Vita - 8 febbraio

 

Dalla Giudecca: un traguardo per cambiare e qualcuno che ci aspetti

 

Patrizia, dopo più di due anni di carcere e di separazione dalla sua bambina, è uscita in affidamento e ci ha scritto per descriverci le emozioni che si provano quando si ritorna a casa e, dopo tanto tempo, si ritrova una figlia felice di rivederti, ma anche un po’ sospettosa e un po’ spaventata.

 

Ornella Favero

 

Ebbene sì, arrivano così i mandati di esecuzione, senza preavviso, sconvolgendo la vita, ma non solo la tua. Per un reato del 1987 sono stata condannata in contumacia, assieme al mio compagno, a 6 anni di reclusione, così a distanza di 12 anni si sono aperte per noi le porte del carcere. Il male è che ho dovuto lasciare una figlia di 6 anni e ho perso il lavoro. Al momento di andarmene, la bambina non c’era, mia suocera aveva pensato bene di mandarla a! mare, così, quando sono partita, né io né lei abbiamo subito fino in fondo il trauma della separazione.

I primi mesi sono stati un letargo, solo la mia mente era sveglia, sveglissima. Pensavo molto a casa, a mia figlia, alla famiglia e scrivevo, ho pianto anche, ma mai davanti alle compagne, è una cosa che non sopporto, tutte hanno problemi e soffrono.

Poi ho smesso di prendere la terapia (in gergo carcerario si chiamano così gli psicofarmaci) e ho cominciato a risvegliarmi, a prendere coscienza dei miei problemi, del mio passato e di dover fare qualcosa. Quello che certamente mi ha aiutato è sapere che la mia famiglia stava bene, che mia figlia, nonostante tutto, cresceva bene e andava a scuola felice e con ottimo profitto, beh… queste sono le cose che ti fanno sperare in un futuro, in una vita fuori assieme a loro. C’è bisogno di una meta, di un traguardo, di qualcuno che ti aspetti.

E quante volte ho immaginato come sarebbe stato il mio ritorno a casa, l’abbraccio con mia figlia, come avrebbe reagito, e il percorso che avrei dovuto fare per riprendere quel rapporto affettivo interrotto più di due anni prima!

Sono uscita dal carcere prima di Natale. Arrivo a casa, non sento nemmeno il peso della valigia, cammino ma mi sembra di stare ferma, cerco di capire se chi mi aspetta sta notando tutte queste mie sensazioni, mi sento persa e mi chiedo: "Cosa ci faccio io qui?". Ripenso a dentro e ho voglia di piangere... Salgo in casa e la vedo, un groppo in gola e gli occhi che bruciano, ci abbracciamo senza dire niente, non è molto a suo agio e per questo nemmeno io, mi osserva moltissimo ma non dice niente, io la guardo, le faccio qualche complimento, cerco di sciogliere quel misto di tensione e imbarazzo, ma ho paura di dire o fare qualcosa di sbagliato. Mi sono messa subito a sistemare casa perché non volevo pensare, avevo bisogno di un po’ di tempo, poi tra una cosa e l’altra è cominciato il dialogo tra me e lei, adesso va abbastanza bene e, sono sicura, andrà sempre meglio.

 

Patrizia

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