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"Morire di carcere": dossier maggio 2005 Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose
In questo rapporto mensile abbiamo raccolto 11 storie di detenuti "morti di carcere": 4 suicidi, 4 per malattia, 2 per cause da accertare ed 1 per overdose.
Morte per cause non accertate: 6 maggio 2005, carcere di Brescia
Mamai Faical, tunisino di 27 anni, viene ritrovato agonizzante nella sua cella. Si sarebbe tolto la vita senza essere visto dai compagni di detenzione o dalle guardie carcerarie. Questo si è appreso ieri mattina, ma la magistratura non ha confermato la notizia del suicidio di un detenuto, anzi l’ha smentita parlando di morte per cause da accertare, escludendo l’omicidio. Un giallo. Alle 8.30 di ieri a Canton Mombello sono scattati i soccorsi. Era grave Mamai Faical, tunisino di 27 anni, sposato con un’italiana e padre di due bambini, detenuto in attesa di giudizio per tentato omicidio. La polizia lo aveva arrestato il 5 luglio ritenendolo responsabile, con altri connazionali, del ferimento a coltellate di un tunisino. In merito all’episodio nulla è trapelato dal carcere. Nessuna versione ufficiale. Solo bocche cucite. Inutile il tentativo di parlare con la direttrice Maria Grazia Bregoli o con altri responsabili della Casa circondariale. Sul corpo nessun segno di violenza. I compagni di detenzione non hanno visto niente e nelle ore precedenti nulla aveva fatto presagire il peggio. Saranno l’autopsia e gli esami tossicologici a stabilire l’orario della morte dell’immigrato nordafricano. Indaga la Polizia penitenziaria. Titolare dell’indagine il pubblico ministero Claudia Moregola, che ha disposto per oggi l’autopsia; sarà eseguita alla poliambulanza. (Giornale di Brescia, 7 maggio 2005)
Brescia: proseguono le indagini dopo la morte del detenuto tunisino
Il "giallo" non è ancora risolto. Bisognerà attendere i risultati dell’autopsia eseguita ieri all’Ospedale civile per sapere come è morto il tunisino di 27 anni Faical Mamai, che era detenuto a Canton Mombello per tentato omicidio. L’altro ieri, dopo la morte del giovane nordafricano, si sono intrecciate notizie contraddittorie sulle modalità del decesso: si è parlato dapprima di suicidio, di un’impiccagione in cella; poi di un malore e infine, ipotesi che sembra essere la più accreditata, di una overdose, probabilmente di cocaina. Anche ieri non si sono avute conferme ufficiali di questa ipotesi, né tanto meno indiscrezioni sui risultati dell’autopsia. Ma si sa che il magistrato che coordina le indagini, il sostituto procuratore Claudia Moregola, dopo aver fatto effettuare il riconoscimento della salma alla moglie del giovane tunisino, aveva promesso un’immediata autorizzazione al trasporto del corpo in Tunisia per la sepoltura. Ma al termine dell’autopsia ha cambiato idea, non ha autorizzato la consegna del corpo ai parenti, ed ha anzi disposta una serie di esami tossicologici supplementari. Tuttavia il magistrato ha parlato solo di morte naturale, escludendo le ipotesi di un omicidio o di un suicidio, ma non ha voluto sbilanciarsi sulle cause del malore che si è rivelato fatale. Le indagini vengono condotte dagli agenti della Polizia penitenziaria; ciò ha destato qualche perplessità anche perché proprio dal carcere erano venute le notizie di una morte per impiccagione. Notizie rivelatesi infondate visto che il giovane tunisino è stato portato l’altro ieri mattina al Pronto soccorso dai volontari del 118: era ancora vivo e non aveva alcun segno di violenza, in particolare ecchimosi sul collo. Se, come pare, Faical Mamai è morto per una dose eccessiva di cocaina, bisognerà anche tentare di accertare come la droga sia giunta nella cella dove il tunisino era detenuto dal 5 luglio dell’anno scorso. Qualcuno potrebbe essere sospettato e indagato per aver ceduto lo stupefacente che ha ucciso il tunisino. (Giornale di Brescia, 9 maggio 2005)
Assistenza sanitaria disastrata: 11 maggio 2005, Carcere di Secondigliano (Napoli)
Un detenuto italiano di 44 anni muore per malattia. (Lettera di Nicola Picopalino, detenuto, al Mattino del 13 maggio 2005)
Suicidio: 12 maggio 2005, Carcere di Torino
Gospava,
detenuta di 31 anni di origine slava si suicida nel carcere torinese delle
Vallette, impiccandosi nella sua cella con un lembo di lenzuolo. Era stata
arrestata nel novembre scorso e spedita poco dopo dal carcere genovese a quello
di Torino, perché più attrezzato sotto il profilo dell’assistenza
piscologica e psichiatrica. A Marassi aveva preso ad ingoiare oggettini, “per
protesta”. Aveva pure inalato il gas del fornelletto per cucinare in cella. Le
tolsero tutto. Per sua sicurezza. Anche a Torino. Poi tornarono a restituirle le
povere cose di cui disponeva, per incoraggiarla ad autostimarsi un po’ di più.
