Vita - 30 maggio 2003

 

Non lavorare stanca. Sono stanco di non fare niente

 

C’è un significato preciso, nell’organizzare dentro un carcere una giornata di studi come quella di Padova dedicata al lavoro: coinvolgere i detenuti nella elaborazione di proposte che riguardano il loro destino, dargli modo di diventare protagonisti in una discussione sui loro problemi. A Padova hanno partecipato in più di cento all'iniziativa, hanno organizzato i materiali informativi, fatto interviste, accolto gli ospiti. Alcuni detenuti poi sono venuti da altre carceri, "sacrificando" un permesso per uscire da una galera ed entrare in un’altra; altri ci hanno scritto, mandato testimonianze, fatto sapere di essere con noi idealmente, di avere voglia di essere coinvolti in tutto quello che ha a che fare con il loro futuro, e con la possibilità che sia meno amaro del passato. Quella che segue è una lettera che ci ha mandato un detenuto di Treviso, e che fotografa bene la situazione della gran parte dei detenuti.

 

Ornella Favero

 

Dormire circa 8 ore durante la notte sarebbe, normalmente, un toccasana, invece mi alzo… e sono stanco. Durante la giornata sono sempre più stanco. Da circa un anno, anche se riposo molto, più riposo e più mi sento stanco. Sarà perché di giorno non faccio niente, anche quando leggo sono sdraiato sulla branda a riposare… quindi, mi stanco ancora di più! Forse dovrei inventarmi un lavoro: ne ho pensati tanti, ma l'unico che posso fare in cella è dipingere, e anche se bello, non rende.

Ci vorrebbe un lavoro serio, che mi desse la possibilità di guadagnare, anche solo 300 euro al mese che, per me che non ho vizi, sarebbero sufficienti. Qualcosa che mi permetta un adeguato mantenimento e, cosa più importante, di poter mettere da parte qualcosa che possa permettermi di campare una volta fuori. Io sono dentro da 20 anni, e mi hanno fatto lavorare sì e no per 6 o 7, di contributi ne ho accumulati pochi, il mio fine pena è ancora lungo e se non lavoro adesso... Qualcuno porrebbe chiedersi perché non ci ho pensato prima, da uomo libero, quando avrei potuto lavorare come tutte le persone oneste: è vero, ma non potevo farlo, ero troppo impegnato a rubare e a fare danni, e se mi fossi dedicato a lavorare, adesso non sarei qui, a supplicare ad alta voce di essere stanco di non fare niente, che ho bisogno di lavorare, di essere impegnato a fare qualcosa che mi faccia sentire vivo.

La galera sarebbe meno pesante e un po' più "redditizia", quanto meno abbastanza redditizia da non farmi sentire più un mantenuto, da non dover più dipendere dai familiari, come ora. Togliere loro parte dello stipendio (da operai) mi fa sentire un fallito, un mantenuto anche in questo… ma non per causa mia: mi dessero un lavoro, non sarei di peso a nessuno e mi sentirei più "libero" e indipendente!

 

Umberto, dal carcere di Treviso

 

 

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