Vita - 12 aprile

 

Troppi "sballi" in carcere. Cioè, troppi trasferimenti non graditi

 

Sballamento nel gergo carcerario è il trasferimento, non richiesto e non gradito, di un detenuto da un carcere a un altro. Sull’origine di questo termine si possono fare, più che altro, delle ipotesi: imballare e sballare sono verbi che danno l’idea di spostare non tanto una persona, quanto piuttosto una merce, e senza tante delicatezze e riguardi. Ogni detenuto ha, nella sua storia carceraria, un gran numero di sballamenti, spesso di notte, senza preavviso, con l’ansia di dover di colpo rivoluzionare il suo modo di vita, le amicizie, l’organizzazione delle sue giornate.

Le modalità dello sballamento sono le più diverse: capita di essere "sballati" col "blindo" (furgone blindato), capita di viaggiare nella "periodica", un vagone speciale con le celle che viene agganciato a un treno normale. Il bagaglio che hai in dotazione è costituito dai "ministeriali", grossi sacchi tipo zaino; ne puoi portare due per un totale di 10 chili che nessuno, di solito, ti aiuta a trasportare. Se poi, durante il trasferimento, hai bisogno di andare in bagno, le condizioni sono spesso avvilenti: capita che non ti tolgano neppure le manette, o che addirittura sfilino dai cardini la porta del bagno per tenerti sotto assoluto controllo. Quando arrivi al carcere di destinazione, è come dover ripartire da zero. I primi tempi li passi a "leccarti le ferite", poi ti guardi intorno e cerchi di far ricorso a tutte le tue risorse per scavarti una nuova nicchia.

Nel frattempo, i tuoi parenti si trovano a subire l’ennesimo disagio: se lo sballamento è stato improvviso, capita anche che arrivino al carcere per il colloquio e si sentano rispondere che non sei più lì.

 

Piccole proposte per "sballare" in modo più umano

 

Facciamo, per lo meno, delle piccole proposte perché il detenuto, da merce da sballare, si trasformi in persona da trasferire:

che si venga avvisati di uno sballamento in modo decente, da operatori consapevoli del fatto che è un trauma viaggiare da un carcere all’altr0, lasciando anche quel poco che si è riusciti a costruire in fatto di rapporti umani e di vita sociale;

che non si interrompa un percorso di reinserimento, così faticoso che certo non ha bisogno di ripartire ogni volta da zero;

che venga davvero applicata la legge, là dove prevede che il detenuto debba essere, per quanto possibile, avvicinato al luogo dove vivono i suoi, anche perché i viaggi dei famigliari sono una fatica, un costo e una pena che non si sono certo meritati;

che a essere trasferiti senza tante "delicatezze" non siano ancora una volta gli stranieri, per i quali al disagio del non avere quasi mai colloqui si aggiunge quello di essere spesso considerati più facili da sballare proprio perché privi di legami famigliari.

 

Ornella Favero (ornif@iol.it)

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