“Quando sembrava più tranquilla” si è impiccata con le lenzuola del letto
alla grata della finestra. Di lei si sa soltanto che era nata a Belgrado, che
era stata condannata una prima volta in Italia dal pretore di Bolzano nel 1995,
una seconda da quello di Merano nel 1999, poi dal tribunale di Genova nel 2001.
I suoi furtarelli ne segnano il peregrinare sino a Busalla, ultimo domicilio
conosciuto. Come il titolo di un vecchio film di genere. Alla fine le hanno
presentato il conto giudiziario dei suoi tanti 2 mesi di condanna: sarebbe
uscita dal carcere nel 2007. Lunedì scorso avrebbe litigato con la sua compagna
di cella e per questo motivo era stata trasferita in un’altra cella. Dove il
giorno dopo si è uccisa. (Il
Manifesto, 14 maggio 2005) Suicidio: 14 maggio 2005, Carcere di Torino Maurizio,
37 anni, torinese, laureato in matematica e tossicomane, si impicca in cella.
Maurizio era entrato in carcere per la prima volta nel 1997, per avere rubato in
una libreria. Vi era tornato a cadenze periodiche, l’ultima il 5 maggio
scorso, colto sul fatto all’Upim mentre cercava di scappare con due abiti da
uomo da 99 euro ciascuno. “Rubacchiavo e dormivo dove trovavo”, racconta in
un’ultima lettera ad un amico. La scrive il giorno prima di togliersi la vita:
“Sono a terra. Vorrei dare la colpa a.... ma non sarebbe giusto, perché è
solo a causa mia quello che mi è capitato. Il punto è che non ho più la forza
né la voglia di ricominciare tutto da capo. Non tanto il carcere, ma il dopo!
Esco e poi? Senza un posto dove stare, una famiglia, un lavoro. Sai cosa ti
dico? Se trovo il coraggio preferisco farla finita. Il punto è proprio il
coraggio!...”. (La Stampa, 15 maggio
2005)
Assistenza sanitaria disastrata: 18 maggio 2005, Carcere di Regina Coeli (RM)
M.C., 27 anni, affetto da hiv, è spirato la notte tra mercoledì e giovedì all’interno del centro clinico del carcere di Regina Coeli. Era da tempo ricoverato nella struttura sanitaria della casa circondariale. Ad avvedersi della sua morte, ieri mattina, gli altri cinque detenuti con cui divideva la stanza che non, vedendolo alzarsi, hanno in un primo momento pensato che dormisse. La morte, a quanto si è appreso, sarebbe dovuta ad arresto cardiocircolatorio che l’avrebbe colpito dopo l’ultimo giro di controllo effettuato dagli agenti di polizia penitenziaria, intorno alle 3 del mattino. Del decesso è stato avvisato il pubblico ministero di turno che deciderà sullo svolgimento dell’autopsia dopo l’arrivo del primo referto sulla morte dei medici dell’istituto di pena. L’uomo, sempre a quanto si è appreso, era arrivato a Regina Coeli nel 2003 per scontare una pena definitiva fino al 2010 per un cumulo di pene legate a reati come rapine, furti ed evasioni dagli arresti domiciliari. "Questa ennesima morte ripropone la questione della incompatibilità con il carcere di persone tossicodipendenti e malate di aids che da anni come Consulta denunciamo con forza". E questo il commento - affidato ad una nota - del presidente della Consulta penitenziaria Lillo Di Mauro. Secondo Di Mauro "i fatti accertati dicono che il giovane tossicodipendente malato di Hiv era stato a chiacchierare fino alle 6.30 di questa mattina con altri 4 compagni di sventura, poi lo hanno trovato morto all’ora della sveglia". "Questo è solo uno degli ultimi casi. Persone malate come questo giovane dovrebbero essere curate fuori dalla struttura carceraria. Gli sforzi del personale sanitario degli istituti di pena non riescono a venire incontro a quelle che sono le esigenze di questi detenuti. Il risultato è questo triste bollettino". (Roma One, 21 maggio 2005)
Roma: detenuto morto; interrogazione di Paolo Cento a Castelli
