Vita - 5 aprile

 

In carcere ho riscoperto la religione. Dopo l’eclisse, il sole

 

Quella che segue è la testimonianza di Calogero che, con un gruppo di detenuti e volontari del carcere di Pordenone, sta faticosamente tentando di dar vita a un nuovo giornale. In un carcere circondariale, dove stanno i detenuti in attesa di giudizio o con pene brevi, costruire un’iniziativa di informazione è un’impresa dura, perché ci si trova a lavorare con una redazione in continuo "movimento". Dunque un nuovo giornale è sempre un segnale positivo, di coraggio, una sfida a dare continuità e solidità a una esperienza che nasce in una realtà così precaria. Si chiamerà Eclisse: "Un nome - spiegano i detenuti redattori - che simboleggia un periodo di oscuramento (nella vita del detenuto), ma che presuppone sempre il ritorno trionfale del sole (la ritrovata libertà)".

 

Ornella Favero

 

Sono una persona non più giovane, con alle spalle una serie di fallimenti sia familiari, con un matrimonio e due lunghe convivenze che mi hanno fruttato due figli, sia nel lavoro e, soprattutto, come membro della società. Ho avuto il primo contatto con la triste realtà del carcere circa 12 anni fa, ma solo per un breve periodo. Adesso sono dentro da 4 mesi e, purtroppo, ne avrò per diversi anni, ma ciò che mi sta dando la forza di accettare e andare avanti in questo triste futuro è il nuovo rapporto che sono riuscito a instaurare con la religione. Da adolescente ho avuto un grosso rapporto con la chiesa e la religiosità, in quanto ho vissuto per 5 anni in seminario, ma questo fatto alla fine mi aveva completamente allontanato prima dalla pratica attiva e successivamente anche, purtroppo, dalla fede cristiana, tanto che mi rifiutavo addirittura di entrare in chiesa perfino nelle grandi occasioni familiari come battesimi, matrimoni e funerali.

Da quando sono qui ho avuto l’opportunità di avvicinarmi di nuovo alla fede, ma con mio grande stupore in maniera semplice, senza remore, e la cosa più strabiliante è che ho una grande voglia di recuperare il tempo perduto. Tutto ciò mi ha fatto riacquistare una grande serenità d’animo che non avevo da molti anni.

Un’altra cosa che mi suscita molta meraviglia è il vedere uomini con un passato di violenza, droga e quant’altro accostarsi con umiltà e serenità al rapporto con Dio. Il vedere persone di culture, etnie e addirittura religioni diverse, ritrovarsi tutti assieme nella piccola cappella del carcere attorno alla canuta figura del cappellano, grazie al quale l’incontro avviene con semplicità e spontaneità che stupiscono.

E il tutto avviene senza forzature da parte di nessuno, anzi, si fa a gara per essere inseriti nei gruppi di studio religiosi, corsi e incontri di formazione religiosa, ma la cosa più bella è sentire parlare e aprirsi i propri compagni di sventura.

 

Calogero, dal carcere di Pordenone

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