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"Morire di carcere": dossier luglio 2005 Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose
Continua il monitoraggio sulle “morti di carcere”, che nel mese di luglio registra 8 nuovi casi: 6 suicidi e 2 morti per malattia.
Assistenza sanitaria disastrata: 4 luglio 2005, Carcere di San Vittore (MI) Nicola Pascucci, 35 anni, originario di Trani, muore in carcere a causa di una micidiale infezione che nessuno, all’interno della struttura, ha riconosciuto. E adesso la Procura indaga per omicidio colposo. Nicola Pascucci, qualche problema con la droga, era finito in galera nei primi giorni dell’anno, arrestato per avere sparato a un albanese, rimasto seriamente ferito: tentato omicidio l’accusa, che l’altra mattina il pm Giovanni Narbone ha archiviato: la morte del detenuto estingue il reato. Tutto da chiarire, invece, il decesso dell’uomo. Risale alla sera del 4 luglio scorso, ma, perché sfociasse in una in un’inchiesta per omicidio colposo è stato necessario conoscere almeno i primi risultati dell’autopsia. Sono arrivati in queste ore, e dicono che Nicola Pascucci se ne è andato per colpa di una infezione acuta non curata che gli ha provocato un edema polmonare. Il giovane si era sentito male a metà pomeriggio, ma dopo una visita in infermeria, e la prescrizione di una pasticca per calmargli i dolori, Pascucci è stato rimandato in cella. Ha preso sonno e non s’è più svegliato. Durante
la notte è stato il vicino di branda ad accorgersi che il giovane rantolava ed
era privo di conoscenza. Inutile l’allarme, Nicola Pascucci all’ospedale
Niguarda è arrivato morto. Titolare del fascicolo che dovrà chiarire le
circostanze che hanno causato la morte del detenuto, e se questa poteva essere
evitata, è il sostituto procuratore Silvia Perrucci. Al momento non ci sono
indagati, anche se è chiaro è che si sta verificando l’operato dei medici di
San Vittore. Qualche settimana prima di morire Pascucci si era sottoposto,
sempre all’interno del carcere, anche a cure dentali. Al vaglio degli
inquirenti tutte le relative cartelle cliniche. (Il
Corriere della Sera, 24 luglio 2005)
Assistenza sanitaria disastrata: 7 luglio 2005, Carcere di Secondigliano (Na)
Luigi Maione, 39 anni, sieropositivo, muore in carcere. In seguito alla sua morte le associazioni che si occupano dei diritti dei detenuti hanno chiesto di effettuare ispezioni nelle carceri campane. Samuele Ciambriello, presidente dell’associazione Città Invisibile, e Dario Stefano Dell’Aquila, portavoce dell’associazione Antigone Napoli hanno rivolto la richiesta ai parlamentari e ai consiglieri regionali. "Luigi Maione - hanno affermato - è stato ritrovato agonizzante in cella e non c’è stato nemmeno il tempo di trasportarlo in ospedale. Crediamo - hanno proseguito - sia necessario istituire un osservatorio regionale permanente sui problemi della detenzione considerato che la regione Campania ha competenze sia per la sanità penitenziaria che per la formazione all’interno degli istituti di pena". (Il Manifesto, 5 agosto 2005) Un altro detenuto sieropositivo è morto nell’istituto penitenziario di Secondigliano. Terza morte nel carcere napoletano in pochi mesi. Lo denunciano Samuele Ciambriello, presidente di "Città invisibile" e Dario Stefano Dell’Aquila, portavoce di "Antigone". Si tratta di Luigi Maione, 39 anni, detenuto da sette. "Siamo preoccupati - dicono Ciambriello e Dell’Aquila - perché le condizioni dei detenuti sieropositivi sono durissime e le carceri sono drammaticamente sovraffollate. Invitiamo i parlamentari, che hanno poteri ispettivi, a visitare le carceri per rendersene conto". La popolazione detenuta è composta da oltre un terzo di tossicodipendenti. (Il Mattino, 4 agosto 2005)
Suicidio: 14 luglio 2005, Carcere di Cremona
Detenuto italiano di 38 anni si impicca nella sua cella. L’uomo, originario della provincia di Milano, era in carcere per scontare una pena legata a reati di poco conto. Era a Cà del Ferro da pochi giorni. Per impiccarsi ha utilizzato le lenzuola, legandole alle sbarre della finestra. Le guardie in servizio di vigilanza nel penitenziario, si sono accorte del dramma quando l’uomo era ancora vivo: ormai senza sensi, ma vivo. L’allarme, e la richiesta di soccorso, sono scattati immediati. Ad intervenire è stato il personale del 118: messe in atto nella cella tutte le necessarie pratiche rianimatorie, medici e operatori hanno poi trasportato il detenuto all’ospedale Maggiore. E lì, secondo quanto si è appreso, il carcerato è morto a metà mattina. Su quanto accaduto, ovviamente, si sta indagando e la magistratura cremonese, come da prassi, ha aperto un’inchiesta. Stando ai primi accertamenti, comunque, non ci sarebbero dubbi sul suicidio. Saranno comunque eseguiti tutti gli accertamenti necessari per sciogliere ogni perplessità. (La Provincia di Cremona, 15 luglio 2005)
