Ferragosto al fresco

 

Ferragosto al fresco

 

Come si vive in quattro persone dentro una cella singola,
a 35 gradi, con bagno in comune e senza doccia

 

 Liberazione, 15 agosto 2002

 

La giustizia non è affare di soli avvocati e giudici, le carceri oggi sono lo specchio di una giustizia a doppio binario. Debole con i forti e forte con i deboli. In un sistema dove le priorità politiche sulla giustizia sono scelte in relazione al calendario delle udienze degli imputati Berlusconi e Previti, le carceri ritornano nel loro cono d'ombra, nella loro consueta opacità. In galera l'estate è calda, torrida.

Perché le prigioni sono fatte di cemento armato, perché le docce sono contingentate, perché le ore d'aria sono troppo poche, perché la "sbobba" è sempre la stessa. Vivere in tre o in quattro in una cella singola a 35 gradi con bagno in comune e senza doccia non configura un'ipotesi di tortura, ma si avvicina pericolosamente ad un trattamento disumano. Soprattutto se in quella cella devi trascorrere non pochi giorni ma lunghi mesi, anni e a volte - sono 683 gli ergastolani - tutta la vita.

Pianeta rimosso allora è da ritenersi fondamentale un'osservazione continua delle carceri perché, come scrive Mauro Palma in premessa alla "Inchiesta sulle carceri italiane" di Antigone (Carocci 2002) «osservare dall'esterno il sistema penitenziario in uno stato democratico vuol dire svolgere un'azione in tre differenti direzioni: esercitare una forma di monitoraggio e controllo democratico su un'istituzione che condensa nel suo funzionamento più parametri di lettura del livello di civiltà del corpo sociale; fornire un aiuto a chi in vario modo agisce all'interno del microcosmo rappresentato da ogni istituzione totale e che, per dare senso alla propria quotidianità, ha bisogno del punto di vista esterno; rendere visibile a una più ampia platea sociale il mondo del rimosso, del relegato ai margini di una periferia cittadina, sociale, mentale, rinchiuso in un impossibile vaso di Pandora rappresentato dalle mura di una prigione.

La cultura dei diritti ha bisogno di una non-opacità; ha bisogno di molti osservatori». In questo senso il lavoro ispettivo del Comitato Europeo per la prevenzione della Tortura (Cpt) nato a Strasburgo quindici anni fa per volontà del Consiglio di Europa, contribuisce a rendere i luoghi di detenzione più trasparenti, meno bui. Ai componenti del Comitato nessun commissario, direttore di carcere o comandante dei carabinieri può impedire l'accesso nelle stazioni di polizia, nelle carceri, nelle caserme.

 

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