Dossier: "Morire di carcere"

 

"Morire di carcere": dossier settembre 2005

Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose

 

Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nel mese di settembre registra 11 nuovi casi: 5 suicidi, 4 decessi per cause da accertare, 1 morte per malattia e 1 omicidio.

 

Nome e cognome

Età

Data morte

Causa morte

Istituto

Branko Kozul

45 anni

01 settembre 2005

Suicidio

Rebibbia (RM)

Detenuto italiano

30 anni

03 settembre 2005

Da accertare

Poggioreale (NA)

Walid Jendubi

29 anni

03 settembre 2005

Da accertare

Perugia

Leone Simonato

32 anni

07 settembre 2005

Malattia

Parma

Dario B.

73 anni

09 settembre 2005

Suicidio

Firenze

Antonio De Filippo

47 anni

16 settembre 2005

Omicidio

Napoli (arresti)

Detenuto italiano

35 anni

16 settembre 2005

Da accertare

Brucoli (SR)

P.M.

40.anni

17 settembre 2005

Suicidio

Genova

Detenuta marocchina

36 anni

18 settembre 2005

Da accertare

Montorio (VR)

Adam Milewski

40 anni

25 settembre 2005

Suicidio

Civitavecchia (RM)

Detenuto italiano

32 anni

26 settembre 2005

Suicidio

Oristano

 

Suicidio: 1 settembre 2005, Carcere Rebibbia (Roma)

 

Branko Kozul, 45 anni, cittadino bosniaco recluso nel reparto G12 di Rebibbia, si uccide impiccandosi durante la notte. A denunciare il caso è l’associazione Papillon che sottolinea come "per giorni sia stato mantenuto il silenzio sulla vicenda come se il silenzio potesse cancellare l’ennesimo dramma all’interno delle carceri". Il detenuto da pochi giorni aveva interrotto volontariamente una terapia medica per disturbi di carattere neurologico e si trovava in una cella da solo, poiché gli era stato più concesso di lavorare. Ed è ancora "Papillon" a lanciare l’Sos: "Ancora una volta che il livello raggiunto dal sovraffollamento rende praticamente impossibile per i medici e per gli operatori penitenziari (agenti, educatori, psicologi) seguire adeguatamente tutti i detenuti con particolari patologie". (La Repubblica, 5 settembre 2005)

Circa 130 reclusi del carcere romano di Rebibbia hanno raccolto 1.100 euro per permettere ad uno di loro, morto suicida un mese fa, di essere seppellito in Bosnia, il suo paese natale. Da Rebibbia arriva una storia di solidarietà che supera confini culturali ed etnici. Circa 130 detenuti si sono autotassati per far sì che Branko, morto suicida a metà settembre, potesse essere seppellito nel suo paese natale, la Bosnia, accanto ai genitori. Branko Kozul, 45 anni, era un detenuto lavorante, molto conosciuto in carcere proprio perché portava vivande o puliva le celle. Si era fatto molti amici, sia italiani sia stranieri. "E proprio loro - racconta il garante regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni che dà notizia della colletta - hanno deciso spontaneamente di autotassarsi per far sì che Branko non fosse seppellito a Prima Porta, come tutti i poveri, ma tornasse in Bosnia". Tutti hanno dato quello che potevano fino ad arrivare a 1.100 euro. La cifra è stata spedita alla sorella del detenuto per contribuire alle spese del rimpatrio della salma e del funerale. "In tempi in cui sembra - spiega Marroni ringraziando con una lettera i detenuti del G12- un problema essere meticci, un esempio di umanità al di là delle razze arriva proprio dal carcere, un luogo di cui si parla spesso in senso dispregiativo. Ed invece anche dietro le sbarre ci sono gesti di umanità nonostante i tanti problemi, dall’affollamento alle difficoltà economiche, con cui i detenuti devono convivere". (Roma One, 5 ottobre 2005)

 

Morte per cause da accertare: 3 settembre 2005, Carcere di Poggioreale (NA)

 

