Dossier: "Morire di carcere"

 

"Morire di carcere": dossier marzo 2005

Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose

 

Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nel mese di marzo registra 6 nuovi casi: 4 suicidi e 2 morti per cause non accertate

 

Nome e cognome

Età

Data morte

Causa morte

Istituto

S. D., detenuta rom

22 anni

01 marzo

Suicidio

Bergamo

Nunzio Gallo

25 anni

02 marzo

Suicidio

Sulmona

Detenuto algerino

28 anni

06 marzo

Non accertata

San Vittore (MI)

Giuseppe Spinelli

40 anni

16 marzo

Non accertata

Pescara

Giuseppe A.

23 anni

20 marzo

Suicidio

Pantelleria (arresti)

Detenuto rumeno

30 anni

31 marzo

Suicidio

Civitavecchia

 

Suicidio: 1 marzo 2005, Carcere di Bergamo

 

S.D., 22 anni, nomade di origini francesi e di etnia Rom, detenuta dallo scorso agosto per reati contro il patrimonio, si impicca nel bagno della cella. È accaduto verso le 23, nella sezione femminile: la giovane a quell’ora era in cella con le sue tre compagne, quando è andata in bagno. Con sé aveva un lenzuolo preso tra i panni da lavare, che ha legato alle sbarre di una finestra e annodato attorno al collo. A dare l’allarme le stesse compagne di cella che, non vedendola rientrare, sono andate a cercarla. Dell’accaduto sono stati informati il direttore del carcere Antonino Porcino e il pubblico ministero Enrico Pavone. Non è stata disposta l’autopsia: non sono stati trovati elementi che mettano in dubbio le circostanze del decesso e i familiari della vittima, di religione ortodossa, hanno espresso la volontà di non eseguire l’esame autoptico. Non si conoscono le motivazioni del gesto: la ragazza ha lasciato solo una lettera, consegnata ieri al padre arrivato dalla Francia.

La giovane aveva già incontrato un sacerdote e le suore del carcere, ai quali non aveva dato segnali di disagio, e avrebbe lasciato via Gleno il prossimo giugno (doveva scontare 10 mesi per alcuni furti). "Sono sorpreso - spiega don Fausto Resmini - la sezione femminile è caratterizzata da un ambiente collaborativo, e le donne hanno tante possibilità di svolgere attività di lavoro, culturali o educative. Purtroppo, anche quando si cerca di stare vicini e creare relazioni con queste persone, rimane una parte di mistero dentro di loro dove non si riesce mai ad arrivare davvero. Se in questa parte così profonda e irraggiungibile lo sconforto prende il sopravvento sulla speranza, a volte purtroppo può succedere il peggio".

Una settimana fa si era tolto la vita un altro giovane, K.C., di 23 anni, nomade di etnia Sinta, originario di Vittorio Veneto. I due suicidi ravvicinati non sarebbero collegabili da alcun filo conduttore. Le vittime, inoltre, non si conoscevano. Dalla Fps-Cisl di Bergamo, sigla sindacale dei lavoratori del pubblico servizio che assiste anche la polizia penitenziaria, si esclude che in via Gleno possa esserci un clima diverso rispetto al passato.

Si tratta di episodi che sono più legati alle singole persone che, davanti all’esperienza del carcere, così come in altre situazioni difficili della vita di tutti i giorni, possono avere reazioni imprevedibili". Anche un agente di polizia penitenziaria conferma: "Questi suicidi ravvicinati non si possono imputare a cambiamenti all’interno del carcere, ma ai drammi delle singole persone". (L’Eco di Bergamo, 4 marzo 2005)

 

Suicidio: 2 marzo 2005, Carcere di Sulmona

 

Nunzio Gallo, 25 anni, di origini napoletane, si uccide impiccandosi nella sua cella. Il giovane - collaboratore di giustizia - era rinchiuso, da solo, in una cella di massima sicurezza della sezione di alta vigilanza. Il corpo è stato scoperto da un agente di custodia, nel corso di un controllo serale. Il giovane avrebbe usato dei lacci legati alla grata della cella. Soccorso dall’agente, Gallo è stato portato in infermeria e poi in ospedale, ma è morto prima di arrivare al nosocomio.

