Dossier: "Morire di carcere"

 

"Morire di carcere": dossier febbraio 2005

Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose

 

Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nel mese di febbraio registra 7 nuovi casi: 4 suicidi e 3 morti per malattia.

 

Nome e cognome

Età

Data morte

Causa morte

Istituto

Sergio Vaccaro

29 anni

10 febbraio

Suicidio

Padova

Carlo, detenuto italiano

54 anni

12 febbraio

Malattia

Como

Detenuto italiano

40 anni

13 febbraio

Suicidio

Prato

M.G., detenuto italiano

44 anni

15 febbraio

Malattia

Rebibbia (Roma)

Mohammed Gasmi

43 anni

17 febbraio

Malattia

Ivrea (Torino)

C.M., detenuto italiano

34 anni

19 febbraio

Suicidio

Trani (Bari)

Ken Kari, sinto italiano

23 anni

25 febbraio

Suicidio

Bergamo

 

Suicidio: 10 febbraio 2005, Carcere di Padova

 

Sergio Vaccaro, 29 anni, si suicida impiccandosi all’interno della sua cella al Due Palazzi. Con un lenzuolo ha fabbricato un cappio, se lo è stretto al collo, si è lasciato cadere a terra. Uno strappo violento, una morte istantanea. Quando sono arrivati i soccorsi ormai non c’era più nulla da fare. Il pubblico ministero Elisabetta Labate ha affidato al dottor Silvano Zancaner dell’Istituto di medicina legale dell’Università l’incarico di effettuare l’autopsia.

Il detenuto era approdato alla ribalta della cronaca sei anni fa quando era ristretto nel carcere palermitano Pagliarelli. Lo avevano arrestato per rapina. E condivideva la cella con il cugino, più giovane di cinque anni. Era la metà del gennaio ‘99 quando Sergio Vaccaro assassinò il congiunto. Prima lo colpì nel sonno con uno sgabello, poi lo strangolò. Fu lo stesso omicida a chiamare gli agenti penitenziari. Confessò subito il delitto. Il cugino, separato, avrebbe avuto una relazione con la fidanzata dell’omicida, di qui la decisione di vendicarsi. Vaccaro era evaso dal carcere "Due Palazzi" lo scorso 9 gennaio, ma la fuga era durata solo nove ore. (Il Mattino di Padova, 12 febbraio 2005)

 

Assistenza sanitaria disastrata: 12 febbraio 2005, carcere di Como

 

Carlo, 54 anni, muore durante trasporto il trasporto dal carcere all’ospedale. Era detenuto nella terza sezione del carcere di Como, ovvero nella sezione dei tossici… così la chiamano… è una classificazione che suona già come un dispregio ed è una sezione dove i detenuti sono doppiamente prigionieri… prigionieri della galera e della loro malattia… in questa sezione i detenuti tossicodipendenti non vengono curati ma solo imbottiti di tranquillanti che non sono curativi e che quindi diventano un’ulteriore vessazione. Carlo vegetava in carcere, e in quella sezione. Vegetava con una condanna a 3 anni e 7 mesi di reclusione. La magistratura di sorveglianza, con 8 mesi di ritardo aveva fissato a Carlo per il 16 marzo un’udienza per discutere su un’ eventuale misura alternativa… troppo tardi per il cuore di Carlo che ha smesso di battere prima. Carlo, detenuto nel carcere di Como è morto in nome del popolo italiano, è morto in nome della tutela del diritto alla salute, Carlo è morto per l’inerzia della Magistratura di Sorveglianza. Carlo, 54 anni, che era detenuto per la prima volta, lascia 5 figli di cui uno ancora in tenera età. Noi crediamo che Carlo non abbia retto al fardello che è il carcere, alle condizioni in cui si è costretti, al sovraffollamento, all’inerzia, al degrado, all’indifferenza… questo ha spezzato il cuore del nostro compagno, morto il 12 febbraio mentre lo portavano in ospedale. (Lettera di due detenuti di Como a Riccardo Arena, di Radio Carcere - Radioradicale, 21 febbraio 2005)

 

Suicidio: 13 febbraio 2005, Carcere di Prato

 

