Rassegna 2001 sovraffollamento

 

Il sovraffollamento "raccontato" con una rassegna stampa

(da gennaio a luglio 2002)

 

AVVENIRE - Domenica 13 gennaio 2002

Castelli: carceri affollate. Assorbono la metà delle risorse

«La gestione del sistema penitenziario è preoccupante: assorbe la metà delle risorse destinate alla giustizia». Il guardasigilli Roberto Castelli ha analizzato la realtà carceraria, sottolineando che «il problema è il sovraffollamento: a fronte di una ricettività di 43mila posti, al 31 ottobre erano presenti 56.189 detenuti». La finanziaria prevede l’acquisizione di carceri in leasing.

LA NUOVA SARDEGNA - Venerdì 25 gennaio 2002

Floris scrive al ministro. Un appello: chiudete il carcere
CAGLIARI. Buoncammino scoppia, il problema del sovraffollamento si ripropone. E poi: la presenza di una forte concentrazione di detenuti ammalati di Aids crea emergenza in serie, a cui nemmeno le ottime condizioni igienico sanitarie riescono a trovare una soluzione. Risultato? Il carcere che guarda uno dei panorami più maestosi della città è da chiudere. L’ultimo in ordine a chiedere di mettere i sigilli al carcere è il sindaco di Cagliari Emilio Floris, che nei giorni scorsi ha sollecitato un intervento del Ministero di Grazia e Giustizia «per la chiusura di Buoncammino e l’individuazione di locali più idonei a ospitare i detenuti». Il problema era stato sollevato nei giorni scorsi dalla presidenza della Commissione comunale delle Pari Opportunità Giulia Santandrea, che aveva sollecitato in tal senso il primo cittadino. Nella richiesta indirizzata ad Emilio Floris, la presidente della Commissione aveva sottolineato che «il carcere di Buoncammino si trova in condizioni inadeguate dal punto di vista sia strutturale, sia igienico sanitario e non in linea con le finalità rieducative della pena». Quasi scontata la risposta dal ministero: per il momento Buoncammino no si tocca, non ci sono i soldi per costruire un nuovo carcere e in ogni caso occorrerebbe superare tanti ostacoli per un eventuale trasferimento. Prima di Floris ci avevano provato il sindaco De Magistris e poi, una decina di anni fa, l’allora presidente della giunta regionale Mario Floris. Buoncammino continua a dominare uno dei panorami più maestosi della città.

IL GAZZETTINO - Domenica 17 febbraio 2002

L’appello di Livio Ferrari, direttore del Centro francescano di ascolto. Carceri mai così affollate. Incontro a Roma per avviare un progetto sperimentale di riabilitazione

 

Carceri italiane mai così affollate. Una autentica emergenza di cui si è parlato a Roma, al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nel corso dell’incontro tra Sebastiano Ardita, direttore dell’ufficio Detenuti e trattamento del Dap, e Livio Ferrari, presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia, nonché direttore del Centro francescano di ascolto di Rovigo.

È stata sottolineata da parte di entrambi la necessità di un impegno ancora più forte nel mondo del carcere, attualmente in grande difficoltà per aver raggiunto le 60 mila presenze, il più alto numero di detenuti mai ristretti in Italia.

«Il sovraffollamento - ha fatto presente Ferrari - è tra le cause dell’aumento vertiginoso dei suicidi, delle violenze, dei casi di autolesionismo e del grande disagio che sta segnando profondamente il corpo di polizia penitenziaria».

Ardita ha accolto favorevolmente la proposta di rendere effettivo il progetto "Giovani-adulti" di cui Ferrari si è fatto promotore in questi anni, e per il quale il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e il Dipartimento per la giustizia minorile hanno già predisposto un piano sperimentale.

«In questo caso - spiega Ferrari - si tratta di ridare vita ai giovani figli della nostra società che, pur avendo commesso dei reati, possono ancora essere recuperati e riabbracciati a una vita sociale, senza dimenticarli per anni nelle celle e quindi perderli».

«Le strade per seminare la pace - ha concluso Ferrari - iniziano dove si eliminano i fattori vendicativi, per lasciare spazio alla disponibilità della riconciliazione, il principio ineluttabile che deve valere per tutti. Non solo per il volontariato».

