni ricoveri sanitari per problemi di grave depressione. Era tornato in carcere a metà aprile, per aver infranto le regole della misura alternativa al carcere per ragioni sanitarie di cui godeva: era stato trovato "fuori percorso stabilito" mentre andava a trovare i figli che vivono con la madre da cui era separato. A Rebibbia era nel G12, il reparto di "Alta Sicurezza" e da lì, per una banale lite nell’ora d’aria, Carroccia era stato trasferito in isolamento. Il garante regionale dei detenuti, Angelo Marroni denuncia queste morti da carcere e si chiede perché mai un uomo con crisi depressive fosse in isolamento e non in infermeria. "Il suo posto - dice Marroni - avrebbe dovuto essere il G14 e non una cella chiusa con lo spioncino chiuso". (Corriere della Sera, 24 maggio 2006)

 

Suicidio: 20 maggio 2006, Carcere di Secondigliano (Napoli)

 

Lucio Addeo, 44 anni, si uccide in cella. "Anna, bada ai bambini, lo farò anch’io a mio modo": è il disperato testamento di un padre sussurrato alla moglie incinta del terzo bimbo nel parlatorio del carcere di Secondigliano. Lucio Addeo, di Palma Campania, incensurato, titolare di una delle più floride aziende di frutta secca, è stato trovato due giorni fa a ora di pranzo con un lenzuolo stretto alla gola. Si è impiccato nella cella in cui era recluso da solo perché accusato di tentata estorsione per conto del clan Cava, un gruppo criminale attivo nella zona del Vallo di Lauro. Lui si era sempre proclamato innocente, anzi aveva spiegato di essere stato lui vittima di degli estorsori del clan.

La famiglia ora sta valutando di sottoporre il suo caso all’attenzione del ministero della giustizia. "Si è ucciso per dimostrare a tutti che era una persona pulita - spiega la moglie Anna Imblema - per dare un futuro ai figli. La vergogna di essere accusato di essere vicino alla camorra lo aveva portato alla disperazione. Ultimamente mi ripeteva sempre di badare ai bambini e ora so cosa voleva dirmi".

Arrestato lo scorso 27 marzo era stato rinchiuso prima a Poggioreale e poi trasferito a Secondigliano. Il tribunale del riesame aveva respinto la richiesta di revoca della misura cautelare e così era rimasto dietro le sbarre. Non è riuscito a vedere i primi passi del più piccolino, di appena un anno, che pochi giorni fa ha cominciato a camminare da solo, non conoscerà mai il bambino che Anna porta in grembo.

"Ha sostenuto sette interrogatori - spiega il suo legale Carmine Del Genio - e il momento più duro è stato quello del confronto. Sentiva molto la pressione di questi lunghi incontri, non era abituato, come non era abituato al carcere. Ha spiegato tutto e aspettava che la giustizia gli andasse incontro, invece non è andata così. Anzi lo avevano messo in cella da solo".

La Dda fa sapere che gli interrogatori erano finiti solo sabato scorso, la vicenda non sembrava del tutto chiarita, non c’era nulla che facesse prevedere l’intenzione dell’indagato di suicidarsi e comunque nei giorni successivi non erano state presentate istanze di scarcerazione. Addeo era titolare della Ital Nocciole, un’azienda che, secondo quanto riferito dal legale di famiglia, fattura ogni anno decine di milioni di euro fornisce aziende di rilievo nazionale e internazionale come la "Ferrero" e la "Panforte Sapori". (Il Mattino, 22 maggio 2006)

 

Suicidio: 20 maggio 2006, Carcere di Volterra

 

Maurizio Cicatelli, 32 anni, si impicca in cella. Era stato trasferito dal carcere di Porto Azzurro a Volterra nel 2004. L’uomo soffriva di crisi depressive, anche se nell’ultimo anno si era sposato (il matrimonio era avvenuto lo scorso gennaio, con la donna che pochi anni prima gli aveva dato una bambina) e sembrava aver cominciato una nuova vita nonostante fosse costretto a restare in carcere ancora fino al 2012.

Cicatelli, originario di Battipaglia in provincia di Salerno, stava scontando una condanna definitiva per omicidio ed evasione per un fatto avvenuto diversi anni fa. Dopo la morte, che è stata scoperta da un agente di polizia penitenziaria, la salma è stata trasportata a Pisa all’istituto di medicina legale. Del suicidio è stata infatti informata l’autorità giudiziaria come sempre succede in questi casi. Sulla salma è stata già effettuata l’autopsia per accertare se la morte sia avvenuta per soffocamento. La notizia è stata tenuta molto riservata: delle attività di polizia giudiziaria si sono occupate le stesse guardie penitenziarie. (Il Tirreno, 24 maggio 2006)

 

Suicidio: 23 maggio 2006, Carcere di Secondigliano (Napoli)

 

Pino Lorenzo, 46 anni, si uccide impiccandosi in una cella del carcere di Secondigliano. Napoletano e padre di tre figli avrebbe finito di scontare la sua pena nel 2007. Sale così a due il numero dei detenuti che si sono suicidati in una sola settimana a Secondigliano. Il 18 maggio, infatti, Lucio Addeo, 44 anni di Palma Campania, incensurato, titolare di una delle più floride aziende di frutta secca, è stato trovato, verso ora di pranzo, con un lenzuolo stretto alla gola. Anche lui si è impiccato nella cella dove era recluso da solo perché accusato di tentata estorsione per conto di un clan. Addeo, tuttavia, si era sempre proclamato innocente, anzi aveva spiegato di essere lui stesso vittima degli estorsori del clan. Probabilmente alla base di un gesto così estremo c’era la vergogna per una carcerazione da lui ritenuta ingiusta.

