Progetto M.E.D.I.A.RE.

 

Mutual exchange of data and information about restorative justice

Programma Comunitario Grotius II Penale

 

Intervento del dr. Giovanni Ghibaudi (Coordinatore socio-educativo del Ufficio di mediazione del Comune di Torino): Il Centro Mediazione Penale di Torino: dall’atteso all’inatteso di un’esperienza quotidiana

 

La sperimentazione sull’attività di mediazione, a Torino, è iniziata nel gennaio 1995 ed è stata la prima iniziativa a livello nazionale. Ha visto coinvolti, sin dall’inizio, accanto a due giudici onorari alcuni volontari ed un’assistente sociale dei Servizi Minorili. L’Ufficio è avviato a seguito di un’approfondita riflessione che, inizialmente, si è sviluppata fra i giudici del Tribunale e della Procura per i minorenni di Torino e che, successivamente, è proseguita nell’ambito dei lavori della Commissione Regionale ex art. 13 del D.Lgs 272/89, composta da funzionari ed operatori della Regione Piemonte, del Centro Giustizia Minorile di Torino, del Comune di Torino, di alcuni consorzi socio-assistenziali regionali, e da alcuni giudici del T.M. e della Procura medesimi. Dopo la realizzazione del percorso formativo sulla riparazione e sulla mediazione (anni 96/97), il gruppo dei mediatori si è ampliato con l’ingresso di operatori provenienti dai Servizi Minorili della Giustizia e dai Servizi Socio Assistenziali ed Educativi del Comune di Torino. Il 1° febbraio 1999, con la firma di un Protocollo d’Intesa sottoscritto dagli enti promotori l’iniziativa: la Regione Piemonte, il Centro Giustizia Minorile per il Piemonte e la Valle d’Aosta, il Comune di Torino, il Tribunale per i Minorenni di Torino e la Procura presso il T.M., viene ufficializzato il "Progetto Riparazione" che prevede, tra l’altro, l’apertura del Centro di Mediazione Penale di Torino. Con la firma dell’intesa, il Comune di Torino s’impegna a mettere a disposizione una sede operativa, situata all’esterno del Tribunale proprio per garantire, da una parte uno spazio fisico neutrale e dall’altra uno spazio situato altrove rispetto ai luoghi di gestione del controllo sociale. Spazio fisico, operante a livello regionale e non solamente cittadino. Nel mese d’ottobre 1999 veniva individuata la nuova sede, la cui collocazione è situata nel cuore della Città, composta da tre locali di proprietà del Comune, di cui uno è adibito a stanza della mediazione vera e propria, uno ad ufficio amministrativo ed il terzo a sala d’aspetto per gli accompagnatori delle parti in conflitto. Nel periodo compreso fra il 1° gennaio 1995 ed il 30 aprile 2000 l’attività del Centro Mediazione si è svolta presso un locale messo a disposizione all’interno del Tribunale per i Minorenni; dal 2 maggio 2000 si avvia l’attività presso la nuova sede. Attualmente, presso il Centro, lavorano 11 mediatori, di cui 4 sono distaccati dal Ministero della Giustizia (due assistenti sociali dell’USSM, un’educatrice del CPA ed un’assistente sociale del Centro Giustizia Minorile del Piemonte e della Valle d’Aosta ), 3 dal Comune di Torino (tre coordinatori socio-educativi), tutti con un distacco parziale di ore, e da 4 volontari (due psicologi, una pedagogista ed un’insegnante). I turni di presenza presso il Centro, concordati fra i mediatori sulla base delle singole disponibilità e dei rispettivi carichi di lavoro, ne permettono, l’apertura nell’arco di tutta la settimana. Organizzativamente viene svolta una riunione d’équipe, mediamente quindicinale, dal carattere sia strettamente amministrativo sia tecnico finalizzato all’approfondimento dei problemi riscontrati (questione della non fattibilità, quale tecnica comunicativa utilizzare al primo contatto telefonico, quale ruolo assumere durante i colloqui individuali e congiunti da parte dei singoli mediatori, se e come coinvolgere i genitori,etc.); inoltre sono stati individuati alcuni incarichi per la gestione ordinaria dell’attività (tenuta