Detenuto italiano, 40 anni, viene trovato cadavere nella sua cella del carcere della Dogaia. La magistratura ha aperto un’inchiesta per accertare le cause del decesso. Dalle prime frammentarie informazioni che sono trapelate, l’ipotesi più accreditata è che si sia trattato di un suicidio. Il detenuto, di nazionalità italiana, sarebbe stato trovato appeso a una sbarra con un pezzo di stoffa intorno al collo. Se si è trattato di un suicidio, l’uomo ha usato l’unico sistema che gli era consentito, quello di ricavare una corda dalla stoffa dei lenzuoli. All’ingresso in carcere, infatti, ai detenuti vengono tolte stringe e cinture, proprio per evitare tentativi di suicidio. Il detenuto è stato trovato cadavere nel tardo pomeriggio di domenica. Sul posto è stato fatto intervenire immediatamente un medico, ma ormai non c’era più nulla da fare. Del fatto è stato informato il sostituto procuratore di turno, Ettore Squillace, che ieri ha disposto l’autopsia sulla salma del detenuto. L’esame verrà eseguito con tutta probabilità stamattina all’Istituto di anatomia patologica dell’ospedale. Il detenuto trovato morto era in attesa di giudizio. Sull’episodio viene mantenuto il più stretto riserbo. (Il Tirreno, 15 febbraio 2005)

Non credono all’ipotesi del suicidio i familiari del detenuto che domenica sera è stato trovato impiccato in una cella nel carcere della Dogaia. Un’ipotesi che però è ancora ritenuta la più verosimile dagli inquirenti. Ieri mattina il medico legale Brunero Begliomini ha compiuto l’autopsia sulla salma del detenuto e riferirà al sostituto procuratore Ettore Squillace, titolare delle indagini. "Mio figlio era una persona piena di vita, non credo che possa essersi suicidato - dice il padre del detenuto - Sono venuti a prenderlo venerdì pomeriggio i carabinieri in borghese. Lui era tranquillo. Mi ha detto di non preoccuparmi, che lui non aveva nulla da temere. Da quel momento non l’ho più visto". L’uomo aveva 41 anni ed era agli arresti domiciliari in casa del padre in provincia di Pisa.

È stato arrestato in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Prato per un’inchiesta ancora in corso e sulla quale gli inquirenti mantengono il riserbo. Quando è stato trovato cadavere era in attesa di essere ascoltato dal giudice. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, è sempre rimasto in isolamento, come è prassi in questi casi, e si sarebbe impiccato usando un indumento. L’intervento del medico, chiamato dalla polizia penitenziaria, si è rivelato inutile. La procura, in mancanza di testimoni che possano raccontare la dinamica della morte, ha comunque aperto un’inchiesta e ha disposto l’autopsia, dalla quale però non sarebbero finora emersi elementi che possano far pensare a qualcosa di diverso dall’ipotesi del suicidio. Il detenuto aveva già scontato due condanne per complessivi 14 anni e forse la prospettiva di dover passare altri anni in carcere può averlo abbattuto fino al punto di indurlo al suicidio. "Non ci credo - insiste il padre - Anche negli ultimi giorni è sempre stato tranquillo. Tra quattro o cinque mesi avrebbe finito di scontare l’ultima condanna, perché avrebbe voluto farla finita?". La salma partirà stamattina alla volta di Palermo, città di cui l’uomo era originario. (Il Tirreno, 16 febbraio 2005)

 

Assistenza sanitaria disastrata: 15 febbraio 2005, Carcere di Rebibbia (RM)

 