Un detenuto italiano di 30 anni è morto per sospetta overdose e un altro versa attualmente in gravi condizioni nel penitenziario di Poggioreale, a Napoli. Ne danno notizia le associazioni "Antigone Napoli" e "Città Invisibile", riferendo che i due detenuti si sono sentiti male sabato scorso. "Da quanto ci risulta, il decesso è avvenuto il giorno successivo ai colloqui - spiegano Dario Stefano Dell’Aquila, portavoce di Antigone Napoli e Samuele Ciambriello, presidente di Città Invisibile - e siamo preoccupati tanto per l’episodio quanto per il silenzio che avvolge questi eventi.

Nell’ultimo anno sono diverse le morti sospette avvenute nei penitenziari campani". "In questi anni il governo ha progressivamente ridotto la spesa per la sanità penitenziaria - continuano Dell’Aquila e Ciambriello - e le risorse destinate ai servizi per le tossicodipendenze sono palesemente insufficienti rispetto a dati che indicano che circa il 30% della popolazione detenuta è tossicodipendente. In Campania inoltre, ci sono ben 7.350 detenuti su una capienza di 5.243 posti. Nel solo carcere di Poggioreale sono presenti 2.135 detenuti, su una capienza di 1.359 posti. Le condizioni di sovraffollamento naturalmente rendono difficile ogni tipo di intervento". "Sono necessarie risorse - concludono dalle associazioni - e invece i Ser.T. operano con personale convenzionato, che effettua pochi interventi rispetto a quelli necessari, non riuscendo a garantire la continuità terapeutica, mentre solo un trattamento metadonico può impedire morti per overdose. Sarà la magistratura ad accertare le cause della morte, ma pensiamo sia chiaro a tutti che il problema della tossicodipendenza non si può risolvere con la reclusione, ma con il potenziamento delle strutture di recupero". (Ansa, 7 settembre 2005)

 

Morte per cause da accertare: 3 settembre 2005, Carcere di Perugia

 

Walid Jendoubi, 25 anni, tunisino, trasferito da pochi giorni dalla Casa di Reclusione di Padova al Centro Clinico del carcere di Perugia per farsi curare delle emorroidi muore dopo essere stato sottoposto ad un’operazione chirurgica. (Ristretti Orizzonti, 5 ottobre 2005)

La presunta malasanità pare non risparmiare nessun ambiente. Neanche quello già difficile del carcere. E così otto medici perugini, tre del Silvestrini e cinque del centro sanitario del carcere, fanno il loro ingresso nel registro degli indagati per un’inchiesta in cui si ipotizza il reato di omicidio colposo. Titolare dell’indagine è il magistrato Dario Razzi il cui primo passo è stato quello di disporre l’autopsia sul corpo di un detenuto tunisino morto qualche giorno fa all’ospedale Silvestrini forse per un’emorragia interna. Una morte apparsa subito misteriosa.

Ma per capire i contorni del caso occorre fare un passo indietro. E tornare a qualche settimana fa, cella numero 120 del nuovo penitenziario di Capanne, quello inaugurato a luglio. Un detenuto tunisino, già condannato per reati legati allo spaccio di droga, si lamenta da tempo di un problema sanitario: non riesce a dormire e stare seduto perché afflitto da emorroidi. Il tunisino viene sottoposto all’intervento e, apparentemente, non ci sono problemi. Dopo alcune ore di degenza al centro clinico viene riaccompagnato in carcere a Capanne. Lui dice di non sentirsi bene, ma gli viene spiegato che sono solo i postumi dell’operazione appena effettuata. Il malessere però non si placa e raggiunge il suo apice con una prima emorragia. La direzione del carcere nuovo decide quindi di chiedere l’immediato intervento del pronto soccorso del Silvestrini. Il detenuto viene trasportato nella struttura di primo intervento e viene sottoposto alle cure possibili per fermare l’emorragia, ma ogni tentativo appare inutile. (Il Messaggero, 16 settembre 2005)

 

Morte per malattia: 7 settembre 2005, Carcere di Parma

 