registri, gestione casi, predisposizione fascicoli, contatti con la Procura, contatti con studenti e ricercatori universitari, etc.). Il rapporto tra il Centro Mediazione e la Magistratura Minorile di Torino si è mantenuto costante nel tempo grazie ad una serie di incontri specifici (almeno un paio di volte all’anno), che consentono di confrontarsi sulle problematiche emergenti sia in relazione ai singoli casi che coinvolgono minori italiani e/o stranieri, sia in relazione alle modalità di raccordo e segnalazione, nonché all’interpretazione normativa di riferimento. Dal mese di aprile 2002, inoltre, il Procuratore Capo ha delegato un suo sostituto (che ha partecipato al percorso formativo con la Morineau), quale referente del Centro Mediazione per la Procura Minorile; aspetto questo che ha ottimizzato la collaborazione già in atto. L’attività di mediazione. Pur essendo stato stabilito, sin dall’inizio, che l’accesso allo spazio di mediazione può avvenire in ogni stato e grado del processo, tuttavia l’esperienza c’insegna che la maggior parte degli invii in mediazione sono richiesti durante le indagini preliminari. Castelli, in un suo scritto, sostiene anzi che "nel campo della giustizia minorile è bene iniziare la mediazione prima dell’avvio dell’iter giudiziario formale". Negli ultimi due anni, anche a seguito di nuovi accordi tra la magistratura e gli altri soggetti interessati, le richieste di mediazione provengono direttamente anche dagli operatori dei servizi minorili o del territorio nell’ambito delle indagini sociali. A seguito di queste indicazioni è stata predisposta, nel giugno del 1999, una proposta di modalità di collaborazione tra gli enti gestori delle funzioni socio-assistenziali, l’USSM ed il Centro di Mediazione Penale (cfr. tabella 1). Per quanto attiene le prassi operative, si è consolidata la seguente metodologia: i Pubblici Ministeri individuano i fascicoli per i quali è ipotizzabile un’intervento di mediazione e li mettono a disposizione dei mediatori perché, sulla base dell’esperienza acquisita e dei criteri di cui ci si è dotati nel tempo, venga fatta una prima valutazione di fattibilità o meno. A fronte di una valutazione positiva da parte del mediatore, la Procura invia contestualmente una lettera alla vittima e all’indagato in cui li si preavvisa dell’invito alla mediazione che perverrà loro dal Centro. I servizi minorili e/o del territorio, invece, acquisito il consenso dell’indagato nell’ambito delle indagini sociali, inviano al Centro una richiesta di valutazione circa la fattibilità o meno di una mediazione; è compito del Centro verificarne la fattibilità, dopo aver contattato le persone interessate ed ottenutone o meno il consenso. Il centro, a firma di uno dei mediatori che effettuerà la mediazione, spedisce una lettera, a cui viene allegato un depliant informativo, alla vittima ed all’indagato. in essa viene offerta la possibilità di accedere alla mediazione e, contemporaneamente, si fissa una data per l’incontro individuale e l’incontro di mediazione. Nel testo è offerta la disponibilità ad un contatto telefonico diretto, a distanza di una decina di giorni, per la conferma da parte degli interessati o, eventualmente, per la fissazione di una nuova data. Qualora non dovesse pervenire alcun riscontro alla proposta di mediazione, il mediatore contatta direttamente le parti tramite telefono, mettendosi a disposizione per ogni eventuale delucidazione sul significato e le modalità operative della mediazione. Alla mediazione sono sempre presenti almeno due mediatori, uno con funzione di conduttore dei colloqui individuali, l’altro con una funzione d’osservatore attivo che può intervenire in qualunque momento del colloquio con osservazioni e riflessioni che permettono di fungere da stimolo per la vittima o l’indagato, o di inquadrare meglio la narrazione dei fatti, l’analisi dei sentimenti e le loro reazioni e quant’altro possa