M.G., 44 anni, malato terminale di Aids, viene scarcerato da Rebibbia quando è già in coma. C’è voluto l’insorgere di una grave crisi respiratoria, il ricovero d’urgenza al reparto di rianimazione del policlinico Gemelli e il coma farmacologico per indurre il magistrato di sorveglianza a concedere la scarcerazione immediata a M.G. - il detenuto di Rebibbia malato terminale di Aids - che più di una volta si era visto negare la scarcerazione. 44 anni, tossicodipendente da quando ne aveva 15, arrestato per piccoli reati legati alla droga e affetto da immunodeficienze che ne hanno colpito gli organi interni e il cervello, M. G. era stato dichiarato incompatibile col regime carcerario dai medici dell’ospedale Sandro Pertini di Roma. Legittima dunque la sua richiesta dei domiciliari avallata - peraltro - dalla disponibilità della suocera di prendersene cura nonché da una legge che per tutti i malati di Aids conclamati sancisce l’incompatibilità tra detenzione e malattia. Incomprensibile il rigetto. "Tra le motivazioni - dichiara l’avvocata del detenuto Manuela Lupo - anche il fatto che lui si fosse rifiutato di sottoporsi alla terapia. Ma quella terapia lo faceva star male anche perché non mirata. A Rebibbia, le flebo sono uguali per tutti". Ma c’è di più: "Il magistrato di sorveglianza - spiega Laura Astarita di Antigone - ha sì dichiarato l’incompatibilità ma l’ha poi definita stabile e, su questa base, negato le misure alternative. La maggioranza dei magistrati di sorveglianza preferisce comunque non rischiare". Nessuna emergenza, quindi, che giustificasse l’allontanamento dal carcere. Stabili le condizioni di salute per quanto stabili possano essere quelle di un malato terminale. "Il ministro della Giustizia Castelli - è la richiesta di Ferdinando Aiuti, presidente dell’Anlaids - apra subito un’inchiesta nelle carceri italiane per accertare perché non viene applicata la legge che impone la scarcerazione di un detenuto affetto da Aids o sieropositivo con meno di 200 CD4". Sulla vicenda è intervenuto anche il garante regionale dei detenuti, Angelo Marroni: "È solo quando a questi fatti si guarda in modo burocratico e non umano che si arriva a questo. Non c’è attenzione partecipata. E tuttavia va detto, i magistrati sono pochi e quei pochi sono sommersi dai fascicoli. Mi chiedo come mai si sia spettato che l’uomo entrasse in coma per concedere la scarcerazione". (Il Manifesto, 16 febbraio 2005)

 

Assistenza sanitaria disastrata: 17 febbraio 2005, Carcere di Ivrea

 

Mohammed Gasmi, 43 anni, tunisino, muore nella sua cella. Era prossimo alla scarcerazione. Da anni soffriva per disturbi da disfunzioni ghiandolari e bastava incontrarlo per rendersi conto del suo malessere e che le sue condizioni non erano compatibili con la detenzione. (Ristretti Orizzonti, 17 febbraio 2005).

Mohammed Gasmi era nato a Tunisi ed avrebbe compiuto 44 anni il prossimo 25 maggio. È morto il 13 febbraio scorso nella Casa Circondariale di Ivrea. Sarebbe uscito tra poco più di un anno, Gasmi, e da almeno un paio era visibilmente ammalato. Lo ricordano ingrassato, che respirava a fatica mentre si guardava quel piede gonfiato a dismisura.

Aveva detto al suo avvocato, circa sei mesi fa, che avrebbe presentato domanda al tribunale di sorveglianza per chiedere la sospensione dell’esecuzione della pena. La sua scomparsa ha commosso i compagni delle lunghe giornate e coloro che lo avevano conosciuto. Alla preghiera islamica, la scorsa settimana, in cento hanno pregato per la sua anima.

E questo è tutto quello che si sa di Mohammed Gasmi. Di fronte alle richieste di informazioni, il carcere è impermeabile. Una decina di telefonate nell’arco di due giorni non sono sufficienti ad abbattere il muro del "la direttrice non c’è", "la direttrice è impegnata" e "non so quando può chiamare", "non posso dire fino a che ora sarà in ufficio".

La storia di Gasmi, troppo piccola per essere un giallo, troppo di commozione per passare inosservata, è rimbalzata fino a Roma. Luigi Manconi, garante per i diritti dei detenuti al comune di Roma e presidente dell’associazione "A buon diritto", dice: "Monitoriamo regolarmente le situazioni nelle carceri. E certamente ci occuperemo della morte di Gasmi". Il referente locale di "A buon diritto" Stefano Ingala, aggiunge di aver segnalato il caso di Gasmi ad alcuni deputati del Partito della Rifondazione Comunista che, presto, organizzeranno una visita alla casa circondariale di Ivrea. Nelle carceri italiane ci sono tanti Gasmi che faticano a far sentire la loro voce e a trasformare in provvedimenti i propri diritti, anche quando questi essitono sulla carta.