Suicidio: 17 luglio 2005, Carcere di Novara
Giuseppe Balsano, 60 anni, sottoposto al regime di "41bis", si uccide nella sua cella. Dopo aver sfilato il cordoncino che stringeva il copri materasso del suo letto poi si è impiccato, ma il cappio ha ceduto ed è caduto sul pavimento, ferendosi gravemente alla testa. Una guardia penitenziaria lo ha trovato a terra sanguinante ma ancora vivo. Poi la corsa in ospedale, il coma e la morte, nel primo pomeriggio di lunedì Così si è ucciso il capomafia di Monreale. Sul suo corpo l’autopsia sarà eseguita giovedì. La direzione del carcere di Novara ha avvertito i carabinieri di Monreale: la notizia è stata comunicata ai suoi fa miliari che abitano nella cittadina normanna. Un fratello di Balsano avrebbe già raggiunto il Piemonte per accompagnare la salma in Sicilia. Ma non è ancora certo se i funerali saranno celebrati pubblicamente oppure, per questioni di sicurezza, a porte chiuse. Giuseppe Balsano, negli ultimi due anni, aveva già tentato per tre volte il suicidio. Proprio per questo motivo, i suoi avvocati, Roberto Tricoli e Aldo Caruso, avevano chiesto nel novembre del 2004 una perizia psichiatrica per confermare l’incompatibilità con il regime di isolamento al carcere duro. Il Gup di Palermo, Adriana Pins, dopo un periodo di osservazione nella casa circondariale di Livorno - dove Balsano risultava affetto da gravi disturbi della personalità e con rischio di suicidio - aveva richiesto il trasferimento ad una sezione speciale per infermi e minorati psichici. Due mesi al centro di Livorno e poi il trasferimento di nuovo a Novara: la relazione degli psichiatri evidenziava un miglioramento. Anche se era stata segnalata a Novara una situazione di massima allerta e sorveglianza. Davanti alla cella di Balsano, lasciata aperta, c’era sempre una guardia penitenziaria. Ma intanto il capomafia è riuscito a suicidarsi. Il boss, 60 anni, condannato con sentenze passate in giudicato per mafia e omicidio, era stato coinvolto in diversi processi. Nel maggio del 2002 l’arresto, proprio nella cittadina normanna. Un anno fa gli era stato comunicato che avrebbe scontato il carcere duro. E i suoi problemi psichici sarebbero iniziati proprio in quel momento. (Giornale di Sicilia, 20 luglio 2005)
Suicidio: 19 luglio 2005, Carcere di Pagliarelli (Pa)
Salvatore Di Rosa, 21, originario di Noto, si toglie la vita al carcere Pagliarelli. Il giovane, secondo quanto riferito, si trovava nella casa circondariale da appena nove giorni. Stava scontando una condanna definitiva a due anni per furto, ed era anche in attesa di giudizio per violenza sessuale. Le drammatiche sequenze del gesto a partire dalle dieci di sera. Il giovane secondo quanto trapelato dalla casa circondariale si sarebbe appeso con tuta cintura alla grata di una finestra della cella in cui stava da solo, per poi lasciarsi andare violentemente. Il personale del Pagliarelli è intervenuto subito. Gli agenti del carcere hanno aperto la porta della cella hanno calato con delicatezza il corpo di Di Rosa e gli hanno prestato i primi soccorsi. I medici del carcere hanno fatto di tutto per strappare il ragazzo alla morte, ma per Salvatore Di Rosa non c’è stato niente da fare. (Giornale di Sicilia, 21 luglio 2005)
Suicidio: 21 luglio 2005, Carcere di Teramo
Vincenzo Donvito, 38 anni, originario di Bari, si uccide impiccandosi in cella. Lo hanno trovato riverso nel bagno della cella, ormai senza vita, impiccato con un cappio rudimentale del lenzuolo del suo letto avvolto attorno alle sbarre della finestrella. Vincenzo Donvito, 39 anni, barese, è il secondo detenuto che si toglie la vita nel carcere di Castrogno negli ultimi tre mesi. Il 23 aprile stessa sorte era toccata a Domenico Gentile, 56enne chietino. Donvito era in carcere per l’omicidio di una donna anziana in Puglia e avrebbe finito di scontare la sua pena a 20 anni di reclusione nel 2017. Anche lui, come Gentile, non aveva particolari pecche nella condotta all’interno del carcere tanto da usufruire del programma di collaborazione tra la direzione della casa circondariale, l’associazione di volontariato e l’organizzazione della Coppa Interamnia che aveva portato lui e altri detenuti a servire i pasti alla mensa atleti dell’ultima edizione dell’Interamnia World Cup. Ed è proprio in questa occasione che Donvito aveva riassaporato la libertà, anche se