Una interpellanza al ministro Castelli sul detenuto morto di Aids nel reparto clinico del carcere di Regina Coeli a Roma, è stata annunciata dal deputato Paolo Cento. "Dopo la donna morta a Rebibbia - ha detto Cento - questa volta la notizia di un detenuto morto in carcere, nonostante la gravissima malattia lo rendesse incompatibile con il sistema penitenziario, viene da Regina Coeli. Un fatto grave che richiama alla responsabilità politica del ministro di grazia e giustizia che continua a sottovalutare le drammatiche condizioni sanitarie in cui si trovano le carceri italiane e, in particolare, quelle di Roma". Secondo Cento "c’è una emergenza che richiede l’applicazione della legge sull’incompatibilità dei malati gravi con il carcere, il potenziamento delle strutture sanitarie, dei tribunali di sorveglianza". (Ansa, 21 maggio 2005)
Assistenza sanitaria disastrata: 21 maggio 2005, Carcere di Udine
Marco Di Lauro, 36 anni, muore per un arresto cardiocircolatorio, forse legato a una emorragia cerebrale. Era detenuto solo da un giorno e mezzo. Il medico legale, Lorenzo Desinan, ha evidenziato la lesione interna ma sulle cause che hanno determinato la morte si prospettano ulteriori accertamenti soprattutto di natura tossicologica. Del resto il procuratore aggiunto Giancarlo Buonocore lo aveva previsto fin dal conferimento dell’incarico al sanitario, autorizzandolo ad effettuare i prelievi dei tessuti che si rendessero necessari. La procura, proprio per le circostanze in cui è avvenuto il decesso, dietro le sbarre, non intende lasciare zone d’ombra o dubbi. Marco Di Lauro dopo una prolungata permanenza al centro Solidarietà Giovani a Ribis di Reana dove si trovava agli arresti domiciliari, si era allontanato. L’iniziativa era costata l’arresto per evasione e il ritorno in carcere, una permanenza risoltasi drammaticamente. È morto nel sonno mentre si trovava in una cella assieme ad altri compagni. Il progetto di recupero da lui stesso fortemente voluto, aveva dato risultati positivi. Ne aveva dato testimonianza anche il suo legale avvocato Cogo di Padova che in occasione di un recente processo aveva sottolineato i progressi compiuti dal suo assistito. (Il Gazzettino, 24 maggio 2005)
Suicidio: 23 maggio 2005, Carcere di Orvieto (TR)
Un detenuto di trentuno anni si è suicidato nel carcere di via Roma nella notte a cavallo tra lunedì e martedì. Il giovane, di origini meridionali, recluso per reati comuni, si sarebbe impiccato all’interno della propria cella. Sul caso ha immediatamente avviato un’indagine la procura di Orvieto per tentare di capire i motivi che potrebbero aver spinto il giovane all’estremo gesto. Da alcune indiscrezioni trapelate dal carcere pare che il ragazzo il giorno prima di togliersi la vita abbia avuto un diverbio. Della morte, arrivata per strangolamento, sono stati immediatamente informati familiari del giovane che risiedono a Civitavecchia. Adesso toccherà alla procura della Repubblica (titolare dell’inchiesta è il sostituto Anna Lisa Giusti) e alla polizia penitenziaria (a cui sono state demandate le indagini) fare piena luce sulle circostanze in cui è maturato il tragico episodio. Una spiegazione potrebbe arrivare dagli altri detenuti e magari dai compagni di cella del trentunenne suicida. In questo senso pare che alcuni di loro siano stati già ascoltati. Altri potrebbero essere interrogati nelle prossime ore. In particolare per capire se veramente il ragazzo il giorno prima di togliersi la vita abbia avuto un diverbio. Ed eventualmente per quali motivi e con chi. Intanto sulla vicenda vige il più stretto riserbo da parte degli inquirenti. (Orvietosì.it, 26 maggio 2005)
Orvieto: il detenuto suicida sarebbe uscito tra poche settimane
Sarebbe uscito tra poche settimane il trentunenne, di origini meridionali, che lunedì sera si è tolto la vita impiccandosi nella propria cella del carcere di Orvieto. Recluso per reati comuni, era stato trasferito di recente nella casa di reclusione di via Roma e non gli era rimasta una lunga pena da scontare. Adesso sarà l’indagine interna avviata dalla polizia penitenziaria a fare piena luce sulla vicenda. Un aiuto arriverà anche dell’esame autoptico che il medico legale ha già effettato nella giornata di mercoledì. I risultati sono attesi tra qualche giorno. Intanto la procura (titolare del fascicolo, immediatamente aperto d’ufficio, è il sostituto procuratore