servire per favorire la comunicazione. L’intervento di mediazione comporta colloqui individuali con ciascuno degli attori coinvolti, finalizzati all’acquisizione del consenso ed alla verifica di fattibilità dell’incontro "vis à vis". La parte iniziale del colloquio individuale avviene anche all’eventuale presenza dei genitori o d’altri accompagnatori (es. avvocati), per renderli partecipi ed informati delle finalità della mediazione e del percorso che si svilupperà nell’ambito dell’incontro specifico; accompagnatori cui non è concesso, comunque, di partecipare al prosieguo dell’incontro. Ogni colloquio individuale si apre con una breve presentazione, da parte del mediatore, del perché si è arrivati alla mediazione, ne riprende gli scopi e le finalità, ricordandone il carattere volontario e consensuale e di conseguenza l’assoluta libertà delle parti ad aderirvi o meno. Successivamente, nello svolgimento del colloquio si chiede alla vittima (o all’indagato), di raccontare i fatti nella loro dinamica storica, si offre loro un ascolto attivo delle emozioni vissute, si recupera il loro punto di vista, si verificano le motivazioni e le aspettative e si focalizzano al meglio le richieste (da parte della vittima) o il desiderio di riparazione (da parte dell’indagato). È proprio in questo suo svilupparsi che il colloquio individuale permette ai mediatori di metter a fuoco, tramite la determinazione del movente principale e di quello secondario collegati all’avvenimento, la reale posta in gioco fra i contendenti. L’individuazione della reale posta in gioco si dimostra estremamente importante perché permette di concretizzare positivamente l’esito della mediazione. Prima di procedere al colloquio di mediazione vero e proprio, i mediatori si riservano la riflessione su quanto emerso dai colloqui individuali e decidono quali ruoli assumere nell’incontro fra i due soggetti in conflitto. I mediatori valutano di volta in volta, sulla base degli elementi emersi sia durante i colloqui telefonici preliminari sia durante il colloquio individuale, l’opportunità o meno di procedere all’incontro faccia a faccia o in immediata successione temporale, oppure a distanza di un tempo concordato con le parti. Uno degli elementi che è preso in considerazione è la residenza degli interessati e le loro eventuali difficoltà a raggiungere Torino in giornate diverse, considerato che il Centro opera per l’intero territorio regionale del Piemonte e della Valle d’Aosta. A tal proposito, si fa presente che in alcune occasioni sono i mediatori a spostarsi per effettuare i colloqui in località maggiormente accessibili dalle parti. Il colloquio congiunto si apre con l’esplicitazione delle regole sottese al corretto andamento del medesimo e le parti vengono invitate a raccontare l’accaduto dal loro punto di vista, dalla loro percezione dei fatti nel loro svilupparsi. Successivamente, uno dei mediatori procede alla ri-narrazione sintetica dei fatti secondo quanto espresso sia dalla vittima che dal reo. Terminata questa prima fase viene data la parola ai due attori del conflitto in modo che possano riallacciare i fili di una relazione interrottasi, nel caso si tratti di persone che si conoscono, o di avviarne una nuova nel caso di persone che non si conoscevano, a partire da una diversa visione del reato che ne comprenda il valore umano. A questo proposito mi sembra che Leonardo Lenzi sappia coglierne l’essenza quando afferma: "Proprio nel punto in cui il conflitto sembra insanabile, in cui la frattura non appare più ricomponibile, in cui la comunicazione appare come definitivamente chiusa, nel punto in cui le parti cessano di parlarsi….proprio in questo punto la mediazione si propone di offrire ai protagonisti del conflitto uno spazio e un tempo nuovi… Lo spazio nuovo è quello prodotto dalla accoglienza e dal riconoscimento dei sentimenti che fino ad ora sono stati compressi, taciuti: dell’odio, del