Don Ruggero Di Piazza

 

Clandestini come carcerati? Chiudo il Centro

 

Le perplessità di don Ruggero Di Piazza, prete di frontiera che non teme di confrontarsi con i vertici del Viminale sull’attuazione del Piano - Scajola

 

Il Piccolo, 31 luglio 2001

 

“Non accetto la loro criminalizzazione: è solo gente disperata, che deve liberamente cercare un futuro. Non lasceremo trasformare questo Centro in un’anticamera del carcere. Se ci chiederanno di piegare le nostre coscienze e le nostre convinzioni, siamo pronti a chiudere anche oggi”. C’è un piccolo-grande uomo a Gorizia, che non si ferma dinanzi a nulla. Per difendere gli ultimi, quell’umanità disperata che approda nell’Isontino, è pronto a confrontarsi anche con i vertici del Viminale. Perché proprio non può accettare il progetto di criminalizzare gli immigrati (con l’imminente entrata in vigore del reato di ingresso clandestino) e di imporre loro sofferenza a sofferenza.

Quell’uomo è don Ruggiero Di Piazza, quel tenace prete di frontiera che, con il Centro della Caritas diocesana, ha sopperito in passato alle manchevolezze di certe istituzioni che lo scorso anno, nell’apice dell’emergenza clandestini all’epoca vanamente denunciata anche dal Sindacato autonomo di polizia, ammassavano centinaia di uomini, donne e bambini in un’angusta stanza della caserma Massarelli.

Oggi quelle immagini che rimbalzarono sui principali organi d’informazione di mezzo mondo non sono più una realtà. Anche, e soprattutto, grazie all’accordo siglato tra la Caritas diocesana e il nuovo questore per rendere più dignitose le pratiche per l’identificazione e il fotosegnalamento.

“Un accordo nato dalla reciproca disponibilità di dialogo - spiega don Di Piazza - e basato su un presupposto essenziale: le porte del Centro sono aperte. I clandestini, che consideriamo unicamente come fragile e triste umanità in cerca d’aiuto, sono liberi di uscire e trovare il loro futuro. Se, nell’ambito dei progetti del Viminale, questi presupposti dovessero cambiare, il Centro non ha più motivo di esistere”.

I dubbi di don Ruggiero nascono da un passaggio organizzativo del Piano - Scajola. I clandestini rintracciati e non riammessi in Slovenia, secondo le direttive di Roma, dovranno essere accompagnati al Centro di permanenza temporanea di Bari.

L’intento, sottolineato dallo stesso ministro dell’Interno nel corso della visita a Gorizia, è di spezzare quella spirale perversa che ha tramutato il Nordest in terra di conquista dei trafficanti di uomini. I pullman - navetta si susseguiranno nell’arco della settimana, secondo necessità. In attesa di un numero che giustifichi il viaggio, i clandestini saranno accolti (due, tre, quattro giorni?) nel Centro della Caritas diocesana. Ed ecco nascere le perplessità di don Ruggiero, sia sul rischio di veder snaturata fa natura “dell’ex San Giuseppe”, sia sui disagi che ricadranno su uomini, donne e bambini già provati da lunghi viaggi e ai quali viene imposto un ulteriore traghettamento di 1.100 chilometri.

Ma cosa potrebbe accadere se Questura e Caritas non dovessero trovare un accordo adeguato? Mancando altre strutture nell’Isontino, il rischio è di rivivere quelle immagini dell’agosto duemila con gli immigrati ammassati alla Massarelli. Una “soluzione”, oggi più di ieri, inaccettabile.

 

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