Per informazioni sull’attività della Conferenza nazionale volontariato giustizia consultare il sito internet www.volontariatogiustizia.it, oppure telefonare allo 0425.200009.

GIORNALE DI BRESCIA - Venerdì 22 febbraio 2002

Il radicale Myallonier, segretario della Commissione regionale, in visita al carcere: «Canton Mombello scoppia»

 

Il sovraffollamento di Canton Mombello è endemico. La conferma Giorgio Myallonier, consigliere regionale della Lista Bonino, che ha visitato ieri il carcere di via Spalto San Marco. Myallonier, che è segretario della Commissione consiliare regionale sulle carceri, non ha dubbi sulle condizioni dei detenuti. « Sono disastrose - commenta -. Penso che la situazione in questo carcere sia insostenibile quasi come a San Vittore . I detenuti sono 530, quando la struttura prevede l’accoglienza di 200 persone al massimo». Secondo l’esponente radicale «molti dei problemi di sovraffollamento sono legati anche alle leggi sulla custodia cautelare e sulla semplificazione delle procedure in materia di liberazione anticipata». A questo ultimo tema « è legata - dice il consigliere al Pirellone - un’altra situazione molto preoccupante nel caso di Brescia. Nel carcere ci sono solo due educatori. Sono loro che dovrebbero seguire i detenuti con condanne definitive per trovare lavori all’esterno e facilitarne la liberazione anticipata. Ma due non bastano se teniamo conto che uno di loro deve "coprire" anche Verziano. Il problema, tuttavia, è difficilmente risolvibile, visto che gli educatori sono di nomina ministeriale e tutto l’iter sembra essere molto rallentato». Stessa cosa vale per gli infermieri. «Anche in questo caso - ricorda il consigliere regionale - si parla di due persone solamente. Troppo poco. Noi radicali avevamo proposto di creare incentivi con fondi regionali per consolidare i numeri degli infermieri nelle carceri lombarde, ma il nostro progetto di legge regionale è stato bocciato». Le questioni di organico toccano poi anche la Polizia penitenziaria: «Gli agenti di custodia sono largamente sottodimensionati». Sul fronte dei detenuti extracomunitari, Myallonier precisa «che sono oltre il 50%. Questo provoca problemi di convivenza. Per limitare al massimo i contatti tra italiani e stranieri sono stati previsti due turni di "aria", che in questo modo sono stati dimezzati per tutti». Soluzioni per questa serie di problemi? «Di certo la direzione del carcere non può risolverli. Le soluzioni si possono trovare a livello legislativo».

LA NUOVA SARDEGNA - Venerdì 1 marzo 2002

Buoncammino sta scoppiando. Non solo le proteste per il sovraffollamento delle celle, c’è malessere anche tra gli agenti di polizia penitenziaria
CAGLIARI. Sono pochi, soli e mal governati. Si diffonde la protesta sul sovraffollamento di Buoncammino e si fanno sit in e fiaccolate per chiedere a gran voce la scarcerazione dei detenuti in gravi condizioni. Ma se le celle scoppiano (il limite di tollerabilità, 200 detenuti, è stato superato abbondantemente e oggi si tocca facilmente quota 400) e chi sconta la pena è costretto a vivere in celle piccole e anguste, nei corridoi di Buoncammino tra gli agenti della polizia penitenziaria non è che si respiri un’ aria migliore. E si avverte già un malessere che presto potrebbe sfociare in protesta aperta. Uno sciopero? Per il momento è solo una ipotesi appena abbozzata ma presto - soprattutto dopo la riunioni che a livello sindacale sono state convocate per i prossimi giorni - potrebbe concretizzarsi. Il motivo è spiegato dalle voci che da tempo si rincorrono dentro il carcere e che vedono gli agenti di polizia penitenziaria protagonisti di una emergenza che è arrivata anche sul tavolo del ministero. All’impennata senza precedenti della popolazione penitenziaria (qualcuno dice che si sta tornando agli anni dell’Anonima o ai famigerati anni di piombo) non ha fatto riscontro un’uguale attenzione per le esigenze e i bisogni di chi quotidianamente lavora nel carcere: ovvio, l’amministrazione è stata capace di far fronte al continuo aumento dei detenuti con i soliti organici, chiaramente sottodimensionati rispetto alle esigenze. I numeri parlano chiaro e dicono che le assunzioni tra le fila della polizia penitenziaria non è che siano state troppo frequenti negli ultimi tempi. E fatalmente si va avanti con il solito volontariato, molti sono costretti a saltare turni di riposo o ferie (che hanno raggiunto nuovamente livelli preoccupanti). Dice radio carcere: «È perfettamente inutile negare l’evidenza dei fatti e siamo davvero avviati al degrado massimo: servirebbero uomini in più e correttivi, per assicurare almeno un livello di vita decente».

