Dossier: "Morire di carcere"

 

"Morire di carcere": dossier luglio 2006

Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose

 

Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nel mese di luglio registra 4 nuovi casi: 1 suicidio, 1 morte per malattia, 1 per cause accidentali e 1 per cause da accertare.

 

Nome e cognome

Età

Data morte

Causa morte

Istituto

Carmelo Perrone

43 anni

01 luglio 2006

Malattia

Secondigliano (NA)

Vincenzo Puzone

36 anni

03 luglio 2006

Da accertare

Como

Andrea Monina

32 anni

05 luglio 2006

Accidentale

Ancona

Daniele L.

33 anni

25 luglio 2006

Suicidio

San Vittore (MI)

 

Assistenza sanitaria disastrata: 1 luglio 2006, Carcere Secondigliano (Napoli)

 

Carmelo Perrone, 43 anni, proveniente dall’Istituto penitenziario di Secondigliano muore il primo luglio all’ospedale Cardarelli. Ne da notizia l’Associazione Antigone - Napoli, che nel 1998 ha costituito l’Osservatorio Nazionale sulla detenzione. "Carmelo Perrone - ha dichiarato Dario Stefano Dell’Aquila, presidente dell’Associazione - è stato ricoverato in ospedale appena due giorni prima il suo decesso. Ci risulta che sia arrivato in ospedale in condizioni ormai critiche e disperate e che non fosse ricoverato nel Centro Clinico ma semplicemente nella sezione Infermeria".

"È incredibile, ha proseguito il portavoce - che un detenuto di appena 43 anni, sofferente di cirrosi epatica, muoia così nell’indifferenza generale, senza ricevere una concreta possibilità di cura. A noi risulta che quello di Petrone è l’undicesimo decesso (di cui tre suicidi) dall’inizio del 2006 in questo istituto". "Non vogliamo - conclude Dell’Aquila - sollevare generiche accuse, rispettiamo il lavoro di tutti gli operatori della pena e siamo consapevoli della difficoltà di gestione che complessivamente sconta il sistema penitenziario nazionale e campano. Eppure riteniamo urgente e non rinviabile che si intervenga per accertare le dinamiche e le cause di questa triste serie di decessi". (Associazione Antigone Napoli, 8 luglio 2006)

 

Morte per cause da accertare: 3 luglio 2006, Carcere Bassone di Como

 

Vincenzo Puzone, 36 anni, muore all’Ospedale Sant’Anna, dove era stato ricoverato tre giorni prima, proveniente dal carcere del Bassone. Secondo la denuncia del fratello pubblicata su internet anche dal blog di Beppe Grillo, le gravi condizioni di salute del detenuto sarebbero state a lungo ignorate, e la morte sarebbe stata provocata da uno choc settico derivante da una encefalopatia epatica di cui nessuno si era interessato, nonostante le reiterate richieste di assistenza. Vincenzo era stato arrestato nel dicembre scorso e rinchiuso nel carcere di San Vittore dove, sempre secondo la denuncia del fratello, venne aggredito dai compagni di cella, che gli procurarono lesioni suturate con 130 punti e che costrinsero i sanitari ad asportargli la milza.

Trasferito a Como, fece domanda per entrare in una comunità per disintossicarsi e ottenne la disponibilità di un centro di Varese ad accoglierlo ma il giudice di sorveglianza gli negò il ricovero. A quel punto il detenuto tentò il suicidio ma venne fermato in tempo. Dopo qualche giorno si aggravò ma - secondo il fratello - pur facendo più volte presente al personale del carcere di stare male, questi non lo ricoverarono finché non lo trovarono in coma senza più quasi segni di vita. La direzione della Casa circondariale, pur non volendo entrare nel merito della inchiesta in atto, conferma che Vincenzo ricevette il consenso alla scarcerazione il 21 giugno scorso. (Ansa, 13 luglio 2006)

 

Dal Blog Di Beppe Grillo

Lettera di Enrico, fratello di Vincenzo

 

Caro Beppe, le scrivo per segnalarle ciò che è accaduto a mio fratello Vincenzo detenuto nel carcere di Como e poi ammalatosi e morto in circostanze ancora da chiarire. Mio fratello aveva 35 anni quando fu arrestato a dicembre del 2005 ed era un tossicodipendente, aveva commesso un reato ma era già malato di una grave forma di cirrosi. Appena entrato a San Vittore fu preso di mira da un gruppo di detenuti che lo picchiò selvaggiamente fino a mandarlo in coma tra l’indifferenza delle guardie del carcere. Ricoverato al Policlinico di Milano gli fu asportata la milza e dati 130 punti di sutura. Ma al Policlinico dichiararono la compatibilità con il carcere e fu trasferito a Como.

