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La strada maestra per l’indulto di Gerardo D’Ambrosio
L’Unità, 27 febbraio 2003
La "sospensione condizionale della pena" in discussione al Parlamento si applica a chi abbia scontato almeno un quarto della pena detentiva inflitta ed abbia un residuo - pena non superiore a tre anni. Dal beneficio restano esclusi i condannati per gravi reati quali l’associazione per delinquere di stampo mafioso, o finalizzata al traffico di droga, i delitti commessi per finalità di terrorismo, l’omicidio volontario, la rapina, l’estorsione aggravata, la detenzione di ingenti quantità di sostanze stupefacenti. Il beneficio infine viene revocato se, nei cinque anni successivi, la persona liberata commette un delitto non colpo so per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a mesi sei, oppure se non ottemperi alle prescrizioni disposte al momento della liberazione dal magistrato di sorveglianza o, se si tratta di straniero espulso, lo stesso rientri, sempre nei cinque anni, nel territorio dello stato. Ora, a ben vedere nel nostro ordinamento, per coloro che hanno un residuo pena non superiore a tre anni o che comunque abbiano subito una condanna a pena non superiore a tre anni, esiste già una misura alternativa alla detenzione in carcere: l’affidamento in prova ai servizi sociali, regolato dall’art. 47 dell’ordinamento penitenziario. L’affidamento è concesso dal Tribunale di Sorveglianza, nel caso si ritenga che il beneficio possa contribuire alla rieducazione del condannato, e sempre che possa escludersi il pericolo che il condannato medesimo, opportunamente seguito dai servizi sociali, commetta altri reati. Ciò posto appare evidente che del c.d. indultino beneficerebbero innanzitutto i detenuti ai quali l’istanza di affidamento ai servizi sociali è stata respinta dal tribunale di sorveglianza, i detenuti cioè per i quali detto tribunale ha espresso un prognosi negativa in ordine al pericolo che commettano altri reati. E non è cosa trascurabile se si considera che da monitoraggi eseguiti di recente è emerso che mentre la percentuale dei condannati affidati in prova ai servizi sociali dal Tribunale che ricadevano nel reato era inferiore all’1%; quella invece dei condannati a piede libero, in attesa del giudizio del Tribunale di sorveglianza sul!a richiesta di affidamento, che cioè non erano passati a quel filtro con giudizio positivo, era molto più alta, vicina al 10%. E non pare che possa fungere da deterrente effettivo, così come sostenuto dai proponenti, il fatto che i beneficiari dell’indultino se, nei cinque anni, vengono condannati per altro delitto non colposo devono comunque scontare la pena che residuava al momento della scarcerazione. Ciò può valere per chi, uscito dal carcere, ha un lavoro onesto che lo aspetta o ha alle spalle una famiglia che lo possa mantenere sino a che trova lavoro, ma non certo per gli altri che tornano ad una vita sbandata, direi disperata, e che tra l’altro ben sanno che le probabilità di essere scoperti per i delitti ulteriormente commessi resteranno molto basse. D’altra parte, non essendo il beneficio automatico, ma dovendo essere concesso dal magistrato di sorveglianza il quale, oltre a verificare la sussistenza dei presupposti, dovrebbe comunque disporre una serie di prescrizioni al condannato, non tutti ne beneficerebbero allo stesso modo per i diversi tempi di decisione. L’effetto sfollamento delle carceri insomma non sarebbe immediato ma diluito nel tempo, essendo prevedibile che anche per la concessione dell’indultino, presso i giudici di sorveglianza, cui di recente è stata attribuita anche la competenza per la concessione della liberazione anticipata, si formerebbe inevitabilmente il consueto arretrato. Inoltre l’effetto sfollamento non sarebbe di proporzioni apprezzabili, posto che le condanne a pene superiori a quattro anni riguardano prevalentemente proprio quei reati che sono stati oggettivamente esclusi dal beneficio. Verosimilmente per tale ragione, da alcuni parlamentari, addetti ai lavori, è stato fatto rilevare che, per alleggerire la grave situazione di sovraffollamento delle carceri, forse sarebbe stato più efficace modificare l’istituto della liberazione anticipata, una sorta di premio di buona condotta concesso dal magistrato di sorveglianza, su proposta del direttore dell’istituto di pena. Portando lo sconto di pena, per ogni sei mesi di detenzione sofferta, dagli attuali quarantacinque giorni a sessanta giorni molti detenuti avrebbero potuto così essere immediatamente liberati. I detenuti condannati ad un anno e quattro mesi sarebbero usciti dopo un anno, quelli condannati a due anni e otto mesi dopo due anni, quelli condannati a quattro anni dopo tre anni e così via con un anticipo, rispetto all’attuale situazione, di un mese per ciascun anno di detenzione sofferto. A mio sommesso avviso anche questa proposta è destinata a non avere seguito sia perché l’effetto sfollamento sarebbe insignificante, sia perché se avesse effetto retroattivo ne beneficerebbero prevalentemente i condannati alle pene più gravi, sia infine perché essendo stato il beneficio, in precedenza già portato da trenta a quarantacinque giorni, finirebbe non solo per essere snaturato nelle sue finalità ma anche per avere effetti negativi sulla effettività della pena. La strada dell’indulto limitato ad un anno ed accompagnato da un provvedimento di amnistia per i reati puniti con la reclusione sino a tre anni e per le ricettazioni non gravi, cui feci riferimento nell’articolo citato, rimane quindi la strada maestra per il piccolo segno di clemenza invocato dal Papa e per la riduzione dei tempi della giustizia.
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