Vita - 7 maggio 2004

 

Il primo permesso non lo si scorda mai


La testimonianza di una donna che racconta le emozioni causate dall’incontro all’esterno del carcere con il proprio compagno. Parlando di come il carcere priva le persone della possibilità di esprimere i propri sentimenti, cancella il sesso, annienta ogni desiderio, una detenuta della Giudecca aveva usato la definizione di "carcere svuota - sentimenti". E il carcere spesso fa esattamente questo, consuma qualsiasi sentimento. Però a volte, nel deserto della carcerazione, succede anche il miracolo di una storia che nasce e cresce a dispetto della galera. è quello che testimonia una donna che ci ha scritto, raccontandoci l’emozione del primo permesso del suo compagno, che è stato, per tutti e due, il primo incontro fuori, nel mondo "libero". Una boccata d’aria davvero, anche per noi che ci battiamo perché finalmente in carcere si aprano degli spazi nuovi per la cura degli affetti.

 

Ornella Favero


Vorrei parlarvi di una giornata particolare: il primo permesso premio del mio ragazzo, avvenuto dopo cinque anni di detenzione. Conosco M. da due anni, l’ho conosciuto lavorando dentro, quindi per noi è stato il primo incontro fuori dal carcere: dodici ore, divieto di usare mezzi privati, obbligo di dimora in un piccolo comune, nella sede di un’associazione che ospita detenuti in permesso premio. Un terzo del permesso lo abbiamo trascorso sui mezzi pubblici, ma questo è stato poco importante, perché anche solo prendere un tram insieme ha rappresentato un’esperienza nuova per entrambi! Per un attimo M. ha avuto timore ad attraversare la strada. Le macchine gli sembravano troppo veloci, allora lo abbiamo fatto prendendoci per mano. Non ricordava più le vie della città. Mi ha dato 100 euro chiedendomi che, non conoscendoli, fossi io ad usarli, e si è soffermato a guardare smarrito le monetine di resto di un pacchetto di sigarette che abbiamo acquistato. Ha telefonato a casa, e le cabine telefoniche di nuova concezione gli sono sembrate troppo futuristiche rispetto alle vecchie. Nei suoi occhi disorientati ho colto un po’ di sofferenza, anche al ristorante, quando ha affermato che le posate erano troppo pesanti… In carcere sono consentite solo quelle in plastica.
Dopo due anni di sguardi, di lettere e di brevi colloqui, ci siamo ritrovati da soli… non ci sembrava vero! Sia io che lui la notte precedente non avevamo quasi dormito; l’ansia e le piccole paure di scoprirsi di fronte all’altro, che già nella normalità possono creare un certo imbarazzo, sembrano ampliarsi dopo cinque anni di lontananza da una donna per lui e dopo i miei due anni di attesa. L’unico modo per vivere quel momento è stata la naturalezza, la spontaneità dei gesti… la lentezza dei preliminari… la dolcezza di uno sguardo innamorato che ti dice: "Tranquilla, qualsiasi cosa accada ve bene". È importante sentirsi accettati per quel che si è. Ci siamo amati con la stessa intensità degli sguardi e delle lettere di questi anni…

 

Lettera firmata

 

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