momentanea, e dal mattino fino alle 22 di sera, ma aveva ecceduto, approfittando del privilegio concessogli: giovedì 8 luglio non si era ripresentato a Castrogno ma aveva preso la via di casa. Prima con un bus fino a Giulianova, poi in treno fino a Triggiano di Bari, a casa di parenti. Una fuga breve, un rifugio prevedibile per gli agenti di polizia penitenziaria che lo avevano recuperato immediatamente, all’indomani, mentre dormiva. Arrestato per evasione, era rientrato dopo sole 48 ore in una cella di Castrogno. Qualcosa si era rotto nell’equilibrio di Donvito. Prima per l’uscita di cella con il permesso, poi l’evasione verso la libertà e la famiglia, poi di nuovo l’arresto: la scorsa notte non ha retto a tutto questo, forse, e ha scelto di farla finita. La scoperta del cadavere in mattinata, da parte degli agenti di guardia, inutili i soccorsi. La magistratura ha aperto un’inchiesta, vuole capire a distanza di tre mesi dal suicidio dell’altro condannato per tentativo di omicidio di una prostituta. In quel caso Gentile era a poco più di un anno dalla liberazione per fine pena, che sarebbe giunta a giugno 2006. Soltanto una coincidenza? (Il Messaggero, 22 luglio 2005)
Suicidio: 22 luglio 2005, Carcere di Spoleto
Vincenzo Olivieri, 49 anni, si uccide nella sua cella del Settore Eiv (elevato indice di vigilanza) del carcere di Spoleto. Era in carcere dal 1990 e condannato all’ergastolo per omicidio. Il 49enne, secondo quanto è stato possibile apprendere, si sarebbe tolto la vita utilizzando il gas dei fornelli, di cui era dotata la cella. Non si conoscono, però, i particolari del tragico fatto. È probabile, comunque, che l’uomo abbia direttamente inalato, forse con l’ausilio di qualche rudimentale strumento a sua disposizione, il gas dell’angolo cucina. Inutile ogni tentativo di soccorso. Secondo quanto si è appreso, all’interno della casa circondariale si sarebbe recato anche il magistrato che sta seguendo la vicenda e che avrebbe sentito alcune persone informate sui fatti per fare piena luce sul suicidio. La salma del 49enne è stata intanto trasferita all’obitorio dell’ospedale, a disposizione dell’autorità giudiziaria. Il suo legale, avvocato Vittorio Trupiano, ha chiesto alla Procura della Repubblica di Spoleto di aprire un’inchiesta al riguardo, visto che il suo assistito avrebbe, in passato, compiuto ripetuti gesti di autolesionismo: "Il carcere aveva perfetta consapevolezza, sia del diario clinico del detenuto sia del suo stato di salute. Con un minimo di attenzione in più - ha proseguito il legale - ritengo che questa persona sarebbe ancora viva". (Il Manifesto, 27 luglio 2005)
Suicidio: 23 luglio 2005, Carcere di Orvieto
Danilo Esposito, 30 anni, si uccide in cella di isolamento. Alcuni compagni di detenzione ne danno notizia con una lettera a Riccardo Arena, direttore di Radio Carcere: "Carissimo Riccardo, la mattina del 23 luglio abbiamo appreso che un nostro compagno si è tolto la vita mentre era rinchiuso nella cella di isolamento del carcere di Orvieto. Si chiamava Danilo Esposito, aveva 30 anni, doveva scontare solo 2 anni e 1 mese di pena e lascia tre bambini. Questo tragico evento potrebbe anche non interessare: tante persone che credono che in carcere ci sono solo camorristi, pedofili e assassini. Ma invece questa è una tragedia che dimostra, ancora una volta, che la maggior parte dei detenuti è gente finita per disgrazia nell’illegalità. Danilo era in carcere per una serie di furti. Era stato abbandonato da tutti e anche da tutte le "strutture" che in carcere avrebbero potuto aiutarlo. Il medico del carcere di Orvieto aveva detto che Danilo simulava la sua malattia, ma noi vorremmo sapere come si fa a simulare gli attacchi di epilessia che aveva Danilo. Le uniche cure che Danilo aveva ricevuto prima di uccidersi sono un cocktail di psicofarmaci che lo facevano dormire. L’ultimo atto di questa tragedia si è consumato domenica 22 luglio, quando Danilo alle ore 21.00 è andato in infermeria. Danilo è risalito in cella dopo 20 minuti e ha iniziato a fare baccano, perché il medico gli aveva detto che fingeva di essere malato. Allora Danilo per protesta si è lanciato con la testa contro il muro per ben due volte, urlando che avrebbe fatto lo sciopero della fame e della sete pur di essere ascoltato. Le guardie, per tutta risposta, lo hanno messo in una cella di isolamento. Erano le 23.10 di domenica 22 luglio. Durante la notte Danilo urla e chiede aiuto ma tranne i detenuti nessuno lo sente. Poi le urla di Danilo cessano. Danilo si era ucciso". (Radio Carcere, 25 luglio 2005)
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