Buoncammino, è sempre la porta dell’inferno: passano i tempi, cambiano gli uomini ma la situazione è la stessa. Se i detenuti sono costretti a vivere dietro le sbarre, gli agenti di polizia penitenziaria non è che si trovino in una situazione migliore. «Siamo detenuti anche noi», ha detto qualcuno. E non è che sia una voce troppo lontana da una realtà che parla di turni stressanti e spesso massacranti, di servizi che prevedono frequenti passaggi dal colle di Buoncammino al palazzo di giustizia in piazza Repubblica per assicurare l’inizio dei processi. Per questo si sta cercando di trovare una soluzione, per evitare che l’emergenza possa presto sfociare in allarme e che si arrivi allo sciopero. Anche perché gli ultimi avvenimenti hanno messo allo scoperto un sistema obsoleto e ormai in stato comatoso. Occorrerebbe scongiurare che i possibili sviluppi negatiti di una situazione difficile, diventino domani ingovernabili. Anche perché il sovraffollamento e la mancata attuazione della legge di riforma rischiano di rendere vani i passi in avanti (e ce ne sono stati, nonostante tutto) fatti in questi ultimi tempi. L’arrivo della stagione calda e gli inevitabili disagi che si creano i questi mesi in una struttura vecchia potrebbero rappresentare un cocktail esplosivo, difficile da prevedere e da limitare. Per questo non è improbabile che nelle prossime settimane possano essere programmate alcune manifestazioni di protesta. Era accaduto in tempi recenti, sarà fatto anche stavolta?

L’ARENA - Mercoledì 6 marzo 2002

Montorio carcere che scoppia. L’assistenza sanitaria è compito delle Regioni

 

Il carcere di Montorio è uno dei più affollati del Veneto e con alta percentuale di tossicodipendenti. Al 31 dicembre 2001 nei dieci istituti di prevenzione e pena del Veneto, che hanno complessivamente una capienza di 1374 posti, erano presenti 2.561 detenuti, con un indice di sovrappopolazione pari al 53,65%. Di questi, il 26,3% erano veneti (673), il 12,8% di età inferiore ai 25 anni, il 93,4% di sesso maschile e il 57,4% con una sentenza definitiva. Inoltre, 689 (pari al 28,4%) risultavano essere tossicodipendenti.

«I problemi sostanziali della popolazione detenuta negli Istituti veneti», commenta l’assessore alle politiche sociali del Veneto Antonio De Poli, «includono quindi il sovraffollamento, che interessa soprattutto le Case di reclusione di Padova, Verona, Treviso e Vicenza e la Casa circondariale di Padova; le condizioni igienico-sanitarie, anche per effetto del sovraffollamento; la presenza di tossicodipendenti, soprattutto nelle Case circondariali di Verona Montorio, Padova, Treviso; la presenza di extracomunitari, che in alcuni casi superano i due terzi della popolazione detenuta complessiva; il lavoro in carcere e il reinserimento socio-lavorativo successivo alla pena».

Le funzioni regionali in materia penitenziaria sono molteplici e variegate, e includono principalmente: assistenza sanitaria e igiene pubblica; cura e riabilitazione dei detenuti tossicodipendenti; formazione professionale; reinserimento sociale e lavorativo. Una specifica area di intervento regionale nel settore delle carceri è quella del finanziamento di progetti che siano rivolti alla tutela psico-fisica della popolazione detenuta, attraverso attività motorie, sportive e ricreative. Nel 2001, ricorda l’assessore veneto, sono stati finanziati 18 progetti con una spesa complessiva di  . 317.765, 10 pari a oltre 615 milioni.