rancore, del dolore per il tradimento. Normalmente, nel percorso della giustizia ordinaria, la vittima sarebbe forse vendicata, si crederebbe in qualche modo di risarcirla, ma non le verrebbe mai dato lo spazio, la possibilità di poter gridare ciò che veramente ha vissuto; l’autore di reato sarebbe forse punito, ma non verrebbe in alcun modo dato spazio alla sofferenza da cui spesso la violenza sgorga come estremo e perverso atto comunicativo" Questo è forse il momento più delicato, perché attraverso l’accettazione consapevole del proprio mettersi in gioco, il riconoscimento delle proprie emozioni e di quelle dell’altro, il riconoscimento dei propri sentimenti, la percezione dell’altro come persona si arriva ad una rilettura nuova dell’accaduto, condivisa dalle parti. Rilettura che permette di trovare la soluzione al conflitto attraverso lo svilupparsi, tramite l’utilizzo di un modello comunicativo nuovo, di quella comunicazione che era stata all’origine del conflitto medesimo. È in questa fase che la funzione del mediatore, "terzo neutrale" o forse più correttamente "equiprossimo", come dice Ceretti, assume quel ruolo di "specchio" che, riflettendo le emozioni da un’angolatura diversa (nel senso di rinviarle alle parti consentendone una riflessione più approfondita), permette la riappropriazione ed il superamento del conflitto da parte degli attori principali: "la vittima e l’indagato". Esse esperimentano, forse per la prima volta, la possibilità di affrontare direttamente il conflitto senza delegarlo ad altri. Il mediatore, proprio perché terzo equiprossimo, trasforma le parti in conflitto in persone che comunicano, e tramite il suo modo di comunicare riesce a trasmettere un modello comunicativo con una persona, al di là di quello che la stessa ha vissuto o fatto. L’essenza profonda dell’incontro di mediazione sta proprio in ciò che si sviluppa e si trasforma nell’"hic et nunc" del suo spazio temporale, profondamente soggettivo per ciascuno degli attori coinvolti. Castelli direbbe: "lungi dal rappresentare il trionfo dell’individualismo, di una morale personale contrapposta alla norma convenuta dalla società, si rivela un potente strumento per rinsaldare le relazioni fra i soggetti, costruire relazioni nuove, e tessere articolati tessuti di civiltà". Nella relazione verbale che si instaura, pur conservando ciascuno la propria identità, vi è l’opportunità di entrare nell’identità dell’altro e di rifletterla reciprocamente, la qual cosa stimola il dipanarsi di quel movimento circolare attraverso il quale l’altro rimanda a noi stessi la sua immagine, il suo essere che ci aiutano a comprenderlo meglio, ma contemporaneamente ci riflette la percezione che lui ha di noi, entrando così in quel movimento dinamico che è alla base del cambiamento. È vero che io rifletto la mia immagine nello specchio, ma contemporaneamente lo specchio la riflette su di me, nel suo doppio significato di "re-flectere" ("rimandare un qualcosa" e "pensare con attenzione"). Di qui l’opportunità di dare spazio anche alle pause di riflessione che si esprimono negli attimi di silenzio, che acquista un significato molto pregnante perché, come dice la Morineau, "le silence est le langage de l’âme. Grâce au silence, les personnages deviennent présents." Leonardo Lenzi, sul concetto di silenzio, ci ricorda che il mediatore "non dovrà quindi temere il vuoto, il silenzio, la sospensione del tempo. Spesso, in mediazione accadono silenzi prolungati, e questo può disorientare e far paura. Il mediatore deve essere capace di rimanere in silenzio, vuoto, verticale, consapevole che quel silenzio è prezioso perché permette alle persone di prendere le distanze dalle proprie emozioni, di evitare che esse si concatenino all’infinito, e soltanto dentro questa distanza, questa vastità, questo spazio, le persone potranno accogliere loro stesse e forse anche l’altro" È da questo intreccio che si