Una storia molto diversa quella di Pino Lorenzo. Le porte di Poggioreale si erano aperte una prima volta per lui qualche anno fa ma, dopo tredici mesi di reclusione, era stato riconosciuto innocente del reato contestatogli ed era tornato in libertà. Ma solo per pochi mesi perché, in base alla legge ex Cirielli era stato nuovamente arrestato per un precedente reato, alla fine del 2005. A marzo aveva però lasciato Poggioreale, dove era seguito dallo staff medico del penitenziario per essere trasferito nella I sezione di Secondigliano.

Durante la detenzione i suoi problemi di salute si erano però aggravati. "È la cronaca di una morte annunciata - dice padre Fabrizio Valletti, gesuita, da anni assistente volontario alle carceri e che ha seguito Lorenzo durante la detenzione -. I suoi pur gravi problemi di salute erano infatti già noti come pure si era a conoscenza della sua volontà di togliersi la vita. Più volte infatti aveva tentato il suicidio. È grave non aver provveduto così come prevede l’ordinamento carcerario, a seguirlo con la dovuta attenzione. Magari avrebbero potuto essere adottate, date le sue condizioni provvedimenti alternativi". Dal carcere, però, nessuna dichiarazione sull’accaduto.

Nonostante i ripetuti tentativi di ottenere un commento sull’episodio, dall’istituto fino a tarda sera hanno risposto che non erano presenti responsabili abilitati a rilasciare dichiarazioni. A dare notizia della morte di Lorenzo è stata l’associazione Antigone Napoli che ha costituito un osservatorio nazionale sulle condizioni della detenzione. "È amaro constatare - dice il portavoce Dario Stefano Dell’Aquila - che si tratta di un fenomeno in aumento. Tre suicidi in pochi mesi rappresentano un fenomeno allarmante. Ci auguriamo che il ministro della Giustizia intervenga per interrompere questa triste contabilità". (Il Mattino, 26 maggio 2006)

 

Suicidio: 30 maggio 2006, Carcere di Iglesias (CA)

 

Detenuto italiano di 50 anni si uccide impiccandosi. L’uomo era stato trasferito nella casa circondariale di Iglesias dalla colonia penale di Mamone, in quanto era stato trovato in possesso di un telefonino. In questi casi la legge prevede una punizione severa.

Il detenuto - un sardo che doveva scontare solo un altro anno di pena - è stato rinchiuso per due mesi in cella di isolamento. Contro il provvedimento aveva immediatamente presentato reclamo e la direzione del carcere aveva dato parere favorevole perché uscisse dall’isolamento.

Il tribunale di sorveglianza aveva accolto l’istanza ma l’uomo era ormai fortemente provato dai mesi di detenzione dura. Dopo due giorni di regime normale, quando sembrava che stesse per riprendersi, si è tolto la vita. Inutile il tentativo disperato dei medici del carcere di salvarlo. (Agi, 1 giugno 2006)

 

Assistenza sanitaria disastrata: 31 maggio 2006, Carcere di Pisa

 

Filippo Benevolenza, 65 anni, muore nel Centro Clinico del carcere di Pisa. La notizia della sua morte viene diffusa dal sito internet www.informacarcere.it, che riceve la lettera di un compagno di detenzione di Filippo. Ecco alcuni stralci di questa lettera: "Di solito, a un fatto, viene consigliato premettere un’introduzione, ma mi è difficile farla quando a caldo vengo a sapere che questa notte, 31 maggio 2006, è deceduto Filippo, detenuto al Don Bosco di Pisa da oltre sei anni, su un totale di 16 anni per reati vari, ma non di sangue. Era ubicato al piano terra, io di fronte alla sua cella, mentre ora sono al piano di sopra. Avevo avuto modo di conoscerlo: più anziano di me, aveva 65 anni. Di modi gentili e educato, aveva gravi patologie cardiovascolari e aveva subito vari infarti. È morto per una banale operazione di ernia: evidentemente il suo fisico debellato da numerosi e gravi patologie non ha retto ad una semplice operazione. Di certo aveva tutti i requisiti per morire a casa, da uomo libero, invece la motivazione dell’ultimo rigetto all’istanza per ottenere la detenzione domiciliare recitava così: il Benevolenza Filippo può essere egregiamente curato presso il centro clinico Don Bosco di Pisa, fiore all’occhiello dei servizi ospedalieri carcerari…

Purtroppo la verità è ben diversa... il fiore all’occhiello menzionato nell’ordinanza si traduce in fiori di noi detenuti che per via del volontariato lasceremo sulla sua bara. Ciao Filippo, da cristiano che sono, sono certo che davanti al Giudice dove sei ora hai in tasca quella misericordia e perdono che il giudice di questa terra ti ha negato. Sono sempre più convinto che sarò veramente onesto quando vivrò in una società veramente giusta. Giuseppe, Carcere di Pisa. (www.informacarcere.it, 5 giugno 2006)

 

 

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