«La Regione», ricorda ancora l’esponente regionale, «ha inoltre avviato, in collaborazione con l’Azienda Ulss 16 di Padova, un progetto sperimentale, ora in fase di conclusione, relativo alla formazione degli operatori dei Ser.T e delle carceri in materia di tossicodipendenza, all’individuazione di un modello ottimale di intervento nel carcere, alla conoscenza dell’utenza tossicodipendente in condizioni detentive e di semilibertà».

E ancora, nel 1994, la Giunta regionale ha approvato la realizzazione di due sezioni a custodia attenuata per detenuti tossicodipendenti e alcooldipendenti presso i carceri di Venezia e Padova, il cui obiettivo è quello di garantire la continuità dell’iter terapeutico avviato dai servizi territoriali.
De Poli, infine, ricorda, che dal 2001 sono state trasferite alle Regioni, le funzioni sanitarie prima svolte dall’Amministrazione penitenziaria all’interno degli Istituti di prevenzione e pena, con particolare riferimento ai settori della prevenzione e dell’assistenza ai detenuti tossicodipendenti.
«Questo nuovo compito previsto dal decreto Legislativo 22 giugno 1999 n. 230, ripropone la necessità di ripensare complessivamente anche alla loro presa in carico in carcere, per cercare di individuare soluzioni più idonee e rispondenti alle condizione di deprivazione nella quale si trovano».

LA REPUBBLICA - Mercoledì 3 aprile 2002

Nelle strutture sempre più affollate monta il disagio. E non solo fra i condannati. Quando il boss dietro le sbarre rubò la luce per farsi un caffè

 

I problemi delle carceri siciliane mettono d’accordo tutti, detenuti e agenti di custodia, mafiosi e giudici. Si chiama sovraffollamento il malessere che serpeggia - ormai non più silenzioso - nei documenti ufficiali del ministero della Giustizia e nel tam tam di radio carcere. Dalla fortezza borbonica dell’Ucciardone a Pagliarelli, da Termini Imerese a Sciacca, da Agrigento a Trapani: le celle scoppiano. Tanto vale non sperare più nei buoni propositi auspicati dalla Costituzione: "socializzazione e rieducazione dei detenuti". «Il sovraffollamento - ha denunciato il procuratore generale di Palermo, Salvatore Celesti - ha determinato sistematicamente la concreta impossibilità di avviare le attività lavorative, culturali e ricreative previste dall’ordinamento penitenziario». Le sue parole risuonarono pesantissime quel giorno, era il 12 gennaio, nell’aula magna del tribunale vestito a festa per l’inaugurazione dell’anno giudiziario. «Piuttosto - concluse il magistrato - sono aumentati gli atti di indisciplina e le difficoltà di governo degli istituti di pena». Il paradosso è così diventato normalità. I nuovi «privilegiati» sono adesso i mafiosi: le norme di sicurezza impongono che debbano stare in due per ogni cella. I «disperati», tutti gli altri, possono essere ammassati anche in otto in una stanza che potrebbe ospitarne al massimo tre. Benvenuti all’Ucciardone: invece dei 372 detenuti previsti, ce ne sono 765. A Pagliarelli sono 1.119, invece che 651. Nel carcere di Termini Imerese 125, e ne potrebbe ospitare solo 73. Ad Agrigento, 305, invece di 188. Il gruppo Abele di don Luigi Ciotti ha calcolato che la spesa per ogni detenuto è di 13 milioni e mezzo l’anno: «Ma i 15 mila detenuti in esubero, in tutta Italia, dicono che le condizioni di vivibilità sono insopportabili».
E allora c’è chi protesta - due anni fa, in vista del Giubileo, si sbattevano le pentole sulle grate per sollecitare l’amnistia - c’è chi si arrangia a modo suo: due boss di rango, Giuseppe Madonia e Raffaele Galatolo, hanno tagliato il filo elettrico del televisore per alimentare un fornellino. Ma una tazza di tè e un caffè sono costati una condanna in pretura per danneggiamento aggravato. La giustizia è stata inflessibile anche con quel detenuto dell’Ucciardone che non riusciva a dormire perché il cuscino era troppo alto: una notte di due anni fa, lo rimodellò con un taglierino. E il giorno dopo era già denunciato per danneggiamento. «La situazione di sovraffollamento - dice la relazione del procuratore Celesti - riguarda in particolare le case circondariali di Palermo, Termini e Trapani. In quest’ultimo circondario sono inagibili tre delle quattro case mandamentali (Alcamo, Erice e Castellammare del Golfo) e permangono gravi carenze strutturali nella casa di reclusione di Favignana». A Marsala, lo Stato ha preferito chiudere: «Strutture fatiscenti, insicure e poco ricettive», ha ricordato il procuratore Celesti. Possibile che si parli da anni di sovraffollamento e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria non sia ancora riuscito a trovare una soluzione? L’ultimo che ha denunciato una singolare inerzia istituzionale è stato licenziato dal ministro della Giustizia Castelli. L’ex direttore del servizio ispettivo del Dap, Alfonso Sabella, denunciò a gennaio che «7.000 posti per detenuti si sarebbero potuti recuperare sin da subito. E invece vengono di fatto occultati per ragioni di "comodo", preferendo ammassare i detenuti in poche sezioni». Intanto, il numero verde istituito dal Centro Padre Nostro di Brancaccio, contro le violenze in carcere, continua a squillare. È il popolo dei «disperati» che chiede più assistenza. «I problemi delle carceri - dice Maurizio Artale, responsabile del centro fondato da don Puglisi - sono affrontati ancora con troppa superficialità».