Anna Lisa Giusti) tende ad escludere l’ipotesi che all’origine dell’estremo gesto vi siano cause legate direttamente al disagio carcerario. Il giovane, sofferente di epilessia ed ex tossicodipendente, durante il suo soggiorno nella casa di reclusione di via Roma, avrebbe spesso manifestato col personale della struttura una certa insofferenza nei confronti delle terapie mediche a cui era sottoposto. Si sarebbe, in particolare, lamentato dei dosaggi che riteneva insufficienti al suo fabbisogno. Mentre la sera prima del decesso il ragazzo sarebbe stato in una condizione psicofisica tale per cui sarebbe stato necessario somministrargli del calmante. In questo senso la Procura di Orvieto non conferma ma neanche smentisce il fatto che il giorno prima di togliersi la vita il giovane possa anche aver avuto in diverbio. Intanto la polizia penitenziaria avrebbe già iniziato a sentire altri detenuti del carcere orvietano in relazione alle circostanze in cui è maturato l’estremo gesto del trentunenne. (Orvietosì.it, 27 maggio 2005)
Cause non accertate: 23 maggio 2005, Carcere di Genova
Filippo M., 42 anni, originario di Roma, muore nella cella del carcere di Marassi dove era recluso da poco più di un mese. Il sostituto procuratore della Repubblica, Patrizia Petruzziello, ha aperto un'inchiesta e ordinato l'autopsia. La perizia medico-legale è stata eseguita dal dottor Marco Salvi all'istituto universitario del San Martino. Sul corpo non sono state trovate tracce riconducibili ad un'aggressione. Pare da escludersi anche l'ipotesi del suicidio. Per stabilire le cause della morte è stata disposta una serie di esami tossicologici. Filippo M. doveva scontare una pena definitiva per una serie di furti commessi tra Roma e Napoli. Il prossimo novembre avrebbe saldato il conto con la giustizia e sarebbe tornato in libertà. Il 20 aprile il pregiudicato romano era stato trasferito a Marassi dal carcere napoletano di Secondigliano per motivi disciplinari. Era stato sistemato in una cella insieme ad un altro detenuto. Quest'ultimo, interrogato dalla polizia penitenziaria e dai responsabili della casa circondariale di Marassi, ha detto di non essersi accorto di nulla. All'ora del decesso, tra le 3 e le 4 di notte, dormiva. Filippo M. era tossicodipendente e sin dal suo arrivo alle Case rosse era stato assistito dal Ser.T. e sottoposto ad una terapia a base di metadone. (Corriere Mercantile, 25 maggio 2005)
Suicidio: 28 maggio 2005, Bolzano (arresti domiciliari)
Paolo Costa, 59 anni, si impicca nella sua abitazione, dove era agli arresti domiciliari. A quanto pare l’uomo viveva solo, il corpo sarebbe stato trovato dai parenti che - poiché lui non poteva uscire di casa - lo accudivano e gli portavano da mangiare. Ci aveva provato inghiottendo una manciata di psicofarmaci subito dopo aver preso a martellate (o a sprangate di ferro) Stefano Capitani, 55 anni, consigliere di circoscrizione di Forza Italia e membro del comitato Ancona ovest. "Non ci posso credere, non me lo sarei mai aspettato - il commento dell’avvocato Raffaele Sebastianelli -. Ci sentivamo con frequenza, sembrava tranquillo, fiducioso nella possibilità di poter tornare presto libero. Certo gli arresti domiciliari gli pesavano, ma non aveva mai manifestato sconforto, non mi aveva mai detto: non ce la faccio più". Evidentemente Paolo Costa, che i compagni musicisti hanno difeso a suon di lettere pubbliche descrivendolo come una persona mite, affabile e gentile, aveva definitivamente perso l’equilibrio. Sospettava che la moglie avesse una relazione con Capitani, di cui era una grande amica. Glielo aveva detto lei, lo aveva ribadito lui: fantasie, tra loro due non c’era nessun legame amoroso. L’ex ferroviere appassionato di giardinaggio e di letteratura non riusciva a tranquillizzarsi. La notte del 17 marzo scorso va in motorino in via della Madonnetta, ad Ancona, sotto casa di Capitani. Vuole un altro chiarimento, vuol incalzare quello che nella sua mente è diventato un rivale. Cosa sia successo all’arrivo del politico, in macchina, è