dipana a livello comunicativo (verbale e non verbale), che il conflitto può trasformarsi in "valore e significato" che permettono quella ricaduta positiva non solo sul piano soggettivo ma anche all’interno del tessuto sociale della comunità di appartenenza. Valore e significato che assumono una connotazione particolare in quello che Lenzi definisce tempo nuovo: "Il tempo nuovo è il momento presente. Uno degli effetti del conflitto è quello di fermare il tempo: i confliggenti sono come inchiodati nel passato, chiusi, bloccati dentro un’esperienza di dolore…Ma il tempo nuovo della mediazione è anche, in qualche modo, il futuro, perché a partire dal riconoscimento avvenuto in mediazione la relazione può ancora avere un avvenire, può ancora essere ad-ventura. I mediati possono tornare ad essere protagonisti del loro rapporto e non più semplicemente agiti dalla sofferenza inespressa accumulata nel conflitto" A conclusione dell’incontro, i mediatori e le parti condividono le valutazioni sull’esito della mediazione esplicitando le ragioni della reciproca soddisfazione ed individuando concrete modalità riparativa e riconciliativa (scuse, stretta di mano, accordi o simbolici o sul versante del risarcimento del danno, remissione di querela, etc.). In alcuni casi, laddove non è possibile giungere all’incontro congiunto tra indagato e vittima, in presenza comunque di una disponibilità delle parti, i mediatori avviano una mediazione indiretta che il più delle volte si concretizza attraverso uno scambio epistolare di cui si fa garante il Centro. Al termine, i mediatori che hanno condotto la mediazione, ne riferiscono con una breve nota scritta l’esito positivo o negativo alla Procura o al Tribunale o all’ufficio ministeriale e/o territoriale che avevano richiesto la medesima. Alcune considerazioni sulla mediazione nella regolazione dei conflitti La mediazione penale minorile nei fatti risponde a due esigenze. La funzionalità educativa e di responsabilizzazione dell’indagato, che molte volte non ha coscienza né percezione che quanto commesso possa considerarsi reato (non dimentichiamo che gli indagati sono tutti minorenni in evoluzione). L’offerta di uno spazio fisico informale che garantisca ascolto, attenzione e soddisfazione alla vittima, la quale riceve il giusto riconoscimento nella vicenda del processo penale. Mierolo in un suo scritto afferma: "laddove la legge non può assumersi il compito di sostenere gli argini effimeri eretti a salvaguardia di fragili differenze, occorrono spazi ed occasioni, che la mediazione può offrire, fuori dai confini conosciuti, che consentano di erigere dimore provvisorie e inconsuete, che ci consentano, finalmente, di incontrare l’estraneo". È anche attraverso l’incontro con l’altro, con l’estraneo che posso soddisfare l’esigenza educativa contenuta nella responsabilizzazione del soggetto, che impara nuove modalità di relazione, di comunicazione, di convivenza che ne permettono il riconoscimento e l’essere riconosciuti. "La mediazione e le attività di utilità sociale - diceva nel 1998 la dr.ssa Calcagno - sono gli strumenti per riportare alla comunità le difficoltà di convivenza che nella comunità esistono, superando la delega al potere giudiziario e riportando alla comunità la risposta alla devianza." È sul territorio che nascono e si sviluppano i conflitti, è all’interno della comunità locale che si mantengono o si interrompono le relazioni sociali, ma gli attori sono sempre gli stessi e proprio per questo sono da considerare "attori sociali" più che "attori giudiziari", secondo la definizione del mediatore tedesco Zauberman. Ma, proprio perché attori sociali, hanno la necessità, e soprattutto il diritto (anche se formalmente non ancora riconosciuto), di riappropriarsi della gestione di quel conflitto scaturito da un reato che può anche essere irrilevante, dal punto di vista giuridico, ma che irrilevante non è dal punto di vista