Leone Limonato, 32 anni, originario della provincia di Padova, muore nel carcere di Parma. Pesava più di 200 chili e sembra sia morto proprio a causa di problemi di cuore derivanti dal suo stato fisico. Simonato era detenuto nel braccio ospedaliero del carcere di Parma, dove il suo peso è arrivato a sfiorare anche i 270 chilogrammi. Doveva scontare una somma di condanne per truffa e ricettazione. Un caso, quello di Leone Simonato, già venuto alla ribalta nel 2000 quando il giovane era detenuto a Padova. All’epoca stava un po’ meglio di salute. Leone almeno era in grado di camminare. Ora non più: le gambe non lo reggevano affatto. Una disfunzione ormonale è stata l’origine dell’abnorme obesità, risultata incompatibile con la condizione carceraria.

Ultimamente Leone Simonato aveva cominciato ad accusare una grave insufficienza cardio-respiratoria che impediva al personale sanitario del carcere di provvedere alle necessarie cure. Ma il suo conto con la giustizia era ancora tutto aperto: aveva collezionato ben 24 sentenze passate in giudicato, per un totale di 12 anni e 9 mesi di carcere per reati di truffa, ricettazione, emissione di assegni a vuoto ed evasione. Molti ricordano i suoi appelli per uscire dal carcere perché sofferente. (Il Mattino di Padova, 16 settembre 2005)

 

Suicidio: 9 settembre 2005, Carcere Sollicciano (FI)

 

Dario B., 73 anni, si impicca in una cella di Sollicciano. Prepara con cura il suo congedo: scrive un biglietto alla famiglia per dire che non ce la fa più, lascia che i suoi compagni di cella se ne vadano, impegnati nelle solite attività quotidiane in cucina o in qualche laboratorio. Lui rimane in cella, prende la cintura dell’accappatoio, l’appende alle sbarre della finestra e si lascia ciondolare di sotto. Quando le guardie sono intervenute era già inutile ogni soccorso. Era rinchiuso lì per un omicidio, una lite degenerata con un vicino di casa, il suo conto con la giustizia sarebbe scaduto nel 2015. "Dario B. aveva chiesto la detenzione domiciliare: a più di settant’anni è una strada percorribile - spiega Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze - ma i tempi della burocrazia sono lunghi e lui si era stancato di aspettare e forse soffriva anche per i sensi di colpa, in passato aveva già tentato un’altra volta di suicidarsi". (La Repubblica, 10 settembre 2005)

 

Omicidio: 16 settembre 2005, Napoli (arresti domiciliari)

 

Antonio De Filippo, 47 anni, detenuto agli arresti domiciliari è stato ucciso nella sua abitazione alla periferia orientale di Napoli. L’uomo, con piccoli precedenti per reati contro il patrimonio, era nel suo appartamento al Corso IV Novembre di Barra, quando i killer hanno bussato alla porta di casa, fingendosi poliziotti venuti per un normale controllo. (Agi, 17 settembre 2005)

 

Morte per cause da accertare: 16 settembre 2005, Carcere di Brucoli (SR)

 

Detenuto italiano di 35 anni viene ritrovato morto nella sua cella. Aveva tentato il suicidio pochi giorni prima del decesso, però non è stato ancora chiarito se esiste un rapporto tra il tentativo di suicidio e la successiva morte. Ieri è stata eseguita l’autopsia: secondo quanto riportato nel certificato di morte il decesso sarebbe dovuto a un ictus. "Sono in corso adesso ulteriori accertamenti sia per l’esame istologico dei tessuti che verrà effettuato a Siracusa - ha detto Pippo Bulla, medico legale incaricato della Procura per l’esame autoptico - che per quello tossicologico di cui si occuperà il professore Romano dell’Istituto di Medicina legale di Catania". La salma sarà intanto restituita alla famiglia per i funerali. L’uomo aveva tentato il suicidio poco tempo prima del decesso. Lo stesso non era affetto da patologie tali che potessero far pensare che potesse essere colpito da ictus, secondo quanto affermato dalla direzione del carcere. (La Sicilia, 20 settembre 2005)