ancora oggetto di indagine. Capitani ha raccontato di essere stato vittima di un agguato, di essere stato colpito di sorpresa alla testa e al viso con un corpo contundente di metallo. Costa ha parlato invece di un litigio degenerato, di una zuffa a terra dove lui avrebbe raccolto un bastone o una spranga, brancolando con la mano tra la polvere. Il politico finì comunque all’ospedale con ferite molto gravi al capo e al viso e, prima di essere dimesso, venne sottoposto ad un intervento chirurgico allo zigomo. Costa, tornato a casa a Falconara dopo la terribile "lezione" al suo avversario, inghiottì i sonniferi e su buttò sul letto dove fu trovato dai poliziotti che erano andati ad arrestarlo. Un giorno in ospedale poi il carcere, a Montacuto. Si era poi pentito il "martellatore". Diceva l’avvocato Sebastianelli dopo il primo incontro dietro le sbarre. "È confuso, affranto, dispiaciuto. Continua a ripetere che non sarebbe andato sotto casa di Capitani se avesse immaginato come sarebbe andata a finire. Era andato lì per confrontarsi, dopo il fallimento del matrimonio. Le rassicurazioni della moglie non avevano sgomberato i suoi dubbi, voleva un chiarimento. Invece c’è stata la rissa, ma non voleva fare del male a quell’uomo". Costa aveva giurato di non essersi portato da casa un martello, come si era ipotizzato all’inizio dell’indagine, per colpire l’esponente forzista. Dice di aver afferrato la prima cosa che gli è capitata tra le mani, annaspando al buio tra i rifiuti di una piccola discarica di via Madonnetta, dove c’è stata l’aggressione. Una linea difensiva che gli aveva aperto le porte del carcere, anche se per ritrovarsi agli arresti domiciliari. Nonostante avesse tentato il suicidio con i psicofarmaci prima dell’arresto, in prigione era stato messo in cella con due compagni e, per quanto triste, non aveva avuto crisi acute di sconforto. L’altra notte invece il ritorno del buio, e la fine. (Il Messaggero, 30 maggio 2005)
Overdose: 31 maggio 2005, carcere di Ferrara (in permesso premio)
Leonardo Iorio, 38 anni, muore di overdose durante un permesso premio. Era uscito per passare in libertà la domenica ma appena fuori dal carcere dell’Arginone, l’uomo ha cercato e trovato la droga, una dose di eroina, che si è iniettato nel sottomura nei pressi di Porta Mare: probabilmente perché era da parecchio che non assumeva droga, il suo fisico non ha retto la dose e non ce l’ha fatta. Inutili sono stati i tentativi di soccorso. Ora sono in corso le indagini da parte della squadra mobile che dovrà accertare chi ha venduto la dose d’eroina che poi lo ha portato alla morte. Un’inchiesta è stata aperta con l’ipotesi contro ignoti di "morte causata da altro reato", lo spaccio di eroina. Eroina che tuttavia, dicono gli inquirenti, non dovrebbe essere responsabile della tragedia: il fisico dell’uomo, probabilmente in astinenza da tempo, non ha retto alla prima dose. Iorio era stato protagonista nel 2002 di alcuni fatti di cronaca: era in carcere dove doveva scontare quasi 4 anni per rapine a donne in centro storico ed era considerato un vero pericolo pubblico. (La Nuova Ferrara, 1 giugno 2005)
Morte per cause non accertate: 31 maggio 2005, carcere di Venezia
Andrea Fabris, 34 anni, viene ritrovato morto sul pavimento della cella, nel carcere maschile di Santa Maria Maggiore. Il detenuto padovano è stato trovato esanime poco dopo le 20.30, riverso a terra nella cella che condivideva con altri due detenuti: sul corpo numerose ecchimosi. Circostanze quanto meno singolari, che hanno immediatamente convinto la Pm di turno, Maria Rosaria Micucci, a disporre l’autopsia sul corpo del giovane con trascorsi da tossicodipendente e che si trovava in carcere in seguito ad un’inchiesta per droga. Come si è provocato quelle botte? La conseguenza di un’aggressione, avvenuta non necessariamente in cella, o invece le conseguenze del tutto casuali di una caduta dovuta ad un malore? La parola al medico legale. (La Nuova Venezia, 2 giugno 2005)
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