della percezione sia personale, per quanto attiene la vittima, sia sociale, per quanto attiene la comunità. Accettando la mediazione, le persone trovano una proposta di soluzione diversa al loro malessere, la quale, partendo da un approccio non rigido al conflitto originato da un reato, permette da una parte di superare la fredda astrattezza della norma penale, offrendo agli attori uno spazio informale di ascolto e di comunicazione, e dall’altra permette di sperimentare una pratica democratica che può svilupparsi nella risoluzione pacifica del conflitto. Quest’aspetto, ancora tutto da approfondire, viene evidenziato molto chiaramente dalla Morineau quando afferma "In ogni caso, è la funzione del cittadino nel suo ambiente che è rimessa in discussione….La mediazione è essenzialmente democratica ed una delle sua caratteristiche fondamentali è di proporre uno spazio ed un ruolo nuovo all’individuo nella società. Non più in un rapporto di dipendenza cieco ma in un rapporto di responsabilità e di libertà." Prospettive aperte Un aspetto che si è andato via via evidenziando nell’attività esperienziale della mediazione è stato il ruolo delle figure genitoriali, che possono svolgere sia un ruolo positivo che un ruolo estremamente distruttivo rispetto all’esito della mediazione stessa, soprattutto quando i confliggenti sono tutti minorenni. Di conseguenza l’équipe, sin dallo scorso anno, offre uno spazio di ascolto e di mediazione ai genitori, quando ci si rende conto che l’atteggiamento degli stessi potrebbe distruggere il cammino di responsabilizzazione e di superamento del conflitto operato dai minori in sede di mediazione. L’esperienza diretta con le vittime e gli indagati ha permesso di considerare l’opportunità di avviare una riflessione su come intervenire, all’interno della scuola, sui temi dell’educazione alla legalità e della gestione dei conflitti. Questo è un campo d’intervento su cui riteniamo che il Centro possa svolgere un ruolo importante sia nei confronti dei giovani, sia nei confronti degli adulti che quotidianamente interagiscono con loro. Quest’anno, per esempio, su richiesta di una scuola superiore di Torino, si è provato a sperimentare un intervento specifico su una classe considerata particolarmente difficile ed ingestibile. La scelta, condivisa dall’intera équipe, è scaturita da una duplice consapevolezza: l’importanza di "intervenire prima che vengano sanzionati i comportamenti trasgressivi"; l’importanza di introdurre una cultura della gestione e composizione del conflitto, nelle relazioni tra le persone, che permetta quel "passaggio fondamentale da uno stato emozionale di disagio ad uno di agio", con tutte le ricadute positive che ne possono conseguire. In molteplici mediazioni il Centro si è trovato ad intervenire su episodi in cui i minorenni hanno agito in concorso con giovani maggiorenni (fascia d’età 18/21 anni). Considerato che nella maggior parte dei casi si tratta di reati che sono divenuti di competenza dei Giudici di Pace, ci si domanda se non abbia senso coinvolgere anche i coimputati maggiorenni nella mediazione, anche alla luce di quanto sancito dalla nuova legge sulla funzione penale del Giudice di pace. Dai dati in nostro possesso risulta che il Centro Mediazione Penale di Torino, su scala nazionale, è quello che ha svolto e svolge il maggior numero di mediazioni, il che ha permesso ai suoi mediatori l’acquisizione di un’alta professionalità, che potrebbe essere messa a disposizione dei Giudici di Pace per specifici e mirati interventi di mediazione. Considerata la diffusione delle esperienze di mediazione penale sul territorio nazionale, caratterizzate tuttavia da eterogeneità di modelli e di prassi operative, si ritiene importante che sia garantito un coordinamento nazionale delle diverse iniziative. In tal modo si potrebbero rendere maggiormente omogenee le pratiche di mediazione, condividere i saperi e le competenze