 

Suicidio: 17 settembre 2005, Carcere Marassi (GE)

 

P.M., detenuto italiano di 40 anni, si impicca nel carcere di Marassi. Gli agenti della polizia penitenziaria trovano già morto e a nulla serve l’intervento del medico. In base ai primi rilievi effettuati dalle forze dell’ordine, P.M. risultava affetto da Aids, era un malato terminale. Sull’episodio sono comunque in corso accertamenti, essendo la situazione delle Case Rosse sempre piuttosto critica. Solo un mese fa un detenuto era stato picchiato selvaggiamente - e ricoverato in rianimazione al San Martino - dopo la lite con alcuni compagni, che lo avevano aggredito per far posto nella cella sovraffollata. (Secolo XIX, 19 settembre 2005)

 

Morte per cause da accertare: 18 settembre 2005, Carcere Montorio (VR)

 

Detenuta di 36 anni, di nazionalità marocchina, muore in carcere per un arresto cardiocircolatorio. Avviene in pieno giorno, poco dopo le 15, nella Casa Circondariale di Montorio. Se a livello nazionale la situazione della sanità penitenziaria è drammatica, non è meno grave nella Casa Circondariale di Montorio Veronese, dove attualmente nel reparto femminile sono detenute circa ottanta donne, in trenta celle realizzate per detenerne al massimo una sessantina. Denunce circa lo stato di sovraffollamento è stato fatto da molte associazioni che operano all’interno. Nel reparto maschile i detenuti sono attorno ai settecento: il reparto dovrebbe al massimo ospitarne 450. (L’Arena di Verona, 19 settembre 2005)

 

Suicidio: 25 settembre 2005, carcere di Civitavecchia (RM)

 

Adam Milewski, 40 anni, cittadino polacco, si impicca con un doppio cappio alle sbarre della cella, che condivideva con un altro recluso. Era detenuto a Civitavecchia dallo scorso mese di giugno, in attesa di essere processato per omicidio colposo e omissione di soccorso (aveva investito e ucciso una donna con la propria automobile). Adam era in cura dallo psichiatra del carcere, sembra per dei problemi di depressione, però non aveva espresso richieste di aiuto, o manifestato particolari segni di disagio, che potessero in qualche modo far prevedere il suicidio. Oltre tutto faceva da "piantone" al compagno di cella che, a causa di una malattia alle gambe, richiedeva un’assistenza costante. (Ristretti Orizzonti, 26 settembre 2005)

Civitavecchia: il detenuto polacco si è ucciso per il rimorso. Dal carcere sarebbe uscito presto, per scadenza dei termini di custodia cautelare. Mancava poco per gustare di nuovo l’aria fresca che arriva dal porto di Civitavecchia. Il mare non è lontano, dalla casa circondariale si sente l’odore. Ma le ultime ore in cella per Adam Milewski, 40 anni, cittadino polacco, operaio, residente da molti anni a Passo Scuro, sono state le peggiori. Il ricordo è ritornato: la sera del 27 giugno scorso quando alla guida della sua Fiesta ha ucciso Paola Carta, 31 anni, ciclista. Un’immagine che doveva tormentarlo da tempo, e Adam ha deciso che non aveva nessuna voglia di tornare libero, "non si può essere sereni con un peso così sulla coscienza", e poche ore prima della fine della pena si è impiccato nella sua cella con un cappio, realizzato con la cintura dell’accappatoio e con i lacci delle sue scarpe. Tre mesi dura la custodia preventiva per l’omicidio colposo e l’omissione di soccorso e tre mesi erano passati. E lui non aveva curato i rapporti con l’avvocato d’ufficio, non aveva chiesto la revoca della custodia cautelare, non sembrava molto interessato alla libertà.