LA REPUBBLICA - Giovedì 4 aprile 2002

Padre Enrico Schirru denuncia il sovraffollamento delle celle. "Altro che rieducazione". Carcere, cappellani all’attacco "Si abusa della custodia"

 

Le carceri scoppiano di detenuti, «a farne le spese sono i più poveri, gli extracomunitari, che arrivano giornalmente dagli istituti del nord, perché anche lì non c’è più spazio». I cappellani di Sicilia si mobilitano contro i mali cronici del sistema penitenziario: sovraffollamento, carenza di strutture e personale, «così da svuotare di significato il percorso per una possibile rieducazione - questo l’allarme di padre Enrico Schirru, coordinatore dei cappellani siciliani - oggi il carcere è solo afflittivo».
Non è arrivata inaspettata, ai sacerdoti la lettera che i detenuti di Trapani hanno scritto per denunciare le condizioni di vita in cui si trovano a scontare la loro pena. Proprio in questi giorni, padre Schirru sta preparando l’assemblea che a maggio vedrà riuniti a Pergusa tutti i cappellani di Sicilia. Tre giorni per fare il punto sui problemi delle carceri. All’incontro verranno invitati anche i direttori degli istituti penitenziari e i vescovi. «La voce del disagio deve giungere fuori dalle carceri - dice padre Enrico Schirru - c’è un popolo di nuovi poveri che attende un segnale di riscatto. Sono soprattutto i cittadini extracomunitari a soffrire, non hanno per davvero nulla. E allora il cappellano si trova a fare anche l’assistente sociale». E così, nelle carceri è nata anche un’inedita rete della solidarietà: i detenuti siciliani che assistono i compagni stranieri. «Un segno di speranza», lo chiama padre Schirru: «Il dono di un pacco di pasta, di un abito, è la testimonianza di una convivenza solidale fra italiani e stranieri. In alcune carceri, cristiani e musulmani hanno anche pregato insieme. È un segno importante». Un modo per rendere più accettabile la convivenza, ma il sovraffollamento delle celle resta. Il rappresentante dei cappellani siciliani ha una ricetta semplice da proporre: «La legge Simeone, che prevede pene alternative per chi deve scontare una condanna inferiore a 3 anni, deve essere applicata sino in fondo. E poi anche la magistratura - aggiunge padre Enrico - deve fare la sua parte. Dobbiamo avere il coraggio di dirlo: le carceri sono sovraffollate perché spesso si fa abuso della custodia cautelare». Parole forti, che i cappellani ripeteranno nel loro incontro di maggio. Non è la prima volta. Fece scalpore, nell’anno del Giubileo, l’appello di Schirru e degli altri sacerdoti che offrivano il perdono ai mafiosi: «Alla violenza non si risponde mai con altra violenza - ribadisce il sacerdote - un piccolo segno di riconciliazione, come chiedeva il Papa, anche solo lo sconto di un mese, avrebbe avuto effetti positivi persino sul problema del sovraffollamento».
L’incontro di maggio servirà ai cappellani per fare un bilancio: «Siamo coscienti - spiega Enrico Schirru - che il nostro è un compito delicato, che deve sottostare alle regole di un’istituzione. Ma la burocrazia non può fermare il servizio della carità: oggi, per dare un paio di mutandine a un detenuto, io devo attendere un’autorizzazione. Istituiamo allora un armadio dei poveri. Cominciamo a dare segnali di speranza, facciamo comprendere ai detenuti che anche per loro una nuova vita è possibile».