È il sesto suicidio in due anni nel carcere di Sulmona. L’ultimo risale a due mesi fa. Guido Cercola, 60 anni, di origini romane, si è impiccato in cella utilizzando anche lui i lacci delle scarpe. A scoprirlo un agente di polizia penitenziaria, durante un servizio di perlustrazione. Nel novembre del 1992 era stato condannato all’ergastolo per l’attentato del 23 dicembre 1984 al rapido 904, una strage nella quale morirono sedici persone e 267 rimasero ferite. Il suicidio più eclatante risale alla vigilia di Pasqua di due anni fa, quando la direttrice dell’istituto di pena, Armida Miserere, si tolse la vita con un’arma da fuoco all’interno del suo studio. Nei mesi successivi seguirono altri due casi: a suicidarsi due esponenti legati ai clan della criminalità organizzata. E nel corso dell’estate scorsa, quello di Camillo Valentini, il sindaco di Roccaraso arrestato in una inchiesta per concussione. Una morte che suscitò moltissime polemiche. (Il Messaggero, 2 marzo 2005)

 

Morte per cause non accertate: 6 marzo 2005, Carcere San Vittore (Milano)

 

Detenuto algerino, 28 anni, viene trovato morto in una "cella a rischio" del IV Raggio. Alcuni detenuti del IV Raggio raccontano ad una volontaria di averlo sentito chiamare e urlare tutta la notte, chiedendo aiuto. Era stato portato in ospedale il giovedì prima, per aver inalato gas da una bomboletta. Dopo essere stato dimesso dall’ospedale era stato chiuso in una "cella a rischio" del IV raggio. Su questa vicenda restano aperti molti interrogativi: si sa soltanto che un ragazzo algerino è morto e che la notizia della sua morte non è apparsa su nessun giornale. (Osservatorio Calamandrana, 21 marzo 2005)

 

Morte per cause non accertate: 16 marzo 2005, Carcere di Pescara

 

Giuseppe Spinelli, 40 anni, rom originario di Ortona, viene ritrovato morto nella sua branda. Era detenuto da circa due mesi, per reati di droga. È morto nel sonno, nella cella del carcere di Pescara che condivideva con altre cinque persone, tra cui anche alcuni suoi fratelli. L’allarme è scattato alle sette di mattina. Nell’ala nuova dell’istituto penitenziario è in atto la "sveglia" dei detenuti. Come spiega il comandante della polizia penitenziaria, Valentino Di Bartolomeo, gli zingari solitamente sono i più rispettosi degli orari. Ieri mattina, però, Spinelli non si alza. Immediatamente i fratelli in cella con lui gli vanno vicino, lo scuotono, ma invano. Scatta l’allarme. Viene allertata la direzione. Arrivano il magistrato e il medico del carcere. Per Spinelli non c’è nulla da fare tanto che lo stesso pm, Gennaro Varone, chiede l’intervento del medico legale e dispone l’autopsia, assegnata all’anatomopatologo Cristian D’Ovidio. Arriva anche la polizia scientifica, ma nella cella non viene ritrovato nulla che possa fare pensare a un gesto autolesionistico della vittima.

Da una prima ricostruzione sembra trattarsi di morte naturale. Dal carcere allertano il legale di Giuseppe Spinelli, l’avvocato Fabio Corradini chiamato a dare la notizia alla famiglia. "Vista la tragedia", racconta dispiaciuto il comandante Di Bartolomeo, "abbiamo evitato di dare la comunicazione per telefono". La salma di Giuseppe Spinelli viene portata all’obitorio di Popoli, dove questa mattina è previsto l’esame autoptico, che chiarirà le cause della morte improvvisa, stabilendo anche se siano incorsi eventuali problemi di salute. Spinelli era stato arrestato dopo l’operazione Silente della Mobile il 18 gennaio, su ordine di custodia cautelare richiesta dal pm Varone, lo stesso che ieri è andato a constatarne la morte. (Il Centro, 17 marzo 2005)

 

Suicidio: 20 marzo 2005, Isola di Pantelleria (arresti domiciliari)

 

Giuseppe A., 23 anni, s’impicca nella propria abitazione, dove si trova in custodia cautelare, agli arresti domiciliari per possesso di marijuana. Il 19 marzo i carabinieri gli piombano in casa, trovano alcuni vasetti di marijuana appena germogliata e fanno scattare le manette. Il giorno dopo Giuseppe legge il suo nome sui giornali, assieme a quelli di altri ragazzi arrestati per qualche pasticca di ecstasy e di altri ancora, che abitano in un’altra città al di là del Canale di Sicilia, che con lui hanno in comune solo l’età. L’impatto è micidiale. I genitori, anziani coltivatori, sono sconvolti. Il figlio è un "drogato". A Giuseppe crolla il mondo addosso. Prende una corda, la lega forte al soffitto e si lascia andare. Così muore un giovane di 23 anni. Così muore un ragazzo normale, con un diploma di geometra in tasca e una vita tutta ancora da vivere. Sette vasetti di marijuana coltivati in casa e una legge che crea tossicodipendenti e accomuna consumatori a trafficanti lo hanno ucciso.

