Amnistia o indulto, o indultino? E dopo? Quale situazione
si verrà a creare per tutta quella gente che uscirà anzitempo dal carcere? Una
problematica molto seria e di vivissima attualità che don Giuseppe Girelli il
santo prete, già parroco di Rosegaferro e fondatore della Sesta opera, si poneva
negli anni Sessanta in un periodo di intesa attività per l’assistenza e la
redenzione dei carcerati.
Mentre si sta raccogliendo un voluminoso dossier a corredo del processo di
beatificazione in corso, emerge in tutta la sua evidenza questo aspetto che ha
profondi risvolti sociali e dovrebbe essere considerato dal legislatore al fine
di creare le condizioni per il reinserimento di quei detenuti che, usciti dal
carcere, in moltissimi casi, si trovano su una strada e non sanno dove andare.
"Da tante parti d’Italia", racconta Danilo Donisi, presidente dell’associazione
Amici di Don Girelli, "riceviamo lettere e testimonianze con le quali il
prossimo beato affrontava il problema e si poneva a disposizione tra le varie
istituzioni allo scopo di aiutare concretamente chi ha sbagliato e chi, dopo
aver scontato la pena, con molte difficoltà cerca di ritornare a vivere nella
società".
Dall’archivio del Centro Studi "Croce Bianca" di San Severino Marche è pervenuto
uno scritto del sacerdote stretto amico di San Giovanni Calabria, datato marzo
1960, oggetto di un intervento sull’amnistia, argomento di attualità a quei
tempi, che definisce "imbarazzo dei governanti e responsabilità di tutti" e
descrive quello che avviene. "Vorrei seguire qualche detenuto", si propone don
Girelli. Da lì, inizia la sua missione in aiuto di chi esce dalla galera ma non
riesce a reinserirsi nella società. Un giorno si trova nell’anticamera del
patronato degli ex carcerati.
Con lui, ci sono molti uomini disperati, incapaci di
ricostruirsi il futuro. Il responsabile del patronato porge una banconota ad uno
di loro che gli risponde di non desiderare la carità ma un lavoro. Questo stesso
uomo va in cerca di aiuto dal cappellano che prova a sentire una ditta, uno
stabilimento, un benefattore, tutti rispondono: "Ci sono tanti capi famiglia in
attesa". Demoralizzato, ritorna dal direttore del carcere: gli aveva assicurato
che ci sono tante provvidenze e che qualcosa di buono, pure per lui, sarebbe
saltato fuori. Lui stesso riprova, ma niente da fare. Gli raccomanda la calma e
gli da qualche suggerimento.
"Povero detenuto", commenta don Girelli, "che fare? A casa
sua non ci pensa di andare perché sarebbero nuove umiliazioni, nel paese si
vergognano di lui, le istituzioni come possono intervenire con delle provvidenze
che possono impedire l’abbandono di chi, ricevuta la libertà, si trova di fronte
a questa alternativa: o trovo un asilo caldo di affetto oppure dovrò ritornare
in carcere".
Al giudiziario di Vicenza, scrive don Girelli, in occasione di una amnistia metà
dei detenuti è ritornata alla libertà ma alla sera del primo giorno sei su
un’ottantina erano di nuovo in carcere. "È una vecchia esperienza", ammonisce,
"che vorrei fosse tenuta in considerazione dai detenuti amnistiati perché non si
illudano e dai non amnistiati perché non si avviliscano".
Don Girelli, chiamato anche "l’apostolo delle carceri", ha fondato a Ronco la
casa che ospita decine di ex ergastolani. E questo problema si presenterà, forse
in misura più pressante, allorquando il parlamento decidesse di approvare la
legge sull’indultino. Don Girelli scriveva: "Si può prevedere che le loro
necessità saranno più numerose e urgenti".