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Sull'indulto non so, ma dico no L’Espresso, 17 gennaio 2003 Un sondaggio Doxa - L'espresso rivela che gli italiani, di destra e di sinistra, temono l'effetto "liberi tutti". E i partiti? Litigano tra loro
Gli italiani contrari all'indulto sono quasi il
doppio di quelli favorevoli. E il divario vale per gli elettori del
centro-destra ma anche per quelli di centro-sinistra. Questo dato emerge dal
sondaggio esclusivo Doxa - "L'espresso" di cui pubblichiamo i risultati in
queste pagine e arriva come un'onda anomala nelle acque agitate delle forze
politiche, che hanno cominciato a discutere nell'aula di Montecitorio il "segno
di clemenza" nei confronti dei detenuti, chiesto anche dal papa nel novembre
scorso. Oppure sceglieranno di limitare la frattura tra ceto politico e cittadini, scegliendo, tra i vari provvedimenti sul tappeto (indulto, amnistia, indultino), quello che potrebbe evitare una rotta di collisione con l'elettorato? I partiti maggiori, Forza Italia e Ds, sono più orientati sulla strada dell'indulto vero e proprio che su quella della sospensione condizionata della pena, il cosiddetto indultino. Quantomeno pensavano che la strada dell'indulto andasse percorsa per prima. La riunione dei capigruppo di martedì 14 ha stabilito che, almeno per ora, proceda per prima la discussione sulla sospensione condizionata, ma non è ancora detto che si mantenga quest'ordine dei lavori fino al voto finale. Tra i seguaci di Silvio Berlusconi, poi, la scelta dell'amnistia gode di grandissima popolarità, sebbene sia ritenuta più difficile da realizzare. Le truppe di Piero Fassino invece sono abbastanza unite nel privilegiare la "via maestra" dell'indulto. Perché accontentarsi di una sospensione condizionata della pena, sostengono, quando ci sono i numeri per mettere in pratica uno strumento previsto dalla Costituzione e già collaudato? "Uno strumento", aggiunge Francesco Bonito, capogruppo Ds in commissione Giustizia, "che, oltretutto, può essere modulato, attraverso l'esclusione di determinati reati (come quelli sessuali) o figure di condannati (come i delinquenti abituali), in modo da ottenere con una certa precisione il risultato quantitativo (di scarcerazioni) che ci si propone". La maggioranza che l'indulto ha sulla carta rischia però di rivelarsi un trappolone. La Costituzione prevede infatti che per approvare il provvedimento siano favorevoli i due terzi dei componenti di ciascuna Camera. Fin qui, poco da eccepire: salvo un diluvio di assenze o ripensamenti nel segreto dell'urna, più dell'80 per cento dei membri del Parlamento dovrebbe approvare la legge. Ma le sorprese possono venire da un altro vincolo costituzionale, quello che impone che la maggioranza dei due terzi sia rispettata anche nella votazione di ciascun articolo. E siccome fra le forze politiche ci sono vedute assai diverse circa i reati che vanno inclusi o esclusi dal provvedimento, il rischio di un patatrac generale è molto verosimile. È certo, per esempio, che la bomba a orologeria scoppierà quando si discuterà dei reati cosiddetti di Tangentopoli: gli azzurri del Cavaliere premeranno per inserirli, gli onorevoli dell'Ulivo per escluderli. Ma anche altri terreni sono minati, come quello dei reati finanziari o di quelli legati al terrorismo. L'indultino dribbla non poche controindicazioni dell'indulto. In particolare potrebbe essere più digeribile da parte dell'opinione pubblica preoccupata dalla criminalità e dal ritorno a delinquere dei detenuti liberati (il tasso di recidiva, in generale, è attorno al 60 per cento). "Esiste un allarme sociale di cui dobbiamo tener conto", sottolinea il responsabile per la Giustizia della Margherita, Giuseppe Fanfani. "La sospensione condizionata della pena è congegnata in modo tale da costituire un serio disincentivo a riprendere la strada del crimine: chi non riga diritto dopo la scarcerazione torna subito in carcere, senza attendere sentenze di condanna definitive come nell'indulto; basta una relazione negativa della polizia giudiziaria o dei