"Aveva spesso mal di testa e non parlava molto", avrebbe raccontato il suo compagno di cella, un detenuto italiano. Il suo ultimo gesto era premeditato, ci stava riflettendo da tempo. Lunedì mattina ha annunciato alle guardie penitenziarie che avrebbe rinunciato all’ora d’aria, voleva restare in cella. Nessuno si è insospettito, ha fatto credere di sentirsi poco bene, il compagno di detenzione è andato a passeggiare, Adam era solo, nessuno lo ha potuto fermare. Ha preso un foglio, ha scritto velocemente quattro, cinque righe, indirizzate a don Salvatore Costanzo, il cappellano del carcere. Poche parole per chiedere perdono al religioso, suo confidente e consolatore, per il gesto che un cattolico non dovrebbe mai compiere; per chiedere perdono ai familiari della giovane donna uccisa. E per esprimere un desiderio, l’ultimo: "L’Italia è la mia nuova patria, vorrei restare qui, vorrei essere sepolto dove vivevo". Il detenuto, con cui divideva la giornata, è tornato dietro le sbarre e lo ha trovato senza vita, con il foglietto vicino al corpo. Una morte inspiegabile - si è pensato in un primo momento - per un detenuto che stava per uscire. Tanto che la magistratura ha affidato i primi rilievi ai carabinieri, non alla polizia penitenziaria come accade spesso in questi casi. Ma il biglietto non ha lasciato dubbi sulla volontà suicida dell’uomo.

"Le grate in qualche modo lo proteggevano, rendevano il suo peso più sopportabile, mentre tornare in strada doveva pesargli parecchio. Lui era inserito nella comunità in cui viveva, per questo uscire, incontrare magari i parenti della donna che aveva ucciso, è stato per lui insopportabile", spiegano gli investigatori. Adam investì Paola alle otto della sera, con ogni probabilità era ubriaco, scappò lasciandola a terra, in fin di vita. La sua auto fu scoperta dai carabinieri alle tre di notte nascosta in una siepe. La parte anteriore portava i segni evidenti di un urto violento, il polacco fu subito rintracciato, era confuso, "non ricordo nulla", disse ai militari che lo interrogarono. Il test etilico dette esito negativo, ma erano passate sette ore dall’incidente. Il carcere di Borgata Aurelia è uno dei penitenziari in Italia dove si registra il maggior numero di suicidi e tentati suicidi. Toccherà all’ambasciata di Polonia trovare un posto per il corpo del connazionale che vuole restare in Italia. Vicino al mare. (Corriere della Sera, 28 settembre 2005)

 

Suicidio: 26 settembre 2005, Carcere di Oristano

 

Detenuto italiano di 32 anni s’impicca in cella. Prima di uccidersi scrive una lettera per spiegare i motivi del gesto. È stato un agente della polizia penitenziaria a scoprire il tragico episodio, poco prima delle 14. L’agente ha chiesto subito l’intervento del medico ma anche i disperati tentativi di rianimare il carcerato sono stati inutili. Secondo alcune indiscrezioni il giovane, che era sposato, si sarebbe tolto la vita impiccandosi alle sbarre con i legacci delle scarpe. L’allarme è scattato subito dopo la pausa pranzo. Il giovane pugliese che era rinchiuso da solo nella sua cella ha messo in atto l’insano gesto proprio durante quella pausa, forse quando i controlli sono meno frequenti. Avrebbe annodato i lacci delle scarpe sino a realizzare una robusta funicella.

Per mettere in atto il suicidio avrebbe utilizzato le sbarre della finestra a bocca di lupo che si affacciano proprio sulla piazza Manno. Lo ha trovato così, forse poco dopo, uno degli agenti di turno in quel momento che ha chiesto l’intervento del medico e del direttore del carcere. Il medico non ha potuto fare niente se non dichiarare la morte dell’uomo per asfissia. Sul posto sono arrivati i carabinieri della compagnia di Oristano. I militari, coordinati dal capitano Fabio Innamorati, hanno effettuato i rilievi di legge e inviato un dettagliato rapporto alla Magistratura. La Procura della repubblica di Oristano ha aperto un’inchiesta. (La Nuova Sardegna, 27 settembre 2005)

 

 

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