LA REPUBBLICA - Giovedì 23 maggio 2002
Contro il sovraffollamento, boom di arresti domiciliari. Il carcere di Marassi scoppia ora i detenuti tornano a casa

 

Un boom di arresti e detenzioni domiciliari. Da circa una settimana si sono moltiplicati da parte della magistratura i provvedimenti con cui vengono concessi ai detenuti che ne hanno fatto richiesta pene alternative al carcere. E’ una delle contromisure prese per fronteggiare l’emergenza Marassi. Il sovraffollamento dell’istituto di pena, con i due suicidi e le rivolte dei prigionieri dei giorni scorsi, ha obbligato le varie autorità competenti a trovare soluzioni per alleggerire una situazione da tempo esplosiva. Così, se da una parte il ministero ha ordinato una settantina di trasferimenti, in sede locale la procura ha deciso di aumentare il numero di provvedimenti che consentono ai detenuti in attesa di giudizio e a quelli che stanno scontando pene definitive di ottenere i primi gli arresti e i secondi la detenzione domiciliari. I detenuti che ne hanno potuto beneficiare nell’ultima settimana sono già alcune decine e all’interno del carcere la voce si è rapidamente diffusa e ha prodotto un raffica di istanze da parte degli avvocati. Ad uscire di cella sono stati perlopiù detenuti per furto o piccolo spaccio. E proprio uno dei primi che era tornato a casa sua, G.A., trentenne del ponente, è di nuovo finito dietro le sbarre per evasione. I carabinieri di Cornigliano, agli ordini del maresciallo Sergio Carbone lo hanno infatti sorpreso a spasso con il cane sulla collina di Coronata quando era soltanto autorizzato a raggiungere il Sert di Voltri.

L’aumento di carcerati a domicilio sta creando anche grossi problemi alle forze dell’ordine che devono controllare che vengano rispettati i vincoli imposti dai giudici.

Intanto, si registrano le prime reazioni polemiche da parte dei sindacati di polizia penitenziaria, sulle inchieste della procura che devono far luce sulle circostanze dei due suicidi avvenuti una decina di giorni orsono nel Centro clinico della prigione. Il Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, interviene sulla notizia secondo la quale il pubblico ministero Biagio Mazzeo avrebbe formulato l’ipotesi di reato di omicidio colposo a carico di ignoti. «Questa ipotesi - afferma il Sappe in un comunicato - è paradossale se finalizzata ad individuare eventuali responsabilità degli agenti in servizio presso il penitenziario. Da anni denunciamo lo squilibrio numerico che c’è a Marassi tra agenti (circa 200) e detenuti (non meno di 800 nonostante 450 posti letto); che di notte un solo agente controlla due piani di una Sezione e controlla, lui solo, 150 detenuti; da anni abbiamo rappresentato queste gravi problematiche alla Direzione, al Provveditorato Regionale della Liguria, al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, alla Commissione sulle carceri della Regione Liguria, alle varie inaugurazioni degli anni giudiziari, ed oggi si cercano eventuali responsabilità degli agenti?».

L’ECO DI BERGAMO - Venerdì 21 giugno 2002

Carcere, 480 detenuti per 200 posti. Il direttore Porcino: «In via Gleno tutti i giorni combattiamo con il problema degli spazi»

 