Qui appena riavutosi fece domanda per entrare in una Comunità per disintossicarsi ed ottenne la disponibilità di un centro di Varese ad accoglierlo ma il giudice di sorveglianza gli negò la comunità. Mio fratello tentò il suicidio allora, ma fu fermato in tempo. Dopo qualche giorno si aggravò malamente per il fegato e per una terribile malattia che si chiama sepsi e pur facendo più volte presente al personale del carcere di stare male, questi non lo ricoverarono finché non lo trovarono in coma senza più quasi segni di vita.

Entrò così al Sant’Anna con una diagnosi di encefalopatia epatica e di uno shock settico che aveva devastato tutti gli organi. I medici ci dissero subito che c’erano poche speranze e mio fratello a soli 36 anni si è spento 3 giorni fa e adesso finalmente la procura di Como ha aperto una inchiesta perché "sospetta" una morte colposa. Vede Grillo, io non so nemmeno se Lei mi leggerà, e so che mio fratello non era meglio di tante vittime della giustizia ed era anche una persona che aveva commesso reati, ma era mio fratello, il mio sangue, e lo hanno lasciato morire nell’indifferenza generale. Forse perché non era né un politico né un ex regnante, né un manager, ma era solo un ragazzo sfortunato. Se può fare qualcosa le sarei davvero grato.

 

Enrico Puzone

 

La storia di Vincenzo Puzone, di Enrico Puzone

 

La storia di Enzo è semplice e terribile al tempo stesso.

Arrestato a dicembre e portato a San Vittore, fu subito vittima di un violento pestaggio che lo ridusse in coma e lo fece ricoverare al civilissimo Policlinico di Milano dove i medici gli asportarono la milza e diedero 130 punti di sutura. Rilevarono altresì la presenza di una cirrosi epatica in atto ma pensarono bene di dichiarare la compatibilità con il carcere.

Enzo venne così trasferito nudo, con il solo camice dell’ospedale in gennaio, al Bassone di Como, dopo che le guardie impedirono a nostra madre di dargli almeno un paio di mutande.

in gennaio partì la richiesta per l’affidamento in comunità vista la sua tossicodipendenza e le gravissime condizioni fisiche e pur ottenendo la disponibilità di 1 centro di Varese, il giudice dott.ssa Amicone del tribunale di Varese respinse la richiesta.

Il ragazzo tentò prima il suicidio ma fu salvato in tempo e poi si aggravò fino a rendere insufficiente persino la possibilità di espletare i normali bisogni fisici con grave imbarazzo dello stesso che veniva dileggiato dai suoi stessi compagni assolutamente incapaci di capire la grave malattia che lo stava divorando.

Pur chiedendo più volte aiuto ai sanitari del Bassone, il ragazzo veniva imbottito di psicofarmaci e di manganellate. La cirrosi si trasformò in encefalopatia epatica e la sepsi aggredì tutti gli organi fino a portarlo in coma dove fu tenuto una intera giornata in cella controllato da un detenuto piantone senza la minima cura.

Arrivato finalmente al pronto soccorso gli fu riscontrata, oltre alla encefalopatia e allo shock settico, una ustione fortissima sull’osso sacro provocata probabilmente da un ferro da stiro o da una caffettiera: i risultati autoptici diranno di più, fu l’ultimo marchio prima di uscire dal carcere.

Una volta al Sant’Anna e nonostante i medici ci dissero che non c’erano speranze era continuamente piantonate da due guardie.

Un ragazzo morente, senza alcuna possibilità di fuga era lì controllato e inavvicinabile se non con il permesso del direttore del carcere di Como, il quale alle lamentele dei miei genitori circa le mancate cure per Vincenzo ebbe a rispondere: "Siamo in un carcere, non in un albergo".

Lo stesso direttore che ogni giorno e per 4 giorni ci fece fare anticamera per poterci dare un permesso giornaliero per poter assistere alle ultime ore di mio fratello.

Chiedemmo la scarcerazione, che fu concessa solo quando per Vincenzo non vi era più nulla da fare. La scarcerazione avvenne il 21 giugno e diede almeno a mio fratello la dignità di morire da uomo libero il 3 luglio.

 

Nell’assumermi la totale responsabilità di quanto dichiarato, resto a disposizione per eventuali chiarimenti.

 

Enrico Puzone

 

Da chi è stato ucciso Vincenzo? Dai detenuti che lo hanno ridotto in fin di vita? Dal Policlinico di Milano che lo ha dichiarato compatibile con il carcere dopo essere stato massacrato? Dal giudice di sorveglianza che gli ha negato il recupero in comunità? Dal personale del carcere che non lo fece ricoverare? Dalla prigione che trasforma i detenuti (solo quelli poveri) in delinquenti o in relitti? La risposta è nel vento, ma il vento può parlare. In memoria di un ragazzo che ha pagato con la morte i suoi reati.