servizi sociali nei cinque anni successivi alla sospensione". Il timore dei fans della sospensione è che il fallimento dell'indulto, rafforzando il fronte dei contrari a ogni gesto di clemenza, trascini con sé l'indultino. Per questo i deputati della Margherita fanno di tutto perché quest'ultimo arrivi per primo alla meta del voto. Poiché anche nel caso della sospensione condizionata verrà al pettine il nodo dei reati da includere o escludere, non si riprodurranno le lacerazioni che rischiano di far affondare l'indulto? "La sospensione della pena riguarda coloro che sono oggi detenuti e non chi ha commesso certi reati e magari non è stato ancora condannato in via definitiva", precisa Giuliano Pisapia, giurista di Rifondazione e firmatario con Enrico Buemi (Sdi) della proposta di legge. "Oggi in galera non c'è nessuno detenuto per i reati di Tangentopoli e quindi in questo caso la tensione al calor bianco tra i due poli per includerli nel provvedimento non ha ragion d'essere". Se Cesare Previti nei prossimi mesi venisse condannato, insomma, non potrebbe usufruire della sospensione condizionata che, oltretutto, si applica a chi abbia già scontato almeno un quarto della pena. L'indulto è uno scudo anche per guai futuri, la sospensione per questi non serve a nulla. Questa è la forza, ma anche la debolezza, della proposta indultino rispetto alle altre sul tappeto. Rimane da dire dell'amnistia, che per il momento però ha meno sostenitori. Poiché non si limita a ridurre la pena ma estingue il reato, è la preferita dal partito dei "liberi tutti". I Ds e la Margherita non la vogliono perché temono chela maggioranza colga l'occasione per un colpo di spugna sui reati contro la pubblica amministrazione. A sinistra, solo Verdi e Rifondazione tifano per l'amnistia, in accoppiata con l'indultino. Dicono: a parte l'amnistia togliattiana del dopoguerra che liberava anche gli omicidi, le numerose altre volte che è stata adottata non ha mai riguardato reati che comportassero pene massime superiori ai quattro anni. Di conseguenza, tra i reati di Tangentopoli potrebbe rientrarvi solo l'abuso di ufficio, non la corruzione né la concussione. A meno che non si vari un'amnistia larghissima con la scusa di chiudere un ciclo storico. Ma dove li trova il Cavaliere i due terzi dei voti del Parlamento che gli permetterebbero un'operazione di tal fatta? All'orizzonte qualcuno paventa uno scambio perverso: voi del centro-destra approvate l'indultino, senza troppo sottilizzare sui sospetti di incostituzionalità che qualcuno (la Lega in particolare) ha sollevato, e noi -Margherita, Rifondazione, Verdi- vi diamo una mano per modificare il vincolo costituzionale dei due terzi dei voti. In fin dei conti, potrebbe giustificarsi qualcuno, in passato il limite era di solo il 50 per cento e lì si potrebbe ritornare. Così in futuro la maggioranza potrebbe farsi indulti e amnistie "in casa" senza dover scendere a patti con l'opposizione. Ma questo "contratto" non è realizzabile in breve tempo: la modifica costituzionale infatti richiede un iter di almeno un anno e mezzo con due successivi passaggi alle Camere. Vero è che anch'essa è all'ordine del giorno, ma si profila nei tempi lunghi che le sono propri una soluzione più limitata: riferire i due terzi dei voti non più ai componenti delle Camere ma ai votanti. Grande è la confusione sotto il cielo e forte il rischio che i veti incrociati approdino al nulla di fatto e si smarriscano le motivazioni alla base delle diverse proposte. Prima fra tutte, ridurre il sovraffollamento carcerario. Circa 56 mila detenuti dove ce ne dovrebbero stare appena 40 mila. Rieducare il detenuto in queste condizioni è impossibile. Costruire più carceri sembrerebbe un'alternativa coerente con le giustificate paure dei cittadini. Ma i costi sono proibitivi e ci vorrebbero anni. "Il modello americano è meglio non imitarlo: lì la criminalità è in aumento", dice Bonito, "guardiamo alla Finlandia, dove abbassato il tasso di carcerazione è sceso quello di criminalità".
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