«L’emergenza in carcere è altissima, e non solo a Bergamo: in tutta la Lombardia». Parola del direttore della casa circondariale di via Gleno Antonio Porcino, che ha riferito la situazione alla Commissione speciale del Consiglio regionale della Lombardia nel corso di un incontro avvenuto alla fine dell’anno scorso. «Gli spazi ricreativi sono ormai pari a zero - ha spiegato Porcino - perché le sale da gioco, prive di bagno, sono occupate per 2-6 giorni, il tempo che esca qualcuno per poter occupare il posto nella cella. Siamo in emergenza da mesi». Al di là degli spazi per il tempo libero, ci sono altre esigenze a cui è difficile far fronte: «Ci sono altre norme da osservare - ha proseguito Porcino - come la recinzione tra detenuto primario e detenuto recidivo: i proseliti in carcere continuano a essere fatti. La creazione di circuiti, anche per tossicodipendenti, va affrontata a monte per non aggravare la situazione, già di per sé pesante proprio per il sovraffollamento». Troppi detenuti e strutture assolutamente inadeguate: questo l’allarme lanciato dalla casa circondariale di via Gleno. Un allarme che non suona come nuovo, ma che sicuramente diventa, giorno dopo giorno, sempre più drammaticamente attuale. I detenuti attualmente sono più di 480, per una capienza complessiva di circa 200 posti. «Io vivo giornalmente sulla mia pelle il problema del sovraffollamento. Il dover combattere tutte le sere con gli arresti locali, e non avere dove andare a sistemare i detenuti è un dato di fatto che ormai da mesi ci affligge. Anche tutti i servizi corrispondenti diventano insufficienti per gente che normalmente è disperata, che non ha punti di riferimento all’esterno. Noi all’ingresso forniamo lo spazzolino, la carta igienica, il vitto, una buona assistenza sanitaria, ma non è sufficiente per chi deve farsi anche solo un anno di carcere». Le parole di Porcino sono chiare: in una situazione simile ogni intervento di risocializzazione e di rieducazione diventa un’impresa. «Che tipo di rieducazione e di risocializzazione si possono attuare nei confronti dei detenuti extracomunitari? Sarebbe opportuno pensare a corsi regionali di formazione che siano aperti anche a loro, ma che siano spendibili nei loro Paesi di origine. Penso a tutta l’area del Maghreb, che ha una buona economia in questo momento, che si sta in qualche modo rilanciando, e che ha bisogno di professionalità su cui sarebbe opportuno investire. Oggi invece agli extracomunitari facciamo fare gli uditori, perché di fatto non possono partecipare ad altri corsi di formazione, che forse servono solo per occupare il tempo libero». L’emergenza salta agli occhi, eppure per Porcino è possibile fare qualcosa di concreto proprio in questo momento di transizione, coinvolgendo il territorio, sensibilizzando associazioni di categoria. Qualcosa si è già visto, recentemente, con la disponibilità offerta da sei Comuni della Valle Seriana di assumere dei detenuti per qualche ora al giorno. Ma i progetti in cantiere, in collaborazione con Asl e Comune, sono ancora da rendere operativi. E la formazione all’interno del carcere è un altro elemento importante nel quadro della risocializzazione: «La formazione non può limitarsi ad essere un hobby - ha concluso Porcino -. Noi da anni facciamo un corso per manutentori elettrici con applicazione anche dell’informatica, quindi con una specializzazione. Ho rilevato che i formati hanno uno sbocco lavorativo fuori quando il docente ha particolari motivazioni e contatta le singole imprese. Se invece di rimettersi alla buona volontà del singolo operatore ci fosse qualcosa di veramente istituzionale, offriremmo maggiori garanzie di affidabilità al datore di lavoro».

IL RESTO DEL CARLINO - Venerdì 19 luglio 2002

Troppi detenuti, dietro le sbarre si scoppia

 

ROMA — Le carceri italiane scoppiano di detenuti. Nei 234 istituti penitenziari, che potrebbero ospitare al massimo 42mila detenuti, sono recluse 57mila persone. Dunque, 15 mila in più rispetto alla capienza. E’ in assoluto il livello più alto dal ‘45 a oggi.

Lo rivela il settimanale «Panorama», che fornisce i dati sulle categorie di detenuti: in attesa di giudizio il 40,5% del totale, più di 17mila (uno su tre) i reclusi che provengono da paesi stranieri (nel ‘90 erano il 13%). Grave la situazione dei tossicodipendenti in cella: sono 15.442, mentre 1.421 sono i sieropositivi. Per far fronte al sovraffollamento, sostiene il direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Gianni Tinebra, servirebbero una decina di istituti in più.

«Occorrerebbe — calcola — uno stanziamento di almeno 160-200 miliardi di vecchie lire all’anno per un periodo di 15 anni». Lo Stato dovrebbe investire quindi da 1,2 a 1,6 miliardi di euro. Una situazione di fronte alla quale rispunta l’ipotesi di un’amnistia o di un condono.

 

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