 

Beppe Grillo

 

Morte per cause accidentali: 5 luglio 2006, Carcere di Ancona

 

Andrea Monina, 32 anni, di Ancona, muore all’ospedale Bufalini di Cesena, dove era ricoverato nel reparto grandi ustionati dal 27 giugno, dopo lo scoppio di un fornelletto da campeggio, che utilizzava nella sua cella del carcere anconetano di Montacuto, dove era rinchiuso dal 13 maggio scorso. Monina era accusato di una tentata rapina in una tabaccheria di Corso Stamira di Ancona. Dopo l’incidente in carcere, le cui cause sono ancora in fase di accertamento, era agli arresti domiciliari presso la struttura ospedaliera romagnola.

Le sue condizioni erano apparse subito gravi, a causa delle vaste ustioni riportate su braccia viso e corpo. E negli ultimi giorni la situazione clinica del paziente era ulteriormente peggiorata. La famiglia di Monina, assistita dall’avv. Marco Pacchiarotti, profondamente scioccata dalla morte improvvisa del giovane, ha già presentato istanza all’amministrazione di Montacuto per avere informazioni sulla dinamica dell’incidente e per chiedere di fare chiarezza sull’accaduto. Secondo una prima ricostruzione, la bomboletta di gas del fornelletto sarebbe esplosa in mano a Monina, mentre stava riscaldando un caffè. (Ansa, 6 luglio 2006)

 

Suicidio: 25 luglio 2006, Carcere San Vittore di Milano

 

Daniele L., detenuto a San Vittore da un mese, s’impicca a 33 anni. L’uomo non ha voluto seguire i suoi tre compagni di cella e gli altri detenuti del Coc - l’ex Centro osservazione criminologica, il reparto del carcere di San Vittore che ospita i tossicodipendenti - giù in cortile, per l’ora d’aria. E nessuno, compagni di cella o agenti penitenziari, aveva dato peso a quella rinuncia. Invece Daniele di Cernusco sul Naviglio, aveva già deciso tutto. Ha scelto la pausa per la passeggiata, prolungata per tutta l’estate a causa del caldo africano, lunga abbastanza per annodare le lenzuola e legarle alle sbarre, nel silenzio della cella e del braccio, lontano da tutti. Ha scelto il pomeriggio e un’ora insolita per un suicidio: chi si toglie la vita dietro le sbarre, di solito lo fa di notte. Alle 17, quando la guardia è rientrata e ha riaperto la porta, Daniele si era già impiccato e all’agente non è rimasto altro che constatarne il decesso.

Non ha lasciato biglietti né spiegazioni del suo gesto, l’uomo. Che proprio ieri mattina aveva ricevuto visite, entrambi i genitori venuti a trovarlo tra le mura di piazza Filangieri per un breve colloquio. Due chiacchiere meste, racconta chi li ha visti, senza sussulti, però. Era dentro da un mese, dal 22 giugno, Daniele, arrestato per rapina e detenuto in attesa di giudizio, una fedina penale non zeppa di precedenti, nonostante i cronici problemi con le droghe. Era in custodia cautelare, insomma, come migliaia di detenuti italiani non ancora condannati. Partecipava, come tutti, alle quotidiane discussioni sull’indulto, al provvedimento di clemenza che in queste ore sta aizzando la discussione in Parlamento, mettendo anche a rischio la tenuta della maggioranza di governo: il fermento nelle carceri è grande, le polemiche politiche sull’opportunità o meno di uno svuotamento non fanno altro che aumentare la tensione tra i detenuti.

Daniele, peraltro, non aveva particolari aspettative, dato che il suo caso era comunque fuori da quelli considerati nel testo all’esame della Camera. Tensioni e polemiche destinate a montare dopo l’ennesimo dramma.La notizia è arrivata come una mazzata tra detenuti e agenti, e non solo a San Vittore. Nel mese in cui era stato dentro, Daniele L. aveva partecipato alle attività del Coc, aveva provato a integrarsi con i compagni di cella. Soprattutto, non aveva dato nessun segnale delle sue intenzioni. Visibilmente scossa Gloria Manzelli, direttrice dell’istituto penitenziario di piazza Filangieri, che non ha voluto commentare l’episodio.Provato anche Luigi Pagano, provveditore regionale all’amministrazione penitenziaria ed ex direttore di San Vittore: "Sono pugni allo stomaco per tutti noi che lavoriamo nelle carceri - mormora - ti chiedi sempre se hai fatto abbastanza, se avresti potuto prevedere o capire il disagio. Anche se queste sono domande, che purtroppo, ti fai sempre dopo". (La Repubblica, 26 luglio 2006)

 

 

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