acquisite attraverso i diversi percorsi formativi ed esperienziali, e sviluppare la cultura della mediazione. Cultura che richiede, comunque, una specifica formazione che parta dalla consapevolezza, come dice spesso l’etnopsichiatra Lucien Hounkpatin, che "è necessario imparare a disimparare ciò che si è imparato per costruire un nuovo sapere che possa trasformarsi in modalità operative nuove" Da parte dell’équipe dei mediatori del Centro di Torino si ritiene che la "mediazione penale sia un intervento innovativo che si colloca in una cultura diversa ed opposta a quella della punizione, ma anche diversa da quella paternalistica che giustifica il comportamento dei minori autori di reato con attribuzioni di immaturità e di non responsabilità. E’ palesemente difficile far passare questa cultura nuova ed operare per un’effettiva assunzione di responsabilità da parte del minore e per il riconoscimento della vittima." Ma proprio perché si tratta di una cultura nuova a cui si deve far riferimento, è estremamente importante "non confondere la figura del mediatore con altre figure professionali, la cui funzione non è e non può essere neutra. Il mediatore, il cui compito principale è di favorire la comunicazione, non giudica, non esprime giudizi, non impone soluzioni alle persone in conflitto; il suo potere consiste nel non avere potere al di fuori della propria autorevolezza etica, riconosciuta dagli attori del conflitto. L’intervento professionale dell’assistente sociale, di contro, risponde forse meglio ad una funzione conciliativa, all’interno della quale pur riconoscendosi neutrale ha l’opportunità ed il potere di decidere in nome della delega che le viene data dal suo ruolo specifico o dalle parti." Conclusioni. In conclusione mi sembra significativo riportare quanto scrive Bouchard in La galassia delle tutele ovvero la risoluzione dei conflitti dentro e fuori la giurisdizione: "In estrema sintesi la mediazione sul terreno penale non si atteggia a sanzione né è riducibile a un mero meccanismo procedurale per la contrazione dell’intervento penale. Le casistiche ci dicono che per lo più la fascia elettiva su cui insiste la mediazione penale è rappresentata da reati che diversamente sarebbero stati trascurati dal sistema con esiti di tutto favore per l’indagato/imputato. Ma questo dimostra appunto che il mediatore, in questo contesto, svolge una funzione qualitativamente "altra" dal processo penale ed effettivamente neutrale rispetto al conflitto vittima-autore"; e ancora: "Sotto certi aspetti si potrebbe affermare che la mediazione-riparazione rappresenta un rimedio alla crisi di effettività della pena, offrendo una risposta laddove l’ordinamento classico non riesce più a garantire l’irrogazione di una pena, ancorché simbolica. Ma perché questa risposta non si trasformi in una riproduzione e in un’estensione arbitraria del controllo sociale della devianza (in una forma semplicemente più morbida) occorre che corrisponda a una strategia di prevenzione dei sentimenti di insicurezza". E’ ancora una volta significativo e profondamente stimolante quanto scrive la Morineau "La violenza dei giovani è un grido, un SOS, una richiesta d’aiuto, perché essi vivono in una società disorientata. Siamo noi, adulti, che abbiamo creato questa società. Noi ne siamo i responsabili. Tocca a noi proporre dei nuovi modelli, delle nuove strutture…. Osiamo cambiare, proporre un nuovo modello, non accademico, ma umano." Ritengo che oggi la sfida da portare avanti, se vogliamo effettivamente utilizzare nuovi modelli di risposta al disordine del quotidiano, si debba sviluppare attraverso la "umanizzazione dell’oggetto" in contrapposizione ad una "oggettivazione del soggetto", che è forse più rassicurante, meno coinvolgente emotivamente, ma che non permette al cittadino di riappropriarsi della responsabilità dei suoi atti.

 

 

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