Giuseppe non ha retto all’onta, si è impiccato, soffocato dalla morale proibizionista che trasforma ragazzi normali in "mostri", che li sbatte sui giornali, accanto a mafiosi e criminali. Il corpo di Giuseppe è stato trovato domenica dal fratello, un ragazzino di appena 18 anni che probabilmente non si libererà facilmente di quell’immagine di morte. Agli anziani genitori rimarrà il rimorso di un figlio perso. Pantelleria è sotto choc. I suoi amici lo hanno pianto ai funerali che si sono svolti lunedì pomeriggio nella chiesa di Scauri, la contrada dove si trova la casa della famiglia di Giuseppe. "Era un ragazzo per bene, tranquillo (ricorda Walter Pane). Ho avuto modo di conoscerlo quando ha fatto alcuni lavoretti a casa mia. Era geometra, ma per guadagnare un po’ di soldi a volte faceva il manovale. È assurdo che un ragazzo arrivi a questo punto per una legge sbagliata che demonizza tutti senza alcuna distinzione". Giuseppe lavorava in uno studio e si dava da fare per aiutare la famiglia e soprattutto il padre, rimasto senza una gamba a causa di un potente diabete. Negli occhi dei suoi genitori ha visto la delusione, dettata dall’ignoranza e da una cultura sbagliata alimentata anche da leggi che determinano false morali.

Chiuso in casa, dov’era agli arresti domiciliari, è stato stritolato da un macigno di infamità e quando i carabinieri gli hanno comunicato che il giorno dopo sarebbe stato condotto a Trapani per il processo per direttissima, ha pensato di farla finita. Chissà cosa gli sarà passato per la testa. È uscito di casa, al bar ha incontrato alcuni amici, un modo per dare l’ultimo saluto, e rientrato in tempo per pranzare con gli anziani genitori. Poi nel silenzio e nella solitudine il gesto estremo. "Non si può morire a 23 anni per alcune piantine di marijuana - dice ancora un suo amico - Pantelleria è un’isola contadina, non è quella del turista che viene solo d’estate. Bisogna creare un movimento ampio di riflessione attorno a questi fenomeni. Da mesi sull’isola è in atto una caccia alle streghe". (Il Manifesto, 24 marzo 2005)

 

Suicidio: 31 marzo 2005, Carcere di Civitavecchia

 

Detenuto rumeno di 30 anni si impicca in cella con un lenzuolo. Era stato arrestato solo due giorni prima dai Carabinieri di Ladispoli, con l’accusa di tentata estorsione ai danni di una sua connazionale. Interrogato verso le 12.00 di giovedì dal gip dott. Filocamo che, su richiesta del Pm, dott. Edmondo De Gregorio, ne aveva convalidato l’arresto. Tre ore e poi il dramma. L’ennesimo decesso avvenuto la scorsa settimana porta Civitavecchia verso il triste primato del maggior numero di suicidi in cella. Un dato preoccupante, che induce ad una profonda riflessione sulla situazione delle case di reclusione, troppo spesso lasciate in uno stato di abbandono non solo materiale, ma anche e soprattutto a livello di agenti di sicurezza, personale amministrativo e volontari.

"Il problema del supercarcere di Aurelia - ha commentato il dott. Angiolo Marroni, Garante dei Detenuti nel Lazio - è il dramma dell’affollamento, che rende la convivenza assai difficile. Se a questo si aggiunge poi la carenza del personale di vigilanza e di quelle figure che dovrebbero coadiuvare un lavoro già di per sé non semplice, come psicologi, volontari ed educatori, allora la situazione diventa piuttosto critica. Spesso questi detenuti sono lasciati soli, abbandonati a loro stessi; soprattutto i giovani e gli stranieri hanno maggiori difficoltà di inserimento, e nessuno si ricorda che i detenuti, come del resto ogni cittadino, non sono tutti uguali. Non ci sono soluzioni da proporre: le uniche iniziative da mettere in campo sono, sicuramente, un incremento delle figure professionali e una maggiore attenzione alla persona". Mentre quindi la Procura continua ad indagare sulla morte del giovane rumeno, di cui finalmente si sarebbe definita l’identità così da poter avvertire i familiari, e mentre viene esclusa qualsiasi altra probabile pista, l’appello che viene lanciato dal Garante Marroni è quello di abbandonare un eccessivo burocratismo per intraprendere invece la strada del dialogo e della comprensione. E forse è il momento che qualcuno ascolti questa voce. (Centumcellae News, 4 aprile 2005)

 

 

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