Armando Michelizza, formatore, ha affidato ai siti internet "Ristretti" e "Una finestra sul carcere" un commosso necrologio: "Mohammed è stato mio allievo. Chiunque lo abbia incontrato si rendeva conto che stava male, da anni. Bastava incontrarlo per rendersi conto del suo malessere e che le sue condizioni non erano compatibili con la detenzione"

Franco Ecclesia è stato avvocato di Mohammed Gasmi. Gasmi era stato arrestato nell’ottobre 2000. Sulle spalle, quattro condanne emesse dai Tribunali di Piacenza, Genova e Imperia, tutte legate alla violazione della legge sugli stupefacenti. "Avevamo chiesto e ottenuto la rideterminazione della pena", dice il legale. E aggiunge: "Ero stato qualche volta a trovarlo. Mi aveva detto che avrebbe presentato istanza al tribunale di sorveglianza". Gasmi non aveva parenti in Italia. Ora riposa al cimitero di Tunisi. (La Sentinella del Canavese, 16 marzo 2005)

 

Suicidio: 19 febbraio 2005, Carcere di Trani

 

C.M., italiano di 34 anni, si impicca nel carcere di Trani. Era stato arrestato due giorni prima per tentativo di violenza sessuale su una quattordicenne. L’uomo, sia al momento dell’arresto, sia nel corso dell’udienza durante la quale il gip del Tribunale di Trani ha convalidato l’arresto, si era proclamato innocente. Secondo l’accusa, l’uomo - che al momento dei fatti era in leggero stato di ebbrezza - il 18 febbraio scorso, a Corato, in una strada del centro del paese, si era avvicinato ad una ragazzina di 14 anni, si era calato i pantaloni mostrandole i genitali e aveva tentato di abbracciarla. La ragazzina, spaventata, era riuscita a fuggire e aveva raccontato tutto ai suoi amici e ad una pattuglia di carabinieri, che poco tempo più tardi arrestarono il 34enne. Nel corso dell’udienza dinanzi al gip, l’arrestato si era difeso dicendo che si era abbassato i pantaloni solo per un bisogno fisiologico e che la ragazzina era passata in quel momento. (La Gazzetta del Mezzogiorno, 21 febbraio 2005)

 

Suicidio: 25 febbraio 2005, Carcere di Bergamo

 

Ken Kari, sinto italiano di 23 anni, si toglie la vita in carcere. Lo hanno trovato impiccato alla doccia. Detenuto nella casa circondariale di Bergamo per piccoli reati, doveva ancora scontare circa un anno di reclusione. La tristissima scoperta è stata fatta dalle guardie carcerarie intorno alle dieci. Era in corso l’ora d’aria quando il giovane è andato nei bagni della sezione dove era detenuto. Aveva portato con sé anche un lenzuolo, e lo ha usato per compiere il tragico gesto. Finora non è stato appurato cosa abbia spinto il ventitreenne a togliersi la vita: non è noto neppure se avesse manifestato, in tempi recenti, segni di disagio psicologico o di depressione. Secondo le pochissime informazioni che abbiamo avuto, non aveva una lunga condanna da scontare. Gli agenti di polizia penitenziaria, che lo hanno trovato nei bagni della sezione, hanno subito dato l’allarme, ma per il giovane non c’era più nulla da fare. Anche il direttore del carcere, Antonino Porcino, è stato immediatamente informato dell’accaduto. Sul posto è intervenuta la polizia scientifica, che ha effettuato tutti i rilievi del caso nei bagni del carcere. Per un sopralluogo, in via Gleno è arrivata anche il sostituto procuratore Maria Cristina Rota. Il corpo senza vita del giovane detenuto è stato trasportato dal carcere all’obitorio del cimitero di Bergamo, a disposizione della magistratura. (L’Eco di Bergamo, 1 marzo 2005)

 

 

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